Bastiamo noi due
per essere soli
«Per
essere un cavaliere non sei molto sagace nel scegliere il luogo adatto per accamparsi…»
«Zitto,
Sterminatore.»
Brienne
era stanca, anzi no, era distrutta.
La schiena le doleva non appena si piegava, le spalle faticavano a rimanere
dritte e l’armatura le sembrava insopportabilmente pesante, proprio a lei, lei, che aveva rinunciato a ogni vestito
per una corazza di ferro. Le gambe – intorpidite e insensibili – erano le
uniche membra che non protestassero contro la sua ferrea decisione di
allontanarsi il più velocemente possibile da un bosco in cui erano incappati
cinque giorni prima, esteso e all’apparenza innocuo, se non fosse stato per
delle tracce di stivali sul pantano di un ruscello.
Era bastato quel segno per farla innervosire; aveva quindi deciso di proseguire
lungo i margini del bosco, fino all’avvistamento di un tratto di pianura brulla
che interrompeva la foresta, dividendola da parte a parte. Qualche lieve pendio
e delle rocce potevano bastare per nascondersi; e in
ogni caso era meglio che essere alla mercé delle bande di ladri che conoscevano
quei luoghi sicuramente meglio di lei.
«Preferivo
il bosco, almeno c’erano acqua, cibo e un tetto di
foglie sotto cui ripararci. La pioggia ti rovinerà il viso, mia signora.»
Il
tono di scherno di Jaime Lannister
la fece grugnire di disapprovazione. Anche le sue orecchie erano stanche,
stanche di quel continuo lamento.
«Giuro
che se non stai zitto, ti rompo i denti uno per uno e infine ti taglio la
lingua.» Lo minacciò, buttandolo senza cerimonie
sull’erba secca e gialla di un piccolo tugurio scavato sotto una roccia. Era
una semplice conca ormai ricoperta di sterpaglie, che forse era
stato un vecchio abbeveraggio per animali; non molto ampio, ma abbastanza
grande per lei e il suo grosso, lagnoso fardello abituato a materassi di piuma.
Soprattutto, le permetteva una buona visuale sullo spazio attorno e un buon
nascondiglio, lontano dagli occhi meno esperti.
Jaime non parve
particolarmente turbato dall’avvisaglia: si mise a ridere, piegando il busto
avanti e indietro e Brienne fu pronta a giurare che,
se avesse avuto le mani libere, le avrebbe usate per
tenersi la pancia.
Non
vide arrivare il pugno che lo colpì sul muso. La mano di Brienne
si era mossa veloce, precisa, e aveva sentito sotto le nocche
la mascella del suo prigioniero battere contro i denti, un bel fracasso
di molari e incisivi, e la fine di quella tediante risata. Sorrise fra sé,
soddisfatta.
Jaime intanto sputò un
grumo di saliva, forse insanguinata, Brienne non ci
aveva fatto caso intercettando invece i suoi occhi verdi sgranati, che la
guardavano come se fosse pazza. «Sei pazza!» esclamò diffatti l’uomo, con voce leggermente stridula per l’ira. «Avresti
potuto tagliarmi la lingua!»
«Magari
l’avessi fatto» replicò ironica ma pacata. «Ora vedi di non importunarmi più con i tuoi commenti da
principessa. Muoviti e dammi una mano a raccogliere dei rami per il fuoco.»
«Con
quali mani?» ribatté sprezzante Jaime, mostrandole le
manette.
Brienne
alzò le spalle. «Ti restano i piedi. Ingegnati.» E si aggirò vicino al rifugio momentaneo a cercare della
legna, una corda in mano che le assicurava che il suo prigioniero non
diventasse improvvisamente un fuggitivo.
Jaime ruttò con gran
rumore, il gran piacere scritto sul suo viso.
