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Autore: avalon9    02/07/2007    7 recensioni
Scuola... Io non conosco questa parola...Nel mio mondo non c'è...Scuola...Sto imparando a capire cos'è...Grazie a te...
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti

Ciao a tutti!!!

 

Lo so: devo ancora finire il nuovo capitolo dell'altra fanfic, ma mi è capitato per le mani l'argomento scuola (come se non ci fossimo costantemente a contatto) e ho provato a immaginare cosa ne potrebbe pensare Inuyasha. A prescindere dal risultato, magari deplorevole, mi sono divertita a scriverla e spero che possa strappare anche solo una smarfia a voi che, forse, mi userete l'onore di leggerla.

 

Grazie.

 

 

 

 

 

Insegnami…

 

 

 

 

Scuola…

 

Non conosco questa parola. Non l’aveva mai sentita, prima che la pronunciassi tu.

 

Dici che ci vai per studiare…Per imparare…

 

È strano…

 

Ho studiato anch’io, ma non sono mai andato a questa “scuola”.

 

Ho studiato anch’io…ma è stato tanto tempo fa…

 

Ricordo…ricordo mia madre...

 

Ricordo la sua calligrafia, il modo in cui piegava piano il polso, quando usava il pennello…Ricordo che si mordicchiava un labbro…Sempre quando scriveva…E ricordo che ha voluto che imparassi anch’io…

 

…pennello, inchiostro, fogli di riso…e tanta pazienza…

 

Io non ha mai avuto pazienza…neanche da piccolo…Ma mia madre sì; lei era molto paziente…E alla fine ha vinto…Adesso so scrivere, anche se non lo faccio spesso…Non l’ho dimenticato…non lo dimenticherò mai…perché è una delle poche cose che mia madre mi ha lasciato…

 

Per te, Kagome, è diverso…Mi hai raccontato che non è stata tua madre a insegnarti…che tu sei andata a “scuola” per imparare…

 

Chissà…

 

Se non fossi un hanyou, forse anch’io sarei andato a “scuola”…Forse anch’io avrei avuto un precettore che mi avrebbe spiegato le cose…C’era un uomo, al palazzo di sofu(1), un uomo molto anziano…Gli altri ragazzi passavano molto tempo con lui…ma io no…Non mi voleva…Diceva che ero un tetenashigo(2) e che non avevo diritto ad ascoltarlo…

 

Allora non capivo…Non sapevo cosa volesse dire illegittimo, cosa volesse dire mezzo-demone…Allora non sapevo, e forse non ne soffrivo…

 

Kagome, tu dici che andare a scuola è un diritto di tutti…Un diritto…Forse, nella tua epoca, nel tuo mondo…Qui, solo i nobili hanno un precettore…e possono studiare…

 

Ecco…questa è la sola cosa che ho capito…

 

A scuola si va per studiare…

 

Ma non capisco il perché…

 

Io imparavo nelle stanze di mia madre, seduto sui zafu(3)…imparavo quando mi prendeva per mano e mi portava nei giardini…imparavo quando, alla sera, mi raccontava di mio padre…imparavo quando spiavo di nascosto gli alti ragazzi, mentre si esercitavano a combattere…

 

Io non ho mai avuto un luogo per imparare…però ho cercato di farlo sempre…

 

Tu, Kagome…tu dici invece che devi andare a scuola…Che lì ci sono tanti ningen come te, e che vi insegnano tante cose…Cose che io non ho mai sentito…

 

L’ho vista, la tua scuola…Più di una volta…e ancora non riesco a capire perché tu possa studiare solo lì dentro…

 

È grande, la tua scuola…Sembra un palazzo, ma non ha decorazioni di smalto e legno. È liscia, fredda, bianca…Ci sono tante stanze tutte uguali, con quegli strani tavoli dalle gambe alte…Chissà come fai ad arrivarci, quando siedi per terra…

 

Ah, no…Aspetta…C’è anche quell’altra cosa…Ce ne sono tante…Come mi hai detto che si chiama?...

