Chapitre
34
Oui,
c’est toi, je t’aime
Oui,
c'est moi, je t'aime,
Oui, c'est moi, je t'aime,
Malgré l'effort
même du démon moqueur,
Je t'ai retrouvée;
je t'ai retrouvée,
Te voilà sauvée; te
voilà sauvée,
C'est moi! Viens, viens, sur mon coeur!*
Era
da tempo che non le capitava di sognare. Ultimamente il suo era stato
un sonno
agitato, nervoso, che la faceva risvegliare tremante e con le guance
bagnate
nel cuore della notte senza che riuscisse a ricordare quale strano
incubo
l’avesse fatta reagire in quel modo. Aveva attribuito quella
mancanza di
serenità al modo in cui aveva lasciato Erik – e,
riflettendoci tra sé e sé,
riconosceva di aver sbagliato ad andarsene in quel modo,
benché a lui avesse
detto il contrario, e anche se le cose tra loro sembravano essere state
chiarite non riusciva a fare a meno di sentirsi ancora in colpa
– e dunque ci
aveva fatto l’abitudine, limitandosi a cercare una serena
incoscienza tramite
le pastiglie di sonnifero che le aveva prescritto il dottore. Quella
notte,
tuttavia, mentre dormiva nel letto di Erik, avvolta dal suo buon odore
rassicurante, per la prima volta dopo settimane riuscì a
riposare, e la sua
mente quieta produsse un ben strano sogno.
Non riconosceva il
luogo nel quale si trovava: a prima vista, poteva sembrare una banale
soffitta.
La sua se stessa
onirica si stava dirigendo con passi silenziosi e decisi verso un
piccolo
scrigno posato su una vecchia cassapanca polverosa, facendo ben
attenzione a
che le travi del pavimento non scricchiolassero al suo passaggio.
Si
inginocchiò di
fronte alla madia e vi posò sopra la candela che aveva
portato con sé, e che a
malapena schiariva la densa oscurità del sottotetto.
Diede una rapida
occhiata alle sue spalle, quasi temesse che qualcuno l’avesse
seguita; appurato
invece di essere sola, tirò fuori dalla tasca della lunga
vestaglia da notte
una piccola chiave d’ottone che venne poi infilata nella
serratura dello
scrigno. Esso si aprì con un lieve scatto, facendola
sussultare.
Aveva nascosto
lassù quel cofanetto quattro anni prima: che cosa si
aspettava di trovarci, al
suo interno?
Eppure, ecco che i
suoi piccoli tesori apparvero alla luce della candela, come se fossero
stati
messi là dentro non più tardi del giorno prima. A
prima vista non sembravano
che semplici cianfrusaglie prive di significato, ma lei conosceva la
storia di
ciascuna di esse.
Erano i ricordi
della sua vita al teatro. Ricordi che, per amore di suo marito, aveva
dovuto
fingere di aver cancellato il giorno del suo matrimonio. E invece
rieccoli lì,
pronti a perdonarla, a diventare di nuovo parte di lei!
Con dita gentili e
tremanti, ella tirò fuori dalla scatola i guanti bianchi con
ricami dorati che
aveva indossato durante un ballo in maschera, e che erano stati un
regalo di
madame Giry, la donna che l’aveva praticamente cresciuta; se
li portò al naso e
annusò il tessuto, ritrovando ancora un’ombra del
profumo che vi aveva
spruzzato prima di metterli.
Fu, poi, il turno
di una vecchia coroncina di fiorellini di stoffa dalla quale pendeva un
morbido
tulle irrimediabilmente rovinato dalle tarme e appena ingiallito ai
bordi. Era
un velo da sposa, che tuttavia non era mai stato indossato –
non per un
matrimonio, comunque.
Con una fitta
dolente al cuore la donna se lo strinse al petto, mentre gli occhi le
pungevano
nello sforzo di non piangere.
In fondo al baule,
quasi nascosta, giaceva quella che un tempo era stata una bellissima
rosa
rossa, e che adesso non era che un vecchio fiore grigio e rinsecchito.
*
Quando
Giulia aprì gli occhi, il mattino dopo, si
ritrovò nel letto a baldacchino di
Erik, da sola; eppure egli non doveva essersi alzato da molto,
giacché le
lenzuola dalla sua parte del talamo erano ancora tiepide. Il sogno era
ormai un
confuso miscuglio di immagini incomprensibili, che tuttavia la
lasciò con una
strana sensazione di malinconia e amaro in bocca che non seppe
spiegarsi. Rimase
a crogiolarsi con indolenza sotto le coperte per qualche minuto,
godendo del
calore e del profumo dell’uomo – misto stranamente
a qualcosa di più floreale
che non riusciva bene ad individuare – che
l’avvolgeva piacevolmente: era
davvero tornata, ancora stentava a
credere di esserci riuscita e, soprattutto, che ogni cosa si fosse
risolta per
il meglio.
