Ciao a tutti!!!
Lo so: devo ancora finire il
nuovo capitolo dell'altra fanfic, ma mi è capitato
per le mani l'argomento scuola (come se non ci fossimo costantemente a
contatto) e ho provato a immaginare cosa ne potrebbe pensare Inuyasha. A
prescindere dal risultato, magari deplorevole, mi sono divertita a scriverla e
spero che possa strappare anche solo una smarfia a
voi che, forse, mi userete l'onore di leggerla.
Grazie.
Insegnami…
Scuola…
Non conosco questa
parola. Non l’aveva mai sentita, prima che la pronunciassi tu.
Dici che ci vai per
studiare…Per imparare…
È strano…
Ho studiato anch’io,
ma non sono mai andato a questa “scuola”.
Ho studiato anch’io…ma
è stato tanto tempo fa…
Ricordo…ricordo mia
madre...
Ricordo la sua calligrafia,
il modo in cui piegava piano il polso, quando usava il pennello…Ricordo che si
mordicchiava un labbro…Sempre quando scriveva…E
ricordo che ha voluto che imparassi anch’io…
…pennello, inchiostro,
fogli di riso…e tanta pazienza…
Io non ha mai avuto
pazienza…neanche da piccolo…Ma mia madre sì; lei era molto paziente…E alla fine
ha vinto…Adesso so scrivere, anche se non lo faccio spesso…Non l’ho
dimenticato…non lo dimenticherò mai…perché è una delle poche cose che mia madre
mi ha lasciato…
Per te, Kagome, è
diverso…Mi hai raccontato che non è stata tua madre a insegnarti…che tu sei
andata a “scuola” per imparare…
Chissà…
Se non fossi un hanyou, forse anch’io sarei andato a “scuola”…Forse
anch’io avrei avuto un precettore che mi avrebbe spiegato le cose…C’era un
uomo, al palazzo di sofu(1), un uomo molto
anziano…Gli altri ragazzi passavano molto tempo con lui…ma io no…Non mi
voleva…Diceva che ero un tetenashigo(2) e che non
avevo diritto ad ascoltarlo…
Allora non capivo…Non
sapevo cosa volesse dire illegittimo, cosa volesse
dire mezzo-demone…Allora non sapevo, e forse non ne soffrivo…
Kagome, tu dici che
andare a scuola è un diritto di tutti…Un diritto…Forse,
nella tua epoca, nel tuo mondo…Qui, solo i nobili hanno un precettore…e possono
studiare…
Ecco…questa è la sola
cosa che ho capito…
A scuola si va per
studiare…
Ma non capisco il
perché…
Io imparavo nelle
stanze di mia madre, seduto sui zafu(3)…imparavo quando mi prendeva per mano e mi portava nei
giardini…imparavo quando, alla sera, mi raccontava di mio padre…imparavo quando
spiavo di nascosto gli alti ragazzi, mentre si esercitavano a combattere…
Io non ho mai avuto un
luogo per imparare…però ho cercato di farlo sempre…
Tu, Kagome…tu dici
invece che devi andare a scuola…Che lì ci sono tanti ningen come te, e che vi
insegnano tante cose…Cose che io non ho mai sentito…
L’ho vista, la tua
scuola…Più di una volta…e ancora non riesco a capire perché tu possa studiare
solo lì dentro…
È grande, la tua
scuola…Sembra un palazzo, ma non ha decorazioni di smalto e legno. È liscia,
fredda, bianca…Ci sono tante stanze tutte uguali, con quegli strani tavoli
dalle gambe alte…Chissà come fai ad arrivarci, quando siedi per terra…
Ah, no…Aspetta…C’è
anche quell’altra cosa…Ce ne sono tante…Come mi hai detto che si chiama?...
