Maria de Los Calaveras.
C’era
una volta, in una
città lontana dell’America, un uomo molto felice.
Egli aveva avuto la fortuna
di fare il mestiere che più gli aggradava e di trarne un
lauto guadagno: era il
chitarrista in una band rock che tutti amavano.
Era sposato con una donna
molto bella e con un carattere meraviglioso, era stata la prima ragazza
di cui
si era innamorato quando era ancora un ragazzo ricco solo dei suoi
sogni e ora
le poteva dare la vita che meritava.
A completare la sua
felicità la donna era incinta di una bambina, a cui lui
poteva scrivere ninne
nanne.
La bambina nacque in un
profumato giorno di maggio e fu chiamata Maria – che
significa “amata” –
dai due felici neogenitori. Era una bimba
bellissima, aveva già alla nascita folti capelli neri e
occhi di giada.
Crescendo divenne ancora
più bella, fu questa l’ultima gioia della madre
perché in un giorno di novembre
morì divorata dal cancro quando Maria aveva cinque anni.
L’uomo ne fu devastato
fino a perdere completamente il senno, non si curava della bambina e
non usciva
di casa se non per il necessario.
Fu in questo momento
infelice che il male si infilò nella sua vita sotto le
spoglie innocue della
baby sitter della sua bambina. Questa donna aveva capito che se fosse
riuscita
a dare l’impressione di amare Maria come se fosse sua figlia
avrebbe – in
questo modo – sistemato lei e le sue due figlie per la vita.
La donna si chiamava Irina
ed era una bellezza rara dagli occhi azzurri e dai capelli biondissimi
e veniva
da una terra lontana e fredda in cui aveva imparato a mentire e
sfruttare le
situazioni a suo vantaggio fin da piccola.
Tanto disse e tanto fece
che il pover’uomo ne fu irretito e la sposò,
lasciandole in mano la gestione
della casa e pregandola di prendersi cura della povera Maria che era tanto triste senza la
madre.
Irina sorrise e lo
rassicurò, amava Maria come se fosse sua figlia e avrebbe
fatto tutto quello
che era in suo potere per farla felice.
Questa era ovviamente una
bugia, non appena il padre uscì dal cancello della villa la
donna diede in mano
una scopa alla piccola e le disse: “Vai a pulire le camere
delle tue sorelle,
Cenerentola, perché questo d’ora in poi
sarà il tuo compito.
Brutta e stupida come sei
non sei niente e sarai sempre niente.”
La donna l’aveva chiamata
Cenerentola perché una volta si era rovesciata in testa il
posacenere pieno di
cicche del padre e la cenere le aveva ingrigito i capelli.
Maria prese in mano la
scopa e spintonata dalla donna sistemò la camera delle sue
sorellastre, aveva
ormai sette anni. Le due sorellastre si chiamavano Elèna e
Jessica.
Jessica aveva nove anni,
era bionda e con gli occhi azzurri ed era piuttosto robusta, ma dalla
madre
aveva ereditato la capacità di farsi benvolere da tutti
nonostante avesse in
realtà un carattere freddo e crudele. Elèna
invece aveva sette anni come Maria,
era esile con gli occhi verdi e i capelli rossi e aveva un carattere
timido,
gentile ed estremamente debole: non approvava la condotta della madre,
ma non
aveva la forza per opporvisi.
Iniziò così l’incubo di
Cenerentola.
La donna la cacciò dalla
sua camera e la mise a dormire in cantina, la svegliava ogni giorno
alle sei e
la obbligava a preparare la colazione per tutti e a risistemare le
camere delle
sue figlie, picchiandola ogni qualvolta il lavoro non era ben eseguito.
L’accompagnava a scuola
solo per minacciarla: se Maria avesse parlato l’avrebbe
spedita in un
orfanotrofio o in un istituto per bambini ritardati.
Maria taceva, piangendo
solo di notte quando nessuno poteva sentirla, e si adattava alla sua
nuova
vita.
Avrebbe voluto dire tutto
al padre, ma l’uomo – a causa del lavoro
– era a casa solo poche settimane
all’anno e Irina era abile a inscenare una commedia in quelle
occasioni.