Fu
una fitta al piede, ancora indolenzito, a rammentarle lucidamente la
situazione. Non poteva rimanere ancora a letto a poltrire, aveva un
urgente
bisogno di lavarsi e togliersi tutta la sporcizia di dosso; adesso che
gli
ultimi residui di sonno erano svaniti, iniziava a vergognarsi di aver
dormito
per tutta la notte nelle lenzuola pulite e accanto a Erik, quando
probabilmente
aveva ancora addosso l’odore dell’acqua del lago
mista alla polvere che aveva
raccolto un po’ dappertutto. Doveva essere più
sconvolta e stanca di quanto
avesse creduto, se si era addormentata in quelle condizioni.
Si
tirò su a sedere, stropicciandosi le palpebre e mettendo a
fuoco l’ambiente
circostante. Erik doveva aver spento la lampada per permetterle di
dormire a
lungo senza che la luce la disturbasse, e ciò le
strappò un piccolo sorriso:
come aveva fatto a non accorgersi prima di quanto l’uomo
fosse sempre stato così
premuroso nei suoi confronti? Sporgendosi oltre il bordo del letto per
accendere di nuovo il lume e dissipare il buio, poté notare
sul comodino una
splendida rosa rossa listata di nero che spiegava l’odore che
aveva sentito
svegliandosi, posata scrupolosamente sopra una breve nota del cui
autore Giulia
non nutriva dubbi.
Ieri notte sono
stato un pessimo padrone di casa, dunque cercherò di
rimediare.
Ho preparato la
stanza da bagno in modo che tu possa trovarci tutto ciò di
cui hai bisogno,
puoi usare la mia perché preferisco non pensare in che
condizioni può essere la
tua; ho anche recuperato i tuoi stivali dalla barca, sono accanto alla
poltrona
– dove troverai anche gli unici abiti che purtroppo sono in
grado di darti,
visto che gli altri sono andati… distrutti. Ho visto che gli
indumenti maschili
ti calzano a pennello, spero non ti dispiaccia se per oggi ti fornisco
questi –
provvederò il prima possibile a cercarne di più
adatti.
Esco per delle
commissioni, ma tornerò presto.
Erik.
Il
tratto quasi tremulo, palesemente diverso dal modo in cui era stato
scritto il
resto della lettera, di quell’ultima parola, quel piccolo
aggettivo, quel
semplice tuo, fece sorridere di
tenerezza la giovane. Eppure uno strano pensiero le
attraversò la mente,
indesiderato e fastidioso: sarebbe forse giunto qualcosa, adesso, a
turbare
quella fragile armonia? Sforzandoci di non pensarci, la ragazza
scivolò giù dal
letto, mantenendosi in precario equilibrio su di una gamba sola e
poggiando
solo la punta del piede ferito sul pavimento, per evitare di strappare
i punti.
Barcollando raggiunse il piccolo bagno attiguo, che Erik aveva peraltro
già
preparato – un braciere posto al centro della stanza aveva
reso l’ambiente
caldo e ospitale, facendo inoltre sì che l’acqua
all’interno della vasca in
rame non si raffreddasse – e, chiudendosi dentro, procedette
a restituirsi un
aspetto più decente.
Quando
Erik tornò nella dimora sotterranea, qualche ora
più tardi, trovò Giulia
intenta a raccogliere i vari cocci di vetro e ceramica che giacevano
sparpagliati un po’ dappertutto sul pavimento, e a metterli
su un piccolo telo
steso per terra accanto a lei. Tale visione ebbe il duplice effetto di
imbarazzarlo e irritarlo, giacché si vergognava di averla
dovuta accogliere con
la ‘casa’ in quelle condizioni e soprattutto non
tollerava di vederla ripulire
come una qualsiasi domestica il disastro che aveva fatto lui; inoltre
non
avrebbe dovuto lasciare il letto, dannazione, con
quell’orribile ferita ancora
fresca!
Tuttavia,
quando ella lo udì scendere dalla gondola e avvicinarglisi a
grandi passi,
sollevò lo sguardo dal suo lavoro e gli sorrise, in un modo
così spontaneo e
affettuoso da lasciarlo per un attimo disorientato, privandolo persino
della
parola. Sgridarla per la sua incoscienza era, adesso, decisamente
impensabile.
Lasciò subito ciò che stava facendo e si
alzò in piedi con relativa facilità,
aggrappandosi al bracciolo di una poltroncina e passandosi una mano sui
pantaloni impolverati. «Ho pensato che sarebbe stato meglio
far sparire i
frammenti di vetro, sai, per evitare altri incidenti come quello di
ieri sera»,
disse, accennando con la mano al pavimento.
