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Autore: Amy Tennant    18/12/2012    8 recensioni
John Smith e Rose Tyler sono insieme e un altro Tardis sta crescendo nel mondo parallelo, nei laboratori di Torchwood. John però sente che qualcosa sta cambiando ed è qualcosa di cui neanche il Dottore era pienamente consapevole.
Una fine può essere l'inizio di qualcosa di totalmente inaspettato.
Anche per Rose.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Rose Tyler si guardava allo specchio.
La luce dorata della lampada illuminava tutto in modo soffuso ma chiaro. Avvolta nell’asciugamano rosa, si pettinava e ripensava a qualcosa di lontano. Era inquieta per quel che stava accadendo a John e per qualcosa che sentiva attorno. Viaggiando si era sviluppato in lei uno strano senso per il pericolo e dopo tempo lo sentiva nuovamente vicino alla sua vita. E forse per questo le correnti dei pensieri la portavano verso le ombre più dense della sua memoria recente.
Ripensava all’inizio di tutto in quel mondo; quando lei e John erano soli più di quanto fossero insieme.
 
Non l’aveva più toccato, da quella volta.
Anche prenderlo per mano era difficile per lei e le veniva da piangere ogni volta che ripensava a quella scena, a quello specchio fra i due uomini che forse erano solo uno e lei, in mezzo, a cercare le parole sulle labbra dolorosamente serrate di uno per poi trovarle su quelle di colui che aveva baciato.
Il Dottore alla fine era andato via per sempre e l’aveva lasciata con quell’estraneo appena nato ma con la memoria di secoli dentro e perdutamente innamorato di lei. Più vendicativo di come in seguito lo aveva reso l’amarla. Bisognoso di lei e solo al mondo.
Sembrava lui.
Era lui.
Eppure non riusciva a toccarlo.
Rose soffriva ma non aveva più lacrime.
Lui sì. Sentiva, sapeva, che per lei aveva pianto. Spesso ne aveva l’ombra in quello sguardo così vecchio, così assurdo per quel viso giovane. Non era però sicura che ciò le importasse.
Lei pensava a quanto il Dottore dovesse aver pianto per lei, altrove.
L’Umano era stato accolto nella grande casa di Pete, dove altro poteva andare? Eppure incrociarlo le faceva tremare il cuore. Aveva quindi notato come sembrava nascondersi da lei per evitarle il dolore che le dava anche il suo sguardo addosso, la sua speranza.
La conosceva bene, la comprendeva del tutto. Ed anche questo era altro dolore per Rose.
Jackie seguiva la cosa con apprensione, vedendolo vagare per casa come uno spettro, mangiare pochissimo e tormentarsi. Le aveva sentito dire più di una volta che lui le faceva una pena infinita e questo aumentava la sofferenza, la offendeva. Perché neanche sua madre riusciva a comprendere come tra i due fosse lei, a dover affrontare il dolore più grande. Almeno così pensava.
Pete almeno si teneva a parte.
Aveva conosciuto il Dottore e tutto quel che ne conseguiva ma lui non aveva fatto parte della sua vita come della loro e la presenza di quell’essere umano che era tale e quale a lui non lo turbava, non poteva turbarlo. Sembrava interessato all’Estraneo per altri aspetti, più pratici. Era anche razionale che qualcuno pensasse al destino che quell’uomo avrebbe potuto avere in quel mondo. Torchwood poteva essere migliorato dalla sua conoscenza e poi lì avrebbe potuto portare avanti la sua personale impresa. Perché il Dottore gli aveva lasciato la possibilità di crescere un Tardis?
Era il suo regalo d’addio o qualcosa che sarebbe servito all’Altro? Non bastava avergli lasciato lei, che ancora lo amava?
Per un crudele paradosso la risposta la sapeva solo l’Estraneo.
Rose lo amava. Ma perché immagine di un perduto amore.
Ma poteva essere tanto ingrata, superficiale, stupida, da sostituire ilDottore con lui?
