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Autore: Niglia    30/12/2012    5 recensioni
Ottobre, 1878. Parigi.
Il Fantasma dell'Opera non è morto. Anzi, non è mai stato più deciso a vivere di adesso. Accompagnato da dei nuovi piani di vendetta, torna nella città dalla quale è stato costretto a fuggire due anni prima, un uomo vuoto, senz'anima, con solo un nome nella testa che lo spinge a tornare a Parigi, in quello stesso teatro che in fondo è sempre stato il suo regno, la sua casa, perchè non può essere altrimenti...
E così la storia sembra ripetersi, ma c'è sempre qualcosa con cui dimentichiamo di fare i calcoli; possibile che il Fantasma possa trovarsi di fronte ad una ragazza - incredibilmente somigliante alla sua antica musa - capace di risvegliare in lui quel qualcosa che credeva essere morto per sempre?
In uno strano miscuglio di passato e presente, la strana vicenda del Fantasma dell'Opera sembra continuare a stupire e terrorizzare anche attraverso il tempo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erik/The Phantom, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapitre 34

Oui, c’est toi, je t’aime

 

 

 

 

 

 

 

Oui, c'est moi, je t'aime,
Oui, c'est moi, je t'aime,
Malgré l'effort même du démon moqueur,
Je t'ai retrouvée; je t'ai retrouvée,
Te voilà sauvée; te voilà sauvée,
C'est moi! Viens, viens, sur mon coeur!
*

 

    Era da tempo che non le capitava di sognare. Ultimamente il suo era stato un sonno agitato, nervoso, che la faceva risvegliare tremante e con le guance bagnate nel cuore della notte senza che riuscisse a ricordare quale strano incubo l’avesse fatta reagire in quel modo. Aveva attribuito quella mancanza di serenità al modo in cui aveva lasciato Erik – e, riflettendoci tra sé e sé, riconosceva di aver sbagliato ad andarsene in quel modo, benché a lui avesse detto il contrario, e anche se le cose tra loro sembravano essere state chiarite non riusciva a fare a meno di sentirsi ancora in colpa – e dunque ci aveva fatto l’abitudine, limitandosi a cercare una serena incoscienza tramite le pastiglie di sonnifero che le aveva prescritto il dottore. Quella notte, tuttavia, mentre dormiva nel letto di Erik, avvolta dal suo buon odore rassicurante, per la prima volta dopo settimane riuscì a riposare, e la sua mente quieta produsse un ben strano sogno.

 

    Non riconosceva il luogo nel quale si trovava: a prima vista, poteva sembrare una banale soffitta.

    La sua se stessa onirica si stava dirigendo con passi silenziosi e decisi verso un piccolo scrigno posato su una vecchia cassapanca polverosa, facendo ben attenzione a che le travi del pavimento non scricchiolassero al suo passaggio.

    Si inginocchiò di fronte alla madia e vi posò sopra la candela che aveva portato con sé, e che a malapena schiariva la densa oscurità del sottotetto.

    Diede una rapida occhiata alle sue spalle, quasi temesse che qualcuno l’avesse seguita; appurato invece di essere sola, tirò fuori dalla tasca della lunga vestaglia da notte una piccola chiave d’ottone che venne poi infilata nella serratura dello scrigno. Esso si aprì con un lieve scatto, facendola sussultare.

    Aveva nascosto lassù quel cofanetto quattro anni prima: che cosa si aspettava di trovarci, al suo interno?

    Eppure, ecco che i suoi piccoli tesori apparvero alla luce della candela, come se fossero stati messi là dentro non più tardi del giorno prima. A prima vista non sembravano che semplici cianfrusaglie prive di significato, ma lei conosceva la storia di ciascuna di esse.

    Erano i ricordi della sua vita al teatro. Ricordi che, per amore di suo marito, aveva dovuto fingere di aver cancellato il giorno del suo matrimonio. E invece rieccoli lì, pronti a perdonarla, a diventare di nuovo parte di lei!