Erik
le passò un braccio intorno alla vita per sostenerla,
lasciandosi andare ad un
sospiro imbarazzato mentre le sfiorava la fronte con le labbra in un
fugace
saluto. Sembrava non essere ancora del tutto a suo agio con
quell’improvvisa
svolta degli eventi. «Suppongo non fosse così che
ti aspettavi il tuo ritorno…
Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere alla mia follia»,
mormorò senza
guardarla.
«È
tutto passato, Erik, non parliamone più», propose
la ragazza, voltandosi
completamente verso di lui e circondandogli i fianchi con le braccia in
un
gesto estremamente semplice ed istintivo che l’uomo non si
aspettava. «Posso
chiederti dove sei stato o sarei troppo invadente?»
«Assolutamente
no, puoi chiedermi tutto quello che desideri sapere. Sono andato a
parlare con
Bamdad per informarlo che è tempo che io riprende ad
occuparmi della direzione
del teatro, dato che ho trascurato i miei doveri troppo a
lungo», le spiegò
semplicemente, sistemandole una ciocca di capelli dietro
l’orecchio. Non aveva
dato alcuna spiegazione al suo segretario, invece, sui motivi che lo
avevano
spinto a riprendere il controllo dell’Opèra,
perché – sembrava tremendamente
sciocco, sì – per il momento non voleva che nessun
altro sapesse del ritorno di
mademoiselle Sanders; era un qualcosa che voleva tenere per
sé ancora per un
po’, come se raccontarlo a qualcuno avrebbe rovinato la
serenità dei momenti
che potevano finalmente trascorrere insieme. Inutile dire che era
meglio
tenerne all’oscuro anche madame Giry, se si voleva evitare
che la donna si
precipitasse nei sotterranei solo per vedere con i suoi occhi la sua
pupilla.
Lei
si era distratta per un attimo, inseguendo chissà quale
pensiero, e fu Erik a
riscuoterla da esso sfiorando gentilmente la punta del suo naso.
«Che cosa c’è?»
Chiese, cercando di celare la preoccupazione; al suo fianco aveva
l’impressione
di camminare sulle uova, come se un singolo, minuscolo passo falso
potesse
distruggere quello che faticosamente sembrava essersi ricreato tra loro.
«Hai
detto che posso chiederti qualsiasi cosa?» Domandò
la giovane in attesa di
conferma, inarcando un sopracciglio.
Lui
aggrottò a sua volta la fronte, accennando un sorriso.
«Sì, certo. Qualsiasi cosa.»
Giulia
sospirò, e sollevò le mani a giocherellare con i
bottoni della sua giacca. «Allora,
Erik, ti prego… Non indossare questa maschera quando sei con
me», disse piano,
temendo la reazione dell’uomo a quelle sue parole.
Tuttavia
Erik non si arrabbiò a quella richiesta; al contrario, essa
sembrò averlo colto
di sorpresa, e il suo sguardo, quando si riposò sulla
ragazza, sembrò quello di
un bambino smarrito. Dopotutto, era la prima volta che qualcuno lo
pregava di
scoprirsi il volto senza l’intenzione di prendersi gioco di
lui. Scacciando via
quegli odiosi spettri della sua infanzia che non avrebbero smesso un
solo
giorno di perseguitarlo, Erik sospirò.
«È l’abitudine», rispose,
assumendo il
suo stesso tono di voce. Poi dalle sue labbra fuoriuscì una
debole confessione
che mai essere umano ebbe l’occasione di sentire,
né prima né tantomeno in
seguito. «Mi fa sentire… al
sicuro.»
Ella
lo comprese, e non volle forzare la mano – ogni
cosa a tempo debito; però volle lo stesso che lui
sapesse che cosa ne
pensava. «Mi da l’impressione che tu voglia mettere
una sorta di distanza tra
me e te», mormorò, lasciando che un dito vagasse
sul profilo del suo volto
scoperto. «Sembra una barriera… Ma non importa,
davvero. La toglierai quando ti
sentirai pronto. So aspettare», concluse con un sorriso.
Erik
le lasciò un breve bacio sulle nocche della mano, un bacio
che significava
gratitudine; poi sospirò e cambiò discorso,
portando entrambi su un terreno
meno delicato. «È strano… vederti di
nuovo qui», mormorò, scrutandola da sotto
le ciglia scure.
«Sì,
è strano anche per me», replicò lei,
stringendogli una mano come a volerlo tuttavia
rassicurare sulla sua reale presenza. «Ma credo che sia
questo il posto dove
devo stare, alla fine.»
