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Autore: elyxyz    10/07/2004    5 recensioni
Hana si chiede se sta andando a cena con un amico, con l’ex amante. o con uno sconosciuto...
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa FF contiene YAOI

Ad una sera d’estate incisa sul cuore, ad un uomo, al suo ricordo

Per colpa di un cd.

 Return to me

 

-Save my soul, tonight- 

by elyxyz

 

 

Il telefono squilla, interrompendo la rassicurante monotonia di un pomeriggio come tanti.

 

“Moshi moshi” esclama, il tono lievemente seccato, perché ultimamente le telefonate portano solo guai, nella sua vita.

 

“Ciao”

 

Tre secondi, in cui le sinapsi neuronali si congelano e altri tre secondi per scongelare il cervello dalla sorpresa. O, forse, non basterebbero nemmeno tre ere glaciali…

 

Ma quella voce non si può confondere. Non si può scordare.

 

“A cosa debbo l’onore di una telefonata intercontinentale?” sputa lì, ancora troppo sorpreso, perché il tono, anche se polemico, possa risultare fastidioso.

 

“Sono tornato.”

 

“Ah, e… dimmi… perché mi hai chiamato?”

 

“Nh. non lo so, forse andava anche a te di rivederci, come si fa tra due vecchi amici…”

 

“Due vecchi amici che andavano a letto insieme?”

 

“Perché no?! Se sta bene ad entrambi… si potrebbe anche riprendere. Senza impegno, ovviamente.”

 

“Spiacente, ma non ci sto. Se ti va, ti offro una cena, DA AMICO, e poi ci salutiamo.”

 

“Nh. passo a prenderti domani sera alle 8, ok?!”

 

“Hai.”

 

“Hana?...”

 

“Sì?”

 

“Potrei tentare di sedurti, domani sera?”

 

“Ovviamente no!” e il tono è perentorio, anche se divertito.

 

“Saprei ancora come farti godere…” butta là, con noncuranza, come se parlasse del tempo.

 

“Lo so. Non ci provare.”

 

Una breve risata dall’altra parte del telefono, poi il vuoto. Segno che la comunicazione è stata interrotta.

 

Sakuragi ripone la cornetta, si sporge oltre il mobiletto, e con un gesto secco stacca la spina dal muro.

Di telefonate così, ne basta una, per oggi. Meglio non sfidare la sorte.

 

Hana si avvia in cucina, cercando di ricordare cosa stava facendo prima dello squillo del telefono.

 

Ma si chiede se ha mai fatto niente, in vita sua, prima di quello. Niente che valesse la pena ricordare.

 

L’odore di bruciato lo richiama al presente: perfetto!

Adesso non deve più concentrarsi sulla cena. Adesso non ha nulla a cui pensare, con cui distrarsi.

 

E la discussione appena avuta riparte in automatico, nella sua testa.

Ricordo troppo recente, troppo vivo, troppo indomito, per poterlo imbrigliare.

 

Hana sa che l’uomo con cui ha parlato non è quello che lui ha amato. Non lo è più.

 

Ma la voglia di rivederlo, di riabbracciarlo, beh, forse quella rimane.

Anche se può far male. Far soffrire. Anche se è quasi certo che se ne pentirà.

 

Hana è un tensai. Ma è pur sempre un uomo.

E gli uomini, talvolta, sanno essere sciocchi, sentimentali.

 

Ecco il guaio di questo tensai: ha il cuore tenero.

E Rukawa sa.

 

Sa come scardinare i pesanti portali dell’animo di quella scimmia stramba.

Saprebbe anche come ferire, senza tanta difficoltà. Se solo volesse…

 

Hana si chiede, per l’ennesima volta in tutti quegli anni, dal loro ultimo incontro, se mai lo farà.

Prima o poi.

 

Se lo farà inconsapevolmente, o per sadico piacere di vederlo rantolare, mentre affonda il coltello nel suo animo ferito.

 

Ma in fondo Hana sa che Rukawa non è un bastardo.

Di lui si può dire di tutto. Ma questo no.

 

E lui se ne convince, ripetendolo come un mantra.

Lo ha fatto per anni, dopo che si erano lasciati, neanche tanto amichevolmente.

Lo aveva ripetuto dopo essersi visti, di sfuggita, a Los Angeles, molto tempo prima.

E lo sta ripetendo ora, mentre indossa un paio di comodi mocassini, sopra i jeans scuri, la camicia panna. Prende distrattamente la giacca in entrata, classica, ma non troppo, riflette. Meglio un abbigliamento semplice, poco appariscente –si dice- e, men che meno, sessualmente attraente.

 

Alle otto meno cinque, l’auto sportiva di Rukawa parcheggia davanti a casa Sakuragi.

 

‘Kaede ha sempre odiato i ritardatari’, ricorda la sua mente.

 

E Hana non può impedirsi un piccolo sorriso, al pensiero di quanti litigi, per la mancanza della sua puntualità.

Ma il sorriso viene presto scalzato da un pensiero meno piacevole.

Hana si chiede se sta andando a cena con un amico, con l’ex amante. o con uno sconosciuto.

 

Quando varca il cancello di casa, l’uomo che ha davanti a sé gli si avvicina e lo abbraccia.

Un gesto amichevole, mortalmente banale, quasi scontato, per due persone che sono state tutto, fuorché amici.

 

E l’imbarazzo sfuma, quando le loro pelli vengono a contatto.

Come se fossero passati appena pochi attimi, da quello precedente.

Ma invece sono passati anni, secoli, millenni.

 

E Hana si concede un attimo più del dovuto, assaporando un profumo che era stato suo, che gli era appartenuto.

Un profumo che sapeva di casa, di amore, di protezione, tra quelle braccia.

Un profumo che ricordava con nostalgia, per qualcosa che non si può più riavere.

 

Rukawa lo scosta un po’ da sé, mantenendo le sue mani sulle spalle di Hanamichi, e gli sorride, come un tempo. Come mai.

 

La terza possibilità lampeggia vincente nel cervello di Sakuragi.