    Con dita gentili e tremanti, ella tirò fuori dalla scatola i guanti bianchi con ricami dorati che aveva indossato durante un ballo in maschera, e che erano stati un regalo di madame Giry, la donna che l’aveva praticamente cresciuta; se li portò al naso e annusò il tessuto, ritrovando ancora un’ombra del profumo che vi aveva spruzzato prima di metterli.

    Fu, poi, il turno di una vecchia coroncina di fiorellini di stoffa dalla quale pendeva un morbido tulle irrimediabilmente rovinato dalle tarme e appena ingiallito ai bordi. Era un velo da sposa, che tuttavia non era mai stato indossato – non per un matrimonio, comunque.

    Con una fitta dolente al cuore la donna se lo strinse al petto, mentre gli occhi le pungevano nello sforzo di non piangere.

    In fondo al baule, quasi nascosta, giaceva quella che un tempo era stata una bellissima rosa rossa, e che adesso non era che un vecchio fiore grigio e rinsecchito.

 

 

*

 

 

    Quando Giulia aprì gli occhi, il mattino dopo, si ritrovò nel letto a baldacchino di Erik, da sola; eppure egli non doveva essersi alzato da molto, giacché le lenzuola dalla sua parte del talamo erano ancora tiepide. Il sogno era ormai un confuso miscuglio di immagini incomprensibili, che tuttavia la lasciò con una strana sensazione di malinconia e amaro in bocca che non seppe spiegarsi. Rimase a crogiolarsi con indolenza sotto le coperte per qualche minuto, godendo del calore e del profumo dell’uomo – misto stranamente a qualcosa di più floreale che non riusciva bene ad individuare – che l’avvolgeva piacevolmente: era davvero tornata, ancora stentava a credere di esserci riuscita e, soprattutto, che ogni cosa si fosse risolta per il meglio.

    Fu una fitta al piede, ancora indolenzito, a rammentarle lucidamente la situazione. Non poteva rimanere ancora a letto a poltrire, aveva un urgente bisogno di lavarsi e togliersi tutta la sporcizia di dosso; adesso che gli ultimi residui di sonno erano svaniti, iniziava a vergognarsi di aver dormito per tutta la notte nelle lenzuola pulite e accanto a Erik, quando probabilmente aveva ancora addosso l’odore dell’acqua del lago mista alla polvere che aveva raccolto un po’ dappertutto. Doveva essere più sconvolta e stanca di quanto avesse creduto, se si era addormentata in quelle condizioni.

    Si tirò su a sedere, stropicciandosi le palpebre e mettendo a fuoco l’ambiente circostante. Erik doveva aver spento la lampada per permetterle di dormire a lungo senza che la luce la disturbasse, e ciò le strappò un piccolo sorriso: come aveva fatto a non accorgersi prima di quanto l’uomo fosse sempre stato così premuroso nei suoi confronti? Sporgendosi oltre il bordo del letto per accendere di nuovo il lume e dissipare il buio, poté notare sul comodino una splendida rosa rossa listata di nero che spiegava l’odore che aveva sentito svegliandosi, posata scrupolosamente sopra una breve nota del cui autore Giulia non nutriva dubbi.



    Ieri notte sono stato un pessimo padrone di casa, dunque cercherò di rimediare.
    Ho preparato la stanza da bagno in modo che tu possa trovarci tutto ciò di cui hai bisogno, puoi usare la mia perché preferisco non pensare in che condizioni può essere la tua; ho anche recuperato i tuoi stivali dalla barca, sono accanto alla poltrona – dove troverai anche gli unici abiti che purtroppo sono in grado di darti, visto che gli altri sono andati… distrutti. Ho visto che gli indumenti maschili ti calzano a pennello, spero non ti dispiaccia se per oggi ti fornisco questi – provvederò il prima possibile a cercarne di più adatti.
    Esco per delle commissioni, ma tornerò presto.

Tuo,
Erik.