Innanzitutto le ridava la
sua vecchia stanza e poi la trattava con cortesia e dolcezza, come la
migliore
delle madri. Ogni volta che la bambina provava timidamente a lamentarsi
l’uomo
la guardava stupito e l’accusava di essere ingrata e viziata.
La bambina ricacciava
indietro le lacrime e rinunciava a fargli vedere le braccia piene di
lividi,
con il tempo smise
persino di provare a
fargli capire quale fosse la verità.
Una volta, quando aveva
dieci anni, mentre guardava di nascosto la televisione in sala si segnò su un
pezzo di carta il numero del
telefono azzurro e approfittando della distrazione – forse
volontaria – di
Elèna prese il suo cellulare e compose il numero.
Non fece in tempo a
parlare con l’operatore perché la matrigna
– comparsa dal nulla – le tolse il
telefonino dalle mani e lo distrusse sotto i suoi occhi terrorizzati.
“Piccola bestia, non ti
permetterò di rovinare la vita che mi sono costruita con
tanta fatica. Tu sei
solo un ostacolo, ma io sono brava a rendere innocui gli
ostacoli!”
Detto questo, batté senza
pietà la piccola fino a lasciarla quasi morta.
Maria si risvegliò la sera
dopo nella sua stanzetta nei sotterranei, qualcuno l’aveva
portata a letto e le
aveva lasciato una ciotola di cereali, dei pancake, una bottiglietta di
sciroppo d’acero e una bottiglia.
Doveva essere stata Elèna,
di nascosto dalla madre a volte le passava del cibo e lei gliene era
grata.
Un giorno sarebbe stata in
grado di restituire quelle gentilezze.
Trascorse
così
l’adolescenza di Cenerentola: la mattina preparava la
colazione per tutti e
sistemava le camere delle sorelle per poi andare a scuola. Non aveva
mai avuto
amici, per tutti era la strana ragazza piccola e scura infagottata in
abiti
troppo grandi o strizzata in abiti troppo piccoli.
Il pomeriggio doveva
ripulire la casa che una domestica aveva già pulito alla
mattina per il
semplice capriccio della matrigna che a volte la picchiava adducendo
come scusa
dello sporco inesistente. La sera preparava la cena e rigovernava tutta
la
cucina, poi c’erano lo stirare, il lavare i panni e il fare i
compiti.
Dormiva sempre troppo poco
e quando Jessica organizzava qualche festa lei ne approfittava per
recuperare
il sonno perduto nonostante il volume troppo alto della musica.
Le uniche sue consolazioni
erano una chitarra che Elèna le aveva fatto avere di
nascosto insieme a un
vecchissimo corso di musica e una statuina che le aveva lasciato la
madre
messicana. Era una ben strana statua perché era a forma di
teschio ed era tutta
colorata. Il colore di base era un azzurro chiaro, le orbite erano
rosse e i
denti verdi, sulla fronte c’erano dei fiori gialli e bianchi
e delle linee nere
e rosse, anche intorno agli occhi. Sul mento c’erano un fiore
bianco e dei
segni decorativi. Il particolare più strano era
però costituito da due lacrime
sotto le orbite, come se anche il teschio piangesse la sua sorte.
Cenerentola parlava a lungo
con quel teschio, era il custode dei suoi segreti e nei rari momenti
liberi
suonava la chitarra e componeva.
Finito il liceo la
matrigna le disse che il tempo dell’istruzione era finito e
che era ora che lei
si dedicasse a tempo pieno a loro.
Cenerentola impallidì,
durante le notti di lacrime solitarie l’unica cosa che le
aveva dato la forza
di resistere era stato il fatto che a diciott’anni avrebbe
potuto andarsene di
casa.
“Madre, io ho diciotto
anni e ho finito il liceo nessuno mi obbliga a stare qui.”
La donna era esplosa in
una lunga risata sprezzante.
“Vattene pure, sciocca, ma
ricordati una cosa: non sei niente.
Non sei bella, non sei
brava a fare niente, cosa faresti là fuori?
Nulla, non saresti in
grado di trovarti un lavoro e senza soldi non puoi permetterti una casa
né il
cibo.
Qui invece, piccola
sciocca saccente, hai vitto e alloggio assicurato, ma vai pure se ci
tieni!”
