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Autore: Ato    24/12/2012    4 recensioni
Storia partecipante all'iniziativa "Black Madness? Black Present" indetta dal forum Sasusaku - Under the same sky.
Dalla storia: «...non c’è niente di male a mettere tutto da parte ogni tanto».
«Questo lo dici tu», ribatté lui, compunto.
«E per te non conta niente quello che dico io?» Sakura trattenne il fiato quando gli pose quella domanda. Le tremarono le gambe nell’istante stesso in cui si alzò di scatto dalla panchina. La certezza che non avrebbe ricevuto alcuna risposta rischiava di scavarle un buco dentro, di svuotarla di ogni speranza. Si sentiva sfibrata, nuda in un campo di spine in cui ogni spina era uno dei silenzi di Sasuke.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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È una cosetta da poco che ho scritto per l’iniziativa “Black Madness? Black present!” che abbiamo organizzato sul forum sasusaku, qui.

Ne ho scritte altre due (quasi) e devo aggiungerne un’altra. Questa mi sembra l’unica decente però quindi su efp ho deciso che per ora mi limito a usare questa per gli auguri.

 

Il prompt è della mia socia ~ A e r i t h: “Solo l’amare, solo il conoscere conta, non l’aver amato, non l’aver conosciuto” (Pasolini). Ovviamente non sono riuscita a centrarlo in pieno, ma lei sarà tanto buona da perdonarmi quando leggerà.

Tanti auguri a tutti!  

 

Io ti seguirò

Alla socia, trottolina pelosa

collega di coccole malefiche.

Anzi, collega in tutto.

 

Il buio delle prime ore della notte arretrava dinanzi alle luci che addobbavano le case tutt’intorno. Era impregnato di voci morbide, a tratti stridule, che rincorrevano risatine sottili e urla di bambini. Ogni tanto la filodiffusione incespicava, ma nessuno se ne accorgeva. Erano tutti chiusi in casa, immersi nel bagliore emanato da qualche candela profumata e dalle luci sistemate nelle ghirlande, sugli abeti.

Sasuke era seduto scompostamente su una panchina di fronte alla nuova casa di Naruto, i gomiti posati sulle ginocchia, i polsi tesi, le dita intrecciate. Ciocche scurissime gli coprivano gli occhi, sembravano della stessa sostanza della notte – il viso di Sasuke pareva nascosto dietro un mistero infinito, eterno.

Sakura pensò che però il buio della notte aveva qualcosa da invidiargli: ed era la vita, quel velo di struggimento che si posava lieve sulla sua pelle chiara, sul fondo dei suoi occhi, e li occultava con quella sfumatura particolare che si trova solo negli occhi di chi ha amato per anni senza conoscere alcun limite. Avrebbe voluto avvicinarlo subito, ridente, con un bastoncino di zucchero tra le dita così dolce da far dischiudere le sue labbra in un sorriso. Avrebbe voluto parlargli con voce squillante, minacciarlo con un po’ di scherno e un po’ di serietà, non lasciargli alcuno scampo e riportarselo dentro, al caldo, insieme a tutti loro.

Sakura invece scoprì che non sarebbe mai riuscita a fare qualcosa del genere, non quando a frenarla c’era il desiderio martellante di capire cosa lo trattenesse tanto lontano dal resto del mondo. Voleva capirlo. Non riusciva più a ricordarsi un momento della sua vita in cui tentare di capire Sasuke e seguire il proprio cuore non fossero la stessa cosa.

Gli si avvicinò con passo lieve, misurato. Sfiorò la seduta della panchina: la pietra era fredda e molto polverosa. Nonostante lo yukata di panno elegante, si sistemò accanto a Sasuke ripulendosi un po’ le mani.

«È bello anche qui» considerò, senza alcuna logica particolare. Non si aspettava nessuna risposta, perciò si abbandonò ancora un momento all’abbraccio della notte, sospirando – c’erano braccia più solide e più lievi accanto a lei, ma raramente l’avevano tenuta stretta come si stringe il cuscino nelle notti insonni. «Avevi bisogno di un po’ d’aria?»

