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Autore: fortiX    21/12/2012    5 recensioni
Bassai dai é il nome di un kata del karate shotokan. Il termine vuol dire entrare nella fortezza. E cosa sono Sephiroth e Cloud se non due fortezze mai violate? Cloud sta aprendo la sua verso una nuova vita e si accorgerà presto che, nonstante le numerose sconfitte, il suo nemico mortale non é mai stato veramente conquistato. I segreti e le paure verranno mai svelati? Cloud avrà questo coraggio?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cloud Strife, Nuovo personaggio, Sephiroth, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Sono perplesso. Rileggendo le sue memorie capisco quanta falsità ci fosse nella sua vita. Per anni ha creduto che QUEL nome fosse correlato alla sua misteriosa genitrice. Si era costruito un sacco di castelli in aria attorno a quella figura. Davvero ironico col senno di poi. Insomma, l’unico pensiero in grado di renderlo felice e farlo sentire protetto era falso. Anche se non so quantificare il grado di bugie. Sephiroth era un esperimento, era stato creato attraverso l’iniezione di cellule aliene mentre si trovava ancora nell’utero materno. Le cellule di Jenova. Ma… Lucrecia si sobbarcò l’impegno di fare da incubatrice. Lui è come se avesse avuto due madri. Una che gli ha donato l’intelligenza e la forza, mentre l’altra il suo grembo e, probabilmente, l’amore che gli mancava. A questo punto mi chiedo: cosa vuol dire Madre? E’ colei che si accomuna al figlio attraverso la semplice genetica o qualcosa di più? Io ho avuto la possibilità di conoscere, anche se per poco, Lucrecia. All’epoca non ci aveva fatto caso, ma ora che ci ripenso noto una certa comunanza tra i due. Entrambi hanno lasciato che gli eventi stravolgessero le loro vite senza un minimo di opposizione, hanno permesso a terzi di utilizzare i loro stessi corpi come fossero marionette. E sia Lucrecia che Sephiroth non hanno combattuto.
Non hanno combattuto.
E’ beffardo pensare che un uomo nato per la guerra non sia in grado di lottare per se stesso. Che cosa gli passava per la mente? Perché ha permesso questo scempio? Forse era molto simile a sua madre più di quanto credesse. Paradossalmente, il più forte della famiglia era quel vecchio rachitico di Hojo. Rimembro la frase che lessi pagine addietro: “Io non sono affatto la persona forte e coraggiosa che credono” e mi accorgo di quanto sia tragicamente vera. Lui si nascondeva dietro alla sua figura fasulla di onnipotenza e trovava nella spirale di follia della battaglia la sua bolla protettiva. Cercava disperatamente luoghi e situazioni inaccessibili per chiunque e ci si gettava senza esitazione. Per questo gli venivano sempre affidate missioni senza ritorno. Non solo perché era l’unico in grado di portarle a termine, ma poiché sarebbe stato solo ad affrontare ogni pericolo. Libero da ogni cosa. Libero di essere se stesso. Però questo non gli bastava. Lui scappava anche da ciò che desiderava. Fuggiva dalla normalità, dai suoi sogni, dalla sua felicità per evitare di soffrire, a causa della perdita di queste. Sapeva di non essere come tutti e che la ShinRa avrebbe fatto di tutto per portargliele via, affinché diventasse un accessorio esclusivo SOLDIER.
Stava scappando.
Mi gratto la testa. Perché? Perché è stato così pavido? Mi è davvero difficile immaginarlo spaventato a morte dal vecchio. Devo ammettere che Hojo ha un lato oscuro davvero terrificante. Le sue risate folli e schizofreniche fanno ancora da sottofondo a parecchi miei incubi, oltre alle fiamme di Nibelhim. E’ l’unica cosa che non riesco tuttora a dimenticare del mio periodo di prigionia assieme a Zack. Posso immaginare il terrore di un bambino davanti a quegli occhietti malefici e crudeli, mentre colui che dovrebbe proteggerti esegue esperimenti di dubbia moralità sul tuo corpo. Un trauma infantile davvero impressionante. E se lo è portato dietro fino all’età adulta. Forse i traumi subiti durante l’infanzia sono il motivo principale della sua follia. Non c’è altra spiegazione. Non aveva nessuno che credeva nella sua umanità ed arrivò a pensare che, per ottenere ciò che voleva, doveva uccidere il mondo intero. Si era convinto che tutto il mondo si sarebbe opposto al suo volere, quindi sarebbe diventato un Angelo dall’Unica Ala per giungere al suo obiettivo. Una soluzione davvero malata. Ma, in fondo, quando non si hanno certezze nella vita non si può certamente pretendere di riuscire a controllare i sentimenti come una persona normale. Inoltre, lo scienziato ha fatto di tutto per estirparglieli dall’animo. Sephiroth ha visto troppo presto il marciume del mondo e ciò a contribuito a chiuderlo ancora di più in se stesso. Desiderava, però, la normalità, ma la tempo stesso ne era spaventato. Sapeva che si sarebbe sentito fuori luogo e temeva di non essere più capace di provare sensazioni. Comprovare di aver perso l’unica cosa che ci rende umani lo terrorizzava. Sospiro. Capisco all’improvviso quanto il suo piccolo mondo gli fosse stretto. L’umanità che gli aveva donato Lucrecia era più un peso nella realtà orrida della ShinRa, ma, nonostante questo, se la teneva stretta.