    Il tratto quasi tremulo, palesemente diverso dal modo in cui era stato scritto il resto della lettera, di quell’ultima parola, quel piccolo aggettivo, quel semplice tuo, fece sorridere di tenerezza la giovane. Eppure uno strano pensiero le attraversò la mente, indesiderato e fastidioso: sarebbe forse giunto qualcosa, adesso, a turbare quella fragile armonia? Sforzandoci di non pensarci, la ragazza scivolò giù dal letto, mantenendosi in precario equilibrio su di una gamba sola e poggiando solo la punta del piede ferito sul pavimento, per evitare di strappare i punti. Barcollando raggiunse il piccolo bagno attiguo, che Erik aveva peraltro già preparato – un braciere posto al centro della stanza aveva reso l’ambiente caldo e ospitale, facendo inoltre sì che l’acqua all’interno della vasca in rame non si raffreddasse – e, chiudendosi dentro, procedette a restituirsi un aspetto più decente.

 

    Quando Erik tornò nella dimora sotterranea, qualche ora più tardi, trovò Giulia intenta a raccogliere i vari cocci di vetro e ceramica che giacevano sparpagliati un po’ dappertutto sul pavimento, e a metterli su un piccolo telo steso per terra accanto a lei. Tale visione ebbe il duplice effetto di imbarazzarlo e irritarlo, giacché si vergognava di averla dovuta accogliere con la ‘casa’ in quelle condizioni e soprattutto non tollerava di vederla ripulire come una qualsiasi domestica il disastro che aveva fatto lui; inoltre non avrebbe dovuto lasciare il letto, dannazione, con quell’orribile ferita ancora fresca!

    Tuttavia, quando ella lo udì scendere dalla gondola e avvicinarglisi a grandi passi, sollevò lo sguardo dal suo lavoro e gli sorrise, in un modo così spontaneo e affettuoso da lasciarlo per un attimo disorientato, privandolo persino della parola. Sgridarla per la sua incoscienza era, adesso, decisamente impensabile. Lasciò subito ciò che stava facendo e si alzò in piedi con relativa facilità, aggrappandosi al bracciolo di una poltroncina e passandosi una mano sui pantaloni impolverati. «Ho pensato che sarebbe stato meglio far sparire i frammenti di vetro, sai, per evitare altri incidenti come quello di ieri sera», disse, accennando con la mano al pavimento.

    Erik le passò un braccio intorno alla vita per sostenerla, lasciandosi andare ad un sospiro imbarazzato mentre le sfiorava la fronte con le labbra in un fugace saluto. Sembrava non essere ancora del tutto a suo agio con quell’improvvisa svolta degli eventi. «Suppongo non fosse così che ti aspettavi il tuo ritorno… Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere alla mia follia», mormorò senza guardarla.

    «È tutto passato, Erik, non parliamone più», propose la ragazza, voltandosi completamente verso di lui e circondandogli i fianchi con le braccia in un gesto estremamente semplice ed istintivo che l’uomo non si aspettava. «Posso chiederti dove sei stato o sarei troppo invadente?»

    «Assolutamente no, puoi chiedermi tutto quello che desideri sapere. Sono andato a parlare con Bamdad per informarlo che è tempo che io riprende ad occuparmi della direzione del teatro, dato che ho trascurato i miei doveri troppo a lungo», le spiegò semplicemente, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Non aveva dato alcuna spiegazione al suo segretario, invece, sui motivi che lo avevano spinto a riprendere il controllo dell’Opèra, perché – sembrava tremendamente sciocco, sì – per il momento non voleva che nessun altro sapesse del ritorno di mademoiselle Sanders; era un qualcosa che voleva tenere per sé ancora per un po’, come se raccontarlo a qualcuno avrebbe rovinato la serenità dei momenti che potevano finalmente trascorrere insieme. Inutile dire che era meglio tenerne all’oscuro anche madame Giry, se si voleva evitare che la donna si precipitasse nei sotterranei solo per vedere con i suoi occhi la sua pupilla.

