Adelante hasta la Navidad
{ di pinguini, di ombrelli e di
fiocchi di neve }
«Andiamo, pato, smettila di tenere il
broncio.»
«Io non tengo il broncio.»
José emette un suono
strano, a metà tra uno sbuffo e una risata. «No, certo. E io sono un pinguino.»
Donald scalcia via un
po’ di neve fresca, soltanto per riaffondare fino al polpaccio in quella accumulatasi
nelle ultime ore, e per l’ennesima volta rimpiange tutto quanto: l’essersi
lasciato convincere a uscire con un tempo del genere, l’aver tenuto quelle sue
maledette scarpe arancioni piuttosto che infilare il primo paio di stivali a
portata di mano – e questo solo perché
quelle maledette scarpe arancioni
sono le stesse nelle quali il viaggio è iniziato, quelle che hanno mosso tutti
i passi, quelle che ormai gli è impossibile mettere da parte perché buttarle
via sarebbe come buttar via il viaggio stesso – e soprattutto, sì, soprattutto l’aver invitato quei due
pazzi squinternati a casa sua per Natale. Avrebbe dovuto immaginarlo che la cosa
sarebbe degenerata in follia.
Non per niente, in
questo preciso momento sta avanzando nel cuore di una tempesta di neve e di una fiumana di gente radiosa, al
fianco di un José più tranquillo che mai, nella scia di un Panchito
più scapestrato che mai – e pensare che Huey, Dewey e Louie non sono mai
schizzati con una simile rapidità ad ammirare le vetrine addobbate a festa.
«Con questo freddo,
potresti benissimo esserlo.» Gli lancia un’occhiataccia, ma il lato visibile
del viso di José è solcato da un sorrisetto, per cui il risultato non è
esattamente quello sperato. «Magari lo sei. Sei un pinguino in incognito,
fuggito dal Polo Sud in cerca di un posto caldo, e per mantenere la copertura
ti spacci per pappagallo.»
José ridacchia
sommesso. No, decisamente non è il
risultato sperato.
«I pinguini hanno
freddo?»
«Forse qualcuno sì.»
«Non sarà il tuo modo
di dirmi che vuoi tornare indietro?»
Donald trema così
forte che anche cercare di incenerirlo con gli occhi si rivelerebbe una causa
persa in partenza. Si sforza con tutto se stesso di non battere i denti. Forse così
José capirà che non tutto di quel
tremore dipende dal freddo. Capisce sempre ogni cosa, José...
Donald l’ha sempre
odiato, il Natale. Ha provato a farci i conti per anni, e ormai pensava di
esserci abituato – le smisurate riunioni di famiglia, il tacchino sempre
ottimo, il chiasso eccitato dei nipotini alle prese con gli immancabili
dolcetti che la nonna si è sempre premurata di avvolgere ben stretti nelle
calze appese sopra il camino; qualche volta anche lo zio Scrooge
si è unito a loro e qualche volta ha persino
sorriso. Ma non è mica vero che il Natale è solo famiglie felici e cibo caldo. Natale,
per gente come Donald, è debiti. Tanti
ulteriori fottutissimi debiti. E quando le carole per strada hanno iniziato a
distrarlo dal suo cercare freneticamente in ogni buco di ogni tasca, quando la
cosa si è fatta insostenibile, ha capito che a vestire i panni del fallito non
ci si abitua affatto. Mai.
L’ultimo Natale l’ha
visto distruggere lo spettacolo di stupidi Babbi Natale fluorescenti di uno
stupido centro commerciale pieno di stupida gente in festa, sotto gli sguardi
sconvolti degli astanti e dei tre nipotini e di lei, anche di lei – lei che l’ha lasciato poco dopo, lei che forse
se non avesse visto il peggio di lui sarebbe ancora qui. Quest’anno, Donald ha
pensato, si è illuso che la compagnia
dei due Caballeros potesse disperdere
quelle immagini dalla sua memoria arrabbiata, ma a ogni passo che muove nella
neve quelle dannate si fanno più fitte, viaggiando ciascuna su uno dei fiocchi
che gli scivolano sulle guance. Forse José ha notato quanto sono rosse, ma avrà
pensato che anche questo sia per colpa del freddo. Come i brividi. Come la stizza.
Come tutto quanto.
Il punto è che c’è una
caffetteria, laggiù all’angolo della strada che Panchito
ha appena superato, ed è stato lì che
Donald ha visto sorridere Daisy l’ultima volta. Seduta insieme ai ragazzi, davanti
a una cioccolata calda con panna, felice. Erano
felici. Senza di lui.
José si ferma all’improvviso.