Sorrido.
Forse c’era ancora coraggio nel suo cuore.
Forse era l’unica caratteristica che non lo accumunava a quella bestia di Hojo. Mi pare di capire tra le righe del diario che Sephiroth abbia cercato di cambiare suo padre. Credo che abbia provato testardamente a mantenere quella moralità, quello spirito di giustizia, non solo per mantenere in vita lo spirito della madre, ma anche per infonderla in parte al padre. Desiderava fosse un uomo migliore, compito che aspetterebbe alla moglie dell’uomo. Immagino che lui si fosse identificato in sua madre, vedendo in quella sua disperata caparbietà parte di lei. Capisco quanto amasse quella donna misteriosa e il suo morboso desiderio di sapere tutto su di essa. E il terribile senso di colpa che lo attanagliava. Quella frase mi ha colpito particolarmente. Mi fa capire quanto fosse coscio del suo macabro ascendente nei confronti della Vita. Anche se credo che avesse esorcizzato la cosa, immaginando di aver colto l’anima morente di sua madre e che lei in quel momento vivesse in lui. A questo era dovuta la sua bontà d’animo e la coscienza del Bene. A queste, egli aveva legato tutte le cose rette che gli erano capitate: il Professor Gast e Aerith. Quest’ultimo legame mi ha sbalordito. Non credevo che loro si conoscessero così intimamente.
Aerith non me ne ha mai parlato.
E da come è descritto comprendo che si tratti di un legame che si avvicina molto a quello simbiotico e fraterno. Il pensiero mi inquieta. Il mio punto di vista riguardo la morte della Cetra cambia completamente. Da sempre sono stato convinto che la fioraia si fosse sacrificata per salvare il mondo e fermare il folle figlio di Jenova, portando così avanti una guerra rimasta sopita per millenni sotto le spoglie del Pianeta. E se… E se Aerith avesse deciso di morire per salvare l’anima di Sephiroth? Lei lo conosceva più di tutti noi. Aveva visto il SUO vero io. Erano amici di vecchia data. Fratelli, legati da un destino millenario. Entrambi ospitavano l’essenza del Pianeta. Erano l’uno l’ombra dell’altra. La Morte e la Vita, le due facce della medaglia dell’esistenza. L’unica differenza tra loro era che Aerith era ben conscia del suo compito e lo aveva accettato di buon grado; mentre Sephiroth no. Lui era una creatura delle Tenebre che anelava alla Luce, di cui aveva avuto tanti piccoli dolci assaggi. Essi avevano mitigato il pesante fardello che il destino aveva posato sulle sue spalle. E, alla fine, come ci si può accontentare della Luna, quando si è visto il Sole? Guardo la donna della foto posata di fianco al diario, sul tavolo.
Forse tu sei stata il suo Sole. Per questo non voleva più crollare nelle Tenebre.

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Oggi è il 4° anniversario della Liberazione . Edge si riempie improvvisamente di gente in pellegrinaggio verso le rovine di Midgar, precisamente in direzione della chiesa di Aerith, dove ancora sgorga la sua acqua. Si recano là a pregare e a cercare il miracolo che quella sorgente puntualmente dona. Nel frattempo, la città viene addobbata da festoni e lanterne, le quali fanno da tetto ai numerosi mercatini e baracconi che accompagnano l’evento. Edge si ravviva di colori, grazie ai prodotti tipici dell’anniversario: i fiori. La terra di Midgar è ancora sterile per ospitare forme vegetali, quindi fiorai da tutto il mondo convergono qui portando semi, terreni, fertilizzanti e tutto ciò legato al giardinaggio. E’ importante che tra l’acciaio di questa città ci sia un po’ di verde, affinché la vita possa finalmente rinascere definitivamente. Ci vorrà del tempo, perché la ShinRa, durante il suo lungo domino, ha defraudato questa terra della sua linfa molto in profondità. Dovranno trascorrere parecchi anni prima che da questo deserto spunti spontaneamente una sola piantina. Comunque, intanto tutti cercano di creare il proprio giardino personale. Anche Tifa ci prova, ma purtroppo il suo pollice verde è piuttosto scarso. Mi fa tenerezza vedere il suo bel viso imbronciato davanti a quattro steli rinsecchiti. Non lo fa apposta, ma a volte i suoi impegni le fanno dimenticare di prendersi cura della piantina. Tutte le volte si sente in colpa, quindi io le dico che questo è successo, perché ha dovuto innaffiare e curare vite molto più importanti: le nostre. Spesso non si rende conto di quanto i bambini ed io dipendiamo da lei, di quanto siamo delicati, di quanto potremo morire senza la sue premure, senza l’amore che ci dona tutti i giorni. Non sarà come Aerith, cioè in grado di far crescere giardini rigogliosi, ma Tifa ha la capacità di far fiorire le persone. E’ grazie a lei che mi sto impegnando a diventare un uomo migliore. Anche perché se lo merita.