    Lei si era distratta per un attimo, inseguendo chissà quale pensiero, e fu Erik a riscuoterla da esso sfiorando gentilmente la punta del suo naso. «Che cosa c’è?» Chiese, cercando di celare la preoccupazione; al suo fianco aveva l’impressione di camminare sulle uova, come se un singolo, minuscolo passo falso potesse distruggere quello che faticosamente sembrava essersi ricreato tra loro.

    «Hai detto che posso chiederti qualsiasi cosa?» Domandò la giovane in attesa di conferma, inarcando un sopracciglio.

    Lui aggrottò a sua volta la fronte, accennando un sorriso. «Sì, certo. Qualsiasi cosa.»

   Giulia sospirò, e sollevò le mani a giocherellare con i bottoni della sua giacca. «Allora, Erik, ti prego… Non indossare questa maschera quando sei con me», disse piano, temendo la reazione dell’uomo a quelle sue parole.

    Tuttavia Erik non si arrabbiò a quella richiesta; al contrario, essa sembrò averlo colto di sorpresa, e il suo sguardo, quando si riposò sulla ragazza, sembrò quello di un bambino smarrito. Dopotutto, era la prima volta che qualcuno lo pregava di scoprirsi il volto senza l’intenzione di prendersi gioco di lui. Scacciando via quegli odiosi spettri della sua infanzia che non avrebbero smesso un solo giorno di perseguitarlo, Erik sospirò. «È l’abitudine», rispose, assumendo il suo stesso tono di voce. Poi dalle sue labbra fuoriuscì una debole confessione che mai essere umano ebbe l’occasione di sentire, né prima né tantomeno in seguito. «Mi fa sentire… al sicuro

    Ella lo comprese, e non volle forzare la mano – ogni cosa a tempo debito; però volle lo stesso che lui sapesse che cosa ne pensava. «Mi da l’impressione che tu voglia mettere una sorta di distanza tra me e te», mormorò, lasciando che un dito vagasse sul profilo del suo volto scoperto. «Sembra una barriera… Ma non importa, davvero. La toglierai quando ti sentirai pronto. So aspettare», concluse con un sorriso.

    Erik le lasciò un breve bacio sulle nocche della mano, un bacio che significava gratitudine; poi sospirò e cambiò discorso, portando entrambi su un terreno meno delicato. «È strano… vederti di nuovo qui», mormorò, scrutandola da sotto le ciglia scure.

    «Sì, è strano anche per me», replicò lei, stringendogli una mano come a volerlo tuttavia rassicurare sulla sua reale presenza. «Ma credo che sia questo il posto dove devo stare, alla fine.»

    Gli occhi di Erik si riempirono di una rara emozione. «Qui, con me?» Domandò piano, quasi come se temesse malgrado tutto una risposta negativa – sembrava non volersi cullare nella speranza fino all’ultimo.

    Giulia scrollò le spalle, leggermente imbarazzata. «Se mi vuoi ancora…» Rispose, con un mezzo sorriso.

   Egli sorrise a sua volta, sfiorandole il mento con due dita e avvicinandosi a lei fino ad arrivare a baciarla stavolta con estrema gentilezza, memore di quell’altro bacio che aveva rovinato ogni cosa, tra loro. «Ti vorrò sempre», ribatté in un sussurro, lambendo le sue labbra con le proprie.

    Quel giorno, Erik le impedì di toccare oltre un solo spillo, comportandosi come il più perfetto dei padroni di casa. Si trasferirono in una stanza miracolosamente intatta che fungeva da sala da pranzo, e lì l’uomo servì verdure cotte insieme a paté di selvaggina per antipasto, filetto di tacchino e salsa di funghi insieme a un contorno di uova sode tagliate a fette come prima portata, accompagnate da dell’ottimo vino rosso di cui Giulia aveva già scordato il nome, e per finire come dessert un dolce alle mandorle che Erik aveva orgogliosamente chiamato Galette des Rois. Non era la prima volta che pranzavano insieme, ma stavolta l’atmosfera era diversa: difatti, alla luce delle ultime rivelazioni, quel piccolo spaccato di vita quotidiana sembrava una piacevole finestra sul futuro qualora la loro relazione venisse infine portata alla luce del sole… Poi parlarono, parlarono tanto e risero persino, soprattutto quando Erik le chiese di descrivergli il mondo dal quale proveniva e lei inciampò nelle parole per la fretta e l’entusiasmo di illuminarlo su concetti che un uomo dell’Ottocento non avrebbe mai potuto immaginare, neppure nei suoi sogni più sfrenati. Erik beveva ogni sua parola, e si sarebbe anche dimenticato di mangiare se lei, di tanto in tanto, non l’avesse spronato ad assaggiare questo o quello, con lo stesso tono e lo stesso sguardo che avrebbe avuto una sposa amorevole.