…Salia…Sadia…Sedia…
Sì…Sedia…
C’è anche a casa
tua…nella tua stanza…Quando hai quegli affari, quegli “esami” sei sempre lì…e
io ti osservo seduto sul tuo strano futon(4)…
Non capisco…
Anche durante quelle
notti tu studi…ma poi dici che devi andare a
scuola…Eppure, puoi imparare ugualmente seduta a quel tavolo…Invece, insisti
per andare a scuola, e se sei in ritardo ti ci devo anche accompagnare…
Faccio finta che mi
scocci, ma non è così…
Mi piace…Mi
incuriosisce…
A volte, mi sono
fermato su un albero, vicino alla stanza dove eri
tu…C’erano molti ragazzi con te…tutti seduti e vestiti uguali…E in piedi un
uomo…penso sia il vostro precettore…ma tu non lo chiami così…Tu lo chiami in un
modo strano…
A volte, mi piacerebbe
sentire cosa dice…mi piacerebbe ascoltarlo parlare…Eppure, non ci riesco. Anche
se tendo le orecchie e mi avvicino il più possibile…Sono riuscito a sentire la
voce di uno dei tuoi precettori solo una volta, quando era caldo e la finestra
era aperta…
Non riuscivo a capire
niente…E mi sono vergognato…
Mi sono accorto che,
anche se mia madre mi ha insegnato a leggere e scrivere, io resto pur sempre
ignorante…Me ne accorgo spesso, sai Kagome?...Io
riesco a parlare solo di demoni e combattimenti…Io non sono bravo con le
parole, non riesco a parlare come Miroku…
Ecco, lui ha davvero
studiato…Un po’ come studi tu…
Lui sa molte cose, lui
sa farti ridere con le parole e sa lusingare…Miroku gioca con le parole…mentre
io…Se solo apro bocca il risultato è che ti faccio arrabbiare…
Io non ho studiato
molto…non ho mai potuto farlo…Forse mi sarebbe piaciuto, anche se mia madre
rideva e scuoteva la testa quando le dicevo che avrei
studiato tanto…Rideva e diceva che per studiare ci vuole pazienza…E che io non
ne ho…Ma che ci vuole anche determinazione, e che quella non mi mancava…
Non ho mai potuto
studiare…ho sempre dovuto pensare a sopravvivere…E adesso, se tu chiedi
qualcosa, io non so quasi mai risponderti…E allora, mi faccio da parte e ti osservo mentre rimani incantata dalle parole di Miroku…Lui
parla bene, lui sa spiegarti le cose…E non entra in confusione come me, quando
tu inizia a parlare nella lingua di quel tuo precettore, in una lingua che non
è la nostra…
Tu lo fai per farci
ridere e dici che ti devi mantenere in esercizio…Noi non capiamo, ma solo io mi
sento schiacciato da quelle strane parole…Una volta mi hai detto che è normale
che io non capisca: quella è la lingua di un paese molto lontano da Nihon…Nella mia epoca, non lo si
conosce ancora…
Ti ho sorriso, ma il
problema non è la lingua…
Il problema è la
scuola…
Tu sbuffi perché ci
devi andare, e io vorrei dirti di non farlo: sei fortunata,
Kagome, a poterci andare…
Non capisco perché
devi andare lì per studiare, ma se è necessario, se è così che i daimyo(5) vogliono nel tuo mondo allora…Allora è giusto che
tu ci vada…perché penso che sia giusto che tu possa studiare…Tu non sei un
hanyou…Tu ne hai il diritto…
C’è un grande lago,
nella tua scuola…Ha un odore cattivo, amaro…Mi da sempre fastidio, mi solletica
il naso…Non è l’odore dell’acqua; c’è anche qualcos’altro assieme…Qualche
pozione del tuo mondo…
Io non mi fiderei, ma
tu entri in acqua come se non ci fosse niente…e attorno ci sono anche altri
ragazzi…A volte vorrei fargli a pezzi con i miei artigli…Non mi piace che ti guardino, mentre fai il bagno…Però tu non dici nulla; una
volta ne hai trascinato uno in acqua…
Non capisco…
Quando Miroku prova a
spiare te e Sango mentre fate il bagno, vi mettete a urlare…E te la prendi
anche con me, perché non ho cercato di fermarlo…Quando
fai il bagno qui, invece, lasci che i ragazzi ti guardino e che facciano il
bagno con te…
Non capisco…ma
non mi piace…
Ti stanno troppo
vicini, ti toccano, ti rincorrono…Non mi piace; sento la rabbia salire…Vorrei