Questa sera, dopo cena, siamo andati a fare una passeggiata digerente per le vie illuminate e colorate di Edge. La sera solitamente la temperatura scende parecchio, ma questa sera è piacevolmente fresco, dopo una torrida giornata nel deserto. I bambini corrono da una bancarella all’altra, seguiti di tanto in tanto dal nostro sguardo, attratti come mosche sul miele dai profumi emanati dalla miriadi di specie vegetali che svettavano colorati da ogni dove. A volte Marlene afferra la mano di Tifa e la trascina verso una delle bancarelle per mostrarle fiori che l’hanno particolarmente colpita e che potrebbero interessare anche alla mora. Io le aspetto pazientemente in disparte con le mani in tasca, mentre cominciano a chiacchierare con il fioraio. Cerco Denzel con lo sguardo e vedo che si è fermato a parlare con una sua amichetta. Mi rilasso contro il palo e lascio che la mia mente vaghi. Questa festività, da quando è stata costituita, non mi ha mai giovato del tutto. Non amo il pensiero di commercializzare in questo modo un luogo così importante per me. Certo da un lato mi piace tutta questa esplosione di colori, ma dall’altro è solo un’occasione per guadagnare guil extra. Almeno per alcunii. Inoltre, gli altri anni non poteva fare a meno di ripensare al Geostigma, a tutto quello che avevamo patito sinora. Il SUO pensiero negativo era ancora vivido in me, nonostante questa festa fosse dedicata a LEI. Non potevo non pensare che, solo a poco tempo fa, la sorgente non esisteva, ma è a causa di Sephiroth che lei si è dovuta presentare. Non potevo non pensare che avremmo potuto morire, io e Denzel. Così come tanti altri. E’ impossibile dimenticare ciò che abbiamo dovuto passare per salvarci. Questa festa era stata costituita per rallegrare gli animi col pensiero che tutto si era risolto, che il nemico era stato sconfitto definitivamente. Ma non per me. Non facevo altro che rimembrare il grande combattimento finale contro Sephiroth, lassù sull’apice del palazzo ShinRa. La sua ultima frase non faceva altro che ronzarmi nella testa.

I will never be a memory
[Non sarò mai un ricordo, FFVII:ACC]


Devo ammettere che quel suo ammonimento non poteva rivelarsi più vero, anche se mi aspettavo di peggio. Lui non sarà mai un ricordo, è vero, ma credo che quel diario mi permetterà di ricordarlo in modo completamente differente. Sto cambiando lentamente punto di vista, anche se del rancore recondito e persistente è ancora nutrito nei suoi confronti. E’ difficile dimenticare il dolore che ha provocato a tutti noi, a ciò che ci ha tolto a causa della sua infelicità; ma almeno potrò capire meglio il motivo del suo disastro. I miei pensieri vengono improvvisamente interrotti da un’ombra rossa e silenziosa accanto a me. Mi volto e vedo Vincent fermo ad osservarmi profondamente. Ci fissiamo per qualche istante e mi chiedo chissà da quanto tempo è lì impalato ad aspettare che io mi accorgessi di lui.
“Ciao Vincent.”, saluto rompendo il ghiaccio.
“Mi devi delle spiegazioni.”
Mi faccio sfuggire un sospiro. Dovevo immaginarlo che non era lì per cortesia. Lancio un’occhiata fugace a Tifa e Marlene, le quali sono ancora impegnate a chiacchierare con il negoziante. Anche Denzel si è unito a loro.
“Cosa le stai nascondendo?”
Vincent si appoggia al palo, dandomi le spalle, e incrocia le braccia al petto. Non mi stupisco di quella domanda. Avevo già messo in preventivo che il pistolero avrebbe indagato.
“Niente di pericoloso.”
“Mh… Dipende se sei in grado di maneggiarlo.”, si volta verso di me e mi fissa con le sue iridi penetranti.
“Tu lo sei, Cloud?”
Sostengo il suo sguardo, cercando di carpire le sue conclusioni.
“Tu che dici?”
Gli occhi del pistolero si assottigliano e mi squadrano dalla testa ai piedi; dopodiché mi ridà le spalle.
