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Autore: Ginevra Gwen White    29/12/2012    6 recensioni
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ONE SHOT
"Che ci fai tu qui?" domandò Mona.
Harry le si avvicinò con sguardo truce. "Tu..." Era come se non trovasse le parole. "Tu sei negra." Sputò l'ultima parola fra i denti, come se fosse una parolaccia della peggior specie.
Mona spalancò gli occhi a dismisura. Harry aveva una voce così bella e così poco adatta a parole di odio e rancore.
"Non ti meriti di stare qui. Tornatene da dove sei venuta." sibilò il ragazzo, puntandole un dito contro, "Vattene e non tornare!"
Mona riprende a suonare per non sentire quelle parole e quel dolore. E la melodia ricomincia.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Racisme  


 
Sol maggiore 
La schiena leggermente curvata, il respiro quasi trattenuto e le mani che volano sui tasti. Il piede destro scandisce il ritmo, pressando i pedali con forza. 
Si bemolle
Mona ha gli occhi chiusi. Le dita scattanti premono senza sosta quei tasti dal suono armonioso, tessendo un telaio di note che si incontrano, si respingono, si intrecciano.
Fa maggiore
Re maggiore
La sua mente è persa in quella maledetta melodia dall'aria tragica. Maledetta come quel giorno...
 
"Ciao! Sono Liza, benvenuta nella nostra classe!"
"Io mi chiamo Johnny, se hai bisogno chiedi pure!"
"È un piacere averti qui! Mi chiamo Niall!"
"Benvenuta, sono Sarah!"
La ragazza, oggetto di tutte quelle attenzioni, sorrise imbarazzata, stringendo la mano a Lisa, Josh o come diavolo si chiamassero i suoi nuovi compagni di classe.
Si era appena traferita in quella scuola di periferia a causa di esigenze lavorative dei suoi genitori. Dapprima non ne era stata contenta ma adesso, constatando la simpatia dei propri compagni, si ricredette, salutando tutti con occhiate amichevoli e strette di mano. Odiava essere al centro dell'attenzione, ma che poteva farci? Era la nuova arrivata. Il tempo di abituarsi alla sua presenza e nessuno l'avrebbe più posta sul piedistallo. 
Abbracciò con lo sguardo l'intera aula, una spaziosa stanza azzurra con gentili sprazzi di verde sulle pareti. Le piacque già da subito.
Tutti i banchi erano vuoti - e per forza, tutti gli alunni le erano attorno, entusiasti - ad eccezione di uno. 
Mona aggrottò la fronte. Sull'unico banco occupato, vi era seduto un ragazzo riccio e dallo sguardo sfuggente. La ragazza si accigliò: non che lei amasse tutta quella cerchia urlante attorno a lei, ma come mai il ragazzo non le era venuto a dire nemmeno un 'ciao' o un 'benvenuta'? 
Forse era soltanto timido. 
 
Si bemolle
Mona trema al pensiero del ragazzo. Il tasti tremano con lei, vibrando al contatto delle sue dita.
 
"Quello lì, invece, come si chiama?" chiese casualmente Mona alla compagna di banco, indicando il riccio. Liza si buttò i lunghi capelli biondi all'indietro, sorridendo maliziosamente. Era stata la prima ad accaparrarsi il posto accanto alla nuova arrivata. Probabilmente perché si vantava di conoscere tutto e tutti e non avere Mona fra le amiche in lista, sarebbe stata una grave mancanza.
"Quello è Harry. Perché, ti piace?" rispose con uno scintillio di furbo nei suoi occhi azzurri, così differenti da quelli color cioccolato della compagna accanto.
Mona arrossì. "Certo che no! Era così, tanto per sapere. Harry, hai detto?"
Il ragazzo riccio si voltò verso di lei. Aveva dei grandi occhi cerulei, piccoli pezzi di cielo incastonati dal suo sguardo. Mona gli sorrise. Era molto, molto carino. Harry la fissò con un'espressione talmente gelida da farle morire il sorriso sulle labbra.
Mona trasalì. Nel suo sguardo colse qualcosa di più del fastidio di essere sparlato alle spalle. Odio.
 