La ragazza non poté che
soccombere davanti alla logica della matrigna e quindi si
rassegnò al suo
destino, non potendo agire diversamente
La donna licenziò la cuoca
e la domestica e delegò queste funzioni alla povera ragazza,
Jessica pretese
che Cenerentola diventasse la sua estetista, parrucchiera,
massaggiatrice
personale e costrinse anche Elèna a fare lo stesso. La
rossa, nonostante fosse
ormai maggiorenne, non aveva ancora la forza di opporsi al volere delle
due
tiranne e dopo averle lanciato uno sguardo di scusa l’aveva
pretesa come
schiava al pari di Jessica.
La poverina non ebbe più
un momento libero, un anno trascorse in questo modo.
Vide pochissimo il padre
che non voleva tornare a casa per vedere quella figlia che considerava
nel suo
cuore ingrata e cattiva ed ebbe pochi momenti per parlare con il
teschio e
suonare la chitarra.
Solo la sera del suo
ventesimo compleanno – una notte di luna piena –
poté suonare un po’ seduta sul
letto, mentre guardava malinconicamente il teschio.
“Piccolo teschio, amico
mio e mio confessore, perché la mamma mi ha lasciato solo te?
Bello sei bello, ma non
puoi aiutarmi contro Irina, lei sarebbe capace di distruggerti e io non
voglio.
Ah! Vita amara!
All’esterno sembra abbia
tutto, ma la
verità è che sono solo una
prigioniera a cui hanno crudelmente gettato via la chiave.
Come posso liberarmi, o
teschio?”
Dalla finestra entrò un
raggio di luna che colpì il fiore al centro della fronte
della statua,
immediatamente le orbite rosse si illuminarono e poco dopo si mossero
le
mascelle.
“Oh Cenerentola,
Cenerentola.
Asciuga le lacrime,
chiusa non è ancora la
partita.
Non dopo aver ascoltato
queste rime
Che in te porteranno una
speranza rifiorita.”
La ragazza guardò stupita
lo statua.
“Chi sei?”
Le chiese leggermente
timorosa.
“Teschio, mi chiamano
Della tua famiglia sono il
guardiano.
Dai tempi antichi fino ai
tempi recenti
Vi ho reso ricchi e
indipendenti.
Ho provato a proteggervi
dai vostri difetti
Anche se qualche volta
cedetti.
Non parlo a tutti, solo
agli eletti,
In circostanze particolari
e senza trucchetti,
Sei vergine e pura in una
notte di luna piena
Questo mi ha risvegliato
per lenir la tua pena.”
Lenire la sua pena? Per
lei c’era dunque una via di salvezza? Un modo per evadere
dalla sua prigione?
La speranza – come un
tenero germoglio a primavera – cominciò a fiorire
in lei e guardò con occhi
colmi di gratitudine la piccola statua.
“Cosa devo fare, piccolo
teschio?
Dimmelo e lo farò, non
voglio vivere il resto della mia vita qui.”
“Cenerentola, dà retta
alla luna.
Lei sarà l’artefice della
tua fortuna.
Va’ dall’uomo che disegna
Che della sua mano sei
degna.
Fa fiorire una rosa
affranta
Sulla tua spalla bianca.
Torna da me
E ci sarà un abito per
te.”
La ragazza annuì e la luce
sparì dalle orbite del teschio facendo piombare la stanza
nel buio.
“L’uomo che disegna? Cosa
avrà voluto dire?
Devo fare alla svelta,
perché non so quando avrò un’altra sera
solo per me!”
Maria ci pensò ancora per
un po’ e poi si ricordò che il migliore amico di
sua madre era un tatuatore che
abitava poco lontano da loro. Rapida e silenziosa come
un’ombra uscì dalla casa
e percorse le vie e i vicoli che la separavano dalla casa
dell’uomo.
Pur conscia dell’ora tarda
si attaccò al campanello finché dalla porta non
uscì un uomo barbuto dai capelli
lunghi e neri e l’aria arrabbiata. Era probabilmente pronto a
cacciarla, ma
quando la riconobbe sbiancò.
“Ma tu sei la piccola
Maria! Che ti è successo, ragazzina?
Sembri reduce dalla
prigione di Alcatraz così magra, pallida e pesta come
sei!”
“Non ti posso spiegare, ho
un favore da chiederti e temo non sarà l’ultimo.
Per favore tatuami una
rosa affranta sulla spalla sinistra.”