Sasuke annuì senza voltarsi, incassò appena la testa nelle spalle.

«Ti sei perso i tentativi imbarazzanti di Naruto per far bere Hiashi-san», continuò lei, «e Sai che a un certo punto gli ha detto che i suoi sorrisi sono falsi pensando di farselo amico, e poi Shikamaru…»

«Non mi interessa».

«Lo so», sfiatò lei, dopo la sua risposta secca. «È solo che… se continuo a renderti partecipe forse un giorno diverrai curioso… almeno un po’».

Sasuke sollevò lo sguardo: era ostinato, forse anche selvaggio, come ferino nel modo in cui tratteneva la rabbia per colpire meglio. «E come pensi di coinvolgermi in quel mondo, Sakura? Non vedi che sanno solo ridere e ridere… e coprirsi la bocca con le dita anche se prima si lamentavano che fossero sporche dei fiori che hanno posato sulla tomba di un padre o di un fratello o… è raccapricciante».

Sakura si sentì tremare, ma riuscì a ricomporsi in pochi istanti, raddrizzando le spalle. «Parli così perché non capisci».

«Potrei dirti la stessa cosa» osservò lui, con voce fredda.

«Potresti, l’hai fatto tante volte», ribatté lei, drastica, prima di abbassare i toni, pronunciare le parole in quella maniera carezzevole che le veniva naturale solo con lui. «Dimostreresti che negli ultimi mesi non è cambiato niente, a dispetto di quanto mi piacerebbe pensare».

Sasuke distolse lo sguardo in un lampo, voltò il capo dall’altra parte. In qualche istante però si calmò, aveva smesso di devastarsi i palmi con movimenti febbrili delle dita.

«Negli ultimi anni ho fatto la stessa cosa, Sasuke-kun. Lo so, non era morto nessuno, ma tu non c’eri e per me era… era come camminare sempre col fiato della morte sul collo. Ogni notte mi chiedevo se fossi stato abbastanza forte da sopravvivere a un altro giorno, ma soltanto quando ero sola. Davanti agli altri tu per me eri il motivo per cui mi allenavo, eri solo la mia forza e non anche la mia debolezza. Non sai quante feste ti sei perso nel villaggio e io ho riso a ogni festa. Qualche volta ridevo grazie a un po’ di sake, qualche volta mi veniva naturale. Ma tutto questo non lo facevo perché ne sentissi il bisogno o perché ne avessi voglia…»

«È sbagliato Sakura».

«Lo facevo perché le persone che mi erano vicine avevano bisogno di vedermi ridere», continuò a spiegare lei, intenta. «Lo so, a guardarli tutti ora, chi ride, chi si apparta in un angolino, chi pensa alla nuova ragazza o a qualche amico… lo so, sembra che conti soltanto l’amore di oggi, come se l’aver amato in passato qualcuno che ora non c’è più non conti niente…»

«Sakura…»

«Ma non è così. Conta. Solo che non c’è niente di male a mettere tutto da parte ogni tanto».

«Questo lo dici tu», ribatté lui, compunto.

«E per te non conta niente quello che dico io?» Sakura trattenne il fiato quando gli pose quella domanda. Le tremarono le gambe nell’istante stesso in cui si alzò di scatto dalla panchina. La certezza che non avrebbe ricevuto alcuna risposta rischiava di scavarle un buco dentro, di svuotarla di ogni speranza. Si sentiva sfibrata, nuda in un campo di spine in cui ogni spina era uno dei silenzi di Sasuke.

Riuscì a fare pochi passi prima di lasciarsi fermare dalla sua voce.

«Sakura».

 

L’aveva già sentito una volta quel tono. Era basso, definitivo come la morte e come le promesse di Sasuke. Era anche gentile, vicino, vicinissimo. Sasuke il suo nome gliel’aveva soffiato sul collo come una notte di tanti anni prima.