Re maggiore
La bemolle
La musica le giunge fino all'anima, avvolge il suo cuore come se non volesse più mollarlo. Mona si lascia trasportare, buttando la testa all'indietro. Ricordi. Amari ricordi.
 
"Posso andare in bagno?" Mona alzò la mano timidamente, come se non volesse farsi notare da nessuno.
La prof di lettere, una signora un po' avanti con gli anni, le fece un cenno con la mano. "Certo, vai." 
La ragazza si levò dalla sedia e si avviò verso il bagno, lì di fronte. Tutti i prof erano stati estremamente carini con lei. Anche Liza non era male, se la si conosceva meglio. L'aveva addirittura invitata alla sua festa di compleanno! 
Mona si piazzò dinnanzi allo specchio. Una ragazza dalla pelle nera, con grandi zigomi e dai lunghi capelli ricci ricambiò il suo sguardo. Non amava particolarmente il proprio aspetto, ma era da tempo giunta a una sorta di rassegnazione interiore, che era lungi da essere chiamata autostima. Si diede un colpetto lieve alla tempia per aggiustarsi il trucco, quando udì il colpo secco della porta che si chiudeva. Mona si voltò verso di essa, sussultando quando identificò il ragazzo che era appena entrato. Harry.
 
"Che ci fai tu qui?" domandò Mona.
Harry le si avvicinò con sguardo truce. "Tu..." Era come se non trovasse le parole. "Tu sei negra." Sputò l'ultima parola fra i denti, come se fosse una parolaccia della peggior specie.
Mona spalancò gli occhi a dismisura. Harry aveva una voce così bella e così poco adatta a parole di odio e rancore.
"Non ti meriti di stare qui. Tornatene da dove sei venuta." sibilò il ragazzo, puntandole un dito contro, "Vattene e non tornare!"
 
["Non ti meriti di stare qui."] La maggiore ["Tornatene da dove sei venuta."] Si bemolle
["Vattene!"] Do maggiore
Le parole le rimbombano in testa ["Tu sei una negra."] come ["Vattene! Vattene!"] un mantra. 
Mona cessa di suonare, gettando i gomiti sui tasti e provocando un'accozzaglia di suoni stonati.
Stonati. 
 
Mona era in uno stato di confusione assoluta. Non si era mai trovata in una situazione del genere.
Credeva che gli Stati Uniti avessero ormai superato ogni differenza. Non capiva come il proprio colore della pelle potesse influire sugli aspetti vitali di reale importanza.
"Tu sei pazzo." mormorò la ragazza, sconvolta in viso, "Il fatto che io sia nera, non ha mai creato problemi a nessuno." 
Harry le si avvicinò, con le pupille dilatate dal furore. "Tu-tu non capisci! Non meriti niente di tutto questo!" La guardò intensamente, trattenendo a stento un'espressione di disgusto. "Bastarda di una negra!" E le mollò un ceffone su una guancia.
 
Re bemolle
Serrò gli occhi. Non aveva voglia di ricordare. Non voleva rivivere quei brutti momenti. Non di nuovo.
 
La ragazza si premette una mano sulla parte colpita. Provava solo dolore, eterno dolore. Non tanto fisico, quanto emotivo. Quelle parole l'avevano colpita dritta all'animo. Ogni parola, una stilettata nel cuore. Represse le lacrime e fece per dargli un pugno, ma Harry la bloccò, ritraendo poi subito la mano. 
"Non mi toccare, puttana negra!" strillò istericamente, dandole un altro schiaffo. Mona urlò, sperando di far accorrere qualcuno.
"Che ti ho fatto? Che cosa diavolo di ho fatto?" gli gridò contro. Non potè farci nulla. Le lacrime scoppiarono come un fiume in piena, scendendole lungo le guance e il collo. Avvertì il loro sapore salato sulle labbra quando Harry la colpì un'altra volta. E un'altra.
"Che succede qui?" Liza fece il suo ingresso in bagno, scrutando Harry con diffidenza. "E tu che ci fai qua?"
Mona si coprì il viso con le mani e corse via dalla porta. Via da Harry e dalle sue parole cattive. Via dai suoi schiaffi e dal suo sguardo di disprezzo. Via da quel razzismo immorale. Via da tutto.
Sentiva lo sguardo di Liza sulle spalle, ma non si voltò. Si vergognava di essere stata picchiata a quel modo. Per fortuna, Liza non aveva visto il suo viso, rosso dalle botte e dalla vergogna.
 