Quella
sera, approfittando di un fagiano che Brienne era
riuscita a catturare il giorno prima nel bosco, avevano mangiato bene. Lei
aveva ancora un po’ di fame, ma cercò di placare lo stomaco ingoiando alcuni
mirtilli rossi, gli ultimi della stagione. Era stato un miracolo trovarne:
l’autunno si faceva sempre più rigido e freddo.
«Due
bacche anche a me?»
«Dovrei
tenermele tutte per me» bofonchiò Brienne, ma allungò
comunque verso quell’ignobile cavaliere una manciata di
bacche scure e sanguinee. Jaime allungò entrambe le
mani, riempì il pugno e lo portò alla bocca masticando di gusto.
Quell’uomo
pareva sempre trovare divertente ogni cosa, anche quando era incatenato e
costretto a dividere il giaciglio con un colosso come lei. Non sembrava mai
malinconico, mai triste, mai sconsolato nonostante tutti i piagnistei. Brienne gli invidiava quella capacità di ricostruirsi, di
nascondersi, di… ah, forse solo il Guerriero poteva
sapere cosa rendesse Jaime Lannister
così impermeabile ai tiri mancini della fortuna.
Con
un sospiro appena percepibile, Brienne si avvicinò al
fuoco e lo coprì con della terra. Non potevano permettersi di attirare sguardi
indesiderati, un’eventuale battaglia li avrebbe rallentati e lei non aveva
tempo se voleva che le figlie di lady Stark potessero
riabbracciare la madre. Molta felicità dipendeva dalle sue mani. Lady Stark aveva fiducia in lei.
«È
ora di dormire, Sterminatore» annunciò senza inflessioni particolari, la sagoma
scura di Jaime ancora intenta a masticare le bacche.
«Buonanotte,
mia signora» rispose con pacata ironia lui mentre Brienne si sdraiava, accovacciandosi faticosamente,
imbrigliata nell’armatura. Cominciava a rimpiangere i morbidi pantaloni e la
comoda maglia di lana che indossava al di fuori delle
battaglie.
Qualche
minuto dopo sentì Jaime muoversi nell’alcova
naturale. Le braccia, benché stanche, si irrigidirono
pronte a scattare in caso di aggressione; ma pareva che gli spiriti ribelli del
giovane leone erano stati vinti dalla stanchezza della camminata. Jaime si mosse ancora, come a cercare una posizione, e
infine sembrò averla trovata, dato il silenzio che era
calato su di loro come la notte che, nel giro di una mezzora, li aveva
raggiunti. Brienne non aveva visto il tramonto, non
aveva notato l’oscurità farsi pesante come un manto; le palpebre – più forti
della sua vigile mente – le avevano serrato la vista.
Quando
si risvegliò, il buio l’accolse e per pochi secondi Brienne ebbe la sensazione di mangiare sabbia, un breve
attacco di panico che le serrò la gola. Furono le stelle a ricordarle che si
trovava all’aperto, perché, dove (più o meno), con chi
soprattutto.
La
prima domanda che si pose fu: perché sono
sveglia? I suoi sensi sviluppati avevano sicuramente avvertito qualcosa che
l’aveva destata dal sonno pesante. Allungò la mano lentamente e silenziosamente
verso la cintura, e le dita si strinsero attorno all’elsa del coltello. Chiuse
gli occhi, inutili in quell’oscurità, e si concentrò sul resto.
Un
rumore. Non impercettibile, ma nemmeno chiassoso, come…
come se qualcuno stesse sfregando la stoffa di un vestito.
Deve essere lo
Sterminatore, si disse sollevata. Si muoverà nel sonno.
Accostò
la mano lungo il fianco, e richiuse gli occhi.
Il
rumore, ora che l’aveva identificato, era insistente e snervante. Per le fiamme di Valyria,
che sta combinando quello là?, ebbe il tempo
di chiedersi prima di identificare chiaramente un gemito sommesso.