 

SaliaSadia…Sedia…

 

Sì…Sedia…

 

C’è anche a casa tua…nella tua stanza…Quando hai quegli affari, quegli “esami” sei sempre lì…e io ti osservo seduto sul tuo strano futon(4)…

 

Non capisco…

 

Anche durante quelle notti tu studi…ma poi dici che devi andare a scuola…Eppure, puoi imparare ugualmente seduta a quel tavolo…Invece, insisti per andare a scuola, e se sei in ritardo ti ci devo anche accompagnare…

 

Faccio finta che mi scocci, ma non è così…

 

Mi piace…Mi incuriosisce…

 

A volte, mi sono fermato su un albero, vicino alla stanza dove eri tu…C’erano molti ragazzi con te…tutti seduti e vestiti uguali…E in piedi un uomo…penso sia il vostro precettore…ma tu non lo chiami così…Tu lo chiami in un modo strano…

 

A volte, mi piacerebbe sentire cosa dice…mi piacerebbe ascoltarlo parlare…Eppure, non ci riesco. Anche se tendo le orecchie e mi avvicino il più possibile…Sono riuscito a sentire la voce di uno dei tuoi precettori solo una volta, quando era caldo e la finestra era aperta…

 

Non riuscivo a capire niente…E mi sono vergognato…

 

Mi sono accorto che, anche se mia madre mi ha insegnato a leggere e scrivere, io resto pur sempre ignorante…Me ne accorgo spesso, sai Kagome?...Io riesco a parlare solo di demoni e combattimenti…Io non sono bravo con le parole, non riesco a parlare come Miroku…

 

Ecco, lui ha davvero studiato…Un po’ come studi tu…

 

Lui sa molte cose, lui sa farti ridere con le parole e sa lusingare…Miroku gioca con le parole…mentre io…Se solo apro bocca il risultato è che ti faccio arrabbiare…

 

Io non ho studiato molto…non ho mai potuto farlo…Forse mi sarebbe piaciuto, anche se mia madre rideva e scuoteva la testa quando le dicevo che avrei studiato tanto…Rideva e diceva che per studiare ci vuole pazienza…E che io non ne ho…Ma che ci vuole anche determinazione, e che quella non mi mancava…

 

Non ho mai potuto studiare…ho sempre dovuto pensare a sopravvivere…E adesso, se tu chiedi qualcosa, io non so quasi mai risponderti…E allora, mi faccio da parte e ti osservo mentre rimani incantata dalle parole di Miroku…Lui parla bene, lui sa spiegarti le cose…E non entra in confusione come me, quando tu inizia a parlare nella lingua di quel tuo precettore, in una lingua che non è la nostra…

 

Tu lo fai per farci ridere e dici che ti devi mantenere in esercizio…Noi non capiamo, ma solo io mi sento schiacciato da quelle strane parole…Una volta mi hai detto che è normale che io non capisca: quella è la lingua di un paese molto lontano da Nihon…Nella mia epoca, non lo si conosce ancora…

 

Ti ho sorriso, ma il problema non è la lingua…

 

Il problema è la scuola…

 

Tu sbuffi perché ci devi andare, e io vorrei dirti di non farlo: sei fortunata, Kagome, a poterci andare…

 

Non capisco perché devi andare lì per studiare, ma se è necessario, se è così che i daimyo(5) vogliono nel tuo mondo allora…Allora è giusto che tu ci vada…perché penso che sia giusto che tu possa studiare…Tu non sei un hanyou…Tu ne hai il diritto…

 

C’è un grande lago, nella tua scuola…Ha un odore cattivo, amaro…Mi da sempre fastidio, mi solletica il naso…Non è l’odore dell’acqua; c’è anche qualcos’altro assieme…Qualche pozione del tuo mondo…

 