E, per trenta secondi, il rossino è quasi propenso ad inventarsi una scusa, credibile o meno poco importa, e tornarsene a casa, al calduccio, al riparo, al sicuro.

 

“E’ passato tanto tempo, Hanachan, come stai?” chiede il moretto, educatamente.

 

E Sakuragi non può impedirsi di chiedere quanto di falso e costruito ci sia, dietro la facciata del compagno.

 

“La fortuna arride al tensai. Del resto, noi geni….” E inevitabile è l’arrivo della sparata che gli è più congeniale.

 

“Do’aho!” sbuffa Ru, rassegnato, e divertito.

 

“Adesso sì che ti riconosco, Kitsune!! Mi fai preoccupare, se mi chiami ‘Hanachan’… non lo hai mai fatto…” -sembra quasi giustificarsi, poi.- “Cerca di essere la mia vecchia Baka Kitsune, per stasera, e tira fuori la coda…”

 

“E’ una proposta indecente, Do’aho?!”- chiede ammiccando- “Non avere fretta…. Abbiamo tempo tutta la notte….” termina, ghignando per il rossore che va colorando le guance del compagno.

 

“Kitsuneeeeee….. ti ho già detto che…. che… E non metterci malizia in ogni frase, cavolo!!!!” risponde, semialterata, la scimmietta imbarazzata.

 

Rukawa sorride tra sé.

In qualunque modo potrà finire, ha la certezza di trascorrere una piacevole serata. Quel do’aho non cambierà mai. E’ una delle poche costanti della sua vita.

Forse l’unica rimasta.

E il sorriso interiore diventa smorfia.

 

 

“Dove mi porti a cena?” chiede curioso Sakuragi, e il mondo riparte, e lui si riscuote.

 

Per la prima volta da due giorni, si chiede se sia stato un bene oppure no, telefonare ad Hanamichi.

Ma Kaede Rukawa ha smesso da tempo di farsi scrupoli e congetture. E rimorsi, beh, quelli mai.

Al massimo, qualche rimpianto. Narcotizzato sapientemente dall’orgoglio prima, e dalla disperazione poi.

 

“Dipende da te… Per una cenetta romantica, conosco un bel posticino, e il sushi è afrodisiaco…”

 

- Hana si irrigisce un po’, comprendendo le velate allusioni -neanche tanto velate- della proposta.-

 

“Oppure un tranquillo ristorantino, e ci mangiamo un okonomiyaki, senza pretese.”

 

“Vada per la seconda scelta. Non sono in vena di romanticherie, stasera.” Pallida difesa, questa, se ne accorge da solo, il Tensai, che una cosa così farebbe da scudo quanto uno stuzzicadenti.

 

Il moretto gli si accosta, con nonchalance gli apre la portiera, per permettergli di salire, e poi si avvia silenzioso verso il posto di guida.

Sul sedile c’è una rosa blu, ad attenderlo.

Il rossino la prende in mano. Il suo fiore preferito.

 

E Hana pensa.

 

Rivive quanto sia rimasto stupito –piacevolmente stupido- per le prime gentilezze così, che il volpino gli concedeva.

 

E Hana ricorda.

 

L’orgoglio provato, nel sentirsi un privilegiato.

Nell’aver potuto sfiorare il vero Kaede Rukawa.

 

Non il ragazzo freddo, scostante, altero, indisponente, che tutti conoscevano. Aggettivi con cui facilmente lo avevano catalogato prima, e archiviato poi.

 

Hana richiama alla mente le piccole gentilezze che aveva imparato ad apprezzare, che lo avevano conquistato: la timidezza nascosta dietro un lieve rossore sulle guance diafane, per un gesto impercettibilmente dolce, per una premura maldissimulata con uno sbuffo, di quegli occhi azzurri, che guardavano altrove, perché essere gentili era sconveniente, per uno come Kaede Rukawa.

Esserlo poi per un ragazzo, era assolutamente fuori luogo.

Esserlo per Hanamichi Sakuragi, era pura eresia.

 

 

L’auto parte, e lentamente una dolce musica vi si diffonde all’interno.

Hana non fatica certo a riconoscerla.

 

Volta lo sguardo verso Ru, e questi gli accenna un sorriso, riprendendo poi a guardare verso la strada.

Quel cd. Il suo primo regalo per la Kitsune.

 

Il rossino non può opporsi dal constatare quanta furbizia, freddamente calcolata, stia avvelenando quel momento.

 

Rukawa sembra in caccia, astuta volpe che ha teso sapientemente le sue trappole.

E Hana non può impedire di chiedersi se farebbe poi così male, metterci per sbaglio un piede dentro, in una di quelle tagliole.

 

E se la volpe avrebbe avuto pietà di quella vittima, o se la sarebbe divorata senza tanti scrupoli.

 

Hana preferisce non darsi una soluzione. Forse perché teme di sapere la risposta.

Anche se questo momento ne ricorda tanto altri: istanti felici, sereni, attimi che non ritorneranno.

 

E sbuffa, mentre l’auto mangia l’asfalto, mentre cerca di imporsi di rilassarsi, con risultati penosi.

 

Con la coda dell’occhio, Rukawa segue i suoi movimenti inquieti. E inconsciamente accelera, per far finire la sua agonia.

A volte, le volpi sanno essere magnanime. Capita raramente, ma capita.

 

 

Il locale è ospitale, semplice ma intimo.

Sakuragi lo annota, perché è impossibile non riconoscere il sempiterno buongusto di Rukawa.

 

Un giovane cameriere chiede se preferiscono cenare all’aperto, in terrazzo, sotto la balconata fiorita, oppure dentro, nel confortevole salone.

 

La Kitsune con un muto gesto del capo chiede al rossino di scegliere, e Sakuragi crede che la fresca brezza serale potrebbe giovare, per raffreddare i bollenti spiriti di una volpe in calore.

 

Il moretto attende che il suo ospite si sia accomodato, per prendere posto a sua volta.

Sembra un atto involontario, ai più.