“Dico che dovresti pensare alla tua famiglia, finché ne hai una. Qualunque cosa sia, devi lasciarla perdere.”
Faccio per replicare, ma lui era già scomparso. Cerco tra la gente un mantello rosso, ma niente. E’ più silenzioso di un gatto quell’uomo. Mi trovo a pensare che non fosse altro un’illusione della mia mente: la mia coscienza che demorde, ma, non so per quale motivo, mi sento in dovere di continuare nella lettura. Sento che è la cosa giusta da fare, anche se una parte di me non è affatto d’accordo e teme le conseguenze che potrebbero ricadere su coloro che conosco. Ripongo la mia attenzione sulla mia famiglia. Mi strappano un sorriso sincero, vederli così felici e soddisfatti del piccolo acquisto. Scopro di amarli tantissimo. Ciò mi fa male, se penso che potrei perderli.
Forse LUI è in 
grado di portarmeli via davvero?

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In questo periodo di feste, ho le serate libere per dedicarmi ai legami famigliari e abbastanza tempo notturno per leggere le memorie di Sephiroth. Dopo quello che ho scoperto tra le pagine del libro, credo che sia più che lecito avanzare e scoprire di più sul mio mito giovanile. Anche se un’aria di incertezza aleggia nel mio cuore.
Sono davvero in grado di gestire questa cosa?
Mi strofino la faccia con l’asciugamano e mi guardo allo specchio, puntellandomi al lavandino con le mani. Sento i bambini ridacchiare nella camere, nonostante abbiamo intimato loro ad addormentarsi il prima possibile. Ci siamo dilungati un po’ troppo alla fiera e hanno incontrato un sacco di amici, con cui hanno giocato per un po’. Sono troppo eccitati per dormire. Li capisco, anch’io sono troppo incuriosito per assopirmi. Le musiche e il vociare intenso all’esterno penetrano prepotentemente attraverso le finestre, nonostante esse siano serrate. Questo sottofondo mi fa piombare in cupi pensieri. Percepisco l’aria allegra attorno a me e questa non fa altro che amplificare il turbamento del mio animo. Le parole di Vincent non accennano ad andarsene e il dubbio insinuato in me non mi lascia pace.
Forse Vincent ha ragione. Dovrei pensare alla mia famiglia.
Ma non riesco fare a meno di ignorare quella sensazione. E’ come se quel dannato aggeggio mi stia attirando verso di sé. Mi sta implorando di continuare. Non riesco ad ignorare quel disperato grido di soccorso. Alzo la testa e guardo il mio riflesso.
Forse è di questo che si tratta.
Lui aveva affidato a quelle pagine ingiallite ciò che restava della sua umanità, i suoi dolori, le sue paure, le sue angosce. Improvvisamente capisco che questo ritrovamento non è stato un caso. Sephiroth non è e non sarà mai un ricordo, ma semai lo divenisse credo che lui voglia essere rimembrato in un determinato modo. Non come eroe. Non come mostro. Ma come essere umano.
Quel diario è una bottiglia con un messaggio, affidata al mare del tempo.
Faccio per infilarmi nell’ufficio, ma Tifa mi ferma.
“Cloud? Non vieni a letto?”
Maledizione! “Ehm, più tardi. Ora, ho del lavoro da sbrigare.”
La ragazza mi osserva perplessa. Percepisco la sua fiducia vacillare. Ti prego dammi un po’ di tempo. Vorrebbe replicare e andare più a fondo, ma la vedo abbassare gli occhi e sorridermi.
“Okay, capisco. Non fare troppo tardi. Lo sai che non mi piace addormentarmi senza averti a fianco.”
Mi lascia ad un palmo dal naso, imbambolato in corridoio con il senso di colpa trafiggermi il cuore. Nelle sue parole c’era un velo d’amarezza difficile da nascondere. Lei sa che le nascondo qualcosa, ormai è palese, ma non ha il coraggio di affrontarmi. A quanto pare è nella mia stessa situazione: dovrebbe fare la cosa giusta, ma ha paura di quello che potrebbe succedere. Dannazione, mi sento davvero un verme farla soffrire così, dopo tutta la fatica fatta per cambiare, finisco sempre per rovinare tutto. Mi pare di essere davanti ad un bivio, dove ogni mia azione, giusta o sbagliata che sia, comunque non porterà il nostro rapporto verso il baratro. Una strada è più lunga dell’altra, ma giungerò sempre allo stesso destino.
Povera Tifa. Chi te lo fa fare di sopportare un tipo come me? Tu che potresti avere chiunque?
Con questo pensiero, mi rintano nel mio pertugio, dove il grido di aiuto di Sephiroth è sempre lì che mi aspetta. La foto mi osserva, soddisfatta. Questo sorriso mi sembra ogni volta che lo vedo più luminoso, come se ogni passo eseguito lontano dalla mia vita fosse una piccola vittoria per questa donna. Sembra che lei VOGLIA che io conosca il suo uomo per farlo di nuovo rinascere, affinché loro possano rivedersi nei ricordi di quest’ultimo.