Io non mi fiderei, ma tu entri in acqua come se non ci fosse niente…e attorno ci sono anche altri ragazzi…A volte vorrei fargli a pezzi con i miei artigli…Non mi piace che ti guardino, mentre fai il bagno…Però tu non dici nulla; una volta ne hai trascinato uno in acqua…

 

Non capisco…

 

Quando Miroku prova a spiare te e Sango mentre fate il bagno, vi mettete a urlare…E te la prendi anche con me, perché non ho cercato di fermarlo…Quando fai il bagno qui, invece, lasci che i ragazzi ti guardino e che facciano il bagno con te…

 

Non capisco…ma non mi piace…

 

Ti stanno troppo vicini, ti toccano, ti rincorrono…Non mi piace; sento la rabbia salire…Vorrei allontanarli da te, vorrei ucciderli…Non mi piacciono, e li invidio…

 

Loro riescono a starti accanto senza imbarazzo, anche solo con quei strani fundoshi(6) in dosso. Io faccio fatica ad avvicinarmi nonostante i metri del mio kariginu(7). A volte, vorrei essere al loro posto…ma l’unica volta che ci ho provato, nel mio mondo, tu mi hai mandato a cuccia e te ne sei andata…arrabbiata?…Non sono riuscito a capirlo…

 

Non capisco…Loro sì, e io no…Forse è perché non eravamo a “scuola”…

 

È grande, la tua scuola…Devo sempre ricorrere al mio naso, per trovarti…Ci sono tanti odori strani, spesso mi solleticano la gola e mi danno fastidio…Sono pungenti, forti…Una volta, ti ho trovata che cercavi di trasportare un secchio troppo pesante...Tu ci hai versato dentro qualcosa di strano…Ho letto “candeggina” sul barattolo…Mi sono avvicinato per aiutarti, e alla fine ho rovesciato tutto…mi bruciava terribilmente la bocca, e mi sentivo male…Era un veleno potente, quello che c’era nel secchio…(8)

 

Ci sono tante cose strane, nelle stanze della tua scuola…

 

I pavimenti non hanno tatami(9) e tu ci cammini con le tue scarpe…io ho sempre camminato scalzo, ma ricordo che da piccolo mia madre si toglieva sempre i sandali prima di entrare nelle sue stanze…Anche a casa tua lo fai…Qui no…

 

Alle pareti ci sono dei rotoli strani…Sono quadrati, rigidi e neri…Se li sfioro, i miei artigli stridono e il rumore è insopportabile…Mi hai detto che si chiamano lavagne, e che servono per scrivere…E mi hai messo in mano un bastoncino bianco tutto pieno di polvere…L’ho stretto un po’, e si è sbriciolato in una miriade di pezzettini e una nuvoletta di polvere…

 

Tu hai sospirato, e io mi sono arrabbiato…Che cosa pretendevi che capissi, io, delle diavolerie del tuo mondo?...Io ho imparato a usare un pennello, per scrivere, non quegli strani aggeggi che ti sporcano tutto e neanche i tuoi bastoni che non hanno bisogno di inchiostro…

 

Ricordo…ricordo che ti ho spaventata, e che per farti sorridere di nuovo ho lasciato che la tua mano guidasse la mia, su quello strano rotolo sulla parete…Mi hai detto che avevamo scritto il mio nome…

 

Io non riuscivo a leggerlo…Era diverso, non era come mia madre me lo aveva insegnato…I kanji(10) era diversi, ma non mi importava…Perché, accanto al mio, dopo hai scritto anche il tuo nome…Peccato solo che, alla fine, hai cancellato tutto…Però, adesso, io so come scrivere il tuo nome, con i caratteri del tuo mondo…L’ho visto una sola volta, ma per me basta…Imparo in fretta, io…

 

E ho imparato che non capirò mai certe cose del tuo mondo…

 

Come quelle strane scatole in una stanza…Erano tutte uguali, allineate su quei tavoli alti…Assomigliavano alla scatola magica che c’è a casa tua…

 