Donald quasi inciampa mentre cerca di restargli al fianco, di non lasciarlo
indietro – se lo lascia indietro adesso
è la fine, se lo lascia indietro adesso
resterà da solo, solo coi fiocchi di neve e la gente e le immagini e rimorsi
troppo appuntiti per non sembrare rimpianti – ed è ancora più seccata la nuova
occhiataccia che gli scocca. Troppo tardi si accorge che è stata proprio la mano di José a impedirgli di cadere,
una mano salda e calda. Ha l’insensata quanto netta impressione che con quel
calore il guanto di lui non c’entri nulla.
«La neve è troppo
fitta, pato.
Torniamo indietro.»
«Ma...» Donald batte
le palpebre, confuso; un fiocco gelido gli si posa sul naso, ma la mano di José
gli scalda ancora il braccio. «Ma... e Panchito?»
José scrolla le
spalle. «Panchito se la caverà da solo. Non è lui ad
avere bisogno d’aiuto adesso.» E poi
ritrae la mano, e assurdamente Donald sente più freddo che mai, ma stavolta
dura solo pochi istanti – il tempo che impiega José ad aprire l’ombrello, quell’ombrello
nero che si porta sempre appresso, cimelio di viaggio pari alle maledette
scarpe arancioni di Donald o alle pistole di Panchito
o alla cara vecchia trecentotredici che oggi si è guastata,
sì, ma che non li ha mai traditi, che li ha sempre portati adelante.
Forse anche oggi, dopotutto.
La consapevolezza
subito successiva è che, con l’ombrello di José che li ripara dalla neve e che
li porta a farsi più vicini, anche le immagini sono svanite. E la gente che
sorride e li oltrepassa e continua a sorridere appare distante, sfocata. E la
caffetteria, laggiù all’angolo della strada che Panchito
ha già superato, non è nient’altro che una caffetteria, un posto cui voltare le
spalle, semplicemente.
Donald lo guarda e,
non per la prima volta, non per l’ultima volta, non sa cosa dire. Non sa come ringraziarlo. Ma tanto, José sa. Sa sempre tutto, lui.
Si muovono nella
direzione opposta, ripercorrendo gli stessi passi e le stesse impronte. Donald
trema ancora, un po’ meno forte però. E quando sbircia José – giusto per capire
quanto sappia – e lo vede accendersi
un sigaro usando la sola mano libera, gli sembra che la fiammella illumini un
lampo di malizia nei suoi occhi fissi sulla strada che da quella parte è meno
affollata e sulla neve che sotto l’ombrello è meno fitta.
Affonda il naso nella
sciarpa e continua a tenere il broncio, solo perché non vuole, non vuole sapere che cos’è che adesso lo fa arrossire.
«Pato?»
«Cosa?»
«Buon Natale.»
Ci mette un’eternità,
a rispondergli, ma alla fine lo fa. E forse anche pronunciare quelle due parole
è un modo di andare adelante.
Chissà, magari l’anno
prossimo potrebbero andare a Baía.
Spazio dell’autrice
Non
avrei mai pensato che, in vista di una fanfic
natalizia, avrei scritto su I tre
Caballeros che di natalizio ha ben poco al di là della piñata;
meno che mai mi sarei immaginata di scomodare di nuovo la serie Adelante che,
prima degli spin-off di mia moglia (♥), giudicavo già
completa fin dal primo episodio. Ma la colpa – o il merito, dipende dai punti
di vista – di questa piccola stupida shot va a Frosba che mi ha promptata come
segue: ‘lampo di malizia negli occhi + pinguino + ombrello’. Vedete, io non
leggo più ombrello, io leggo José Carioca. Che cosa potevo plottare,
se non una José/Donald? :3
In
realtà, parte dell’ispirazione è giunta anche da questo episodio del film Topolino: strepitoso Natale, incentrato
appunto sul burrascoso rapporto esistente tra Paperino e lo spirito natalizio
(che tra l’altro è molto simile a quello che intercorre tra lo spirito
natalizio e me, LOL). Ho riadattato la vicenda in termini più angst, perché così richiedeva il mio Donald, ed ecco che il
prompt mi ha parlato finalmente a chiare lettere. Della
serie: come trarre vantaggio dalla cosa più banale dell’universo, duh u__ù
In
termini di timeline, questo squarcio è una sorta di missing moment tra la mia Adelante originale e l’episodio {sempre adelante}
di mia moglia Ray08. Mi spiace di non aver dato molto
spazio a Panchito, ma lui con la sua vulcanica
curiosità è il responsabile dell’uscita nella neve dei tre amigos, ergo la sua parte l’ha svolta
al meglio. Spero comunque di poter ampliare il threesome
prima o poi; ormai sono troppo nel mood, non rimpiango niente.
Cosa
aggiungere? Non è poi questo granché, lo so, ma è pur sempre il mio augurio di
buone feste per tutti voi. Adelante, hasta la Navidad. ♥
Aya ~