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Autore: Stars_Daughter    29/12/2012    8 recensioni
Vai a Wilson che sbiadisce piano sul il lenzuolo di un albergo qualsiasi in una città qualsiasi. Vai al suo polso sempre più irregolare sotto le tue dita. Vai alle tue dita, che premono e implorano, per favore, non adesso, non ancora. Era troppo presto. È sempre troppo presto.
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Vieni qui, adesso. Rimani in questo momento, alla luce al neon della cella di isolamento, al cemento del muro contro la tua schiena. Respira il freddo e l’odore del cibo che non hai mangiato. Respira il dolore che risale dalla gamba fino a ovunque, fino a ogni punto che riesce a raggiungere. Respira.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Greg House, James Wilson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Running in circles, falling to pieces

 

 

Vai a Wilson che sbiadisce piano sul lenzuolo di un albergo qualsiasi in una città qualsiasi. Vai al suo polso sempre più irregolare sotto le tue dita. Vai alle tue dita, che premono e implorano, per favore, non adesso, non ancora. Era troppo presto. È sempre troppo presto.

 

Torna all’inizio di tutto. Avevate cinque mesi, due moto e il mondo intero. E aspettative più grandi di voi, naturalmente. È così che iniziano i viaggi, è così che inizia tutto: con una speranza che verrà delusa, ma finché non si prova non si può sapere. E magari non si arriva dove si voleva arrivare, ma qualche passo avanti lo si fa. I vostri passi avanti vi hanno portati in un albergo qualsiasi in una città qualsiasi. Come tutti, vi eravate aspettati qualcosa di meglio.

 

Vieni qui, adesso. Rimani in questo momento, alla luce al neon della cella di isolamento, al cemento del muro contro la tua schiena. Respira il freddo e l’odore del cibo che non hai mangiato. Respira il dolore che risale dalla gamba fino a ovunque, fino a ogni punto che riesce a raggiungere. Respira.

 

Ora vai a Wilson ubriaco in un bar. Vai al suo braccio intorno alle tue spalle e a quando è crollato sulla panchina di un parco piangendo e dicendo di non voler morire. Di volere più tempo. Di meritare di più. Vai a te che dici “Abbiamo tutti una data si scadenza. Tu sai la tua, questo non ti rende speciale. Alzati”. Vai a Wilson che si aggrappa alla tua spalla, e si alza.

 

Torna al giorno della scalata, a quando siete arrivati in cima e per un attimo vi è sembrato che fosse possibile qualunque cosa. Wilson ha guardato giù da un dirupo e ha detto “Volare sarebbe un bel modo di andarsene”. Tu gli hai preso il braccio, e hai risposto “Volare è un modo stupido di andarsene, perché credi che gli uccelli abbiano il cervello grande quanto una noce?”. Wilson è tornato indietro, e vi siete sdraiati sulle rocce e sui licheni a guardare il cielo e il sole che vi bruciavano gli occhi.

 

C’è stato quel giorno in cui Wilson si è fatto prescrivere Vicodin in un ambulatorio pubblico, è entrato in farmacia e te l’ha portato. Tu eri seduto su un muretto vicino al fiume, graffiando la calce e i mattoni e mangiando l’aria in piccoli morsi. Hai preso una, due, cinque pillole. Wilson non ha detto niente, ma ha messo una mano sulla tua gamba e ha aspettato che tu ricominciassi a respirare.

 

Vai a quando ti sei reso conto che Wilson si stava indebolendo giorno dopo giorno. Avete venduto le moto e comprato i biglietti di un autobus a caso. Vi siete seduti in fondo, contro il vetro, e il mondo rotolava al di là del finestrino e non era più la stessa cosa. Wilson l’ha capito; e ha capito che tu l’avevi capito. Siete scesi in mezzo alle spighe di grano e alle lucciole, in un paese con un albergo di tre stanze. Avete preso quella con il balcone di legno mangiato dagli insetti e dagli anni e avete guardato la campagna e le luci. Da qualche parte un orologio ticchettava, e Wilson l’ha cercato e l’ha rotto contro lo spigolo del tavolo. Poi è tornato in balcone, e non avete dormito.