Ma Hana sa che questo era uno dei precetti del personalissimo codice comportamentale della Kitsune.

 

Rukawa sapeva ferire, senza tanti problemi, ignorando completamente una persona. Facendola sentire una nullità.

Ma sapeva anche essere oltremodo romantico, talvolta persino smielato. Sapeva mettere l’altro al centro del suo mondo. Per un minuto o per un’ora, aveva poca importanza.

E per uno come Sakuragi, i cui rifiuti sentimentali erano stati marchiati a fuoco sulla pelle, trovarsi un uomo così accanto era stato il balsamo più dolce, il migliore, per lenire le sue cicatrici.

Non per farle scomparire, quello no. Non se ne sarebbero mai andate via.

 

Ma i baci di Rukawa, le sue carezze, le sue dolcezze nascoste al mondo, avevano reso quella pelle dorata un po’più morbida, un po’meno sciupata.

 

 

La voce del cameriere lo riporta al presente.

Ordinano distrattamente la cena, mentre una strana tensione ritorna prepotente.

Hana si chiede per quanto se n’é andata.

Troppo poco, evidentemente.

Di sicuro è rimasta nei paraggi, per questo è riapparsa così.

 

Rimasti nuovamente soli, è pressoché inevitabile imbastire un dialogo.

Un confronto.

Procrastinato finora, rinviato per tacito accordo in auto.

 

Stranamente è Rukawa a rompere il silenzio.

Ma Hana sa già che non sarà l’unica eccezione della serata, anzi, in qualche modo se ne aspetta altre. In un certo modo, le teme pure.

 

“Allora, Tensai, cosa mi racconti, dopo una vita che non ci vediamo?”

 

A Sakuragi dà inconsciamente fastidio il modo con cui ha pronunciato il suo soprannome.

Anche se la Kitsune ne avrebbe tutto il diritto, visto che, in realtà, quel nome appartiene a lui.

Faceva anche quello parte del loro personalissimo codice di comunicazione, fatto di sguardi, smorfie, offese, soprannomi strani, e sorrisi. Rari. E forse, per questo, ancor più belli.

 

Rukawa ne aveva fatti più in quella sera, che in tutto il periodo in cui erano stati assieme.

Ma nessuno di quelli ne valeva mezzo, di uno di quelli che ricordava lui.

 

Soprattutto perché il rossino aveva capito che non ne avrebbe più rivisti.

Non da lui. Non in quella vita, almeno.

 

“Niente di che, Volpaccia, non ho fatto nulla di speciale, in questi anni. Aiuto mia madre nell’attività di famiglia, e alleno una squadra di pulcini… sono dei piccoli tensai….”

 

-E il sorriso si allarga spontaneo, pensando a quelle piccole pesti che lo fanno morire ad ogni incontro, ma che lo amano, lo venerano, con una genuinità che solo i bimbi sanno avere.- “e… ah, mi sto quasi laureando…. E tu?”

 

“Cosa sai di me?”

 

“A parte che mi hai scaricato, senza tanti problemi, quando hai capito che era più importante rincorrere il tuo sogno che stare con me, e te ne sei fuggito dall’altra parte del mondo?!”

 

-chiede con tono ironico il rossino, e Rukawa sussulta, un lampo di rammarico gli attraversa lo sguardo, ma forse è solo un’impressione, colpa della tenue luce che illumina il loro tavolo.–

 

“Su, su, volpe! Non ce l’ho mica ancora con te, per questa storia!”

 

-e rimarca queste parole con un’alzata di spalle-

 

“Cosa so di te?! Beh, poco... A dire il vero. So che i Bulls ti avevano offerto un contratto favoloso, ne parlavano tutti i giornali: La grande scoperta giapponese! Il Jordan dagli occhi a mandorla!!! Il....”

 

“Non straparlare, Do’aho. So cosa dicevano di me...”

 

“Ho smesso di seguire ogni tuo passo, quando ho deciso che avrei dovuto ricominciare a vivere.”

 

-Hana abbassa inconsapevolmente lo sguardo, sentendosi quasi, assurdamente, colpevole-

 

“Un bel giorno ho buttato via ogni ritaglio di giornale su di te, ogni foto che ti ritraeva, ogni... E ho capito che non si può vivere aspettando una persona che non ritornerà. Che non voleva ritornare. E sai una cosa, Ru?”

 

-Sakuragi rialza di scatto lo sguardo, conficcandolo in quello dell’altro, nuovamente orgoglioso, fiero, come solo gli occhi del Tensai sanno essere-

 

“Avevi ragione tu, sai?! Mi sono dato anche io del “Do’aho” milioni di volte, per ogni giorno che non ho vissuto, perso in una sterile attesa. Solo che tutto questo l’ho capito solo dopo. Il mio unico rammarico sono quei giorni. Non quello che c’è stato prima o dopo. Solo quelli: non me li scaleranno dal conto spesa, li ho semplicemente buttati via.”

 

La voce di Hana ora è nuovamente tranquilla, ha perso l’inflessione accalorata di qualche istante fa, e si colora un po’ di tristezza.

 

A Rukawa, per la prima volta in vita sua, viene spontaneo chiedersi con che permesso si è arrogato il diritto di scegliere quali fossero le pedine sacrificabili, i fiori calpestabili, per raggiungere il suo obiettivo.

 

Per la prima volta, si rende conto di aver trascinato altre vite, oltre la sua, vite che sono rimaste impigliate nella sua foga.

Vite a cui non è stato chiesto di scegliere.

Volenti o nolenti, sono rimaste travolte dai suoi sogni.

 

L’MVP ha smesso da tempo di farsi scrupoli; prima, perché aveva un grande miraggio da inseguire, in nome del quale ogni cosa era di secondaria importanza, e poi, beh, poi quando quel sogno si è frantumato, per niente più valeva la pena sprecare energie.

 

“Mi spiace, Hana, io....”

 

“Kitsune, ti prego.... non scadiamo nei clichés.”  

 

“Sono sempre stato solo un egoista, eh?”