Gli
occhi di Erik si riempirono di una rara emozione. «Qui, con
me?» Domandò piano,
quasi come se temesse malgrado tutto una risposta negativa –
sembrava non
volersi cullare nella speranza fino all’ultimo.
Giulia
scrollò le spalle, leggermente imbarazzata. «Se mi
vuoi ancora…» Rispose, con
un mezzo sorriso.
Egli
sorrise a sua volta, sfiorandole il mento con due dita e avvicinandosi
a lei
fino ad arrivare a baciarla stavolta con estrema gentilezza, memore di
quell’altro bacio che aveva rovinato ogni cosa, tra loro.
«Ti vorrò sempre»,
ribatté in un sussurro, lambendo le sue labbra con le
proprie.
Quel
giorno, Erik le impedì di toccare oltre un solo spillo,
comportandosi come il
più perfetto dei padroni di casa. Si trasferirono in una
stanza miracolosamente
intatta che fungeva da sala da pranzo, e lì l’uomo
servì verdure cotte insieme
a paté di selvaggina per antipasto, filetto di tacchino e
salsa di funghi
insieme a un contorno di uova sode tagliate a fette come prima portata,
accompagnate
da dell’ottimo vino rosso di cui Giulia aveva già
scordato il nome, e per
finire come dessert un dolce alle mandorle che Erik aveva
orgogliosamente
chiamato Galette des Rois. Non era
la
prima volta che pranzavano insieme, ma stavolta l’atmosfera
era diversa:
difatti, alla luce delle ultime rivelazioni, quel piccolo spaccato di
vita
quotidiana sembrava una piacevole finestra sul futuro qualora la loro
relazione
venisse infine portata alla luce del sole… Poi parlarono,
parlarono tanto e
risero persino, soprattutto quando Erik le chiese di descrivergli il
mondo dal
quale proveniva e lei inciampò nelle parole per la fretta e
l’entusiasmo di
illuminarlo su concetti che un uomo dell’Ottocento non
avrebbe mai potuto
immaginare, neppure nei suoi sogni più sfrenati. Erik beveva
ogni sua parola, e
si sarebbe anche dimenticato di mangiare se lei, di tanto in tanto, non
l’avesse
spronato ad assaggiare questo o quello, con lo stesso tono e lo stesso
sguardo
che avrebbe avuto una sposa amorevole.
Quando
terminarono di pranzare si trasferirono in un’altra stanza,
una sorta di sala
della musica. Qui, al posto dell’immenso organo che
troneggiava nel salone
principale, si trovava un antico clavicembalo – che sarebbe
stato un pezzo da
museo anche per quell’epoca – e che Erik
dimostrò di saper maneggiare in modo
altrettanto eccellente degli altri numerosi strumenti che
già padroneggiava. Giulia
riconobbe l’aria che egli stava suonando – si
trattava del quarto atto del Faust
di Gounod – e senza quasi pensarci
dischiuse le labbra e iniziò a cantare, raggiungendo Erik
alle spalle e
poggiandovisi serenamente.
À son appel mon
coeur c'est ranimé!
Prima
che la situazione si evolvesse e proseguisse oltre, tuttavia, Erik
interruppe
il bacio. Le accarezzò le labbra con
un’espressione così carica di amore e
desiderio insieme da farla rabbrividire d’aspettativa, mentre
allo stesso tempo
cercava di placare il cuore che sembrava volerle uscire dal petto.
Senza distogliere
gli occhi dai suoi, Erik sollevò una mano e raggiunse la
maschera… e, senza
indugiare oltre, se la levò dal viso.
«Mi
sento al sicuro anche senza, adesso», disse piano, sottovoce.
Giulia comprese
perfettamente il significato di quelle parole, e non ne
trovò altre per
replicare ad una simile dimostrazione di fiducia e amore da parte sua;
si
limitò a sorridere, e si accorse di piangere solo quando le
dita dell’uomo le
asciugarono le lacrime dalle guance, con la stessa devozione del
pellegrino che
sfiora la statua del proprio santo. Fu lei allora a baciarlo, come la
notte
precedente, su ogni lembo della carne piagata del suo volto; ma mentre
la notte
prima l’assenza di maschera era dovuta alla follia e alla
disperazione e a
chissà cos’altro era passato nel suo animo,
stavolta il suo essere scoperto
davanti a lei era una scelta del
tutto deliberata.