Eppure doveva parlargli, sciogliere con lui i nodi di quel dolore che le stringeva il cuore in una morsa e forse stringeva anche quello di lui. Poi che fosse quel che doveva essere. O non essere.
 
Sembrava che la grande casa fosse vuota. Lui era nello studio, dove trascorreva molto tempo a leggere. Lo studio sembrava un ambiente di altri tempi. Arredato con mobili antichi, rivestito di legno, traboccante di vecchi libri e rari titoli riccamente rilegati. Ogni cosa là dentro, parlava di un tempo lontano ma che lui aveva conosciuto, visto. Nel quale anche l’aveva portata, quando era capitato.
A lui piaceva molto stare in quella stanza più che altrove. Forse quella patina antica lo rassicurava come nient’altro in quel momento. Nessuno glielo chiedeva ma Rose ci pensava.
Leggeva moltissimo, sembrava placarsi a quel modo e ascoltando musica classica.
Ma quella sera non aveva alcun libro tra le mani e c’era molto silenzio. L’aveva trovato al buio, seduto davanti al camino acceso, unica luce in quella stanza.
Quando l’aveva visto, lo sguardo rivolto alle fiamme, uno sguardo lucidissimo, le si era stretto il cuore. Sentendola si era girato verso di lei e si era alzato in piedi, Rose aveva avuto un brivido.
Perché era lui. Perché la guardava come lui. Perché le avrebbe sorriso come faceva sempre ed era crudele, insopportabile. Lui però non le aveva sorriso.
Aveva abbassato lo sguardo e le aveva fatto cenno di sedersi sul divano poi si era nuovamente accomodato su quell’antica sedia ma rivolto verso di lei e con le fiamme alle spalle. Erano distanti.
-          Hai freddo, Rose?  - le aveva chiesto ad un tratto, vedendo che si tormentava le mani. Aveva annuito nervosamente – allora avvicinati tu al fuoco…
-          Preferisco stare qui – gli aveva detto con voce indecisa. Lui l’aveva guardata un lungo momento poi aveva annuito. Conosceva quell’espressione.
Aveva già visto la sua reazione al timore nei suoi confronti, molto tempo prima, quando era cambiato. In quel momento gli parve lo stesso di allora ma il suo cuore guardandolo correva e lo guardava smarrita.  Dopo averlo toccato più profondamente, le sembrava di riuscire a sentire quel qualcosa di strano che lo avvolgeva, qualcosa che si portava addosso per l’aver viaggiato secoli e che aveva sentito anche sulle sue labbra.
Ma non era lui. Anche se proprio su quell’uomo aveva sentito quel qualcosa.
Rose aveva sospirato dolorosamente e lui l’aveva guardata con comprensione. Allora gli aveva rivolto uno sguardo più dolce.
-          Vedo… che hai trovato dei vestiti di tuo gradimento… - aveva accennato in imbarazzo.
-          Difficile da queste parti e di questi tempi ma almeno ho ritrovato anche qui le mie scarpe preferite -  aveva sorriso e Rose non aveva potuto fare a meno di ricambiarlo. Le era venuto spontaneo. Elegante in un senso strano, decisamente fuori dal tempo. Lui. Il sorriso le si spense sul viso. Ancora una volta lui comprese il perché – stai… pensando…?
-          Sì.
-          Penso anch’io, a lui. E’ difficile per me.
-          Anche per me, credimi.
-          Lo so, Rose – mormorò – ma è difficile per me essere quel che sono ed insieme esistere diversamente da come è sempre stato - Rose lo guardò. Sembrava stanco – non avevo mai chiuso gli occhi, sai? – disse con espressione un po’ strana.
-          Non avevi mai dormito?... proprio mai?
-          No. Dà tanta pace ed è bello, dormire…
-          Sì, è vero – disse Rose.
-          Prima non capivo e pensavo fosse una perdita di tempo… già… tempo  – mormorò quasi tra sé. Lei si era sforzata di ignorare quel suo solito vagare, quella tristezza.
-          Hai sognato?