 

“Mah... in fondo, ho sempre saputo che non potevo competere con la tua ossessione, e tu non mi hai mai illuso del contrario”

 

-un gesto vago della mano, come per schernirsi-

 

“Ma non mi hai ancora fatto un ragguaglio decente, di questi 5 anni...”

 

Lo sguardo del moro sembra incupirsi, ma forse è solo un’impressione sciocca. Rukawa non può rabbuiarsi parlando della sua ragione di vita, del suo mondo.

 

E Hana si dà dello scemo, per averlo anche solo pensato.

 

Ma la frangia nera copre quegli occhi, che stasera non hanno ancora brillato. E Sakuragi realizza solo ora, che stranamente non si è ancora parlato di partite, di parquet, di coppe, di vittorie.

 

Il moretto prende fiato, forse per riordinare le idee -o le emozioni- chissà.

“Tanti casini, Do’aho, tante cose sono successe. Nh...”

 

“Sembri tanto logorroico, e poi vai in debito d’ossigeno come un tempo, dopo neanche 10 parole...” ghigna la Baka Saru.

 

Rukawa sembra non averlo neppure sentito, non coglie la provocazione:

“Tre anni fa, ho avuto un incidente, un brutto fallo. Una stronzata, mi dissero. ‘Due mesi, e ritorni in campo’. Ma io non ho mai più rimesso piede sul parquet.”

 

Le ciocche rosse non velano le sue pupille assurdamente dilatate.

Quelle parole appena sussurrate lo investono di tutto il loro peso. Del loro significato.

Forse solo Hanamichi Sakuragi può percepire la portata di un tale evento sull’ex compagno.

 

Semplicemente, il cuore di Kaede Rukawa dovrebbe aver smesso di battere in quel giorno.

 

 

Hana vorrebbe dire qualcosa, qualsiasi cosa, per farli uscire da lì. Rukawa, dal suo dolore. E lui, dalla sua inadeguatezza.

“Kitsune, senti.... lasciamo stare, ok?! Parliamo di altro, vuoi?”

 

La volpe lo fissa per qualche istante, senza in realtà vederlo, intrappolato in un passato ancora troppo presente.

Poi si riscuote, e lo fissa. “Cosa ci facevi a Los Angeles, due anni fa?”

 

“Viaggio di piacere.... e tu?”

 

“La mia seconda operazione al ginocchio. Il primario è amico di famiglia...”

 

“Ah.... Adesso mi spiego perché ti ho incontrato vicino ai giardini dell’ospedale.... non abbiamo avuto molto tempo di dialogare, quel giorno, ricordi?”

 

“Do’aho... sei solo riuscito a farti venire mezzo infarto, quando mi hai riconosciuto, e poi...”

 

“Poi ci siamo picchiati un po’ come ai vecchi tempi....” e Hana sorride, non può impedirselo. E anche Ru lo fa.

Hana non gli ha mai dato tristezza. E’ impossibile rimanerlo, quando si ha vicino quel baka.

 

“Ti vedi con qualcuno, in questo periodo?” e il rosso sussulta, perché una domanda così dalla volpe non se la aspettava, non così diretta, almeno.

 

“E’ un casino. Preferirei evitare di parlarne, se posso.... E tu? Come sta Michael? Mi sembrava simpatico, per quei 15 minuti in cui ci siamo conosciuti....”

 

Per la seconda volta in quella sera, il Do’aho capisce di aver scelto l’argomento sbagliato, nel momento sbagliato, con l’uomo sbagliato.

 

Ma questa volta gli occhi della volpe non si rattristano, anzi.

Quel cielo d’estate assume una pericolosa colorazione scura, quella tipica, prima di un uragano...

 

“A Michael devo tanto. Ma è uno stronzo.” chiaro e conciso come sempre, il volpino.

 

Il rossino lo guarda, e probabilmente la volpe è stata concisa, sì; ma forse non del tutto chiara...

 

“Vedi, Do’aho, dopo l’infortunio, se non avessi avuto lui, sarei impazzito.

Impazzito davvero, credo.

Nh... non che fossi poi tanto equilibrato, in quel periodo.”

 

-si prende una pausa, allungando elegantemente la mano diafana verso il bicchiere, e bevendo un lungo sorso di saké-

 

“Lui mi è stato accanto. Ha mi impedito di impazzire. di compiere qualche sciocchezza. Come mettere fine alla mia ormai inutile esistenza.”

 

Hana trema davanti a quelle parole.

Forse perché immagina che non sono sparate melodrammatiche, forse perché capisce che Ru è veramente andato vicino alla fine.

 

“Mi sono aggrappato a lui. giorno e notte. Un maledetto minuto dopo l’altro. Mi ha obbligato a farlo. Con la fottuta promessa di seguirmi, se avessi fatto un gesto sconsiderato.... E io ho imparato ad andare avanti, con lui. per lui.

 

Potrei dirti che ho ricominciato a vivere. Ma sarebbe una bugia. Ho imparato a sopravvivere. Ed è già molto, credo.”

 

 

Hana annuisce, comprensivo, perché è l’unica cosa che può fare.

 

Dopo una pausa di silenzio, Rukawa riprende:

“Poi, un giorno di sei mesi fa, gli ho chiesto di venire a vivere con me....”

 

“Perché non vivevate già assieme?”

 

“Perché la madre di Michael è una donna anziana, e malata, per giunta.

E lui non se la sentiva di lasciarla sola.... ha una venerazione assoluta per sua madre.

Forse perché non ha mai conosciuto il padre, chissà. Gli è sempre mancata, questa figura....

 

Comunque questo c’entra poco... quando gli chiedevo di venire a dormire da me, si rifiutava quasi sempre, e io non insistevo.

 

Michael ha fatto tanto per me.

 

E’ diventato il mio mondo, e io credevo ciecamente in noi. nella nostra storia.

Aveva preso il posto del mio sogno, era diventato lui, il motivo per cui mi alzavo ogni mattina....

 

Finché un giorno non mi disse che dovevamo lasciarci.