allontanarli da te, vorrei ucciderli…Non mi piacciono, e li invidio…
Loro riescono a starti
accanto senza imbarazzo, anche solo con quei strani fundoshi(6)
in dosso. Io faccio fatica ad avvicinarmi nonostante i metri del mio kariginu(7). A volte, vorrei essere al loro posto…ma l’unica
volta che ci ho provato, nel mio mondo, tu mi hai mandato a cuccia e te ne sei
andata…arrabbiata?…Non sono riuscito a capirlo…
Non capisco…Loro sì, e
io no…Forse è perché non eravamo a “scuola”…
È grande, la tua
scuola…Devo sempre ricorrere al mio naso, per trovarti…Ci sono tanti odori
strani, spesso mi solleticano la gola e mi danno fastidio…Sono pungenti,
forti…Una volta, ti ho trovata che cercavi di trasportare un secchio troppo
pesante...Tu ci hai versato dentro qualcosa di
strano…Ho letto “candeggina” sul barattolo…Mi sono avvicinato per aiutarti, e
alla fine ho rovesciato tutto…mi bruciava terribilmente la bocca, e mi sentivo
male…Era un veleno potente, quello che c’era nel secchio…(8)
Ci sono tante cose
strane, nelle stanze della tua scuola…
I pavimenti non hanno tatami(9) e tu ci cammini con le tue scarpe…io ho sempre
camminato scalzo, ma ricordo che da piccolo mia madre
si toglieva sempre i sandali prima di entrare nelle sue stanze…Anche a casa tua
lo fai…Qui no…
Alle pareti ci sono
dei rotoli strani…Sono quadrati, rigidi e neri…Se li sfioro, i miei artigli
stridono e il rumore è insopportabile…Mi hai detto che si chiamano lavagne, e
che servono per scrivere…E mi hai messo in mano un bastoncino bianco tutto
pieno di polvere…L’ho stretto un po’, e si è sbriciolato in una miriade di
pezzettini e una nuvoletta di polvere…
Tu hai sospirato, e io
mi sono arrabbiato…Che cosa pretendevi che capissi, io, delle diavolerie del
tuo mondo?...Io ho imparato a usare un pennello, per
scrivere, non quegli strani aggeggi che ti sporcano tutto e neanche i tuoi
bastoni che non hanno bisogno di inchiostro…
Ricordo…ricordo che ti
ho spaventata, e che per farti sorridere di nuovo ho lasciato che la tua mano
guidasse la mia, su quello strano rotolo sulla parete…Mi hai detto che avevamo
scritto il mio nome…
Io non riuscivo a
leggerlo…Era diverso, non era come mia madre me lo aveva insegnato…I kanji(10) era diversi, ma non mi importava…Perché, accanto
al mio, dopo hai scritto anche il tuo nome…Peccato solo che, alla fine, hai
cancellato tutto…Però, adesso, io so come scrivere il
tuo nome, con i caratteri del tuo mondo…L’ho visto una sola volta, ma per me
basta…Imparo in fretta, io…
E ho imparato che non
capirò mai certe cose del tuo mondo…
Come quelle strane
scatole in una stanza…Erano tutte uguali, allineate su quei tavoli
alti…Assomigliavano alla scatola magica che c’è a casa tua…
Mi hai trascinato lì
dentro e hai chiuso la porta. Mi avevi detto che dovevi fare una ricerca, e io
ero venuto con te per aiutarti. Avrei potuto cercare i testi che ti servivano
nella biblioteca…Quella del palazzo di sofu era molto
grande, e c’era un vecchio che la teneva in ordine…Lui era uno dei pochi ningen
gentili con me…Mi lasciava guardare i rotoli e i libri…Mia madre mi diceva che
era stato il suo maestro e era un uomo saggio; se sofu
non lo avesse proibito, lui mi avrebbe insegnato volentieri le cose…
In quella stanza,
però, non c’erano scaffali, mensole o libri. C’erano solo quei
tavoli, e quelle strano scatole. Io non capivo e tu mi hai detto che
servivano per avere informazioni. Che si chiamavano compituru…
Non mi piaceva quel
nome, e non mi piacevano quelle scatole. Proveniva un ronzio da loro. Credevo
che mi stessero schernendo, che volessero qualcosa da me…
Ho agito d’impulso
come al solito…Ho ringhiato e ho preparato gli
artigli: non permetto a nessun stupido demone-scatola di ridere di me. Tu mi
hai spedito a cuccia prima che potessi lanciare un’artigliata e ti sei seduta
lì davanti, ignorandomi.