E’ questo quello che vuoi?

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Combattere.
Cadere.
Rialzarsi.
Combattere ancora.
Morire.
Questo è essere soldati.
I soldati vengono ricordati per il loro numero. La differenza che fanno tra la vittoria e la sconfitta. A nessuno importerà di loro. A nessuno verrà in mente di citarli tutti. A lungo andare perfino i famigliari si dimenticheranno dei caduti. Al massimo verranno ricordati come un’accozzaglia di pietre senza nome e senza data.
Ma voi, voi tutti, fratelli miei, che state in piedi davanti a me, nei vostri occhi leggo determinazione, forza, coraggio. Voi, non temete la Morte. Non temete quello che ci aspetta oltre quel mare sconfinato. Non temete il Nemico. Voi volete una cosa soltanto: venire ricordati.
E, io, vi dirò come fare.
Lasciate dietro di voi ogni timore, ogni dubbio, ogni indecisione.
Seguite la mia lama. Vi giuro che non vi tradirà mai.
Ricordate, però, che lei è un limite.
E ogni limite DEVE essere superato.
Se cadrete, vi rialzerete.
Se verrete feriti, continuerete a correre.
Se verrete accerchiati, non vi arrenderete.
Se morirete, vuol dire che almeno cento di loro saranno caduti.
Combattere.
Uccidere.
Andare oltre ogni limite.
Non fermarsi mai.
 E quando incontrerete la Morte, sorridetele, perché lei vi dirà di essere entrati nella Leggenda.
Questo è essere SOLDIER.
Ed è ciò che pretendo da voi.

12 Febbraio XXXX

Non mi ricordavo nemmeno di aver scritto qui il mio discorso d’incoraggiamento alle truppe, prima della partenza per Wutai, due mesi fa. E’ davvero patetico. Come avrò fatto a inculcarlo nella mente dei soldati e indurli a seguirmi è un autentico mistero. Me li ricordo quei soldatuncoli da strapazzo, tutti belli allineati sotto al palco a guardarmi con ammirazione, con le loro belle divise tutte pulite e inamidate. E tutto vidi, tranne che determinazione, forza e coraggio. Ricordo paura. Tanta fredda, buia paura. Tanti giovani uomini pendevano dalle mie labbra, mentre sputavo su di loro sentenze di morte. In molte orbite io vedevo ancora l’innocenza di un cantuccio e il calore di una famiglia. Nessuno aveva una mezza idea di quello aspettava loro. Quelle piccole reclute erano state pescate nella rete dei media come tante piccole alici. Vedevo inutile speranza. Speranza di ritornare, quando invece l’avrebbero dovuta perdere. Molti di loro non erano per niente adatti alla vita da soldati; i loro test erano stai pessimi, ma la ShinRa aveva bisogno di uomini per affrontare questo nuovo massacro. Lo sguardo mi cadeva sui miei luogotenenti , allineati davanti a quella schermaglia di caschi e uniformi blu, e vedevo la certezza della fine. La paura vera del cui inebriante fetore la stanza ne era intrisa. Adoro quella sensazione! Per qualche perverso motivo mi provoca una certa eccitazione nell’osservarla e assaporarla negli occhi degli uomini. Quando tolgo loro la vita, una frenesia maligna mi attanaglia i sensi e mi svuota completamente la mente. Quasi fosse una droga. Avevo dimenticato questo lato dell’uccidere. Era parecchio che non toglievo una vita ad un essere vivente: devo ammettere che cominciava a mancarmi. So che è un’azione orribile, ma quell’onnipotenza mi appaga completamente. Mi fa illudere di essere in grado di controllare il mio destino. Anche se so perfettamente che la mia libertà mi è stata preclusa dal momento stesso in cui misi la testa fuori dal grembo di mia madre. Quel dannato momento in cui nacqui, contemporaneamente morii. Immagino mio padre alzarmi al cielo e ridere; ridere come un pazzo, pregustando quell’istante in cui mi avrebbe trasformato in una macchina senza cuore. Non sono mai stato suo figlio, ma una cavia da uccidere e assemblare a piacimento; ciò mi uccide più di una pugnalata nel petto. Forse è per questo motivo che continuo a cercare situazioni pericolosamente vicino al fatale baratro in cui buttarmici senza alcuna esitazione. Sentirmi così vicino alla morte, mi fa sentire così vivo. Lanciarsi dall’elicottero in fiamme, mentre esso rotea senza controllo e gettarmi in pasto ai nemici è una sensazione unica. Avverto l’adrenalina pompare nelle vene, la quale mi dona quel discernimento distaccato dal reale. La mia mente e il mio corpo diventano due entità separate. Vuoto, finalmente, senza nessuna preoccupazione, dal momento che tutti i miei movimenti sono così naturali e fluidi che seminare morte viene da sé. Come uno spettatore esterno, il cervello registra gli avversari che corrono verso di me, i cecchini che mi mirano dalle loro postazioni sulle torri, i mitraglieri che sparano dai loro bunker. La mia spada si muove da sola, parando ogni singolo proiettile. Le mie orecchie ascoltano i rumori miscelati e li suddividono in categorie, affinché possano essere processati per permettermi di capire la direzione e la lontananza dei tiratori scelti. Adoro competere con loro. Per quanto possano