Che a 30 anni si era reso conto di volere una famiglia. una famiglia normale... e che non avrebbe mai potuto dire di noi a sua madre.

Che avrebbe voluto sposarsi, avere dei figli, essere migliore del padre che non aveva mai avuto.

Ovviamente, io non rientravo in questo grande progetto di famiglia perfetta.”

 

Un sorriso amaro gli si dipinge sulle pallide labbra.

Unico segno esteriore di un dolore lacerante.

 

 

Hana potrebbe, dovrebbe gioire del dolore di Ru. Pallida consolazione per il proprio sofferto.

Ma Hana non può. Non ce la fa.

Hana non ha mai odiato davvero nessuno, in vita sua.

Men che meno, una persona che ha amato.

 

Capisce che quelle confidenze sono costate molto, alla Kitsune, in termini di orgoglio, e di dolore, nel riviverle, raccontandole a lui.

Ne riconosce lo sforzo, e che Rukawa l’ha fatto solo in nome di una confidenza interiorizzata anni addietro, con l’uomo che ha di fronte.

 

“E adesso cosa fai?” si costringe a chiedere, senza volerlo realmente sapere.

 

“Mio padre mi spedisce qua e là per il mondo, e in fondo mi va bene... Non voglio nessun  posto stabile in cui vivere, e ancora meno, nessuna relazione seria....

A queste stronzate non ci credo più.” -verità lapidaria- “Adesso vivo al limite, voglio sperimentare, provare, rischiare, voglio vedere fin dove posso arrivare.”

 

“E se ti spingessi troppo in là?”

 

“Nh. non ho nulla da perdere, Do’aho. Ho già perso tutto.”

 

“Puttanate! Se solo volessi, potresti ricomin...”

 

“Il punto è che non voglio! Non mi interessa più.”

 

“Ed è per questo che vai in giro, telefonando ai tuoi ex, perché finiscano di nuovo a letto con te?!” Hana si sta alterando, perché, tra tutte le stronzate sentite di recente, questa le batte tutte.

 

“Te l’ho detto, Do’aho. Non mi faccio fregare di nuovo. Niente sentimenti, stavolta. Solo del buon, sano, sesso consenziente. Non ho mai obbligato nessuno a farlo, se è questo che temi....”

 

“Perché?”

 

“Perché, cosa?!”

 

“Perché lo fai?”

 

“E’ l’unica cosa che mi fa sentire ancora l’adrenalina dentro. Come fare uno slam dunk.”

 

“E intanto, ti vendi come una troia...” provocazione, o amara constatazione, Hana non lo sa.

 

Un lampo di antico orgoglio trapassa lo sguardo zaffiro: “Do’aho!” ma Rukawa non ribatte. Forse perché in fondo sa che il rossino non è poi così lontano dalla verità.

 

 

La cena è finita, ma nessuno dei due se ne accorge realmente. Nessuno dei due ricorda il sapore dei cibi mangiati.

 

Il cameriere di prima si avvicina, chiedendo gentilmente se le pietanze sono state di loro gradimento, ed entrambi annuiscono mentendo, come unica risposta. 

 

“Desiderate qualcos’altro?” la domanda di rito.

 

I due si guardano, come se si vedessero ora per la prima volta.

Poi rifiutano cortesemente.

 

“Forse è meglio proseguire la serata altrove, se ti va...” chiede la volpe.

 

Hana si sente troppo invischiato in questa cosa, per lasciarla a metà.

Provando repulsione per lo sconosciuto che ha davanti, e rivivendo i ricordi che quell’uomo gli ha dato, Hana fatica a far collimare queste due realtà: il passato, il presente. Assurdamente troppo diverse.

 

“Ok. andiamo al Koffee in the Night.”

 

“Ma è ancora aperta, quella baracca??” si stupisce Ru, sentendo quel nome.

 

“Certo che lo è!!! E non osare offenderlo!.. Kitsune.... lì dentro ci abbiamo passato le serate migliori, le sbronze più memorabili...”

 

“Nh, già. C’è ancora la tipa strana, la padrona?”

 

“E’ più in gamba di me e te, messi assieme!!!” e Hana ride, ripensando alla vecchina tutta pazza che gestisce quel bar, col nome sgrammaticato, perché fosse originale.

 

“E sia.... Su, Do’aho, andiamo...”

 

Rukawa fa scivolare con noncuranza i soldi e la mancia al cameriere e, senza neanche accorgersene, sono già fuori dal locale.

 

La brezza serale scompiglia loro i capelli, ma è tutt’altro che fastidiosa.

Rukawa si ferma per un attimo, chiudendo gli occhi, e si lascia accarezzare il viso.

 

Ad Hana si stringe il cuore, e maledice chiunque o qualunque cosa abbia rovinato la vita di una creatura così bella.

Poi gli si accosta, e lo riscuote dal suo torpore.

 

Camminano vicini, verso il parcheggio, e inevitabile è uno sfiorarsi di mani. Una lieve carezza.

 

Rukawa lo guarda, insicuro, quasi intimorito.

 

E Hana gli sorride. Vuole provare a regalargli una serata serena. E’ tutto quello che può permettersi.

Un braccio gli cinge le spalle, e lui lascia fare.

Perché, si dice, non c’è nulla di male.

Perché, si convince, c’è differenza tra affetto e amore.

 

 

Il tragitto verso l’auto è fin troppo breve, e Rukawa se ne rammarica.

Perché, per trenta secondi, è riuscito ad assaporare solo quello: ciocche rosse a solleticargli il mento. Senza combattere contro nulla. senza doversi dimostrare niente.

 

Nella mente della volpe un pensiero abbozzato da un po’torna prepotente: riuscire a riprendersi Hana potrebbe ridargli un po’di serenità?

 

Ma Kaede non ha ancora compreso la verità più semplice: alle sue condizioni, non sarebbe riconquistare un antico amore; si limiterebbe a sfruttarlo, come un giocattolo, a ferirlo, e poi a disfarsene, quando gli fosse venuto a noia.

