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Autore: Olmak_    07/12/2012    1 recensioni
Rendere le armi è l’unica opzione possibile.
Mostrare i polsi alle lame affilate, col sorriso sulle labbra, certi della propria sconfitta ed anche di quella altrui.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rendere le armi è l’unica opzione possibile.
Mostrare i polsi alle lame affilate, col sorriso sulle labbra, certi della propria sconfitta ed anche di quella altrui.
Sentire il pugnale che lentamente attraversa il petto e osservare il proprio carnefice sporco del tuo sangue e non solo.
Gioire delle lacrime che instancabili ti solcano le guancie perché speculari a quelle di colui che il coltello lo maneggia.
Visi sporchi e consapevoli del dolore che provano e soprattutto di quello che infliggono.
Pronti a sopportare il male che viene loro provocato se significa renderne anche solo la metà.
Certi della possibilità di essere felici e altrettanto sicuri che sicuramente non lo sarebbero mai stati, almeno non insieme. Conoscere le opzioni e scegliere comunque la più deleteria perché le altre non li contemplano uniti e contrapposti come sono sempre stati e come sarebbero stati fin nel letto di morte.
Una mano con le dita intrecciate, con l’altra si puntano amorevolmente contro una pistola carica.
Uccidersi con ogni parola, viversi con ogni carezza.
Causare lacrime amare e poi asciugarle con le labbra perché perfino il dolore dell’uno appartiene all’altro, come ogni sorriso, come ogni pensiero.
Accettare la morte, le peggiori torture, se è l’altro a perpetuarle.
Essere percossi con la facilità con cui si viene curati.
Lo spazio di un respiro li separa dall’amore.
Lo spazio di un bacio li separa dall’odio.
Come con la vita, come con la morte.
Aspettare l’alba, perché durante la notte sarebbe troppo facile: senza luci, senza sguardi.
Puntarsi dietro occhi umidi di silenzi e parole non dette, consapevoli di come questo sia l’unico modo che conoscono per essere. Solo essere, esistere.
Domandarsi come sarebbe se fossero normali e non avere nessuna voglia di scoprirlo, perché è peggio, perché è sognare; e sognare non è mai stato nelle loro corde.
Loro sentono, toccano, graffiano, baciano, dilaniano e adorano, piangono e sorridono; tutto insieme e non.
Fare una cosa alla volta è troppo semplice, magari facile e felice, probabilmente però non sarebbe neanche vero.
Cercare un motivo per andarsene.
Trovarne migliaia. Ignorarli tutti, perché fa male solo il pensiero della solitudine.
Chiedersi se avessero mai avuto la possibilità di avere e di essere di qualcun’altro.
Allontanare quest’idea malsana come si trattasse di un virus letale.
E ogni notte, l’unico momento in cui entrambi hanno la possibilità di essere salvati o di salvarsi da soli, immaginare di baciarsi con la passione con cui si uccidono.
Svegliarsi per capire che tutto è sempre uguale, che il dolore morde le membra ,che l’amore cerca di ricucire le ferite con fili troppo deboli per tenere i lembi di pelle a lungo uniti, svegliarsi e accorgersi che le ferite sanguinano ancora e non smetteranno mai.
Sentire il sangue che delicato macchia le labbra da cui sgorga, osservare il suo cammino lento verso quella parte del tuo corpo che nessuno si preoccupa di curare, ormai è distrutta, irrecuperabile anche per le più abili mani da chirurgo o da pianista.
Il calore irradiato da quella stilla di anima rossa scende sul mento ,quello che tante volte lui aveva afferrato per schiaffeggiarti o baciarti meglio, il collo ,pieno di lividi lasciati dalle stretta di quelle mani che altre volte l’avevano accarezzato come se stessero toccando l’unica cosa perfetta al mondo, si arena quasi nell’incavo della clavicola ,dove la sua testa riposava dopo un giorno di battaglie o di sesso.
La conclusione del suo viaggio ,le cui tracce rimarranno indelebili anche dopo un bagno caldo, il petto.
Sul cuore.
Se tale poteva essere chiamato un pezzo di carne agonizzante su cui mille ferite non guarite ed infette si estendevano, come per raccontare una storia.
La sua ,o meglio la loro storia, una storia senza finale, la cui conclusione era la linea che nessuno di loro due osava sorpassare perché farlo significava solo rimanere soli in una terra nuova e troppo mite per due persone che al ghiaccio e al fuoco si erano abituati.
Forse, dire che era senza finale era uno sbaglio.
Pensandoci meglio, lei terminava in continuazione come la goccia di sangue, si prosciugava,  diventava solo un ricordo durante il viaggio che la forza di gravità l’aveva costretta a percorrere.
Allora perché il fuoco e il ghiaccio ancora erano compagni affezionati?
Le gocce erano infinite perché nessuna cicatrice si formava mai, nessuna mano bloccava il sangue, le gocce erano infinite, perché la ferita non guariva mai.
Si riapriva senza sosta, per un pugno o per un morso dato al limite del piacere, non importa, quello squarcio non smetteva mai di far uscire il liquido rossastro che in tutto il corpo scorre ma non sembra mai così presente come quando ti abbandona per non ritornare più.
Senti che il sangue ti scorre nelle vene, prendi consapevolezza che c’è, esiste, nel momento in cui qualcuno, qualcosa, non se ne appropria.
Sentivano di esistere, di respirare ancora, di poter ancora gioire della luna e della sua solitudine, quando quella vita al limite dell’irrealtà se la strappavano a vicenda, quando con la violenza, con la passione, cercavano di prosciugarsi, e di rimanere vivi o morti insieme.
 
  
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