essersi nascosti non potranno mai sfuggire al mio giudizio. Nessuno può. Che sia cecchino, o berseker, o invocazione tutti verranno travolti dalla mia bestia. Ripenso a quando ero un giovane SOLDIER, del terrore che provavo nell’osservare lo sfacelo compiuto, il sangue sporcarmi i vestiti e inzuppare il terreno, i resti umani ai miei piedi. Rimanevo immobile ad osservare con lo sguardo vuoto e incredulo; mentre la mia mente mi riproponeva le mie azioni come fosse una moviola. Per me dimenticare è impossibile. Per quanto mi possa sforzare niente sfugge alla mia memoria. Quelle azioni divengono ricordi, quei ricordi incubi limpidi e lampanti. Nessun dettaglio viene risparmiato e quello che doveva essere una liberazione diventa un’ossessione. La mia stessa droga si ritorce contro di me facendomi provare quella colpa e quella pietà che avrei dovuto provare durante la battaglia. Mi sono impegnato a controllarmi, ma non ci riesco. All’inizio temevo le battaglie, temevo di fare del male a qualcuno dei miei compagni; ma col tempo mi sono accorto di quanta precisione siano macchiati i miei misfatti. Non so come faccia. Ci sono tante cose che non so di me. Tante domande mi ronzano nella mia testa, quando rivaluto le mie azioni. Come è possibile che io solo sia capace di tanta perfezione? Perché io solo così forte? Cos’hanno gli altri che io non abbia già? Cos’hanno gli altri di meno?
Hojo mi ripeteva spesso di quanto io sia speciale e magnifico, ma non sono mai riuscito a comprendere quelle sue parole. E’ sempre stato molto criptico nelle risposte, sebbene fossi arrivato da solo alla mia caratteristica di unicità. So bene di non essere come gli altri: sono sempre stato troppo alto per la mia età; la mia chioma argentata non si é mai vista da nessuna parte; i miei occhi verde ghiaccio sono un colore troppo particolare per appartenere ad un essere umano. E poi ci sono le mie capacità: la forza, la sagacia, l’intuito, l’intelligenza. Quest’ultima è quella più difficile da trattenere, poiché è davvero troppo spiccata per essere limitata ad un’unica sfaccettatura del mondo. La mia curiosità morbosa, la mia inesauribile voglia di sapere, l’ossessiva ricerca di qualcosa sono sempre state parte integrante della mia vita. Hojo si è battuto molto per impedirmi di dare libero sfogo a questa mia qualità, ma so che sarei morto se mi fossi arreso. Fortunatamente, c’era il Professore che mi permetteva di sfogare la mia mente compressa intrattenendola con qualche gioco complesso, come gli scacchi; oppure mi passava sottobanco qualche gioco enigmistico di livello avanzato. Spesso ci divertivamo a proporci degli indovinelli inventanti sul momento. Alcuni erano davvero complessi, ma la difficoltà non è mai stato uno scoglio insormontabile per me, quindi non c’era mai pericolo di situazioni imbarazzanti. Entrambi ci comportavamo spontaneamente e ben presto, ricordo, venne a formarsi quella magnifica complicità padre-figlio che mi manca tuttora. Nemmeno con i suoi collaboratori notai un tale affiatamento. Questo rapporto così speciale mi faceva sentire parte di qualcosa, considerato, amato. Il Professore fu l’unica persona in grado di donarmi queste sensazioni. Nessun’altro, nemmeno sua figlia, è in grado di fare breccia nel mio cuore martoriato, ma forse, il motivo è da ricondurre al trauma dovuto alla scomparsa del mio mentore. Quando mi vennero a dire che lui era venuto a mancare, sentii il mondo crollarmi addosso. Vidi passarmi davanti agli occhi tutti i momenti passata insieme, l’affetto, il calore in ogni suo gesto, la sua gentilezza, i nostri giochi… tutto quello che c’era di bello in quella mia infanzia triste e fredda. In quel momento odiai la mia sagacia; odiai il modo in cui capii perfettamente quello che il Turk mi stava dicendo; odiai non essere ingenuo. In quel secondo capii quanto poco di infantile ci fosse in me. Mi resi conto di aver perso la mia innocenza, o meglio di non averla mai posseduta. Sebbene avessi solo 10 anni, ero già un adulto. Non una lacrima scese dal mio viso, nessuna emozione trasparì dai miei occhi. L’odio per me stesso aveva coperto ogni altra emozione. Guardai verso Hojo e lo vidi sorridere flebilmente. Percepii una grande rabbia montarmi nel petto: aveva vinto. Nonostante gli sforzi del Professore, quella bestia aveva avuto la meglio, estirpandomi pietà ed emozioni con anni di terribili abusi. Abbassai lo sguardo, capitolando come il Re sottoposto allo scacco matto. Da quel momento in avanti, decisi di chiudere il mio cuore dentro una lastra di ghiaccio spessissimo e di non legarmi più a nessuno; nonostante il mio grande desiderio di amicizia. Soffrii tanto per la sua morte, senza avere la possibilità di sfogare il mio dolore. Tuttora sento migliaia di emozioni agitarsi nel petto. Le sento comprimersi in uno spazio sempre più stretto. Prima o poi esploderanno, creando un macello inimmaginabile.