Mi sono rimesso in
piedi giusto in tempo per vedere un ningen piccolissimo correre verso di te con
una katana. Quella volta sono stato più veloce di te: Tessaiga
ha ucciso il ningen e sbriciolato la scatola maledetta. Tu mi avevi detto che
era innocua, ma quel compituru
aveva cercato di farti del male e dopo che lo avevo ucciso, invece di sparire,
era rimasto lì, e continuava a mandare scintille e fumo…
Non so perché ma alla
fine ci siamo ritrovati sotto un getto d’acqua che proveniva dal soffitto.
Bagnati fradici. Era la prima volta che vedevo piovere in una stanza
chiusa…Ricordo che ti sei spaventata tanto quando ho
provato a toccare i tentacoli del compituru che
ancora mandavano scintille…
Ricordo che mi hai
preso per un braccio e mi hai strattonato via …Eri davvero terrorizzata…Urlavi
che ero impazzito a voler toccare quei tentacoli…Che rischiavo di venir…di
venir…fulminato…Io non capivo, ma so che non mi è mai piaciuto vederti
piangere…Allora, ti ho abbracciata e poi ti ho portato via, uscendo dalla
finestra perché stava arrivando qualcuno.
C’è un posto più di
tutti che mi piace nella tua scuola… È quello in cima a tutte quelle scale. Io
ci arrivo in pochi balzi e ti aspetto lì. Non c’è quasi mai nessuno, e posso
osservare tranquillamente il tuo villaggio. Non è comodo come i rami del
Goshinboku, non ci sono le fronde a riparare dal sole e dalla pioggia, ma
almeno mi permette di stare in alto e in pace.
La prima volta non mi
piaceva. C’erano delle reti dure tutt’attorno e io mi
sentivo in gabbia. Chiuso. Catturato. Preferivo aspettarti in piedi su quegli
strani steccati che sedermi vicino alla porta. La prima volta che mi hai
raggiunto lì, per poco non cadevo di sotto tanto mi avevi sorpreso
nell’arrivarmi alle spalle. Ti aveva vista per un attimo fra tutti i ningen che
uscivano da “scuola” e poi eri sparita.
Mi hai urlato contro
fuori di te. Eri arrabbiatissima e preoccupata che io potessi
cadere. Come se non fossi abituato a saltare da quest’altezza. Però, anche se
facevo il sostenuto, ho deciso di scendere, almeno per farti smettere di
urlare.
Adesso, quando tu sei
a scuola, io vengo qui ad aspettarti. Questo è il
nostro ritrovo. Vengo a portarti il pranzo che tua madre prepara per te. Le
prime volte portavo solo una scatola, ogni tanto, quando tu la dimenticavi a
casa. Adesso, tua madre ne prepara sempre due.
Anche questo è un
qualcosa che fa parte della tua “scuola”. Io non mangiavo con gli altri ningen.