 

Rukawa sta commettendo un errore madornale: cerca la soluzione giusta, ma nel modo sbagliato.

 

 

Durante il tragitto, una parte della tensione iniziale è sfumata, anche se Hana sa che il volpino non ha ancora rinunciato ai suoi propositi di seduzione.

 

Lo ha capito dagli sguardi maliziosamente velati che l’altro gli lancia.

E, se da una parte tutte queste attenzioni e l’apprezzamento di Ru gli fanno piacere, dall’altro non può dimenticare il perché, di tali azioni, e questo può solo intristirlo.

 

Una mano, delicatamente posata sulla sua gamba, lo riporta al presente.

 

Per 5 secondi è troppo sorpreso per reagire.

Registra solo un lieve movimento di questa, una carezza accennata verso la coscia.

 

E ne blocca la salita, con un gesto troppo secco e rapido, da risultare sgraziato.

 

Rukawa ritrae la mano, come se fosse la mossa più naturale da fare. E sbuffa appena -divertito- più che seccato.

 

Le guance di Hana si colorano un po’, involontariamente, e si chiede se, e quando, dovrà mettere le cose in chiaro, con quella volpe dalle mani lunghe. 

 

Ma quel pensiero ne riporta indietro altri, meno sgradevoli...

Di come quelle mani sapevano coccolarlo, stuzzicarlo, eccitarlo...

 

E il rossore si fa più intenso, mentre un brivido, tutt’altro che spiacevole, gli percorre la schiena.

 

E adesso si sente pure in colpa, per quest’idea non propriamente casta.

Perché, nel suo presente, Hana non è totalmente libero.

E anche se non ha giurato fedeltà a nessuno, è un po’ come un tradimento, questo.

 

“Se non stai con qualcuno, stasera voglio portarti a letto, e non te ne pentirai... giuro.” soffia la volpe, con sfrontata naturalezza.

 

Hana si morde il labbro inferiore per non gemere.

Perché una frase così riaccende troppi ricordi, di troppe notti.

E Kaede Rukawa ha sempre mantenuto le sue promesse.

 

E questa suona anche un po’ come una scommessa, e la sua mente gli ricorda che la volpe non ha mai perso nemmeno una di quelle, purtroppo.

 

“No. Non se ne fa nulla.” conclude conciso.

 

Kaede si volta a guardarlo. E Hana rivede gli occhi di allora, non quelli feriti di adesso.

Gli stessi che gli hanno già spezzato il cuore una volta.

 

Hana vorrebbe dirgli che non è rimasto fermo. Che si è innamorato, in questi anni, ma mai di un amore assoluto, totalizzante, devastante come quello per lui.

Hana vorrebbe dirglielo, ma non può.

 

 

“Chi è?... Lo conosco?...”

 

“....E’ Sendoh.”

 

“Il porcospino?? Ma.. Do’aho!!!.... Lo odiavi, quello!” lo stupore dipinge gli zaffiri, e colora la sua voce...

 

“Beh, se è per questo, odiavo anche te..... e poi, le cose cambiano, no?!” La scimmia non è una buona arrampicatrice di specchi, questo se lo deve annotare.

 

“Da quanto?”

 

“Nani?!”

 

“Da quanto vi frequentate?”

 

“Ohi! Volpaccia... ma da quand’è che sei così curiosa?? ”domanda lecita, la sua.

 

“Nh.”

 

“Ah, ecco, giusto.” -polemizza il rosso- “Comunque ci vediamo spesso, ma non siamo una coppia. Non ufficialmente, almeno.” Le parole giuste sono: ‘non lo saremo mai, perché lui non mi ricambia.’

Ma il Do’aho questo non può dirlo. Non a Rukawa.

 

“Ti ama?”

 

“Gli piaccio.”

 

“Non è un po’ troppo poco?!”

 

“E’ pur sempre un inizio.” ...e una menzogna colossale.

 

 

La cangiante scritta blu del KN è sempre come nei ricordi di Rukawa. Ma sfiorarne l’intarsio nella porta è una scossa stordente.

 

La vecchia padrona li accoglie abbracciandoli, come se fossero stati lì appena la sera prima.

E a Rukawa fa uno strano effetto rivedere quel sorriso materno, sul viso raggrinzito.

 

I due si accomodano al loro vecchio tavolo, quello dove a musica arriva soffusa, come piaceva un tempo al taciturno moretto.

 

“Hana... il solito?” -chiede lei, annotandolo- “E per te?”

 

“Un Alexander, grazie.”

 

La donna se ne va annuendo, verso il bancone.

 

“Vieni spesso, qui?” domanda Ru, forse per pro-forma.

 

“Diciamo che sono un cliente abituale, ecco.” è la risposta, accompagnata da un’alzata di spalle.

 

Hana vorrebbe dirgli che negli ultimi 5 anni c’è venuto quasi ogni sera, in quel bar.

Perché è un posto che lo fa sentire a casa. più di casa sua.

Perché quella vecchia gli ha fatto da madre, da zia, da nonna.

Perché quel tavolo è il suo confessionale. Ma nessuno gli ha mai dato penitenze da scontare.

Perché incisa in quel legno c’è una parte della sua vita.

E il legno è un buon custode. fedele, e discreto.

 

Obaa-san ritorna con il liquore bianco, spruzzato di cacao, e il Dirty Mary & the rocks.

Li serve, e se ne va discretamente.

 

E i due rimangono lì, i bicchieri a mezz’aria, senza sapere a cosa brindare. C'è un motivo per brindare?

 

Rukawa fissa lo sguardo sul calice del Do’aho...

 

“Credevo che il tuo ‘il solito’ fosse rimasta la coppa maxi fragole e panna... costringevi sempre questa pover’anima ad andare nella gelateria qua davanti, solo per farti felice...”

 

Hana tossisce un po’, il liquore gli è andato per traverso, preso alla sprovvista dal ripescaggio di un ricordo così.

E mugugna, in parte colpevole, perché ha sempre saputo che quella vecchietta aveva un debole per il suo sorriso...