Giulia
lo desiderava così tanto che un’ulteriore attesa
l’avrebbe uccisa. Dopo l’ennesimo
bacio si chinò dunque e gli sussurrò qualcosa
all’orecchio, e tali parole,
qualsiasi esse fossero, strapparono all’uomo uno strano verso
che era metà
singhiozzo e gemito. La fissò incredulo, senza fiato, ma
ciò che vide nella sua
espressione dovette rassicurarlo, perché sorrise a sua
volta, seppur con un
certo nervosismo. Si alzò dallo sgabello e le porse la mano
con un gesto
galante, senza riuscire a distogliere lo sguardo da lei neppure per
aprire la
porta e fare strada verso la camera da letto: le loro dita erano
intrecciate e
camminavano così vicini che i loro respiri erano diventati
uno solo.
La
stanza era in perfetto ordine, come Giulia l’aveva lasciata
quella mattina. All’improvviso
Erik si era bloccato sulla soglia, così fu lei a trascinarlo
gentilmente e con
un’espressione carica di promesse all’interno della
camera, verso l’enorme
talamo, dove infine fece sedere entrambi. «Dio,
Giulia… Ti amo», le sussurrò lui
quasi con disperazione, circondandole il viso con le mani prima di
baciarla per
l’ennesima volta. «Ti amo quasi troppo per una sola
vita», aggiunse, chino su
di lei, sulla sua bocca.
Lei
sorrise, gli occhi ancora leggermente umidi e le guance improvvisamente
arrossate. «Mi dispiace non aver capito prima che anche io ti
amo così tanto»,
replicò a sua volta, le labbra così vicine a
quelle di lui che quasi intuire le
sue parole era difficile.
Erik
non rispose: non era più il tempo delle parole, avevano
già detto tutto quello
che poteva essere espresso in un linguaggio umano. Egli si sporse
quindi verso
la lampada sul comodino poco distante, facendo per spegnerla, ma una
mano di Giulia
andò a posarsi sul suo polso interrompendo il gesto a
metà. Sorpreso, si voltò
a guardarla, e la vide scuotere appena il capo in segno di diniego.
«No»,
disse lei piano, senza lasciare i suoi occhi per sottolineare la
serietà di
quel commento. «Voglio vederti.»
Erik
distolse lo sguardo, nuovamente a disagio. «Non la ritengo
una buona idea»,
decretò con un tono forse troppo gelido, irrigidendosi e
tornando per un attimo
ad essere la terribile creatura che aveva terrorizzato mezza Parigi
negli
ultimi quindici anni.
«Erik»,
lo chiamò lei, inginocchiandosi sul letto e raggiungendo
l’uomo che aveva preso
a darle tanto ostinatamente le spalle; aderì contro la sua
schiena e lo
abbracciò, posando la guancia contro la sua nuca per far
breccia nel muro
ch’egli aveva eretto all’improvviso, tagliandola
fuori. «Erik. Hai detto di sentirti
al sicuro, con me. E io sono qui, sono tra le tue braccia…
Come puoi avere
ancora paura che io possa provare altro che non sia amore e desiderio?
Ti
supplico, lascia che ti veda. Fidati di
me.»
Egli
sollevò una mano e strinse quella che Giulia gli aveva
posato sullo sterno, in
direzione del cuore; per quanto volesse abbandonarsi con tutto
sé stesso a
quelle sensazioni, era perfettamente a conoscenza delle misere
condizioni del
suo corpo, e del fatto che non era un qualcosa da esibire con fierezza.
Anche
volendo fidarsi di lei – e, anche se credeva di esserci
riuscito, Dio solo
sapeva quanto desiderasse lasciarsi andare completamente –
lei era comunque una
bella giovane donna, non abituata agli orrori con cui lui aveva invece
fatto i
conti durante la sua intera esistenza, e non avrebbe potuto tollerare
di vedere
uno sguardo di ribrezzo o di pietà nei suoi occhi quando
questi si fossero
posati sulla propria persona. Come poteva chiederglielo, dunque?
Perché non
poteva semplicemente chiudere gli occhi e lasciarsi avvolgere dalla
pietosa
oscurità, ed essere lei
a fidarsi di
lui? La vista era un’infingarda traditrice, e non aveva
portato che disgrazie e
miserie nella sua vita; l’essenziale è invisibile
agli occhi… Eppure Giulia
voleva vedere. Dolce, curiosa
Pandora!
«Tutta
la tua buona volontà è apprezzabile, mio tesoro,
ma non ti impedirà di provare
disgusto per questo corpo. Il viso non è la parte
peggiore», replicò in un
lieve sussurro, socchiudendo gli occhi e inspirando discretamente il
suo
profumo.