Dovevo stare nascosto nelle stanze di mia madre. Ma mangiavo sempre da solo. E
non mi piaceva. Adesso, almeno, posso mangiare con te.
Abbasso le orecchie di
scatto guaendo. Quella stupida campana! Appena scopro dove si trova, la
distruggo! Ogni volta mi fa un male terribile!
Sono così preso nei
miei piani di vendetta che non ti sento arrivare. Mi accorgo di te solo quando sento le tue mani accarezzare le mie orecchie
indolenzite.
“Va meglio?”
Mi sorridi. Hai un bel
sorriso. E io non posso fare a meno di poggiare la testa sul tuo seno e
stringerti a me.
Ho paura, Kagome.
Paura che tu ti possa
stancare di me e ti decida ad andartene. Ho paura, quando attraversi il Pozzo,
che tu possa non voler più tornare. Ho paura che,
andando a scuola, tu veda ancora di più le differenze che ci separano.
Tu sai tante cose, tu
parli bene, tu sai la storia e conosci terre di cui io non ha mai sentito
parlare…Tu qui hai i tuoi amici, quelle ragazze che ho visto una volta a casa
tua…
Io non so niente,
Kagome…
So solo come si uccide
un demone…E non sono felice che sia questa, l’unica cosa che conosco
veramente…Vorrei anch’io farti ridere come fa Miroku, dirti qualcosa che non ti
fa arrabbiare…Vorrei poter rispondere alle tue domande, e poterti aiutare
quando devi preparare qui tuoi dannati esami…
Io non so nulla,
Kagome…
La
mia scuola sono stati i boschi e le strade; le mie lavagne la terra e l’acqua;
i miei tavoli e le mie sedie le pietre e l’erba…
Vorrei sapere anche
solo un briciolo di quello che conosci tu. Vorrei sapere cosa vogliono dire i
numeri che scrivi; vorrei capirti quando parli in quel
modo strano che mi strappa sempre un sorriso; vorrei esser io al posto di
Miroku, quando gli chiedi di correggere qualcosa che scrivi con i kanji che conosco anch’io…
Mi credi analfabeta,
vero Kagome?
Per questo non mi hai
mai chiesto nulla. Io non ti ho mai detto che so leggere e scrivere. Perché
avrei dovuto farlo? In fondo, è passato così tanto tempo da
quando mia madre me lo ha insegnato. Non pensavo che avrei rimpianto, un
giorno, tutto quello che lei non ha potuto insegnarmi…Adesso, vorrei tanto
provare anch’io a imparare, a sapere qualcos’altro, oltre a combattere…
Ti allontano un po’ da
me. Sei sorpresa, Kagome? Già…Devo essere buffo con questa faccia seria e
imbarazzata. Non riesco a spiccicare parola, e ti metto in mano quel foglietto
tutto stropicciato. Tu lo apri incuriosita, e io abbasso gli occhi.
Mi pento di tutto:
perché glil’ho dato? Cosa diavolo mi è passato per la
testa? Cosa voglio dimostrale? Sono solo degli scarabocchi, in confronto ai
suoi caratteri eleganti e aggraziati. In verità, sarebbero scarabocchi
anche se li paragonassi alla scrittura di Shippo…
“Grazie, Inuyasha”
Mi abbracci e poi
torni a guardare commossa quei miei segni incerti. Ci
ho provato: ho chiesto a tua madre uno dei tuoi strani pennelli e un foglio.
Era difficile da tenere in mano, quella maledetta…si, insomma…quella cosa…Alla
fine, sono riuscito a scrivere il mio nome e il tuo. Come me li avevi fatti
vedere tu sulla lavagna. Sono tutti tremolanti e sghembi, e adesso mi sembrano
davvero orribili, ma appena ci ero riuscito ero entusiasta.
Ti sorrido
imbarazzato, mentre tu mi chiedi chi mi abbia insegnato i kanji
del tuo mondo. Non so come hai fatto, ma hai capito che io sapevo già scrivere.