La maggiore
Mona riprende a suonare per non sentire quelle parole e quel dolore. E la melodia ricomincia.
 
Il giorno seguente, Mona ritornò a scuola. Fece finta di niente, non era successo niente. Per fortuna Harry era assente.
A Liza, disse che in bagno era scivolata e Harry era accorso al suo urlo. Liza sorrise sorniona, dicendole che se voleva un momento appartato con Harry, non c'era bisogno di mentirle. Mona sorvolò la faccenda, aprendo un quaderno con indifferenza e con l'anima che urlava la sua sofferenza.
Alla fine della scuola, Mona si incamminò verso casa. Pensava e ripensava agli eventi di ieri. Doveva dirlo a qualcuno? No, no di certo. L'avrebbero derisa. L'avrebbero chiamata debole. L'avrebbero solo fatta vergognare di più.
Due mani l'afferrarono da dietro, tappandole la bocca. Mona scalciò, in preda al panico. 
"Ci rivediamo, stronzetta." sussurrò Harry, portandola in un vicolo più appartato. La ragazza sgranò gli occhi, cercando di urlare. Era pazza di paura, una paura matta. 
"I negri come te devono morire, lo capisci? Non meriti niente. Non meriti di vivere, lo sai?" le mormorò all'orecchio il ragazzo, perso nella sua follia. "Sei inutile. Sei una sporca negra, non devi vivere." 
Per Mona quella era la prima volta, la prima volta che provava una paura del genere. Prima di allora, non era mai stata sfiorata da un sentimento così. Nessun terrore cieco l'aveva mai invasa.  E adesso, invece, sentiva un panico crescente che le attanagliava le viscere e le impediva di respirare.
Un calcio sulla pancia. Un altro. Un altro ancora. Mona gemette dal dolore e gli addentò la mano, cercando di evadere dalla sua morsa. Ci riuscì. E mentre Harry si piegò imprecando, lei corse via dal vicolo. Non importava dove. Soltanto fuggire.
Di nuovo.
 
Si bemolle
La maggiore
Mona sente dentro di sé la paura di quel giorno. E le dita suonano più veloci, quasi stessero fuggendo anche loro.
 