Le
labbra della giovane si strinsero, indispettite. Come poteva essere
così
cocciuto e persistere nelle sue sciocche convinzioni, quando lei
credeva di avergli
dimostrato più volte quanto lo volesse? Ella sapeva che, se
non l’avesse
spuntata quella volta, poi non ci sarebbe più riuscita: se
avesse fatto come le
chiedeva Erik, se avesse semplicemente chiuso gli occhi e si fosse
abbandonata
all’oscurità, allora lui avrebbe ritenuto corrette
le sue supposizioni, avrebbe
pensato che effettivamente Giulia non si fidava abbastanza di
sé stessa da
poter sollevare lo sguardo sul suo corpo martoriato senza fremere di
orrore, e
ciò avrebbe inevitabilmente guastato l’armonia tra
loro. Era chiaro che lei,
questo, non poteva permetterlo.
Perciò,
senza rispondergli, portò le proprie mani sui bottoni della
camicia dell’uomo e
iniziò a sfilarli lentamente, uno per uno, denudandogli
torso e addome e
posandovi i palmi tiepidi in carezze delicate e prudenti. Lo
sentì inspirare ed
espirare piano, come se temesse di sentirla strillare da un momento
all’altro,
per nulla abituato com’era ad indugiare in simili tenerezze.
«Solo
col cuore, Erik», sussurrò al suo orecchio,
facendo scivolare la camicia dalle
sue spalle forti e muscolose lungo le braccia, lasciando brividi di
trepida
attesa dietro di sé, fino a sfilarla dalle mani e gettarla
poi da qualche parte
sul materasso. Le sue dita sottili si aggrapparono alle spalle
dell’uomo e
quasi nello stesso istante la sua bocca trovò un punto
deliziosamente sensibile
alla base della nuca, e poi un altro dietro l’orecchio, sulla
linea della
mascella e sul profilo del collo, lasciando tanti piccoli baci delicati
sulla
scia del suo passaggio. Le sue mani abbandonarono l’appiglio
e si mossero,
sfiorando e accarezzando ogni curva di quel corpo snello e imponente
ch’egli si
vergognava tanto a mostrarle; toccò ormai senza timore o
fastidio le
innumerevoli cicatrici che attraversavano di sbieco la sua schiena, tracce di dolorose sferzate, sinistre
piaghe che a suo tempo sembravano non essere state curate a dovere,
carezzò
sfregi lisci e bianchi di chissà quale natura lungo le
braccia, posò le labbra
su quello che sembrava essere un vecchio marchio impresso a fuoco in
corrispondenza della scapola sinistra. Quello era il corpo
dell’uomo che amava,
era il corpo di un essere umano che aveva sofferto pene indicibili nel
corso
della sua esistenza, e tutto a causa di un aspetto di cui non aveva
colpa; come
poteva, allora, pensare che lei potesse provarne ribrezzo?
Man
mano che le sue carezze proseguivano, imperterrite, le spalle di Erik
si
rilassavano, il suo respiro si faceva più sereno; egli
socchiuse gli occhi,
incredulo, assaporando la sensazione di avere un cuore nel petto pronto
a scoppiare
dall’immensa gioia. Per lui non fu difficile, a quel punto,
voltarsi verso la
giovane e ricambiare ogni singola lusinga, adorandola e venerandola
come una
dea con le mani, le dita, le labbra, gli occhi. Era la prima volta che
Erik
giaceva con una donna senza ch’ella si aspettasse di essere
ripagata in qualche
modo, e la sensazione era splendida, indescrivibile: in quel momento
non
esisteva un altro luogo, sulla faccia della terra, dove egli si sarebbe
trovato
più a suo agio che tra le braccia di Giulia.
E
allora, quando lo realizzò, tutto il desiderio di recuperare
il tempo perduto,
di recuperare quelle cinque settimane, quei trentasette giorni, quelle
interminabili ore, esplose con la stessa forza di una straripante ouverture. Nella calda e confortante
luce soffusa i loro corpi si incontrarono, si sfiorarono, si conobbero,
si
aggrapparono l’uno all’altro come naufraghi alla
deriva, sospirarono e
ansimarono, spazzarono via a vicenda le proprie paure, mormorarono con
voce
spezzata promesse, giuramenti, tenerezze che non avrebbero
probabilmente mai
visto la luce del sole ma che sarebbero rimaste ben impresse,
indelebili, nelle
loro memorie.
**
Sdraiata
di fianco a lui nel caldo talamo, Giulia osservava l’uomo che
riposava,
probabilmente come poche altre volte nella sua vita, con aria serena.
Dopo un
breve vagare, il suo sguardo andò d’istinto a
posarsi su quel volto devastato,
e con una violenta stretta al petto si rese conto di quanto le fosse
mancato
durante il mese trascorso lontana da lui. La lontananza aveva quasi
fatto
sbiadire i ricordi del suo viso, e negli ultimi giorni aveva faticato
persino a
ricordare la forma dei suoi occhi; gli aveva davvero prestato
così poca
attenzione, in passato, da non riuscire a ricomporre le fattezze
dell’uomo che
amava a distanza di qualche tempo?