Poi arrivò la guerra e lì trovai il mio posto: nel grembo della Morte e della Desolazione. In quel piccolo mondo tutto era più semplice. Una sola legge imperversava: uccidere o venire ucciso; niente legami, nessuna sofferenza. La mia libertà. Il mio sfogo. Quello che Hojo voleva, quello di cui ho bisogno. Mi accorgo di non essere altro che una pedina nel suo grande e misterioso piano, così che lui possa usare il suo ascendente su di me per costringermi ad assecondare ogni capriccio del Presidente. Sono stanco di essere usato, ma se dovessi lasciare la ShinRa, cosa farei? Dove andrei? Con chi andrei? Ormai sono talmente assuefatto a ricevere ordini che scandiscono la mia vuota vita da non riuscirne più farne a meno. Il mio rifugio si sta trasformando in una trappola per topi.
Guardo le splendide scogliere di Wutai sotto un tramonto infuocato che spuntano dalla finestrella della mia tenda e trovo una certa pace in quello spettacolo. Il disco solare scende lentamente, tingendo le placide onde con una pennellata dorata di una fredda giornata di metà inverno. Vedo uno stormo di uccelli levarsi in volo e puntare verso il sole. Quanto vorrei avere le ali. Desidero scappare dallo sterminio appena compiuto. Questi due mesi non sono stati altro che un massacro dopo l’altro. La resistenza locale è tenace e combatte strenuamente per proteggere le posizioni; le quali vengono, però, difese a carissimo prezzo, sebbene siano destinate a cadere. Ho già contato più di 100000 morti tra noi e loro e la nostra area copre solo l’1% della tabella di marcia prevista. Come avevo immaginato. Odio non stupirmi più di niente; la mia freddezza non giova al morale dei miei uomini, i quali cercano in me conforto e speranza. Ma io sono solo in grado di dare loro la cruda verità dei fatti, la reale dura situazione. Molti di loro mi odiano per questo. I miei luogotenenti sopperiscono alle mie mancanze, ma, quando c’è da rovistare tra i cadaveri , io non mi faccio scrupoli e li esamino come fossero poco più che pezzi di carne sul banco di un macellaio. Vedo la rabbia nei loro occhi quando sposto il corpo di un camerato in modo poco gentile. Ma rimangono in silenzio nel loro odio, troppo impauriti di scatenare la mia ira. Io vorrei tanto dire loro di non temermi, ma la mia leggenda non prevede che io sia una spalla su cui piangere. Mi sento stritolare dal senso di colpa per come i loro visi stanchi, impauriti e provati mi osservano con quel timore misto a rabbia. La cosa terribile è che io pretendo da loro la stessa mia freddezza e disciplina. Pretendo che loro non lascino le proprie posizioni; che non discutano i miei ordini; che non si lascino andare agli istinti. Quest’ultimo punto è il più difficile da far rispettare. Molti di loro sono solo ragazzini in piena crisi ormonale e la visione di una bella ragazza provoca in loro reazioni poco consone alla nostra figura di liberatori. Molti di loro assaltano le giovani fanciulle dei poveri paesi di pescatori per assecondare i loro desideri repressi. Odio le violenze sui civili, soprattutto nei confronti delle donne. Sono innocenti che si vedono distruggere la propria casa, la propria vita; non meritano che venga portato via anche l’onore di essere uomini. I soldati non lo capiscono e credono di potersi prendere quello che vogliono, come la ShinRa, ma finché io avrò respiro proteggerò quei poveri innocenti dalla follia di SOLDIER. Come sempre mi trovo tra l’incudine e il martello; a trovare armonia tra la mia figura d’onnipotenza, il mio essere tormentato e il Demone Argentato. Quest’ultimo è il nuovo soprannome che i Wutai mi stanno affibbiando. Nella loro lingua si traduce Ma gin. In soli due mesi ho già appreso la base della loro grammatica e imparato molti vocaboli d’interesse militare e civile. Non è molto, ma è sufficiente per ora. Molti comandanti rimangono perplessi al pari degli abitanti stessi, nel sentirmi interrogare i prigionieri nella loro lingua. Ma come ho detto prima, il mio desiderio d’imparare non conosce confini e il mio cervello è una spugna capace di assimilare tutto quello che percepisce.