Mona si chiuse in bagno, ansimando. Quella storia andava avanti da più di tre settimana ormai. La paura era una compagna costante. Ogni giorno che andava a scuola, Mona desiderava con tutto il cuore che Harry la smettesse, che si stancasse di lei. Ma non accadeva e in cuor suo, sperava e sperava ancora che le botte ricevute, gli schiaffi, i calci e gli insulti fossero gli ultimi. Per due giorni aveva anche finto di star male, in modo tale da sottrarsi all'orribile tortura giornaliera. Durante le lezioni, Mona evitava Harry per come poteva, ma era alla fine della scuola che accadeva il peggio.
I suoi genitori non erano mai a casa, quindi non era un problema nascondere i graffi, i lividi e le ferite, ma Liza la interrogava sempre più preoccupata e Mona le rispondeva costantemente che erano dovuti al rugby. 
La ragazza aprì l'acqua del rubinetto per riempire la vasca. Si spogliò e si appostò davanti allo specchio. Odiava sé stessa. Quella minuscola dose di autostima che aveva costruito in tutti quegli anni, era scomparsa. Quasi non guardava più un faccia alle persone, da quanto si sentiva brutta.
Brutta, nera e diversa. 
Entrò nella vasca, ormai piena fino all'orlo. Perché Dio non aveva fatto tutti bianchi? Perché proprio lei era nera? Perché non c'era facoltà di scelta? Provò a immaginarsi bianca, ma non ci riuscì. Gemette di frustrazione. Era così diversa dagli altri. Tutta colpa della sua fottuta pelle.
Pelle. Mona si guardo la pelle e si sentì sporca.
Così dannatamente sporca.
Cominciò a sfregarsi le gambe con la spugna. 
Non le bastò. 
Prese a sfregarsi con le mani, con foga, quasi volesse strappar via tutto, fino a sentir male. 
Si grattò con le unghia il viso, fino a lacerarsi la pelle. 
Forse dietro la scorza nera, ve n'era una bianca. Come la mela. La buccia era rossa, ma dentro era chiara. 
Si grattò con più convinzione. Sentiva male dappertutto, ma non mollò. Voleva diventare bianca e per farlo, doveva soffrire. Dopo alcuni minuti, urlò di dolore, smettendo di dilaniarsi. 
Cosa aveva fatto? 
Le mani erano rosse di sangue, il suo sangue. Se le fissò, quasi non fossero sue.
Cosa aveva fatto? 
 
Re bemolle
Mona chiude di nuovo gli occhi, cercando di distogliere dalla mente l'immagine del suo corpo quasi a brandelli. Era stata una stupida. Stupida.
 