L’uomo rimase a lungo in
silenzio, non sapeva cosa fare: era una richiesta talmente assurda che
se fosse
stato qualcun altro a fargliela l’avrebbe mandato a quel
paese senza indugio.
Maria però era speciale,
era la figlia della donna che aveva sempre amato e che troppo presto
era stata
tolta da questo mondo, ogni volta che guardava gli occhi di giada di
quella
ragazza rivedeva lei e per far sorridere lei si sarebbe gettato nudo
nel fuoco
senza uno scopo.
“Forse avresti più bisogno
di chiamare la polizia, mi sembri maltrattata…”
“NO! Irina mi ucciderebbe
e farebbe sparire il mio corpo come se non fosse mai esistito prima
dell’arrivo
degli agenti.
Ti prego, Antonio, fa’
quello che ti chiedo.”
Lui si convinse del tutto,
a quegli occhi così strani non poteva dire di no.
L’uomo prese le chiavi del
negozio e le fece cenno di seguirlo. Scesero una scala e si ritrovarono
nel
luogo dove Antonio tatuava i suoi clienti, lei si sedette su un
lettino, mentre
lui metteva in funzione la macchina.
Il tatuaggio non fu
doloroso, un’ora dopo sulla sua spalla destra era fiorita una
rosa bianca con
delle lacrime di sangue: una rosa affranta.
“Ti ringrazio, Antonio.
Ora vado prima che Irina ritorni.”
Gli diede un bacio leggero
sulla guancia e sparì così come era arrivata.
Arrivata nella sua
stanzetta si rivolse al teschio.
“Teschio, mio amico e
confessore.
Ho fatto come mi hai
detto, la rosa affranta è fiorita sulla mia
spalla.”
Dalle orbite della
statuina scaturì una luce fortissima e quando scomparve sul
letto di
Cenerentola c’era un vestito come non se ne erano mai visti.
Era un corto abito di seta
nera, morbidissima e lucente, con dei bordi di pizzo finissimo, il seno
era
tempestato di diamanti così come l’unica
spallina:era come se la notte stessa
l’avesse cucito con il suo buio e le sue stelle apposta per
lei.
La piccola Cenerentola.
La sguattera di casa.
“Grazie, amico mio.”
Sussurrò commossa.
Il giorno dopo riprese la
sua stessa vita e solo un mese dopo ebbe di nuovo la casa libera, era
un’altra
notte di luna piena.
Come l’altra strana notte
la ragazza aveva suonato un po’ seduta sul letto, poi si era
seduta davanti al
teschio e quello si era messo di nuovo a parlare.
“Cenerentola cenerentola
Muta la tua sfortuna in
fortuna
Dando retta alla luna.
Va di nuovo dall’uomo che
disegna
Tu sola ne sei degna.
Imprigiona due rondini
azzurre e rosse.
Dove le tue clavicole
scavan le fosse.”
“Teschio teschio,
Il tuo ordine eseguo,
ma perché il corpo mio di
tatuaggi si deve riempire?
A cosa mi servirà per
l’avvenire?”
La statuetta sorrise a suo
modo.
“Il tuo destino è grande e
gioioso,
ma il modo per
raggiungerlo non è noioso.
A piccoli passi devi
procedere,
abbi fiducia in me che ti
accompagno nel tuo incedere.
Torna presto da me
E qualcosa ci sarà per
te.”
La ragazza annuì e come
l’altra volta corse da Antonio che ancora la
supplicò di andare dalla polizia,
senza ottenere risultati. L’uomo era seriamente preoccupato
per lei perché in
quel mese era diventata ancora più magra e pallida, ma
nonostante tutto
bellissima.
“Antonio, se andassi dalla
polizia mi ammazzerebbe.
Tu non la conosci. Ti
prego tatuami due rondini una per clavicola.”
Ancora un volta l’uomo cedette
e in un paio d’ore il tatuaggio fu finito. Maria sorrise e lo
ringraziò con un
altro bacio sulla guancia per poi tornate in camera sua.
“Teschio, mio amico e
confessore.
Ho fatto come mi hai
detto, le rondini sono imprigionate sulle mie clavicole.”
Come era successo un mese
prima un luce fortissima invase la stanza e sparì
lasciandosi dietro di sé un
paio di scarpe nere, fatte come di pietra, con un tacco di un rosso
brillante.