Con
delicatezza, per timore di svegliarlo, allungò una mano
verso di lui ad accarezzare
la carne piagata, seguendone il contorno con estrema concentrazione e
tenerezza:
sfiorò le gote con i polpastrelli seguendone diligentemente
il profilo,
accarezzando gli zigomi, la linea dura e severa della mascella, il
mento, il
naso, le labbra che si socchiusero al passaggio delle sue dita. Da
ciò si
accorse di averlo svegliato, e con un leggero imbarazzo Giulia
abbassò la mano,
rimanendo tuttavia accoccolata contro il suo corpo.
Erik
tuttavia le prese la mano e vi depose sopra un bacio, gli occhi ancora
socchiusi e un’aria teneramente imbronciata che mai gli aveva
visto. «Tutto
bene, mon cœur?»
Chiese, non potendo
fare a meno di detestarsi per quell’istintivo e odioso
disagio che aveva
provato nello svegliarsi e sentirsi così osservato. Sapeva
che era sciocco, per
non dire tremendamente puerile sentirsi in imbarazzo con lei
dopo quello che avevano condiviso, eppure… Dannazione a lui,
non poteva farne a meno.
Forse
Giulia intuì ciò che gli era passato per la
mente, perché si affrettò a
fornirgli una spiegazione. «Volevo guardarti»,
rispose in un sussurro,
soppesando le parole per timore di un qualche fraintendimento.
«Mi piace
guardarti. Voglio imparare a riconoscerti a occhi chiusi, solo
toccandoti…
voglio imprimerti tutto nella mia mente, per non dimenticarti
mai.»
L’uomo
serrò con forza gli occhi, senza però fare nulla
per allontanarsi da lei; uno
sbuffo incredulo e doloroso gli scappò dalle labbra
socchiuse. «Come se potesse
mai essere possibile, dimenticare questo orrore»,
ribatté con un tono amaro,
gelido, sollevando una mano a stringere il polso sottile della ragazza,
per poi
scivolare più su e posare il proprio palmo sul dorso della
sua.
Lei
non se la prese per quel tono astioso: erano già stati fatti
tanti passi avanti
in un solo giorno, e sapeva di non poter pretendere più di
tanto visto tutto
quello che Erik aveva passato. Prima o poi avrebbe capito che non era
per
vincere il disgusto o abituarsi alla sua deformità che lei
l’avrebbe voluto
guardare in continuazione – se non avesse avuto paura di
provocare un malinteso
avrebbe potuto spiegargli che se ne voleva semplicemente appropriare,
che
voleva farlo suo, che voleva essere l’unica a conoscere a
memoria ogni tratto
del suo viso, ogni sfumatura dei suoi occhi, ogni centimetro di carne
sofferente. Così lasciò perdere e risolse il
problema spianando con un bacio le
rughe di sconforto e preoccupazione che erano spuntate sulla sua
fronte. Erik la
amò silenziosamente per quella sua pazienza, e glielo
dimostrò in modi che non
comprendevano parole.
***
Accadde
al termine dei sette giorni.
Erik
era sdraiato di sbieco sul grande letto matrimoniale, il capo poggiato
con naturalezza
sul ventre della ragazza che lo cullava accarezzandogli i capelli; le
lenzuola
erano completamente sfatte e profumavano di loro, e tutto era
così pacifico che
l’uomo temeva di essere immerso in un semplice sogno. Ma poi,
se piegava appena
il capo di lato, vedeva la morbida curva dei seni di Giulia coperti dal
lenzuolo, le sue spalle e il collo nudo, arrossato in alcuni punti
laddove la
sua passione l’aveva portato a lasciarle dei deliziosi
piccoli marchi, le
labbra ammorbidite da un sorriso sereno, le guance arrossate e i
capelli sparsi
sul cuscino. Quella meraviglia non era un sogno, dato che Erik non era
capace
di sognare cose così belle.
Probabilmente
sarebbe rimasto così tutto il giorno, come avevano peraltro
quasi fatto nella
trascorsa settimana: senza avere alcun contatto con il mondo esterno,
lasciavano
il letto quasi solo per mangiare e lavarsi – avevano scoperto
che la vasca in
rame riusciva a contenerli senza sforzo entrambi – e per quel
po’ di tempo
dunque vissero all’interno di una piacevole bolla di sapone,
dove tutto, o
quasi tutto, era esattamente come lo desideravano.