Mi hai trascinato lì dentro e hai chiuso la porta. Mi avevi detto che dovevi fare una ricerca, e io ero venuto con te per aiutarti. Avrei potuto cercare i testi che ti servivano nella biblioteca…Quella del palazzo di sofu era molto grande, e c’era un vecchio che la teneva in ordine…Lui era uno dei pochi ningen gentili con me…Mi lasciava guardare i rotoli e i libri…Mia madre mi diceva che era stato il suo maestro e era un uomo saggio; se sofu non lo avesse proibito, lui mi avrebbe insegnato volentieri le cose…

 

In quella stanza, però, non c’erano scaffali, mensole o libri. C’erano solo quei tavoli, e quelle strano scatole. Io non capivo e tu mi hai detto che servivano per avere informazioni. Che si chiamavano compituru

 

Non mi piaceva quel nome, e non mi piacevano quelle scatole. Proveniva un ronzio da loro. Credevo che mi stessero schernendo, che volessero qualcosa da me…

 

Ho agito d’impulso come al solito…Ho ringhiato e ho preparato gli artigli: non permetto a nessun stupido demone-scatola di ridere di me. Tu mi hai spedito a cuccia prima che potessi lanciare un’artigliata e ti sei seduta lì davanti, ignorandomi.

 

Mi sono rimesso in piedi giusto in tempo per vedere un ningen piccolissimo correre verso di te con una katana. Quella volta sono stato più veloce di te: Tessaiga ha ucciso il ningen e sbriciolato la scatola maledetta. Tu mi avevi detto che era innocua, ma quel compituru aveva cercato di farti del male e dopo che lo avevo ucciso, invece di sparire, era rimasto lì, e continuava a mandare scintille e fumo…

 

Non so perché ma alla fine ci siamo ritrovati sotto un getto d’acqua che proveniva dal soffitto. Bagnati fradici. Era la prima volta che vedevo piovere in una stanza chiusa…Ricordo che ti sei spaventata tanto quando ho provato a toccare i tentacoli del compituru che ancora mandavano scintille…

 

Ricordo che mi hai preso per un braccio e mi hai strattonato via …Eri davvero terrorizzata…Urlavi che ero impazzito a voler toccare quei tentacoli…Che rischiavo di venir…di venir…fulminato…Io non capivo, ma so che non mi è mai piaciuto vederti piangere…Allora, ti ho abbracciata e poi ti ho portato via, uscendo dalla finestra perché stava arrivando qualcuno.

 

C’è un posto più di tutti che mi piace nella tua scuola… È quello in cima a tutte quelle scale. Io ci arrivo in pochi balzi e ti aspetto lì. Non c’è quasi mai nessuno, e posso osservare tranquillamente il tuo villaggio. Non è comodo come i rami del Goshinboku, non ci sono le fronde a riparare dal sole e dalla pioggia, ma almeno mi permette di stare in alto e in pace.

 

La prima volta non mi piaceva. C’erano delle reti dure tutt’attorno e io mi sentivo in gabbia. Chiuso. Catturato. Preferivo aspettarti in piedi su quegli strani steccati che sedermi vicino alla porta. La prima volta che mi hai raggiunto lì, per poco non cadevo di sotto tanto mi avevi sorpreso nell’arrivarmi alle spalle. Ti aveva vista per un attimo fra tutti i ningen che uscivano da “scuola” e poi eri sparita.

 

Mi hai urlato contro fuori di te. Eri arrabbiatissima e preoccupata che io potessi cadere. Come se non fossi abituato a saltare da quest’altezza. Però, anche se facevo il sostenuto, ho deciso di scendere, almeno per farti smettere di urlare.

 

Adesso, quando tu sei a scuola, io vengo qui ad aspettarti. Questo è il nostro ritrovo. Vengo a portarti il pranzo che tua madre prepara per te. Le prime volte portavo solo una scatola, ogni tanto, quando tu la dimenticavi a casa. Adesso, tua madre ne prepara sempre due.