Cenerentola se le rigirò tra le mani, pensando che i tacchi
sembravano fatte di
rubini che non si trovavano su questa terra.
“Grazie , amico mio”.
Mormorò grata.
Un mese dopo ancora il
teschio si animò di nuovo, sempre quando Maria era sola in
casa.
“Cenerentola cenerentola
Muta la tua sfortuna in
fortuna
Dando retta alla luna.
Va di nuovo dall’uomo che
disegna
Tu sola ne sei disegna.
La morte santa fa apparire
Sulla spalla con poco
soffrire.”
La ragazza annuì.
“Sì, amico mio, vado.”
Come le altre volte corse
dal vecchio amico di sua madre e lo implorò di tatuargli un
teschio messicano
sull’altra spalla.
L’uomo sospirò e annuì,
questa volta rinunciò a consigliarle di andare dalla polizia
avendo capito che
era inutile.
Il tatuaggio fu
meraviglioso come al solito, Cenerentola sorrise e gli
lasciò un bacio sulla
guancia prima di andarsene, Tornò a casa sua veloce come il
vento e silenziosa
come un’ombra.
“Teschio, teschio mio.
Al tuo omonimo ho pagato
il fio.”
Come le due volte
precedenti una luce fortissima la accecò e un dono
trovò sul letto: un parure
di diamanti composta da orecchini, collana e un braccialetto.
Sembravano fatti di
stelle, come se il cielo di nuovo l’avesse omaggiata di
qualcosa.
“Un’altra volta ancora ci
sentiremo, oh Maria mia
Poi da qui potrai andare
via.”
La ragazza deglutì,
iniziava ad intravvedere sul serio la possibilità di
andarsene da quell’inferno
e non vedeva l’ora che accadesse. Era stanca di essere
maltrattata.
Trascorse un altro mese di
vita dura e
avvilente, poi finalmente Maria ebbe ancora la casa libera e si sedette
sul
letto a suonare e a pensare a quelle meraviglie che le aveva regalato
il
teschio.
Era felice al solo
pensiero di possederle – senza nemmeno poterle sfoggiare
– perché nessuno,
tranne la defunta madre le aveva mai fatto dei regali.
All’improvviso il teschio
si animò di nuovo.
“Suona, oh Maria
Quella meravigliosa
melodia!
Da qui ti farà andare
via!”
La ragazza si fermò un
attimo e pensò a una canzone composta per la madre e
cominciò a suonare e a
cantare, ignara che proprio la sua voce avrebbe cambiato il suo destino.
Nella
grande città viveva
un giovane molto ricco.
I suoi genitori erano
morti da poco ed essendo il loro unico figlio aveva ereditato una
cospicua
somma, peccato che non sapesse di cosa farsene.
Egli era un ragazzo
triste, i suoi genitori gli mancavano molto e non aveva amici con cui
gozzovigliare o ragazze a cui fare regali a causa del suo aspetto.
Non era brutto, ma vestiva
in modo trasandato, aveva i capelli tinti di blu ed era pieno di
piercing e
tatuaggi, non ascoltava la musica che piaceva a tutti o andava alle
feste.
A complicare le cose e ad
allontanare la gente da lui si aggiungeva che era stato male a causa
della
droga quando era molto giovane e molto stupido. Così nessuno
si era mai
soffermato troppo a lungo a guardare nei suoi occhi castani per
accorgersi di
quanto fosse in realtà buono e bisognoso di affetto.
Quella sera stava
camminando sul marciapiede vicino a una grande villa quando
sentì la voce di un
accompagnata dal suono di una chitarra. Si innamorò
istantaneamente di quella
voce e giurò a sé stesso che avrebbe trovato e
sposato la proprietaria.
Per questo motivo la
settimana dopo organizzò una festa per vedere se avesse
avuto la fortuna di
trovarla. Non appena Irina seppe del party disse alle figlie di
andarci, Jessica
lo fece con piacere, Elèna per obbligo.
La giovane amava,
ricambiata, da un anno un ragazzo troppo povero secondo gli standard
della
madre. La madre lo sapeva e cercava in modo subdolo di deviare
l’attenzione
della figlia verso qualcun altro, era persino arrivata a minacciare il
ragazzo.