E
tuttavia all’improvviso, a spezzare il loro idillio, giunse
il suono fastidioso
ed elettrico di un allarme lontano. Giulia sobbalzò, presa
alla sprovvista, e
si volse a guardare Erik che, riconosciuto quel segnale, era scivolato
giù dal
letto con un’espressione imperscrutabile in volto.
«Non
è niente, mon cœur»,
mentì. «Rimani
pure a letto. Vado a vedere cosa succede e sarò di ritorno
il prima possibile.»
Si rivestì di tutto punto in fretta e furia, sotto lo
sguardo attento della
ragazza che, a quelle parole, iniziò a preoccuparsi e ad
intuire per sommi capi
ciò che poteva essere accaduto. Se non rammentava male, una
volta Erik le aveva
detto che nessuno si sarebbe mai potuto introdurre in quelle catacombe
– e di
conseguenza nei suoi domini – senza ch’egli ne
venisse a conoscenza
immediatamente: e poteva forse, quel rumore, avvisare il padrone di
casa che un
qualche intruso aveva varcato i confini del regno del fantasma?
Prima
che uscisse dalla stanza, la voce della ragazza lo richiamò
indietro. «Stai
attento», fu l’unica cosa che riuscì a
dire mentre egli si voltava e l’ombra
truce abbandonava per un attimo i suoi occhi. «Sembra che i
sotterranei siano
pieni di trappole», aggiunse, con un sorriso appena
accennato. Egli tornò sui
suoi passi e la raggiunse, solo per baciarla velocemente sulle labbra e
per
sussurrarle ancora una volta di non preoccuparsi. «Torno
presto», ripeté
baciandola ancora, senza tuttavia avere il coraggio di guardarla negli
occhi.
Con
una rivoltella in una mano e un cappio nell’altra –
entrambi sapientemente
celati allo sguardo preoccupato della giovane – Erik si
diresse fuori dalla
stanza, andando incontro all’intruso.
Giulia
non sapeva bene perché, ma qualcosa le diceva che la loro
tranquillità era
finita.
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*Oui, c'est toi, je t'aime, Charles Gounod, Faust, Atto 4° - Una delle arie più belle, a mio avviso, e non solo perchè colonna sonora di questo gioiellino di miniserie.
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Angolo Autrice.
Sto perdendo colpi. Missà che devo provare le gocciole...
Questo capitolo non mi convince nel modo più assoluto - anzi, non mi piace proprio per niente. Non lo dico per falsa modestia, dato che se un capitolo mi soddisfa sono la prima a dirlo con orgoglio, ma questo... Ah, è stato uno scoglio difficilissimo da superare; ero tentata fino all'ultimo di far finta di niente ed eliminarlo, ma così sarebbero andate perdute cose che malgrado tutto non reputo essere così male, così ho detto massì, che diavolo, è l'ultimo dell'anno e chi scrive a Capodanno scrive tutto l'anno, e così eccoci qui. :D
Non aggiornavo da tempi immemori, mi sembrava troppo brutto lasciar concludere il 2012 senza un altro cenno di vita da parte mia, quindi spero che appreziate lo sforzo! Mi dispiace di essere tornata con un capitolo nel quale non succede praticamente niente e, anzi, forse è anche troppo frettoloso, ma volevo passare oltre e vedrete che dal prossimo (in parte già scritto! a dir la verità, quasi la maggior parte dei capitoli da qui alla fine sono già scritti, epilogo compreso, dunque, a meno che non sopraggiungano ostacoli, forse il 2013 potrebbe essere l'anno decisivo per la conclusione di questa storia... dopotutto siamo sopravvissuti al 21 dicembre, tutto può succedere!) le acque torneranno a momentarsi, alcuni personaggi che abbiamo perso per strada in questi ultimi capitoli faranno nuovamente la loro comparsa e vedremo in che modo cercheranno di mettere i bastoni tra le ruote ai nostri protagonisti :) Basta pacchia e sdolcinatezze, in questo capitolo ho dato il meglio peggio di me e non capiterà più, promesso xD
Qualcuno mi presti un po' di sadismo e cinismo, ne ho bisogno D:
Scherzi a parte, spero che questo aggiornamento sia un qualcosa di piacevole da leggere durante le vacanze di Natale, magari davanti al camino con il pc sulle ginocchia, una tazza di cioccolata calda in mano e la copertina sulle spalle - praticamente mi sono autodescritta - e che vi trovi allegre, felici e magari anche un po' brille per lo spumante che scorrerà a fiumi domani notte! ;D
Anche per quest'anno ho fatto del mio meglio, sono una pessima scrittrice, lo so, ma nei propositi per l'anno nuovo rientra la puntualità, promesso :)
Un bacione grande grande e un abbraccio a tutti, di nuovo buone vacanze e buon anno!
La vostra babbA natale,
Niglia.