Che
stesse male? Che non avesse digerito i mirtilli? Che l’avesse per sbaglio avvelenato? Il dubbio le causò una
leggera fitta allo stomaco, insieme a un frenetico eco di “ohMadre”
nel suo cervello. Ma se fosse stato così, si sarebbe
sentita male anche lei. Oppure per via della sua stazza il veleno circolava più
lentamente? Non le pareva plausibile. Forse doveva chiedergli.
«Oooh.»
La
vocale gorgogliata era erotta dalle labbra dello Sterminatore; ormai conosceva
la sua voce, anche se quel suono non l’aveva mai sentito prima da lui né da
nessun altro uomo. Brienne però non era una stupida,
e aveva capito con cosa stesse amministrando il suo prigioniero.
Avvertì
il rossore invaderle la faccia e il collo, e si morsicò una guancia, imbarazzata,
cercando di capire cosa diavolo dovesse
fare. Una nuova sfilza di “ohmadre” e di
preghiere imparate a memoria durante l’infanzia le vennero
in soccorso; Brienne ci si attaccò come un pupo al
seno della madre, ripetendole come un mantra fra sé e sé, tentando di distrarsi
dalla masturbazione che stava avendo luogo a meno di due metri da lei. Tanta
era la vergogna che, se non fosse stata così testarda, avrebbe pianto.
Finalmente
Jaime dovette aver finito. Non c’erano stati molti
gemiti, per sua fortuna, per di più il fiato accelerato e qualche sospiro
profondo dell’uomo.
Che schifo. Brienne aveva convissuto con gli uomini per tutta la vita,
nel bene e nel male, ma non era mai stata così… intima con nessuno prima di allora. E la
sensazione non era di totale ripugnanza, come credeva: a creare il disagio era
piuttosto l’incapacità di accettare che fosse successo veramente, a lei, e il grande imbarazzo di aver
partecipato allo spettacolo da comparsa, senza appartenere veramente a quel
momento. Un’estranea a quel mondo.
Jaime intanto doveva
essersi tirato su le brache, dai fruscii della stoffa. Gli scappò un grugnito
soddisfatto mentre si rimetteva a terra, per dormire.
«Le
tue mansioni non sono onorevoli» si fece scappare Brienne,
ma la sua voce non suonò come un rimprovero, piuttosto fu un pigolio da pulcino
che non le si addiceva proprio.
La
voce di Jaime non nascondeva sorpresa. «Sei sveglia?»
La sua risata riempì la notte. «Non pensavo fossi una sporcacciona, mia
signora, la prossima volta se vuoi assistere lo farò alla luce del sole e con i
tuoi occhi sul mio uccello.»
«Non
mi è piaciuto» precisò Brienne, a disagio. «Non lo fare mai più. Non finché siamo legati l’un l’altro.
Potrai sfogarti ad Approdo del Re non appena arriveremo.»
Jaime continuava a
ridere. «Vuoi sapere la cosa strana? Mentre mi
toccavo, ti ho pensata.»
Brienne
non sapeva bene che fare. Non riusciva a pensare, sentiva un ronzio in testa,
il rossore scaldarle il viso, il martellare del sangue sui polsi e il suo corpo
irrigidirsi.
«Pensavo ai tuoi capelli
biondi. E a quanto siano stoppi rispetto a quelli setosi di mia sorella. Me la fottevo tirandole i suoi, i nostri ricci biondi da leoni. Ti piace questa mia fantasia, mia
signora?»
Era
stato crudele, e il colpo Brienne l’aveva incassato;
ma ne aveva ricevuti di peggiori, e quella malignità la rivestì di nuovo della
corazza che aveva indossato sin da ragazzina.
«Stai
zitto, Sterminatore.»
Semplice
missing moment fra Jaime e Brienne, approdo a un
nuovo fandom e un esercizio per dimostrarmi che sono
ancora capace di scribacchiare qualcosa di decente. Spero vi sia piaciuta! (:
Grazie
a chi leggerà, a chi commenterà e a chi aggiungerà eventualmente la storia fra
le preferite o ricordate.
Bye,
Kaho