    Quando terminarono di pranzare si trasferirono in un’altra stanza, una sorta di sala della musica. Qui, al posto dell’immenso organo che troneggiava nel salone principale, si trovava un antico clavicembalo – che sarebbe stato un pezzo da museo anche per quell’epoca – e che Erik dimostrò di saper maneggiare in modo altrettanto eccellente degli altri numerosi strumenti che già padroneggiava. Giulia riconobbe l’aria che egli stava suonando – si trattava del quarto atto del Faust di Gounod – e senza quasi pensarci dischiuse le labbra e iniziò a cantare, raggiungendo Erik alle spalle e poggiandovisi serenamente.

     Ah! C'est la voix du bien aimé!
    À son appel mon coeur c'est ranimé!

     Erik non si lasciò sfuggire l’occasione, e poiché conosceva a memoria il libretto di quella che era una delle sue opere predilette, si unì all’esibizione della giovane con un rinnovato entusiasmo e una passione per quell’attività che non gli capitava di provare da quando, in effetti, lei era scomparsa. Quando l’aria fu conclusa, entrambi respiravano a fatica come dopo una lunga corsa. Eppure entrambi sorridevano, e quando Erik si voltò verso di lei, prendendole le mani per attirarla giù, verso di sé, baciarla fu normale come se non avesse fatto altro in tutta la sua vita. Baciò le sue labbra, si perse nella sua bocca, infilò le mani tra i suoi capelli, la tirò dolcemente fin quando Giulia non fu costretta, per non perdere l’equilibrio, a sedersi sulle sue ginocchia e ad allacciare le braccia dietro il collo dell’uomo, ricambiando le sue attenzioni.

    Prima che la situazione si evolvesse e proseguisse oltre, tuttavia, Erik interruppe il bacio. Le accarezzò le labbra con un’espressione così carica di amore e desiderio insieme da farla rabbrividire d’aspettativa, mentre allo stesso tempo cercava di placare il cuore che sembrava volerle uscire dal petto. Senza distogliere gli occhi dai suoi, Erik sollevò una mano e raggiunse la maschera… e, senza indugiare oltre, se la levò dal viso.

    «Mi sento al sicuro anche senza, adesso», disse piano, sottovoce. Giulia comprese perfettamente il significato di quelle parole, e non ne trovò altre per replicare ad una simile dimostrazione di fiducia e amore da parte sua; si limitò a sorridere, e si accorse di piangere solo quando le dita dell’uomo le asciugarono le lacrime dalle guance, con la stessa devozione del pellegrino che sfiora la statua del proprio santo. Fu lei allora a baciarlo, come la notte precedente, su ogni lembo della carne piagata del suo volto; ma mentre la notte prima l’assenza di maschera era dovuta alla follia e alla disperazione e a chissà cos’altro era passato nel suo animo, stavolta il suo essere scoperto davanti a lei era una scelta del tutto deliberata.

    Giulia lo desiderava così tanto che un’ulteriore attesa l’avrebbe uccisa. Dopo l’ennesimo bacio si chinò dunque e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, e tali parole, qualsiasi esse fossero, strapparono all’uomo uno strano verso che era metà singhiozzo e gemito. La fissò incredulo, senza fiato, ma ciò che vide nella sua espressione dovette rassicurarlo, perché sorrise a sua volta, seppur con un certo nervosismo. Si alzò dallo sgabello e le porse la mano con un gesto galante, senza riuscire a distogliere lo sguardo da lei neppure per aprire la porta e fare strada verso la camera da letto: le loro dita erano intrecciate e camminavano così vicini che i loro respiri erano diventati uno solo.