Uscì dalla scuola anche quella volta, sospirando di rassegnazione. Aveva tenuto per tutto il giorno la sciarpa, alzata quasi fino agli occhi e nessuno aveva notato niente di strano. Nessuno aveva visto i suoi graffi. Ed Harry non si era fatto vivo. Per fortuna.
Camminò per la via, non senza guardarsi sempre alle spalle, quasi come un tic. E fu allora che lo vide. Correva verso di lei.
Ancora lui. 
Una gelida lingua di ghiaccio le salì lungo la schiena, come un rivolo di neve sciolta. Il suo cuore era come attorcigliato da un serpente malvagio, che stringeva la sua morsa sempre di più, sempre di più. 
Cominciò a correre anche lei. Correva come se non avesse fatto altro in tutta una vita. Il fianco le doleva in modo tremendo, ma non si sarebbe mai fermata. 
Era il terrore che le faceva mettere velocemente una gamba dietro l'altra. Il terrore che quella sarebbe stata la volta buona, per Harry, di mantenere fede alle proprie promesse. Di 'farla fuori'.
Sorpassava rapidamente la poca gente che la intralciava e che sbuffava infastidita, pregando Dio di sostenerla.
Ma non servì a niente. Giunta davanti ad un incrocio isolato, Harry l'aggredì alle spalle, come ogni volta.
Mona cominciò a piangere, sperando di suscitargli pietà, per una volta. 
"Puttana, cercavi di sfuggirmi? Sarai punita per questo, bastarda." Harry ghignò e la gettò a terra. 
Sfortunatamente, non c'era nessuno a soccorrerla. Le case di quel quartiere, grigie e ammassate l'una sull'altra, erano in stato di abbandono. Anche il cassonetto della spazzatura sul marciapiede sembrava abbandonato al suo destino. 
Il tempo non era dei migliori e cominciò a piovere. Dapprima timidamente e poi sempre con più vigore. 
Le gocce tamburellavano sulle spalle e sui capelli di Mona, la quale volse lo sguardo al cielo, sperando che almeno da lì qualcuno la assistesse. Perché riponeva sempre tanta fiducia negli altri e mai abbastanza in se stessa?
"Oggi ti ho portato un regalino." le bisbigliò piano Harry, come se le gocce di pioggia potessero essere testimoni di quel crimine. Estrasse un coltellino, facendo trasalire Mona. "Ti rispedirò a casa." rise selvaggiamente, come un pazzo.
Il terrore andava via via soffocando Mona, la faceva precipitare in un abisso senza fondo. 
Harry la prese rudemente in braccio e la portò verso il cassonetto della spazzatura. Si scostò i capelli bagnati dalla fronte, con un brusco movimento della mano e la guardò, con quegli occhi così belli e folli. Poi aprì il cassonetto e la issò dentro.
"Entra dentro." ringhiò sommessamente, spingendola verso l'interno.
Mona sentì le proprie lacrime congiungersi con le lacrime del cielo. Forse anch'esso piangeva per la sua triste sorte. 
Oppose resistenza a Harry, puntellandosi con le mani, sui bordi del cassonetto.
"Sei un pazzo, un pazzo!" gridò, lottando per ritornare a terra. 
Harry la guardò follemente e la spinse con forza dentro il cassonetto. "Entra a casa tua, maledetta puttana! È questo il posto che spetta a quelli come te!"
Possibile che ci fosse così tanta cattiveria al mondo? Così tanta crudeltà? Mona non smise di combattere per un istante, serrando gli occhi. "Non voglio! Tu non puoi..." Le parole le morirono in gola, quando vide che Harry aveva preso a minacciarla con il coltellino. 
"Entra o giuro che trafiggo la tua sporca carne! Entra, cogliona! Entra, entra!
La ragazza ammutolì. Non c'erano parole per descrivere il suo stato d'animo. Vedeva la sua vita come un baratro nero. E lei cadeva e cadeva, senza sosta. E urlava, ma nessuno la sentiva. Anche in quel momento urlava. Urlava perché la sua anima potesse liberarsi da quella tortura che era durata già per troppo tempo. Urlava perché non aveva più senso vivere. Urlava perché era combattuta dall'andare verso il coltello e farla finita o buttarsi e darsi per vinta. Urlava.
Ma all'improvviso, accadde qualcosa di nuovo. Dal fondo dell'abisso, apparve un tenue bagliore. Era un germoglio di luce che emanava un lieve tepore. Una via d'uscita da quel gelido mondo. 
La speranza. 
E la speranza aveva un volto: un ragazzo dalla voce calda e dalla pelle ambrata.
"Ehi, tu! Lasciala in pace!" gridò quella voce sconosciuta.
Harry sussultò, mollando il coltello, che cadde a terra con un secco tintinnìo. Mona aprì gli occhi e i suoi sensi offuscati percepirono che la persona che aveva urlato, aveva spintonato Harry ed era corsa verso di lei.
"Stai bene? Oh, dimmi che stai bene." Mona percepì un accento esotico nel suo modo di parlare. La ragazza si spinse oltre il bordo del cassonetto e cadde a terra con un tonfo. Aveva male dappertutto. Ma notò lo stesso che Harry aveva recuperato il coltello.
E si stava avventando sul ragazzo, ancora chino su di lei. 
Spaventata, tentò di avvertirlo, urlando: "Stai attento, è dietro di te!" ma le uscì soltanto qualcosa come: "Statndtomh." 
Il ragazzo capì comunque e si spostò quel tanto per far deviare la traiettoria del coltello. Poi, voltandosi, bloccò Harry e lo stordì con un colpo sulla nuca. E Harry cadde di nuovo a terra, come il coltello di due attimi prima.
"Stai bene?"
Mona cercò di muoversi, ma non ci riuscì. "Sto beniss..." 
Svenne.
 
Si bemolle
Un capitolo del libro della sua vita che si chiude e un altro che si apre. Una porta che conduce fuori dall'inferno, verso il paradiso. E il paradiso era Farid.
 