-          Ancora no. Spero presto!  – aveva aggiunto con breve sorriso – sono pur sempre viaggi immaginari, no? In realtà sarebbero… ah, no – aveva abbassato lo sguardo – troppo spoetizzante.
-          Ti manca già viaggiare? – lui aveva annuito.
-          Mi manca farlo con te – le sue parole erano cadute in una crepa del silenzio tra loro  – ma l’avventura è anche qui, è questa. Ora è tutto nuovo, per me. E’ strano anche respirare!
-          Respirare?
-          Viene spontaneo ovviamente ma io avevo due cuori, Rose – la sua voce si era leggermente incrinata aveva quindi riso appena, per farsi forza – non ci crederai ma io sento che ne manca uno. Sento più freddo, ho sperimentato il mal di testa ed anche una certa… nausea. Tua madre mi dice che dipende dal fatto che io non mangi volentieri, per ora …
-          Mi dispiace…
-          Non preoccuparti – aveva detto in un sussurro che le era parso una carezza.
Rose avrebbe voluto fargli una carezza davvero ma non poteva perché sarebbe stata a chi lui non era. Aveva quindi stretto forte le sue dita come per impedirselo fisicamente e lui l’aveva guardata perplesso.  Pensando avesse ancora freddo, si era tolto la giacca e fatto per mettergliela sulle spalle ma aveva esitato e quindi preferito porgergliela perché lo facesse lei. Rose l’aveva accettata di buon grado ma quando l’aveva avuta addosso si era sentita di colpo più debole davanti a lui, perché quel qualcosa di terribilmente dolce ed eccitante insieme lo sentiva vicinissimo ed era ciò che faceva parte del piacere di toccarlo e del desiderio di stringerlo a sé profondamente. Lo voleva, in quel momento.
Non lui eppure lui.
Era terribile.
Il respiro di Rose si era fatto più veloce. Forse lui l’aveva percepito perché aveva cercato di alleggerire il momento.
-          Sto… vivendo un interessante paradosso – aveva detto con tono allegro - mi sembra a volte di poter essere spezzato dalla qualunque eppure non mi sento meno forte. E’ strano, mi disorienta!
-          Devi abituarti…
-          Lo farò.
-          Siamo prigionieri di un mondo estraneo – disse Rose.
-          Di un mondo nuovo – rabbrividì per il tono che aveva usato ma anche perché la sua voce per lei era la più bella. Insopportabile, una calamita.
Loro si attraevano irresistibilmente, da sempre.
Rose aveva sentito che anche lui voleva toccarla, anche solo come accadeva prima. Ora aveva la certezza che quei lunghi sguardi su di lei non erano di curiosità o semplice preoccupazione ma erano un velo sottile che copriva i sentimenti di una strana creatura che prima di lei non aveva mai amato. Lui era stato confuso, smarrito, spaventato dalla cosa. Dal doverla perdere per forza.
Per questo non l’aveva mai baciata. Neanche alla fine.
…E invece l’aveva fatto chi poteva RESTARE…
-          Ricordi quando restammo bloccati in quella stazione spaziale sospesa sul buco nero? – disse lui con tono scherzoso e un sorrisetto.
E come avrebbe potuto dimenticarlo? Era stato forse il momento in cui lui era stato più vicino a dirle …
-          Pessimo posto per trascorrere la propria vita – disse Rose con gli occhi lucidi.
-          Oh sì! A me sarebbe toccato anche più tempo e l’infinita disperazione, dopo  – aggiunse più seriamente ed aveva abbassato lo sguardo un breve attimo. Poi l’aveva guardata fisso, affondando i suoi occhi dentro quelli di lei – no, restare bloccati qui con te non è poi così male, Rose Tyler.
Rose ricordò le parole che gli aveva detto lei, allora.
Le sorrise come le aveva sorriso quel giorno quando si erano abbracciati dopo aver temuto di non potersi rivedere mai più. L’aveva guardata allora con occhi fiammeggianti, come quelli che aveva in quel momento. L’aveva stretta più forte. Aveva sentito il suo respiro vicinissimo a lei, come mai.