 

Anche questo è un qualcosa che fa parte della tua “scuola”. Io non mangiavo con gli altri ningen. Dovevo stare nascosto nelle stanze di mia madre. Ma mangiavo sempre da solo. E non mi piaceva. Adesso, almeno, posso mangiare con te.

 

Abbasso le orecchie di scatto guaendo. Quella stupida campana! Appena scopro dove si trova, la distruggo! Ogni volta mi fa un male terribile!

 

Sono così preso nei miei piani di vendetta che non ti sento arrivare. Mi accorgo di te solo quando sento le tue mani accarezzare le mie orecchie indolenzite.

 

“Va meglio?”

 

Mi sorridi. Hai un bel sorriso. E io non posso fare a meno di poggiare la testa sul tuo seno e stringerti a me.

 

Ho paura, Kagome.

 

Paura che tu ti possa stancare di me e ti decida ad andartene. Ho paura, quando attraversi il Pozzo, che tu possa non voler più tornare. Ho paura che, andando a scuola, tu veda ancora di più le differenze che ci separano.

 

Tu sai tante cose, tu parli bene, tu sai la storia e conosci terre di cui io non ha mai sentito parlare…Tu qui hai i tuoi amici, quelle ragazze che ho visto una volta a casa tua…

 

Io non so niente, Kagome…

 

So solo come si uccide un demone…E non sono felice che sia questa, l’unica cosa che conosco veramente…Vorrei anch’io farti ridere come fa Miroku, dirti qualcosa che non ti fa arrabbiare…Vorrei poter rispondere alle tue domande, e poterti aiutare quando devi preparare qui tuoi dannati esami…

 

Io non so nulla, Kagome…

 

La mia scuola sono stati i boschi e le strade; le mie lavagne la terra e l’acqua; i miei tavoli e le mie sedie le pietre e l’erba…

 

Vorrei sapere anche solo un briciolo di quello che conosci tu. Vorrei sapere cosa vogliono dire i numeri che scrivi; vorrei capirti quando parli in quel modo strano che mi strappa sempre un sorriso; vorrei esser io al posto di Miroku, quando gli chiedi di correggere qualcosa che scrivi con i kanji che conosco anch’io…

 

Mi credi analfabeta, vero Kagome?

 

Per questo non mi hai mai chiesto nulla. Io non ti ho mai detto che so leggere e scrivere. Perché avrei dovuto farlo? In fondo, è passato così tanto tempo da quando mia madre me lo ha insegnato. Non pensavo che avrei rimpianto, un giorno, tutto quello che lei non ha potuto insegnarmi…Adesso, vorrei tanto provare anch’io a imparare, a sapere qualcos’altro, oltre a combattere…

 

Ti allontano un po’ da me. Sei sorpresa, Kagome? Già…Devo essere buffo con questa faccia seria e imbarazzata. Non riesco a spiccicare parola, e ti metto in mano quel foglietto tutto stropicciato. Tu lo apri incuriosita, e io abbasso gli occhi.

 

Mi pento di tutto: perché glil’ho dato? Cosa diavolo mi è passato per la testa? Cosa voglio dimostrale? Sono solo degli scarabocchi, in confronto ai suoi caratteri eleganti e aggraziati. In verità, sarebbero scarabocchi anche se li paragonassi alla scrittura di Shippo…

 

“Grazie, Inuyasha”

 

Mi abbracci e poi torni a guardare commossa quei miei segni incerti. Ci ho provato: ho chiesto a tua madre uno dei tuoi strani pennelli e un foglio. Era difficile da tenere in mano, quella maledetta…si, insomma…quella cosa…Alla fine, sono riuscito a scrivere il mio nome e il tuo. Come me li avevi fatti vedere tu sulla lavagna. Sono tutti tremolanti e sghembi, e adesso mi sembrano davvero orribili, ma appena ci ero riuscito ero entusiasta.

 

Ti sorrido imbarazzato, mentre tu mi chiedi chi mi abbia insegnato i kanji del tuo mondo. Non so come hai fatto, ma hai capito che io sapevo già scrivere. Forse, lo hai sempre saputo. Perché tu sai tante cose.

