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Autore: EvgeniaPsyche Rox    27/11/2012    6 recensioni
C'era una volta un beato fanciullo dagli occhi blu come l'oceano (...)
Roxas era il suo nome e quando lo pronunciava gli sanguinavano le labbra perché egli, impacciato e timido com'era, se le mordeva sempre dopo le presentazioni.

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Il bravo bambino che aveva una burrasca dentro.
Genere: Dark, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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C'era una volta un beato fanciullo dagli occhi blu come l'oceano,
i capelli biondi come il grano e la pelle bianca come la neve più pura e candida.
Roxas era il suo nome e quando lo pronunciava gli sanguinavano le labbra perché egli, impacciato e timido com'era, se le mordeva sempre dopo le presentazioni.

La gente lo prendeva spesso per un bambino; pover bambino, sussurravan gli altri tra di loro, pover bambino piccolo, così piccolo e acerbo per la sua giovane età.
E lui voltava la testa altrove, perché desiderava essere beato, anche se dentro incombeva una brutta burrasca.
Bravo a scuola, buono con tutti, blu dei suoi occhi che sorridevano sempre; occhi finti, però, gli altri questo non lo sapevano, lui invece sì, sapeva che il suo blu era buio e nascondeva la sera, non il mare.


Possedeva un piccolo segreto, quel bambino birbante,
che poi tanto bambino non era.
Nel bagno accanto alla sua minuscola stanza buia, alla sera, alle nove e mezza in punto, lui sapeva chi lo attendeva, chi lo avrebbe apprezzato, chi lo avrebbe applaudito.
Bucaneve appassito.

Quanto amava spogliarsi di fronte alla finestra del suo piccolo bagno, solo Dio lo sapeva, il suo amore profondo verso quell'arte segreta e nascosta.
Amava privarsi della camicia, lentamente, i jeans adagiati sulla vasca, lentamente, osservava la finestra, zitto, silenzioso, divertito, felice, contento, barlume di gioia nei suoi occhi blu e bui dentro.
E sapeva che lui c'era, sempre, come ogni sera, lo attendeva, il loro delizioso appuntamento silenzioso.
Roxas amava sentire i brividi lungo la schiena nuda, sulle gambe minute, i brividi gli accarezzavano il corpo e gli bruciavano la pelle, scavavano per raggiungere la carne, le ossa, la cassa toracica, il cuore, alla ricerca della burrasca.
Si sfiorava lentamente la pelle di fronte alla finestra spalancata, disegnava i propri lineamenti, li vedeva perfetti nel loro essere storti e sbagliati, passava ripetutamente l'indice lungo le cicatrici, i lividi, i segni sulle braccia e sulle gambe.
Era il suo piccolo show e lui era padrone del palco, delle luci, della scena, la gente applaudiva soltanto per lui, per il bambino burrascoso.

Talvolta si lavava la faccia di fronte alla piccola finestra aperta.
Le goccioline gli baciavano le palpebre, i brividi gli violentavano la pelle, lo scuotevano, ma a lui piaceva, si sentiva bene, un fanciullo beato.
Si sentiva bellissimo, uno spettacolo magnifico, una creatura di Dio, si sentiva una stella, sotto il cielo che giocava con le nuvole.
Roxas sapeva che c'era un pubblico al di là della piccola finestra del suo bagno.
Non era solo, non lo era mai. I suoi pensieri gli tenevano compagnia, le sue burrasche, la pioggia che batteva, i suoi fantasmi interiori, e c'era anche lui, mentre si spogliava lentamente.
C'era lui che lo bramava, lo guardava, lo attendeva, in mezzo al buio, e Roxas lo sapeva, lo sapeva perché lui era la star, la stella che brillava più di tutte, era il protagonista del suo show ed era il più bello.

Nella vita era sempre stato una di quelle persone in bilico, una persona non bianca, e nemmeno nera. Una persona grigia, forse, o forse blu, come i suoi occhi, ma non blu mare, blu sera, seguita poi dalla notte, quella tetra, ostile, piena di nuvole cariche di pioggia, notte che mostra le bestialità del mondo, notte che tira fuori le zanne e gli artigli.
Mentre si spogliava invece no, non lo era. Era il protagonista, era forte, sicuro di sé, non era più in bilico, era di un colore soltanto, anche se non capiva esattamente quale.

Passava le giornate a pensare al suo delizioso bagno, al suo piccolo bagno che custodiva un grande segreto. Che ruolo importante che ha, si diceva sempre, il mio piccolo bagno, bellissimo mi sento lì dentro.
E ringraziava Iddio di avergli donato quell'arte, l'arte di spogliarsi; sua madre lo voleva vergine, vergine per sempre, quella donna delusa dal marito che aveva trovato la bottiglia come amante, gli ripeteva di allontanarsi dall'amore, perché l'amore era un miscuglio di schiaffi e violenza, non faceva per lui, l'amore, era per gente tosta, non per bambini.
E allora lui promise a se stesso che sarebbe morto vergine, vergine per sempre, che bravo bambino.
Ma aveva il suo segreto, il suo bellissimo segreto del bagno.
Si stringeva le spalle, socchiudeva gli occhi e sospirava piano, silenziosamente, zitto zitto, lento lento, chiuso nel suo buio, burrasca interrotta, doveva sembrare un bravo bambino.
Nudo alla finestra, la finestra che si affacciava su una casa rossa.

Un giorno decise di togliersi anche le mutandine bianche.
E pioveva così forte, quel giorno. E si sentiva ancora più bello, quel giorno.
Di fronte al suo pubblico. Di fronte alla casa rossa che ospitava un paio di occhi verdi.
Non scoprì mai la vera identità di colui che lo osservava, che lo bramava ogni sera, che magari, chissà, sperava pure di baciarlo, quando lo vedeva nudo alla finestra.
Non gli interessava nemmeno, in fondo.