C'era un odore strano nell'aria. Come dal dentista. Solo più acuto... Mona aprì debolmente gli occhi e ispezionò la situazione. Era sdraiata, sì, il tatto lo confermava. Su un letto bianco. Si guardò attorno. Aveva una flebo attaccata al braccio e un camice verde. Ospedale. Come ci era finita?
E cos'era quell'irritante peso sulla coscia destra? 
Scostò appena la testa e vide un viso ambrato, placidamente addormentato sulle sue gambe.
E tutto le tornò in mente. Il cassonetto, Harry, il coltellino. La speranza, la salvezza, il viso ambrato.
Cominciò a tremare dalla fifa, temendo che Harry fosse nascosto dentro il piccolo armadietto di ferro accanto al letto o addirittura sotto a quest'ultimo. Sussultava così tanto, che il ragazzo con la testa sulle sue gambe si destò di botto.
"Cos-cosa c'è?" biascicò il moro. Si voltò verso di lei e le sorrise. Un sorriso così vero e puro... Mona non ne vedeva uno così da tempo. "Come stai, Mona?"
Il cuore della ragazza galoppò, quasi senza motivo. "Io..."
"Non sei obbligata a parlare, se non te la senti."
Mona corrucciò le sopracciglia. "Volevo soltanto..."
"Magari senti dolori alla gola... non devi assolutamente fare sforzi."
"Ma..."
"Lo so, lo so. Stai male. Scusa se mi sono addormentato su di te, ma mi ero ripromesso di non andarmene finchè non ti saresti svegliata."
La ragazza alzò gli occhi al cielo. "Se solo..."
"Ti capisco. Quando da piccolo avevo il mal di gola non riuscivo nemmeno a parlare dal dolore."
"Ti ci vuole un mal di gola per farti stare zitto?" sbottò Mona, non riuscendo a trattenere una risata.
Il ragazzo corrugò la fronte ma poi si sciolse in un sorriso. "Scusa. Comunque io sono Farid." Le prese la mano, che Mona ritrasse stizzita, quasi inconsapevolmente.
"Scusa, scusa! È solo che..." Mona si fermò, abbassando la testa. Quante domande che aveva per la mente!
Farid annuì comprensivo. "Non preoccuparti." Chinò anche lui il capo, giocherellando con i lacci della sua felpa.
"Cosa... cosa è successo?" farfugliò debolmente Mona.
Farid alzò lo sguardo. Aveva degli occhi castani e profondi. Sembrava quasi di leggergli dentro. "Quando sei svenuta, ho chiamato la polizia e l'ambulanza. Hanno arrestato quel ragazzo... lui ha fatto resistenza, sostenendo di stare liberando la terra da una sporca nera." Tamburellò le dita sul materasso, a disagio. "Okay, forse le sue parole sono state un po' più pesanti, ma che importa? Dopo che è stato arrestato, i tuoi genitori sono accorsi all'ospedale, insieme ad una ragazza pallida che affermava di essere tua sorella Liza." Sorrise. "Naturalmente la polizia non ha creduto alle sue farneticazioni. Tu sei stata in stato semicosciente per venti ore... ed eccoci qua. Sono felice che tu stia bene."
Mona ascoltò tutto, annuendo di tanto in tanto. "E tu sei rimasto qui per tutto il tempo?" chiese in un sussurro.
"Sempre con te." confermò lui, lanciando uno sguardo al monitor sopra alla sua testa.
Mona quasi non ci credette. Era finita? Era davvero finita? Inspirò pesantemente e si buttò sul cuscino. Ma non pianse. Sia perché di lacrime non ce n'erano più, sia perché il dolore l'aveva accompagnata per quasi due settimane.
Ma adesso era finita. Non c'era più bisogno di piangere. Mona cominciò a ridere e quando abbracciò Farid, delle lacrime le scesero paradossalmente per le guance. Ma questa volta, erano lacrime di gioia.
 
Do maggiore
Do diesis
Mona sorride. Rievocare ciò che era successo più di cinque anni fa, fa sempre male. Ma la storia finiva bene. 
 