Lei fece per voltarsi, senza sapere bene cos’altro fare. Voleva solo abbracciarlo, chiudere gli occhi, sospingere il viso contro la sua pelle. Ma lui fu più veloce. Le bloccò il viso con una mano rapida e la costrinse nella stessa posizione di poco prima, con lo sguardo rivolto davanti a sé.

«Tremeresti così se avessi messo da parte il passato?»

Sakura scosse il capo, tentando di cacciare indietro le lacrime, divisa tra ricordi che facevano male: con uno era come pungersi sulla punta di un arcolaio dopo aver tessuto una tela meravigliosa, con l’altro era come lasciarsi penetrare da una lama affilatissima, spietata.

Saperlo dietro di sé le ricordava il modo in cui l’aveva ringraziata e il modo in cui aveva tentato di ucciderla. Nel momento in cui Sasuke fece per ritirare la mano dal suo viso, tuttavia, Sakura capì quale fosse l’unico ricordo in cui era giusto indugiare senza farsi troppo del male. Capì – ed era come se l’avesse sempre saputo – capì quale ricordo fosse vero, in quale ricordo ci fossero solo loro due, distanti dai problemi del mondo, dalla pazzia complice di un dolore insopportabile.

Sakura, grazie.

«Non ti allontanare», gli disse, e non sembrava una preghiera ma un ordine soffice, a cui non si può sfuggire per l’inesorabilità della sua dolcezza. Sakura posò una mano sulla sua, sospingendola contro il proprio viso nonostante fosse gelida, nonostante i brividi. Arretrò di un paio di passi fin quasi a sfiorargli il petto con le spalle. Afferrò il braccio che Sasuke aveva abbandonato lungo i fianchi, ne saggiò la morbidezza della pelle sul polso e gli carezzò il dorso della mano. Intrecciò le dita alle sue e si lasciò circondare rifugiandosi nella piega del suo gomito, piano. Attraverso la stoffa dello yukata sentì i suoi polpastrelli gelidi che premevano appena sul suo ventre.

«Se non posso tornare dentro a ridere insieme agli altri almeno stammi un po’ vicino», alitò, quasi insidiata, ma solo per finta.

Sasuke restò immobile, il respiro tranquillo. «Non devi farlo per i tuoi amici, Sakura».

Le persone che mi sono vicine hanno bisogno di vedermi ridere.

E io…

Sakura si voltò lentamente verso di lui, le sue dita le scorrevano sul mento senza che lei dovesse ancora guidarle. «Ma io voglio sorridere, almeno sorridere, voglio trovare qualche ragione per farlo e non voglio sentirmi in colpa…». Sakura rifugiò per qualche momento il viso sul suo petto, poggiò la fronte contro il suo collo, lo sfiorò con le ciglia, le palpebre chiuse, la punta del naso. Quando si sollevò ancora un po’ per poggiargli le labbra sulla pelle, si ritrovò a strofinarle contro quelle di Sasuke. Pensò distrattamente che forse era stato lui a baciarla, lo sentiva nel modo in cui lui aveva preso a indugiare sul suo labbro inferiore. Con dita leggere come ali di farfalla la intrigava e la invitava a inclinare il viso fino a quando non lo posò sulla sua spalla. Sakura sorrise sulla sua bocca, senza nemmeno rendersene conto. Le venne naturale, come il pensiero che riusciva a respirare un poco meglio quando si nutriva della sua stessa aria. Le permise di scoprire qualcosa di ammaliante, ma che in fondo aveva sempre intuito: c’era una devastazione tale in lui che gli ricordava costantemente quanto il mondo fosse spregiudicato; eppure Sasuke era ancora capace di far sorridere qualcuno.

«Vorrei riuscirci con la stessa facilità». Quando Sakura riaprì gli occhi lo trovo un po’ accigliato.

Desiderava farlo sorridere con la stessa facilità, ma le sembrava una possibilità così remota da appartenere solo al mondo vaghissimo dei sogni.