    La stanza era in perfetto ordine, come Giulia l’aveva lasciata quella mattina. All’improvviso Erik si era bloccato sulla soglia, così fu lei a trascinarlo gentilmente e con un’espressione carica di promesse all’interno della camera, verso l’enorme talamo, dove infine fece sedere entrambi. «Dio, Giulia… Ti amo», le sussurrò lui quasi con disperazione, circondandole il viso con le mani prima di baciarla per l’ennesima volta. «Ti amo quasi troppo per una sola vita», aggiunse, chino su di lei, sulla sua bocca.

   Lei sorrise, gli occhi ancora leggermente umidi e le guance improvvisamente arrossate. «Mi dispiace non aver capito prima che anche io ti amo così tanto», replicò a sua volta, le labbra così vicine a quelle di lui che quasi intuire le sue parole era difficile.

   Erik non rispose: non era più il tempo delle parole, avevano già detto tutto quello che poteva essere espresso in un linguaggio umano. Egli si sporse quindi verso la lampada sul comodino poco distante, facendo per spegnerla, ma una mano di Giulia andò a posarsi sul suo polso interrompendo il gesto a metà. Sorpreso, si voltò a guardarla, e la vide scuotere appena il capo in segno di diniego.

    «No», disse lei piano, senza lasciare i suoi occhi per sottolineare la serietà di quel commento. «Voglio vederti.»

  Erik distolse lo sguardo, nuovamente a disagio. «Non la ritengo una buona idea», decretò con un tono forse troppo gelido, irrigidendosi e tornando per un attimo ad essere la terribile creatura che aveva terrorizzato mezza Parigi negli ultimi quindici anni.

    «Erik», lo chiamò lei, inginocchiandosi sul letto e raggiungendo l’uomo che aveva preso a darle tanto ostinatamente le spalle; aderì contro la sua schiena e lo abbracciò, posando la guancia contro la sua nuca per far breccia nel muro ch’egli aveva eretto all’improvviso, tagliandola fuori. «Erik. Hai detto di sentirti al sicuro, con me. E io sono qui, sono tra le tue braccia… Come puoi avere ancora paura che io possa provare altro che non sia amore e desiderio? Ti supplico, lascia che ti veda. Fidati di me

   Egli sollevò una mano e strinse quella che Giulia gli aveva posato sullo sterno, in direzione del cuore; per quanto volesse abbandonarsi con tutto sé stesso a quelle sensazioni, era perfettamente a conoscenza delle misere condizioni del suo corpo, e del fatto che non era un qualcosa da esibire con fierezza. Anche volendo fidarsi di lei – e, anche se credeva di esserci riuscito, Dio solo sapeva quanto desiderasse lasciarsi andare completamente – lei era comunque una bella giovane donna, non abituata agli orrori con cui lui aveva invece fatto i conti durante la sua intera esistenza, e non avrebbe potuto tollerare di vedere uno sguardo di ribrezzo o di pietà nei suoi occhi quando questi si fossero posati sulla propria persona. Come poteva chiederglielo, dunque? Perché non poteva semplicemente chiudere gli occhi e lasciarsi avvolgere dalla pietosa oscurità, ed essere lei a fidarsi di lui? La vista era un’infingarda traditrice, e non aveva portato che disgrazie e miserie nella sua vita; l’essenziale è invisibile agli occhi… Eppure Giulia voleva vedere. Dolce, curiosa Pandora!

    «Tutta la tua buona volontà è apprezzabile, mio tesoro, ma non ti impedirà di provare disgusto per questo corpo. Il viso non è la parte peggiore», replicò in un lieve sussurro, socchiudendo gli occhi e inspirando discretamente il suo profumo.