Anche Maria seppe della
festa e capì che era per quel motivo che il teschio le aveva
fatto avere il
vestito, le scarpe e i gioielli.
Quando le sorelle e la
matrigna uscirono si preparò accuratamente e per la prima
volta nella sua vita
si vide bella. Il nero faceva risaltare la sua pelle bianca e i
gioielli davano
luce al suo viso, il trucco scuro che aveva scelto faceva risaltare i
suoi
occhi di giada.
Prese un taxi e arrivò
alla festa dove attirò l’attenzione di tutto
incluso il proprietario che
sentiva di conoscere quella ragazza anche se non l’aveva mai
vista prima.
Cercò per tutta la sera di
parlare con lei per verificare se fosse quella che cercava, ma non ci
riuscì.
Cenerentola invece si
annoiò per tutto il tempo, non le piaceva stare in mezzo a
tutta quella gente e
poi aveva paura che la matrigna e le sorelle la riconoscessero.
Ad un certo punto uscì su
una delle terrazze della grande casa e si mise a cantare per ingannare
il
tempo, non sapendo che il giovane proprietario la stava ascoltando pur
non
riuscendo a vederla.
Il suono del campanile
della vicina chiesa che batteva le undici e mezza la face tornare in
sé, come
una secchiata di acqua gelida, facendole capire che era ora di
andarsene.
Approfittando di un albero
vicino alla terrazza, scese in giardino e corse via, sicché
quando il giovane
di nome Alex uscì trovò la terrazza vuota.
Imprecò tra sé contro la
sfortuna e si accorse di un oggetto che luccicava, era una scarpa da
donna con
un tacco rosso.
Doveva appartenere alla
cantante e l’oggetto gli permise di capire che probabilmente
costei altri non
era che la misteriosa ragazza dagli occhi di giada con cui tanto aveva
provato
a parlare.
Finita la festa scorse la
lista degli invitati e chiese notizie degli imbucati – tra
cui Jessica ed Elèna
– ma nessuno sapeva chi fosse la misteriosa ragazza.
Il ragazzo non si
scoraggiò e decise che l’avrebbe trovata tramite
la scarpa.
Ben
presto il pettegolezzo
giunse alle orecchie della matrigna, che ovviamente decise di
approfittarne per
maritare quella che era la figlia più stupida – a
suo parere – ovvero Eléna.
La voce diceva che il giovane
cercava una ragazza dai capelli neri, che cantasse divinamente
accompagnata
dalla chitarra e il cui piede doveva corrispondere alla misura di una
scarpetta.
“Ragazze, forza! Tingetevi
i capelli di nero!”
Ordinò imperiosa.
“Ma io amo i miei capelli
rossi….”
Provò a protestare
timidamente la minore.
“Come ami quel morto di
fame. Entrambi sono sbagliati, vatti a tingere i capelli senza tante
storie.”
Detto questo si diresse
verso la camera di Cenerentola. La ragazza si stava vestendo quando la
donna
entrò.
“Brutta sei brutta, quindi
non puoi essere tu. Ma so che quella stupida di Eléna ti ha
regalato una
chitarra e che canti, quindi canterai al posto delle mie
figlie.”
“Non voglio essere
partecipe di questo inganno, non lo farò.”
La donna la prese per i
capelli e la fece voltare verso di sé per darle due sonori
schiaffi.
“Non ci provare, nullità.
Se ti ostini a non collaborare ti ucciderò e sai che lo
farò!”
Così la povera Cenerentola
fu costretta a partecipare l’inganno.
Alex si presentò anche a
casa loro e provò a far calzare la scarpina ad entrambe le
due ragazze
presenti.
Il piede di Eléna era
troppo piccolo, quello di Jessica leggermente troppo grande.
“È un po’ gonfio, aspetti
un attimo.”
La matrigna trascinò Jes
in cucina e con un coltellaccio le tagliò via la parte del
calcagno in eccesso.
“Vedi? Ora calza. È lei la
tua ragazza.”
“Mi faccia sentire come
canta.”
La donna sorrise e annuì.
“Eléna, vai a prendere una
chitarra a tua sorella.”
La rossa eseguì e portò
una chitarra a Jessica e cercò di far capire in qualche modo
al ragazzo che lo
stavano ingannando, ma era tra due fuochi: da una parte la paura della
madre e
della sorella, dall’altra il desiderio di aiutare Maria.