Ricordò i mesi passati in terapia. Farid era stato con lei in ogni secondo. Insieme erano andati, a volte accompagnati da Liza, dallo psicologo, dallo psicoterapeuta, dai professori e dalla polizia. Ricordò il pianto della madre, quando Mona raccontò alla polizia quelle quattro terribili settimane. Ricordò il rimprovero del padre, per non essersi confidata con nessuno. Ricordò la delusione dei genitori di Harry, i loro volti, così simili al figlio, distrutti. 
All'inizio era stata dura superarla del tutto. La notte, Mona si svegliava urlando, con le minacce sussurrate da Harry, ancora nelle orecchie. Ogni volta che vedeva un ragazzo dai capelli ricci, era presa da un attacco di ansia, e cominciava a tremare e ad ansimare. Iniziò la fobia dei luoghi chiusi, dovuta al cassonetto, suo incubo ricorrente. A volte, quando si guardava allo specchio, si rintanava in un angolo, con le ginocchia al petto, tremante.
Ma Farid c'era sempre. La notte, le dormiva accanto sul materassino e ad ogni suo urlo, si svegliava e la confortava con un abbraccio o un bacio sui capelli. La consolava quando si sentiva brutta, aiutandola a ricomporre quell'autostima che faticava a ricrescere. Con una parola dolce e una carezza, calmava ogni suo attacco d'ansia. 
"Sempre con te." le ripeteva. E così fu.
 
Si bemolle
La bemolle
Sol maggiore
La ventiquattrenne seduta al pianoforte, cerca di suonare l'ultimo accordo, il più difficile.
Sol maggiore, La maggiore, Re maggiore
Era un re bemolle, accidenti! Scuote il capo e ricomincia a suonare la battuta, facendo attenzione all'ultimo accordo.
Delle dita si sovrappongono da dietro alle sue, suonando al suo posto l'accordo e concludendo con uno svolazzo di mani.
"Farid!" Mona si volta e trattiene a stento un sorriso, sostituendolo con un'espressione che vorrebbe essere truce. Erano passati cinque anni, eppure lui non era cambiato molto. Era solo un po' più alto. E più bello.
Farid le circonda la vita con le braccia. "Tesoro, quell'accordo era così stanco di essere vandalizzato da te!" le dice in tono scherzoso, scostandole i capelli dalla fronte. Mona scoppia a ridere. "E tu faresti di meglio? Ti sfido!"
Il ragazzo sbuffa divertito e la abbraccia stretta. Dio, quanto vorrebbe tenerla stretta stretta per sempre. A volte gli sembra così fragile che potrebbe volare via.
"Mona, ti ho portato un regalino!" La ragazza trasale a sentire quella frase e si ritrae un po', ma Farid le accarezza la guancia con delicatezza. "Una sorpresa." 
Farid sorride di nuovo. Ha sorriso così tanto per tutti quegli anni. Un sorriso per farla sentire bene. Sarebbe disposto a passare il resto della sua vita con delle mollette sulle guance per tenergli sempre un sorriso in faccia, pur di mantenerla ogni giorno felice. Si inchina goffamente e prende un piccolo cofanetto da dietro. Lo porta davanti a sé e lo apre, rivelando un magnifico anello con un topazio incastonato. 
Mona brilla di felicità. Solo Farid ha il potere di renderla così felice e il ragazzo lo sa.
"Mona," annuncia il moro, guardandola dritta negli occhi, "vuoi sposare me, il tuo umile suddito?"
La giovane ride di cuore, portandosi una mano alla gola. Ride mentre abbraccia Farid talmente stretto da non farlo parlare.
"È un sì?" mugola il pakistano, sciogliendosi dall'abbraccio.
"Sì, sì, mille volte sì!" grida Mona, con un subbuglio indistinto di emozioni che le attraversano il viso. Farid la attira verso di sé e la bacia, spostando il suo peso verso il pianoforte, che così produce migliaia di sgradevoli suoni. I due si stringono l'uno all'altra, come se avessero paura di perdersi. Mona ricambia il bacio con trasporto, portando le proprie mani sulla nuca di Farid e quelle del ragazzo sulla propria vita. Poi entrambi interrompono il bacio con un sonoro schiocco. 
"Sempre con te." le mormora Farid all'orecchio.
"Sempre con te..." sussurra Mona chiudendo gli occhi e dimenticando, finalmente, ogni cosa.
 




   
 
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