Devo ammettere, però, che non sono l’unico ad aver imparato l’idioma di Wutai. Qualche giorno fa sono passato nei pressi di un falò dove vi era accampato un gruppo di fanti. Uno di essi sbraitava in wutaniano, incitato dai compagni, i quali erano piegati in due dalle risate. Sono rimasto ad osservarlo a lungo e, sebbene alcuni termini fossero del tutto storpiati a causa dell’ebrezza alcolica, il discorso grammaticale era molto corretto. La maggior parte dei termini erano scurrili e molto rozzi, ma devo ammettere che non è facile articolare un discorso in una lingua sconosciuta da ubriachi. Colpito da quella interessante perfomance, ho guardato il file di quel soldato. Il suo nome è Genesis Rhapsodos di Banora. Ragazzo altolocato, figlio di uno dei più importanti proprietari terrieri e fornitori di accidenmele del paese. Noto con sorpresa che ha la mia stessa età. Quello che leggo successivamente, più precisamente nei parametri fisici rilevati durante l’addestramento simulato, aumenta il mio stupore: sono altissimi, ben oltre la media di un soldato normale. La cinestesia e i riflessi di base si avvicinano molto ai miei, pur rimanendo leggermente inferiori, ma comunque è un risultato straordinario per un fante semplice. Mi stupisce che non sia già in Seconda Classe. Mi sovviene di un altro file che mi aveva stupito all’epoca del reclutamento; quello di un tale Angeal Helwey. Se la memoria non m’inganna, anch’egli proviene da Banora.
Controllo sul computer.
Come pensavo.
Questo soldato è un po’ più grande di me e i suoi parametri si avvicinano ed eguagliano le mie performance. Devo dire che rileggendo questo file, mi sento rinfrancato al pensiero di non essere l’unico in grado di raggiungere quei livelli di potenza. Forse non sono così unico e speciale come tanto decanta Hojo. Questo Angeal sembra promettere molto, anche se noto una certa trattenuta nelle prestazioni. Credo sia capace di molto di più, ma probabilmente non dà il massimo negli allenamenti. Non mi resta che scoprire se per scelta o semplicemente perché è uno sbruffone. Come quel Genesis. L’impressione che mi ha lasciato non è molto positiva, nonostante le sue indubbie capacità, ma credo sia uno di quei tipi viziati e fanfaroni, del tutto inaffidabili. Dalle note che leggo nel suo fascicolo informatico, apprendo numerosi richiami di scarsa disciplina e oltraggio a ufficiale in comando. Non avevo dubbi, probabilmente il ragazzo crede ancora di essere nei suoi campi di accidentmele. Stranamente anche Angeal sembra un autentico seminatore di zizzania, ma noto che la lista di misfatti è pressoché identica, se non fosse per quella parentesi. Essa declama “Prende le difese del soldato 58390-A”. Genesis.
Forse i due si conoscono; ma ritengo improbabile che il figlio di un contadino e quello di un proprietario terriero abbiano contatti tra loro. Non è detto, anch’io non credevo che esistessero persone così simili a me. Apro un’altra cartella. Una lista infinita di e-mail provenienti dal GQ appare davanti a me. Vado all’ultima voce. Mi hanno affidato una missione particolarmente rischiosa, la quale potrebbe fare al caso mio. Credo che se l’intenzione di Genesis fosse quella di attirare la mia attenzione, devo ammettere che ci è riuscito. Forse non come voleva lui…


Yeeeeeeee!!! Ce l’ho fatta!! Scusate il terribile ritardo, ma scrivere questi capitoli d’intermezzo a importanti parti della vita dell’argentato non è facile, poiché la mia mente tende a lavorare più su quegli avvenimenti che su quello che effettivamente serve -.-‘. Inoltre, il calo creativo non mi aiuta molto ad inventarmi sempre nuove situazioni per Cloud, anche contando che mi sono infilata in una circostanza davvero difficile in cui trovare l’intimità della lettura. Maledetta la mia precisone! Cooooooomunque, gettiamo le basi di una delle più famose e tempestate amicizie di sempre e vediamo che miscela esplosiva ne verrà fuori! Come saranno gli inizi? Tre caratteri completamente diversi sappiamo che si amalgameranno bene; ma è sempre andato tutto a gonfie vele? Non ci resta che attendere il prossimo capitolo!!!
Alla prossima!
Besos!
   
 
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