Forse, lo hai sempre saputo. Perché tu sai tante cose.
Io non so nulla,
Kagome. Ma imparo in fretta.
Per favore, Kagome…Sii
tu la mia scuola.
Note<
(1) sofu: nonno
(2) tetenashigo:
figlio illegittimo (da parte di padre)
(3) zafu: è un cuscino che
viene usato da secoli nella meditazione zen; il termine tradotto alla lettera
dal giapponese significa "sedile cucito". E' tondo e compatto,
imbottito di pula di grano saraceno conferisce la consistenza necessaria che
permette di sedere sollevati per poggiare le ginocchia
a terra e raddrizzare la colonna vertebrale, inoltre questo materiale ha
spiccate proprietà antinfiammatorie facilitano la circolazione e l’attenuazione
delle tensioni muscolari.
(4) futon: materasso tradizionale giapponese (il suo nome
significa "materasso che si arrotola") è costituito da falde di
cotone disposte a strati e ricoperte da una fodera di cotone trapuntata a mano.
Si stende solo di notte e, di giorno, viene riposto in
appositi armadi a muro. La storia del futon è molto antica: si ritiene che il
futon derivi dal goza, la stuoia usata in periodo Heian per dormire e che sia nato per il fatto che in
Giappone esiste da sempre l’usanza di togliersi le scarpe all’interno della
stanza.
(5) daimyo: carica più
importante in Giappone fra il XII e il XiX secolo.
Signori feudali del Giappone premoderno. Durante
l'epoca Kamakura i capi militari locali ottennero
dallo shogun i diritti di proprietà (daimyo) su grandi estensioni di terra. Nei secoli
successivi i daimyo accrebbero ulteriormente il
proprio potere politico nei confronti dei vassalli e quello economico a danno
dei contadini attraverso l'imposizione fiscale. Successivamente, le guerre
feudali che caratterizzarono l'epoca Ashikaga ne
selezionarono i più potenti e nel corso del XVI secolo tre di essi, prima Oda Nobunaga, quindi Toyotomi Hideyoshi e infine Tokugawa Ieyasu, si imposero su
tutti costruendo uno stato feudale accentrato. I daimyo
(circa 270 famiglie con feudi di varie dimensioni) accettarono un governo
centrale ed ebbero riconosciuta la propria autorità a livello locale, ma
nell'ambito di norme quadro e di rigide regole di comportamento. Con lo
sviluppo di una dinamica economia mercantile urbana molti daimyo
si trovarono in gravi difficoltà finanziarie sin dalla fine del XVII secolo e
seguirono il declino economico e politico del bakufu.
In seguito alla restaurazione Meiji del 1868, vennero dapprima trasformati in governatori dei loro ex
feudi, per poi essere sostituiti, a partire dal 1871, da una nuova burocrazia
centralizzata.
(6) fundoshi: biancheria
intima maschile costituita da una lunga striscia di stoffa avvolta attorno ai
fianchi e all’inguine
(7) kariginu: abito di corte
e di guerrieri di alto rango attestato per la prima volta nel periodo Heian. Era costituito da hakama
(pantaloni larghi) e particolari giacche con le maniche tagliate (il termine
significa proprio “manica tagliata”).
(8) Nella scuola giapponese non
esistono bidelli e i singoli studenti sono tenuti, a turno, a pulire e rioridinare le proprie aule a fine lezione.
(9) tatami: stuoie in paglia
di riso pressata, rivestite di giunco intrecciato (igusa)
e abbellite da un orlo di tessuto che ne determina anche il pregio. Le tre
parti che costituiscono il tatami sono chiamate
rispettivamente: tatamidoko, tatamiomote
e tatamiberi
(10) kanji: caratteri dell’alfabeto giapponese derivati dagli ideogrammi della scrittura cinese. Sono convenzionalmente usati per rappresentare le parti morfologicamente invariabili delle espressioni giapponesi, come verbi, aggettivi, o integralmente un sostantivo.