Una sera, la sera in cui aveva deciso di togliersi anche le mutandine bianche, sentì un bum bum alla porta.
Un bum bum molto forte, e lui allora ebbe i brividi, proprio come quando si spogliava; ma egli, siccome era un bravo bambino, decise comunque di aprire e...


La mattina successiva trovarono il suo corpo squarciato in bagno e alcuni abitanti giù in città dissero d'aver sentito delle urla, urla molto forti, ma inizialmente avevano pensato che fossero dei tuoni di un temporale in lontananza.
Nessuno scoprì mai il segreto del bravo bambino con la burrasca dentro, così come non trovarono nessuno nella casa rossa accanto.

Alla madre dispiacque soltanto che il figlio non avesse mantenuto la sua promessa; il suo bravo bambino che aveva pensato di ingannare il diavolo giocando con il proprio corpo.

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The end.

 

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*Note di Ev'*
Periodo di one-shot per me, a quanto pare.
Okay, come prima cosa voglio dire che questa storia mi disgusta alquanto; e no, non voglio fare la modesta ipocrita di turno, ve lo assicuro, perché comunque un minimo di soddisfazione nelle ultime due storie che ho pubblicato ce l'ho.
Ma questa è... Mah, non ne sono molto fiera. Sarà che ho usato questo stile un po' fiabesco, forse non ha funzionato come pensavo. Avete presente quando avete in testa un disegno magnifico e poi, quando l'avete vomitato sulla carta, esce una schifezza degna di censura? Ecco, è uguale.
E pensare che ho altre ispirazioni che mi galleggiano in testa, una in particolare è un'idea assai originale che voglio assolutamente sviluppare e pubblicare al più presto. -E sì, sarà un'altra one-shot.- E dico al più presto perché poi dovrò iniziare anch'io a lanciarmi in stomachevoli storie che hanno come tema principale il Natale. Spero poi di vomitare qualcosa di originale, perché il 20 partirò per Londra e lì ci sarà una magnifica atmosfera natalizia. -Sì, l'ho scritto anche se non ve ne fotte un cazzo. Problemi?-


Solita analisi di questa storia del cazzo.
Tutto è incentrato principalmente sul nostro caro biondino; egli è un ragazzino assai strano, perché, nonostante con gli altri si mostri buono e gentile, dentro ha differenti insidie, tra cui una, in particolare, spicca più delle altre; la strana abitudine di spogliarsi alla sera di fronte alla finestra aperta.
Egli è perfettamente consapevole del fatto di essere osservato e, anzi, è proprio quest'ultima cosa che lo lusinga e gli fa piacere.
Perché lo fa? Probabilmente un po' perché vuole dimostrare di non essere un bambino, di essere grande, di essere in grado di dominare, in qualche modo. E tra i suoi segreti, forse, c'è anche una sottile allusione all'autolesionismo, dato i lividi e le cicatrici sul corpo. -Non ne sono sicura eh, mentre scrivevo la frase mi è uscita da sola.-
E questa sua strana fissa sarà la sua rovina perché chi sarà mai quella fottuta testa di cazzo che si trova in quella maledetta casa rossa? Ma Axel, ovvio!
Il quale alla fine, detto in termini ''terra a terra'', bussa alla sua porta -E' pure educato, eh!-, lo stupra, lo ammazza e tanti saluti.
Perché tra le ultime frasi c'è una ''e'' con il punto alla fine, nonostante la frase sia interrotta? Non è una mia dimenticanza, nemmeno un errore del sito; è voluto, desideravo semplicemente che il lettore immaginasse da sé la scena. O, semplicemente, la scena è troppo violenta per essere descritta a parole.
Oh, e per quanto riguarda le parole evidenziate in grassetto sono termini che, come avrete notato, iniziano con la ''b'' e si riferiscono principalmente a Roxas; perché proprio la ''b''? Beh, è un po' complicato da spiegare... Diciamo che all'inizio avevo in mente un'idea differente che è nata da una lettera.

Non sapevo proprio che cosa mettere come genere. Se ci fosse stato ''merda'' giuro che l'avrei messo.
Vabbeh, no, magari vi starete chiedendo perché l'ho pubblicata se la trovo così ripugnante, e la risposta è assai semplice: voglio sapere se fa davvero così schifo, o se sono io che... che boh.
Quindi vi prego di commentare, gente. Vi prego, necessito urgentemente di recensioni per codesta storia. E se proprio dovete dire che fa schifo, fatelo con delicatezza ed eleganza, grazie.-

Ogni volta che finisco di scrivere una storia succede sempre qualcosa che mi fa incazzare come una iena. L'ultima volta il computer, adesso la stampante. Il fatto è che mentre stampavo codesta storia, la carta si è inceppata nella stampante e ho dovuto farmi venire i crampi alle mani per poterla aggiustare. Af'fanculo.

Mi sto dedicando parecchio al giornalismo in questo periodo, perché, udite e udite, finalmente scrivo in un giornale settimanale! Non immaginate la mia felicità nell'incarico, è fantastico, è... E purtroppo mi ruba un po' di tempo alle mie amate storie. Deprimente, sul serio. Non vedo l'ora che arrivino le vacanze di Natale.
Detto ciò, posso svanire di scena.
E mi raccomando, non limitatevi a leggere, ma COMMENTATE!
Ps. Oh, dimenticavo! Ringrazio enormemente tutti coloro che hanno commentato ''Medley''; siete dei tesori, non smetterò mai di ripetervelo, adoro le vostre recensioni, mi incitano sempre a scrivere all'infinito!
E.P.R.

   
 
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