 

Io non so nulla, Kagome. Ma imparo in fretta.

 

Per favore, Kagome…Sii tu la mia scuola.

 

 

 

 

Note<

 

(1) sofu: nonno

 

(2) tetenashigo: figlio illegittimo (da parte di padre)

 

(3) zafu: è un cuscino che viene usato da secoli nella meditazione zen; il termine tradotto alla lettera dal giapponese significa "sedile cucito". E' tondo e compatto, imbottito di pula di grano saraceno conferisce la consistenza necessaria che permette di sedere sollevati per poggiare le ginocchia a terra e raddrizzare la colonna vertebrale, inoltre questo materiale ha spiccate proprietà antinfiammatorie facilitano la circolazione e l’attenuazione delle tensioni muscolari.

 

(4) futon: materasso tradizionale giapponese (il suo nome significa "materasso che si arrotola") è costituito da falde di cotone disposte a strati e ricoperte da una fodera di cotone trapuntata a mano. Si stende solo di notte e, di giorno, viene riposto in appositi armadi a muro. La storia del futon è molto antica: si ritiene che il futon derivi dal goza, la stuoia usata in periodo Heian per dormire e che sia nato per il fatto che in Giappone esiste da sempre l’usanza di togliersi le scarpe all’interno della stanza.

 

 

(5) daimyo: carica più importante in Giappone fra il XII e il XiX secolo. Signori feudali del Giappone premoderno. Durante l'epoca Kamakura i capi militari locali ottennero dallo shogun i diritti di proprietà (daimyo) su grandi estensioni di terra. Nei secoli successivi i daimyo accrebbero ulteriormente il proprio potere politico nei confronti dei vassalli e quello economico a danno dei contadini attraverso l'imposizione fiscale. Successivamente, le guerre feudali che caratterizzarono l'epoca Ashikaga ne selezionarono i più potenti e nel corso del XVI secolo tre di essi, prima Oda Nobunaga, quindi Toyotomi Hideyoshi e infine Tokugawa Ieyasu, si imposero su tutti costruendo uno stato feudale accentrato. I daimyo (circa 270 famiglie con feudi di varie dimensioni) accettarono un governo centrale ed ebbero riconosciuta la propria autorità a livello locale, ma nell'ambito di norme quadro e di rigide regole di comportamento. Con lo sviluppo di una dinamica economia mercantile urbana molti daimyo si trovarono in gravi difficoltà finanziarie sin dalla fine del XVII secolo e seguirono il declino economico e politico del bakufu. In seguito alla restaurazione Meiji del 1868, vennero dapprima trasformati in governatori dei loro ex feudi, per poi essere sostituiti, a partire dal 1871, da una nuova burocrazia centralizzata.

 

(6) fundoshi: biancheria intima maschile costituita da una lunga striscia di stoffa avvolta attorno ai fianchi e all’inguine

 

(7) kariginu: abito di corte e di guerrieri di alto rango attestato per la prima volta nel periodo Heian. Era costituito da hakama (pantaloni larghi) e particolari giacche con le maniche tagliate (il termine significa proprio “manica tagliata”).

 

(8) Nella scuola giapponese non esistono bidelli e i singoli studenti sono tenuti, a turno, a pulire e rioridinare le proprie aule a fine lezione.

 

(9) tatami: stuoie in paglia di riso pressata, rivestite di giunco intrecciato (igusa) e abbellite da un orlo di tessuto che ne determina anche il pregio. Le tre parti che costituiscono il tatami sono chiamate rispettivamente: tatamidoko, tatamiomote e tatamiberi

 

(10) kanji: caratteri dell’alfabeto giapponese derivati dagli ideogrammi della scrittura cinese. Sono convenzionalmente usati per rappresentare le parti morfologicamente invariabili delle espressioni giapponesi, come verbi, aggettivi, o integralmente un sostantivo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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