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Autore: Anima97    25/12/2012    0 recensioni
TITOLO MODIFICATO DA "Евгения si pronuncia Yevgeniya"!!
La storia di un portacontainer malridotto, di persone comuni e malinconiche, di una natura bella e splendente come l'acqua dell'oceano Pacifico al sole d'autunno.
Евгения: un nome, una lingua, una storia... la nostra storia.
Chi lo desidererà, leggendo vivrà un'avventura oltre i confini dell'immaginabile!
Genere: Introspettivo, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Евгения
Si pronuncia 'Yevgeniya'.

Deportata - Parte Seconda.

Quando cominciai a sentire freddo anche con la coperta pesante che mi avvolgeva tutta, immaginai che il sole doveva essere tramontato: credevo davvero di essere rimasta li dentro per un giorno intero, respirando la muffa, mangiando la polvere.

Pensavo a cosa sarebbe successo, non riuscivo a capacitarmi della gentilezza di quelle persone, perciò continuavo a dirmi che mi avrebbero fatto del male e che adesso stavano solo decidendo come. Tutto ciò non derivava da una parola detta con tono più grave o da uno sguardo più sospetto da parte loro, no, era solo colpa mia e di spiriti di un passato che mi tormentava.
Bussarono alla porta... esisteva ancora l'educazione al mondo?
-Bella ragazza, sei li? la voce del vice comandande mi fece trasalire. Mi scostai i capelli dal viso e mi rannicchiai all'angolo della brandina trascinandomi la coperta, strisciando come un verme.
Entrò e la prima cosa che vidi fu il suo sorriso, mai banale, sempre sincero. -Buonasera! sussurrò senza ricevere alcuna risposta. Richiuse la porta e si sedette sull'altro angolo della brandina, occupandone metà. Mi osservò a lungo, rapito da non so quale pensiero in cui ero coinvolta, non parlò, non si mosse, semplicemente mi guardava negli occhi e aspettava una mia reazione. Ricambiavo il suo sguardo sognante con uno mesto e stanco, scavato nel volto dalla fame e dalle ombre che avanzavano sempre più intorno alla lampada ormai quasi spenta.
A volte il silenzio è il metodo migliore per stringere un rapporto, e questo il vice comandante l'aveva capito.
Ad un certo punto si mosse, si alzò e aprì la porta. Eppure avevo bisogno del suo sorriso, del suo sguardo comprensivo tra i tanti accusatori, dove finalmente potevo rilassarmi e prendere fiato; allora mia voce uscì come un lamento supplichevole.
-Aspetta!
Lo seguii fuori dalla stanza, tra gli stretti corridoi della nave, i nostri passi producevano un rumore sordo e metallico, che sembrava interrompersi a metà nonostante volesse echeggiare tra le pareti bagnate, intervallate ogni tanto da porte con targhette biancastre in plastica attaccate sopra, su cui però non c'era scritto niente. L'ultimo corridoio finiva in una grande porta in legno, senza cartellino e con bellissime incisioni fatte a mano; stonava con il contesto e mi chiedevo dove portasse. Presto l'avrei saputo e la curiosità mi divorava, ma più avanzavo e più il corridoio si allungava, allontanandomi dal mio obbiettivo.
Mi girava la testa, il vice capitano si fermò, mi disse di aspettare li dov'ero ed entrò in una porticina, probabilmente la cucina, da cui uscirono fumi e profumi invitanti. Aderii la schiena alla parete opposta, con le gambe leggermente piegate, portandomi le dita fredde sulle palpebre: non volevo più guardare quella grande porta, cominciavo a pensare che fosse lei la causa del mio improvviso calo di pressione; invece quando il vice capitano tornò, mi disse che dovevo mangiare assolutamente qualcosa, altrimenti sarei svenuta da un momento all'altro. Nonostante questo mi mise tra le mani una pesante busta in plastica, tipica dei supermercati, e mi accompagnò fino alla "porta maledetta". 
Da più vicino sentivo forti tonfi intervallati da risate e strilli di donne, ma che per me ormai non provenivano dalla stanza collegata con quella porta, piuttosto dalla porta stessa, da quel legno marcio che, come tutto il resto, mi spaventava. Contemporaneamente un piccolo, insignificante barlume di lucidità mi permetteva di dirmi di stare calma e che al di la di quella porta non ci fosse il vuoto, l'oblio, l'inferno.
Il vice capitano, prima di aprire la porta, mi guardò e sorrise ancora.
-Servono altri spaghetti!
-Vai a prepararteli da solo, sono stufo di fare avanti e indietro.
-Ma la gara terminerà altrimenti, no?
-Sarebbe anche ora, guardali, non riescono più ad ingoiare neanche la saliva!
Assistevo allibita, immobile in mezzo alla sala decorata da marmi consumati, ghirlande in oro e tende di velluto blu un po' sbiadito, ma decandente e resa ancora più vuota di quando non fosse già dalle grandi finestre ai lati che permettevano agli occhi di perdersi nell'orizzonte del mare, mentre le continue grida che provenivano dal gruppo di persone in fondo alla sala mi inondavano le orecchie come echi sinistri.
L'unica mia consolazione era il vice capitano, che presto mi deluse.
-Compagni, come osate proseguire senza il vostro vice capitano?! sbraitava ridendo verso gli amici.
I "compagni" incitavano intorno a un tavolo, il quale sembrava dovesse cedere a momenti, una donna corpulenta che a gattoni si ingozzava di sugo e spaghetti da una grande ciotola, cercando finire il pasto prima di un ragazzino esile e abbronzato, anche lui con la sua grande ciotola da ripulire.
Dal punto in cui sostavo, sembravano ricoperti di sangue e dedussi che stessero attuando un rito tribale che implicava il cannibalismo.
Con le lacrime agli occhi e tremante, strillai, attirando l'attenzione di tutti.
Quell'ambiente tanto caldo sotto la luce rossastra del tramonto, che sembrava volesse prender forma sulle pieghe delle rughe e su quelle dei vestiti come acquerelli sulla tela di un pittore, avrebbe allietato gli occhi di chiunque, ed era proprio per questo che avrei voluto correre via, ritornare nella mia cabina, improvvisamente diventata il luogo più confortevole di tutta la nave, però i miei piedi appartenevano al marmo di quella sala, ed i miei occhi al ragazzo esile sul tavolo, che prima di tutti aveva avvertito la mia presenza, e si era interrotto fissandomi con i suoi occhi, talmente chiari da sembrare bianchi. 
Il silenzio che seguì venne bruscamente interrotto solo dai suoi passi che, curiosi, velocemente si avvicinavano a me... quando mi fu vicino, un altro grido di terrore fece sussultare i presenti: quegli occhi sembravano bianchi non perchè avessero le pupille chiare, ma perchè non le avevano affatto!
Il corpo cedette sotto il peso dello stress, il mio grido si spense e i miei occhi non videro più.
Quel demone senza occhi, sporco di sangue e ansimante dallo spavento, si rivolse al vice capitano rimasto fedele al mio fianco e sussurrò 
-Non è la ragazza più magnifica che hai mai sentito?
Infine persi i sensi.

 
Mondo Nutopiano:
Che s'apri il sipario, lo spettacolo comincia.
Grazie.

Pace, Amore e Poc'anzi.
MelinAnima.
  
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