«Vi date una mossa? Fra poco si aprono i regali!» li richiamò Naruto da lontano, con le mani a fiasco intorno alla bocca. Prese anche a sventolarle per essere certo di farsi notare.

«Arrivo» gli urlò in risposta Sakura, passandosi le mani sullo yukata per rimediare a qualche piega di troppo. Quando sollevò di nuovo lo sguardo si accorse che Sasuke era già un po’ lontano. E camminava verso la porta in cui era sparito Naruto, verso la festa.

«Dove vai?»

Sasuke sbuffò, voltandosi solo a metà. «Non eri venuta a lamentarti con lo scopo di trascinarmi dentro per sfinimento?»

«Più o meno, sì, ma…»

«E allora muoviti».

Sakura accelerò il passo per portarsi di nuovo al suo fianco. «Ma adesso stai andando troppo di fretta» si lamentò, suonando quasi petulante perfino a se stessa. Gli afferrò il polso per assicurarsi che stesse a sentirla, ma si rese conto che lui era già fermo, in attesa di spiegazioni. «Come mai hai cambiato idea così velocemente?»

«Non ho cambiato idea» rispose, riuscendo anche a guardarla con condiscendenza.

«Prima non volevi entrare», gli fece notare lei, ragionevole.

«Sakura» lo sentì pronunciare il suo nome un po’ immusonito, con lo sguardo obliquo, posato altrove. «Io lo so cosa significa rincorrere per anni qualcuno», disse, quasi sfinito per lo sforzo di farle quella confidenza, «lo so come va a finire. Quando lo trovi… non è che vuoi essere inseguito per invertire finalmente i ruoli, però vorresti che ti seguisse, almeno per una volta» mormorò, quasi perso.

Sakura non faticò a vederlo camminare per le strade di Konoha e lungo viali sconosciuti con solo la figura di Itachi negli occhi. Non aveva fatto altro che inseguirlo, per odio e per amore, fin quando l’odio e l’amore non erano diventati la stessa cosa, e allora lui era stato quasi sul punto di soccombere. Fin quando non aveva fatto l’ultimo passo verso Itachi, prima di arretrare un po’ senza aspettarsi che lui lo seguisse almeno l’ultima volta.

Itachi però l’aveva fatto, e si erano salvati entrambi.

Quello che Sakura stentava a vedere era un’immagine nuova, soave: gli occhi di Sasuke posati costantemente su di lei, con la promessa taciuta, intesa, che l’avrebbe seguita per il resto dei suoi giorni.

«Quindi io entro e tu mi segui senza sparire all’improvviso?» considerò lei, compiaciuta, senza riuscire a impedirsi di abbracciarlo.

Sasuke non si mosse, e soltanto dopo qualche istante le posò lentamente le mani sulle braccia. «Guarda che la festa è dall’altra parte», disse, col viso un po’ rosato e i richiami squillanti di Naruto nelle orecchie.

Sakura si allontanò tentando di darsi un contegno: non si era accorta che non fossero soli e soprattutto non sapeva come fosse possibile che all’improvviso la festa non le sembrava dentro, ma ovunque.

Si avviò con Sasuke verso l’entrata con passo sostenuto senza dirgli altro. Riuscì a godersi anche qualche minaccia e un paio di uscite tendenziose di Naruto, che a quell’ora trovava lo spirito di far notare al suo presunto migliore amico che non sapeva nemmeno dove mettere le mani quando una ragazza lo abbracciava, mentre Sasuke di tutta risposta gli faceva notare che se si ricordava l’occhio nero di un paio di giorni prima poteva almeno capire che lui sicuramente sapeva dove mettere le mani quando qualcuno sparava idiozie.

Intanto però continuava a seguirli entrambi.

E Sakura, scrutando di nascosto nei suoi occhi per un’ultima volta, notando come li guardava, si chiese se per caso la festa non fosse addosso a lei e a Naruto.

   
 
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