 

Torna al terzo giorno e a Wilson che dà un pugno a un uomo in un bar. Torna al momento dopo, fuori, a Wilson con le labbra rotte e i lividi sulla mascella che dice “L’ho fatto a scopo didattico, stava importunando quella donna”. Torna a te che gli asciughi il sangue dal mento e rispondi “No, l’hai fatto perché lui è vivo e ci sono ottime probabilità che lo sia ancora anche tra un anno”. “E se fosse, sarebbe così sbagliato?”. Torna a te, che per una volta non dici niente.

 

Vieni qui, alla porta che si apre per la tua ora d’aria. Vieni ai fili di metallo del perimetro del cortile, prima del muro. Vieni alla guardia che ti chiede perché tu abbia scelto tutto questo da solo. Il mondo fa abbastanza schifo anche senza le persone dentro, vorresti dire. Non lo dici, e la tua ora d’aria finisce.

 

Vai a Wilson che parla con Amber, di notte, soffocando le lacrime nel cuscino. Vai a te che ti alzi piano e ti sdrai accanto a lui, senza toccarlo, aspettando che passi. Vai a quando passa e appoggi la fronte contro la sua schiena e premi forte e Wilson non dice niente; e in qualche modo resistete anche a quella notte.

 

Torna a quando non sei morto. Torna alla notte in cui avete preparato tutto e vi siete addormentati sul divano circondati da quello che sarebbe stato il resto delle vostre vite. Vestiti, soldi, fotografie, antidolorifici. E’ così che funziona la vita, raccogli un sacco di cose per strada e poi nei momenti importanti ti rimane questo: vestiti, soldi, fotografie, antidolorifici. Raccogli i tuoi anni, finché non ti rimangono che cinque mesi. È così che funziona.

 

Ci sono state volte in cui non vi siete fermati per due, tre giorni. Guidavate nella notte, nel vento e nella luce dei lampioni e delle stelle. Vi fermavate negli spacci dei distributori di benzina, e pensavate che fosse quello, essere felici: il freddo addosso, le occhiaie e i vestiti sporchi. Sorridevate attraverso la barba sfatta, e pensavate che forse, in fondo, ne valesse la pena.

 

Vai a quando avete giocato a paintball, e per una volta le ferite non erano vere ferite e le morti non erano vere morti. Vai al naso di Wilson, sporco di uno schizzo della vernice gialla con cui ti aveva tradito perché “in guerra e in amore tutto è lecito”. Vai a te che ti chiedi cosa sia, se guerra o amore, se tutti e due, se qualcosa che tanto ora non puoi definire perché sei morto e devi andare a mangiare ali di pollo nel bar all’uscita. Wilson ti ha raggiunto dieci minuti dopo, colpito da una bambina di sette anni con sorprendenti doti strategiche. Hai rubato le ali di pollo dal suo piatto, anche se avevi già mangiato.

 

Non perderti. Torna ad adesso. C’è un pezzo di luna, in alto, oltre la finestra. Sembra una gomma da masticare sputata nel cielo. Da qualche parte ci sono rumori metallici mangiati piano dal silenzio. Qui invece ci sei tu, e Wilson non c’è, e non ci sarà più. E questo vuol dire tutto.

 

Torna a quel giorno in cui Wilson non è riuscito ad alzarsi. È caduto sulle ginocchia e tu l’hai raccolto e rimesso sul letto, e gli hai dato gli ultimi tre Vicodin. Erano passati solo quattro mesi e venti giorni. La morte non doveva essere tanto brava, a mantenere le promesse.

 

Non pensare a questo, non ancora. Pensa a prima, a quando avete comprato un libro scontato del venti percento in un autogrill, un libro a caso, e lo avete letto insieme, nello stesso letto sporco di un motel. Hai fatto battute sulla protagonista, e Wilson ha riso. Poi la protagonista ha avuto un incidente d’auto ed è morta e sua figlia ha iniziato a drogarsi mentre il padre beveva nei bar. E ci vuole davvero un po’ troppo poco, perché il mondo crolli, ma il vostro mondo aveva ancora quasi tre mesi. Andava tutto bene.