Se avesse avuto il coraggio di dirgli in quel momento che lei lo amava, lui non avrebbe potuto far altro che ammettere ciò che era evidente. Non avrebbe potuto negarlo ma per primo non le aveva detto nulla.
E non lo stava facendo neanche chi aveva davanti in quel momento anche se quello che provava per lei era lì, puro e brillante. Incorrotto da qualunque cambiamento.
Lo vedeva.
Non era riuscita più a trattenere le lacrime che avevano iniziato a rigare il suo viso.
Lui allora aveva sospirato con espressione seria e si era avvicinato, non riuscendo più a starle lontano. Rose si era alzata in piedi davanti a lui e così si erano guardati come fosse la prima volta e guardati dentro.
Esitando lui aveva teso la mano sul suo viso e lei allora l’aveva presa e portata alla sua guancia. L’aveva accarezzata piano, come fosse una bambina da consolare e poi, dolcemente, l’aveva abbracciata e stretta a sé. E contro il suo corpo, di nuovo, lei aveva sentito quel qualcosa che forse si portavano addosso entrambi anche per l’essere stati tanto insieme. Il suo cuore correva e lui tremava. Tremava anche lei per come la stringeva.
Se l’avesse baciata di nuovo, non si sarebbero fermati.
Se fosse accaduto come sulla spiaggia, avrebbero fatto l’amore lì, finalmente.
Ma lui ad un tratto l’aveva lasciata.
Immobili entrambi come privi di coraggio. Ma non era quello, non per lui.
-          Ho sempre sperato di ritrovarti – le aveva detto con voce decisa ma sguardo dolce - ho anche pensato di far crollare gli universi, per finire quella frase su quella spiaggia e non l’ho fatto solo perché tu dovevi vivere.  Ogni giorno, per tutto il tempo che sei stata lontana da me, io ho ripetuto quelle parole ai miei silenzi, ti ho detto molto altro di me, ti ho parlato quando non c’eri eppure tu ci sei sempre stata, Rose. Dentro di me.
-          Dottore…  - la sua voce era stata un sussurro incredulo. Lo aveva chiamato a quel modo per la prima volta e lui le aveva sorriso.
-          Io non avevo neanche i sogni dove cercarti, Rose  – le disse – ora invece tu sei qui ed è bellissimo, lo sarebbe anche galleggiassimo di nuovo di fronte ad un buco nero che divora l’universo. Almeno io ho potuto toccarti di nuovo  – aggiunse più piano. Lui.
Non glielo diceva la ragione ma l’istinto. Solo lui avrebbe potuto dire quelle parole, solo lui si sarebbe fermato sulla soglia delle sue paure per aspettarla.
Solo lui poteva amarla così.
Con gli occhi lucidi si era chinato su di lei un breve momento e le aveva baciato piano la fronte, scostandosi dolcemente da lei che voleva trattenerlo perché non era il momento, non quello. Il suo sguardo era fermo ma non le sue mani. Lei l’aveva sentito quando aveva preso la sua stringendola forte, come prima di scappare da qualcosa. Rose aveva intrecciato le dita nelle sue come molte altre volte prima e lui le aveva sorriso.
-          … Rose, corri… - un sussurro come quello che l’aveva chiamata in sogno.
… corri, corri…!
-          Dottore  – aveva ripetuto lei incredula con occhi lucidi.
-          Sono io, Rose, sono qui. Corri da me!
...corri…  
Poi l’aveva lasciata delicatamente ed era uscito da quella stanza senza voltarsi verso di lei.
 
Quel ricordo si dissolse nel suo riflesso dorato del presente e Rose poggiò la spazzola sulla specchiera con un leggero sospiro.
Alle sue spalle John la guardava, con i capelli scompigliati dalla doccia appena fatta. Si sorrisero.
-          Come va?
-          Bene, stai tranquilla – lei abbassò lo sguardo e gli occhi di lui brillarono.
-          Ti amo, Rose Tyler – le disse piano.
-          Grande notizia – gli rispose. Poi si alzò, andò verso di lui e lo baciò. 
  
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