 

“Ho cambiato gusti quando l’hanno demolita per metterci un parrucchiere... l’altra era troppo lontana, anche per un Tensai come me...”

 

“Do’aho” -sbuffa Ru, rassegnato e divertito...- “Non crescerai mai...”

 

“Per carità!!!... Dio me ne scampi, Kitsune!!!” e ride, Hana, contagiando la volpe, che lo accompagna con un breve sorriso accondiscendente.

 

E la sera scivola via, malgrado tutto.

Perché di cose per parlare ne hanno, Hana ne ha. Rukawa la sua parte l’ha già fatta. E adesso si accontenta di sentir fluire quella voce calda, allegra, un po’ spaccona. Si lascia coccolare da questa nenia, assaporandola per quello che è, senza pretendere di capire cosa la scimmia stia raccontando....

 

Il suo sguardo scivola lontano... abbraccia lo spazio circostante, tutto è sempre uguale, in modo rassicurante.

Poi si sofferma su una coppia appartata in un angolino, che si sta scambiando tenerezze.

E la malinconia risale, come la marea.

E bagna le sue emozioni.

 

Il momento di pace se n’è andato. Frantumato contro gli spargiflutti della realtà.

 

E il suo proposito per stasera gli lampeggia urgente: trovare qualcuno con cui sfogare le proprie voglie e il proprio dolore.

Qualcuno che, per una volta, non sia un volgare estraneo.

 

Rukawa sa fin troppo bene che è la notte, la sua nemica.

Perché di notte è sempre più difficile mentirsi, ingannarsi.

 

Un’imprecazione lo attira: Hanamichi deve andare in bagno, sbadato com’è, si è macchiato la camicia con il liquore.

...e il Dirty Mary non perdona....

 

Kaede lo vede alzarsi, scusandosi, e avviarsi alla toilette.

 

E  lui conta mentalmente fino a 5, poi lo segue.

 

Uno sguardo ferino brilla inquietante.

La volpe è tornata in caccia.

 

Hana staziona davanti ai lavandini con la camicia mezza sbottonata, imprecando sottovoce contro i fottuti drink troppo buoni, ma bastardi...

e Ru sogghigna, mentre si avvicina all’indifesa preda.

 

La Baka Saru lo nota, riflesso nello specchio, ed esclama innocentemente: “Anche tu hai bisogno....?”

 

Rukawa sorride, ma non è certo un sorriso amichevole, mentre gli si pone dietro “Ho bisogno di te”... e si china su di lui per baciargli il collo, nel suo punto più sensibile.

 

Ecco le parole magiche.... “Ho bisogno di te”

 

Sfugge un gemito, alle labbra di Hana, prima ancora che lui se ne accorga, prima che possa fermarlo.

E la testa si inclina, per volontà propria, verso quella bocca.

 

La volpe sorride interiormente, a quel tacito assenso.

 

Gli cinge la vita con le braccia, mentre la sua lingua scende a lambirgli le clavicole, e la fossetta tra le due, poi risale, vogliosa, verso il pomo d’adamo, e lo succhia e lo mordicchia, mentre le labbra di Hana ingabbiano malamente suoni inarticolati...

 

Il sesto senso del Tensai gli sibila che, una situazione così, può portare solo guai...

O forse è il sesto senso del Do’aho, ad urlare, chissà.

 

Comunque Sakuragi reagisce, e si scosta da quell’abbraccio troppo invitante e si gira, per fronteggiarlo.

Lo sguardo in parte arrabbiato, in parte ferito.

Ed eccitato, se fosse stato onesto, almeno con se stesso.

 

Ma forse il sesto senso della volpe è più sviluppato di quello del tensai, e anche di quello del do’aho, perché Rukawa non si nasconde, davanti a quello sguardo. che vuole dire tutto, e niente.

 

E lo fissa, in attesa.

Una muta sfida.

Sakuragi sa che perderà, ma ha un orgoglio da difendere, e rinunciare è un’onta ben più grave che essere sconfitti.

 

Hana ha deciso.

 

Afferra la camicia della Kitsune all’altezza del colletto, con entrambe le mani, e lo spinge malamente verso la porta del bagno, senza tanta gentilezza.

Rukawa sbatte le spalle contro il legno levigato, ma non smette mai di guardare Hana negli occhi.

 

Una furia malcelata colora i due pozzi di cioccolato, e Kaede inconsciamente trema.

 

Prima ancora di poter reagire, le labbra del rossino si scontrano con le sue.

E non è certo un bacio dolce.

 

E' aggressivo, urgente... e sensuale.

 

La lingua del Do’aho si fa strada di prepotenza nella sua bocca, e Rukawa non ha calcolato di dover perdere il predominio di quel bacio.

Ma è una dolce resa, la sua.

 

Il volpino si riprende, e fa muovere le sue mani -prima inerti lungo i fianchi- verso i pantaloni del rossino.

 

Hana smette per un istante il suo assalto -deve riprendere fiato- e il moretto ne approfitta, per tentare il suo attacco, stavolta.

 

Forse le volpi hanno tempi di ripresa più veloci, chissà...

 

Sakuragi si ritrova comunque a mugolare come una gatta in calore, mentre Ru gli mordicchia il lobo dell’orecchio, e le sue mani si muovo leste, entrando nei suoi pantaloni.

Una timida carezza apre la strada ad altre, più esigenti.

Le gambe si fiaccano, e sembra così seducente abbandonarcisi.... perché no?!

E il rossino ansima, sempre più, soddisfacendo l’ego della volpe.

 

Mentre sta perdendo l’ultimo barlume di ragione, scivolando nelle trame del piacere, realizza il momento.

 

Sakuragi spalanca gli occhi, emettendo un flebile “No.”

 

Rukawa sembra non averlo udito o, più semplicemente, preferisce ignorarlo.

 

“No......................... ahhh................... no.........” c’è poca convinzione, per la verità, in questa supplica.

 

“Shhhh.....” lo rabbonisce il moretto, continuando il suo sapiente lavoro.