La sorellastra cominciò a
suonare e poi a fingere di cantare, Alex ne era incantato, era quella
la voce
di cui si era innamorato.
Il destino però decise di
far capire in qualche modo al ragazzo che non era lei la ragazza che
cercava:
Jessica cadde per terra e la voce continuò a cantare e la
chitarra a suonare.
“Mi stai ingannando!
Questa non è la ragazza della festa e il suo calcagno sta
sanguinando!”
La matrigna mollò una
botta in testa al malcapitato e corse nella stanza accanto dove
Cenerentola
stava suonando, decisa a toglierla di mezzo una volta per tutte.
Aprì la porta di scatto e
si avventò sulla ragazza picchiandola selvaggiamente,
Eléna tentò di fermarla,
ma la donna la spinse via e la ragazza urtò contro lo
stipite della porta
cadendo a terra svenuta e quasi morta.
“Adesso ti sistemerò una
volta per tutte, disgrazia
della mia
vita!”
Tolse dalla tasca un
coltellaccio che aveva preso dalla cucina e stava per calarlo sulla
povera
vittima innocente quando un mano le afferrò il polso.
“Cosa stai facendo? Sei
pazza?”
Alex si era presto
risvegliato dalla botta e aveva avuto sentore che per la cantante
sarebbero
stati guai.
“Jes, stordisci
il tuo futuro marito!”
La malvagia ragazza fece
per avventarsi su di lui, ma un vento gelido cominciò a
spirare all’improvviso
nella stanza, paralizzando tutti.
Sulla soglia della stanza
c’era una figura incappucciata con una falce in mano, tra lo
stupore e il
terrore generale puntò il dito verso la matrigna.
“Troppo hai tirato la
corsa, malvagia donna,
Ora è giunto il momento di
pagare per le tue colpe.”
Detto questo avanzò
fluttuando verso Irina e le inferse un colpo di falce a metà
schiena.
Uscì una marea di sangue
dalla ferita, ben presto però sparì come se non
fosse mai esistito e la donna
giacque morta: il suo cuore crudele aveva smesso di battere.
La figura puntò poi il suo
dito scheletrico verso Jessica.
“Per stasera sei salva, ma
non passerà molto tempo che noi ci rivedremo ancora.
E non sarai così
fortunata!”
La ragazza scappò urlando,
i suoi capelli erano diventati di colpo bianchi.
In ultimo puntò il suo
dito verso Elèna.
“Alzati, fanciulla. Non è
ancora giunto il tuo momento.”
Elèna aprì gli occhi e
guardò stupita la terribile apparizione.
“Sei libera, va dal tuo
fidanzato e siate felici.”
Poi si volse vero i due
giovani rimasti.
“Vivrete una lunga vita
felice e con questo mi congedo.”
La figura sparì, Maria
guardò Alex negli occhi.
“Grazie per avermi salvato
la vita, mi chiamo Maria.”
“Di nulla, io sono Alex e
ora verrai con me, vuoi?”
La ragazza annuì e insieme
alla sorellastra e al ragazzo uscì dalla stanza.
Elèna abbracciò Maria e corse
via, prese le sue cose ed andò a vivere dal suo ragazzo. Era
felice perché
finalmente era libera dalla tirannia della madre.
Anche Maria trasferì le
sue cose a casa di Alex e presto impararono a conoscersi ad amarsi, un
anno
dopo i tragici avvenimenti si sposarono.
Fu Antonio ad accompagnare
la fanciulla all’altare, lei pur avendo perdonato il padre
non credeva fosse l’uomo
giusto per accompagnarlo all’altare.
La festa durò tre giorni e
tre notti.
I due giovani vissero
felici per tutta la loro vita, allietata da figli e nipoti.
L’anno dopo anche Elèna si
sposò con il suo ragazzo ed anche lei ebbe una vita felice,
amata da suo
marito, dai figli e poi dai nipoti.
E Jessica?
Come lo spirito le aveva
promesso non molto tempo dopo si incontrarono di
nuovo: lei stava camminando lungo una strada
deserta quando venne circondata da una banda di giovinastri.
Dopo averla derubata e
seviziata la uccisero.
Aveva finalmente pagato
per le sue colpe, il cerchio si era chiuso.