 

Vai all’autobus e a voi che giocate a un “Indovina chi” comprato in una tabaccheria. Vai a quando Wilson ha detto di essere una donna con i baffi e il cappello a cilindro e hai capito che era ora di dormire. Gli hai dato due Vicodin e gli hai messo un braccio intorno alla vita perché volevi sentire il suo cuore batterti addosso qualche ora dei suoi ultimi giorni.

 

Una volta ti sei svegliato e Wilson non c’era. L’hai trovato fuori, a fumare una sigaretta nella luce del sole che stava decidendo se sorgere o meno. Hai detto “Tu non fumi”. “Tanto non importa più”. Ti ha offerto il pacchetto e un fiammifero, e siete rimasti  a vedere se il giorno sarebbe iniziato sul serio, mentre il fumo si attorcigliava grigio nell’aria fredda.

 

Torna al giorno del suo compleanno, a quando gli hai tirato una torta in faccia e hai pagato due prostitute perché gliela leccassero via. Torna a quando è arrossito sotto la panna e ha detto no, House, no, non c’è bisogno, davvero, House, non provare a uscire da quella porta, House. Torna a quando finalmente è stato zitto.

 

Non sei pronto, ma prova. Respira, e prova.

Prova ad andare a quando hai fatto uscire Wilson dall’albergo qualsiasi in una città qualsiasi e lo hai aiutato a salire in una macchina a noleggio, una di quelle con il cambio automatico, per potergli tenere il polso tra le dita per quasi tutto il tempo. Prova ad andare al suo polso, agli ultimi singulti di vita e dolore. Vai al pedale dell’acceleratore e a quanto forte l’hai premuto. Vai a quando siete arrivati, vai all’oceano e alla luce del sole che risaliva l’acqua. Hai spento il motore e hai guardato ovunque non fosse Wilson. “Hai bisogno che ti dica che andrà tutto bene?”. Wilson ha fatto segno di sì con uno scatto tremante del collo. “Non è vero, non andrà tutto bene. Però sono qui, se vale qualcosa.” “Certo che vale qualcosa.” “Non abbastanza.” “Non può essere abbastanza. Qualcosa va bene. Qualcosa è tanto.”. Ha incastrato le dita in mezzo alle tue, respirando sempre più piano, mordendo l’aria. Volevi dirgli di non andarsene; di perdonarti; di aspettare; di quanto avevi bisogno di lui. Non hai detto niente, ma lui ha capito e ti ha stretto la mano un po’ più forte. “Ciao, Greg.” “Ciao, James.”. Ed è morto così, guardando te invece dell’oceano, mentre le pagine di un giornale volavano nel vento e nella luce rossa del sole, come uccelli deformi e scuri.

 

Vieni qui. Vieni a quando la Cuddy ha chiesto un permesso ed è venuta a parlarti attraverso il telefono nero. Sta dicendo qualcosa sul fatto che tra qualche mese potrai uscire, o forse sono settimane, o forse non importa. Non ascoltare, appoggia la mano sul vetro che non è vetro ma plastica graffiata. Aspetta che la appoggi anche lei, dall’altra parte. Respira.

 

 

 

 

Note

Questa storia è un po’ scritta nello stile di “Invisible Monsters”, di Palahniuk, se non l’avete letto potrebbe essere un buon momento, just saying. L’ho fatto un po’ perché provare uno stile nuovo non uccide, un po’ perché sospetto che di fic su questo argomento sia pieno il fandom e tanto valeva provare a fare qualcosa di diverso almeno dal punto di vista del tipo di scrittura. Detto questo, ho scritto questa storia metà alle due notte e metà ascoltando Tiziano Ferro, quindi se è vagamente accettabile è grazie al betaggio di Lady_Firiel, con la gentile collaborazione di Il_Coso – giusto perché se non schiavizzi i tuoi amici cosa li inviti a casa tua a fare. Grazie a entrambi <3

   
 
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