 

“NO!!!” urla, stavolta, Hana.

E si scosta di lato, con uno strattone.

 

Rukawa si ferma e ritrae le mani, nuovamente lungo i fianchi.

 

Hana ristringe le proprie sulla camicia del moretto, sono sempre rimaste lì, non se ne sono andate.

Affonda la testa contro il collo del compagno, quasi tremando.

 

“Kitsune, io.... io.... mi.......... mi dispiace..... ma...... ma non voglio diventare la tua puttana.

 

Le iridi di Kaede si dilatano all’infinito. Cielo d'estate con il mare in tempesta.

E lo abbraccia stretto, il suo Do’aho, quasi con disperazione.

Perché capisce che stava per commettere qualcosa di irreparabile: macchiare una persona candida come Hana, è un’eresia  che nessun dio può condonare.

 

“Perdonami, ti prego, perdonami....... Do’aho, perdonami.” e lo ripete al suo orecchio, questo mantra, come una litania, un mormorio stentato, sofferto.

 

Hanamichi risolleva il capo, e lo guarda.

 

Kaede vede gli occhi lucidi -di frustrazione, probabilmente- ma anche di dolore.

 

E si riavvicina, timido, per lasciargli un bacio sulla fronte, tra i capelli.

 

“Ti riporto a casa.”

 

L’altro annuisce, e lo segue docile.

 

Prima di uscire, la volpe aspetta che Sakuragi abbia ripreso contegno: il rossino si sistema velocemente la camicia e i pantaloni, si sciacqua il viso, e gli sorride impacciato, per fargli capire che è pronto.

 

I due salutano in fretta la vecchina, in quel momento troppo indaffarata nel servizio ai tavoli, per accorgersi del loro stato.

 

Il viaggio di ritorno è breve e silenzioso.

E’ la calma dopo la tempesta.

 

Ma né la scimmia rossa né la volpe vogliono parlare, soprattutto di quello che è appena successo.

O di quello che poteva succedere.

 

Arrivati al cancello di casa Sakuragi, il rossino scende, senza proferire parola. Fa per incamminarsi lungo il vialetto, ma sa che così non può finire.

 

E lo sa anche Rukawa.

 

“Do’aho...” lo richiama.

 

Hana si volta e ritorna sui suoi passi. Si accuccia davanti al finestrino abbassato dell’auto, e aspetta.

 

“.... ho fatto lo stronzo.... lo so. Nh... E ho esagerato..... Non so come scusarmi, davvero.”

 

Hana prende fiato e poi “Eravamo in due, in quel bagno. Metà della colpa è mia.... Hai esagerato, è vero. Ma solo perché io te l’ho permesso.....

......e, visto che mi conosco..... non chiamarmi, non cercarmi. Almeno finché non avrai deciso di considerarmi solo un amico.

Non voglio doverti incontrare, e passare la serata a chiedermi se ci stai provando con me.”

 

Ru lo ascolta, immobile. Ma attento come mai, in vita sua.

 

“Lo faccio per me, Kitsune, perché lo sai che io credo che non ci possa essere sesso, senza amore. Non dopo aver capito che cos'è l'Amore. E lo faccio anche per te, per non infangare il ricordo di quello che siamo stati.”

 

La volpe annuisce, lenta. In parte sorpresa da questa maturità improvvisa della testa rossa, ma forse neanche più di tanto.

E non si accorge della mano dorata che gli accarezza la guancia, con affetto.

 

Per un attimo i suoi occhi diventano liquidi, realizzando nuovamente la perdita di qualcosa di importante.

 

“Oyasumi nasai, Kitsune”

 

“Hana....?”

 

“Nh?!”

 

“E’ un addio?”

 

“Dipende solo da te, Volpaccia......... solo da te.”

 

E se ne va, inghiottito dal portone di casa, senza più guardarsi indietro. Mentre Rukawa va incontro alla notte.

 

 

Sakuragi potrebbe biasimarlo, per come sta buttando la sua vita nel cesso. Ma ai suoi occhi, la volpe in caccia è diventata solo un cucciolo ferito, che graffia e morde gli altri, per non sentire il dolore delle proprie lacerazioni.

 

Hana non riesce a credere che un giorno avrebbe potuto provare pietà, per uno come Kaede Rukawa.

E forse non la proverà mai, per la matricola d’oro di Kanagawa, per la baka kitsune che aveva odiato prima, e amato poi. e per l’amante tenero.

Per quello, Hana sente solo rispetto, ammirazione, e affetto.

 

E quello è il Kaede che Hana vuole ricordare, non questo pallido surrogato di uomo che ha deciso di distruggersi con le proprie mani.

 

E’ un dolore incalcolabile, quello che ha vissuto, ma Sakuragi non può, non vuole, aiutarlo nel suo folle progetto di autodistruzione.

 

A volte il destino sa essere crudele.-Realizza Hana- Ci sbarra le strade, ci taglia i ponti.

E si chiede se sia lo scotto che Rukawa deve pagare, per aver rincorso un sogno troppo grande, troppo bello, troppo totalizzante.

Per aver irritato qualche divinità gelosa, con il suo orgoglio, la sua determinazione.

 

Hana non sa darsi risposta, può solo pregare un dio un po’ più clemente, perché arrivi presto qualcosa a scuoterlo da quest’apatia o che qualcos’altro ponga presto fine a quest’agonia inutile, prima che sia davvero troppo tardi.

 

 

-OWARI-

 

 

Disclaimers: Ru e Hana non mi appartengono, purtroppo… e neppure Sendoh, ma questa non è una gran perdita...

 

NOTA: a titolo informativo, l’uso delle lettere maiuscole, delle minuscole e la punteggiatura in generale di questa fic, non sempre rispetta le regole imposte dalla Lingua Italiana. E’ una scelta consapevole, la mia, per assecondare una sorta di armonia interiore.... chiamatela “licenza poetica”, oppure ignoratela....

 

Se decidete di mandarmi C, C & C, mi trovate al solito divano blue navy: elyxyz@libero.it

Matane!

   
 
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