    Le labbra della giovane si strinsero, indispettite. Come poteva essere così cocciuto e persistere nelle sue sciocche convinzioni, quando lei credeva di avergli dimostrato più volte quanto lo volesse? Ella sapeva che, se non l’avesse spuntata quella volta, poi non ci sarebbe più riuscita: se avesse fatto come le chiedeva Erik, se avesse semplicemente chiuso gli occhi e si fosse abbandonata all’oscurità, allora lui avrebbe ritenuto corrette le sue supposizioni, avrebbe pensato che effettivamente Giulia non si fidava abbastanza di sé stessa da poter sollevare lo sguardo sul suo corpo martoriato senza fremere di orrore, e ciò avrebbe inevitabilmente guastato l’armonia tra loro. Era chiaro che lei, questo, non poteva permetterlo.

    Perciò, senza rispondergli, portò le proprie mani sui bottoni della camicia dell’uomo e iniziò a sfilarli lentamente, uno per uno, denudandogli torso e addome e posandovi i palmi tiepidi in carezze delicate e prudenti. Lo sentì inspirare ed espirare piano, come se temesse di sentirla strillare da un momento all’altro, per nulla abituato com’era ad indugiare in simili tenerezze.

    «Solo col cuore, Erik», sussurrò al suo orecchio, facendo scivolare la camicia dalle sue spalle forti e muscolose lungo le braccia, lasciando brividi di trepida attesa dietro di sé, fino a sfilarla dalle mani e gettarla poi da qualche parte sul materasso. Le sue dita sottili si aggrapparono alle spalle dell’uomo e quasi nello stesso istante la sua bocca trovò un punto deliziosamente sensibile alla base della nuca, e poi un altro dietro l’orecchio, sulla linea della mascella e sul profilo del collo, lasciando tanti piccoli baci delicati sulla scia del suo passaggio. Le sue mani abbandonarono l’appiglio e si mossero, sfiorando e accarezzando ogni curva di quel corpo snello e imponente ch’egli si vergognava tanto a mostrarle; toccò ormai senza timore o fastidio le innumerevoli cicatrici che attraversavano di sbieco la sua schiena, tracce di dolorose sferzate, sinistre piaghe che a suo tempo sembravano non essere state curate a dovere, carezzò sfregi lisci e bianchi di chissà quale natura lungo le braccia, posò le labbra su quello che sembrava essere un vecchio marchio impresso a fuoco in corrispondenza della scapola sinistra. Quello era il corpo dell’uomo che amava, era il corpo di un essere umano che aveva sofferto pene indicibili nel corso della sua esistenza, e tutto a causa di un aspetto di cui non aveva colpa; come poteva, allora, pensare che lei potesse provarne ribrezzo?

   Man mano che le sue carezze proseguivano, imperterrite, le spalle di Erik si rilassavano, il suo respiro si faceva più sereno; egli socchiuse gli occhi, incredulo, assaporando la sensazione di avere un cuore nel petto pronto a scoppiare dall’immensa gioia. Per lui non fu difficile, a quel punto, voltarsi verso la giovane e ricambiare ogni singola lusinga, adorandola e venerandola come una dea con le mani, le dita, le labbra, gli occhi. Era la prima volta che Erik giaceva con una donna senza ch’ella si aspettasse di essere ripagata in qualche modo, e la sensazione era splendida, indescrivibile: in quel momento non esisteva un altro luogo, sulla faccia della terra, dove egli si sarebbe trovato più a suo agio che tra le braccia di Giulia.

    E allora, quando lo realizzò, tutto il desiderio di recuperare il tempo perduto, di recuperare quelle cinque settimane, quei trentasette giorni, quelle interminabili ore, esplose con la stessa forza di una straripante ouverture. Nella calda e confortante luce soffusa i loro corpi si incontrarono, si sfiorarono, si conobbero, si aggrapparono l’uno all’altro come naufraghi alla deriva, sospirarono e ansimarono, spazzarono via a vicenda le proprie paure, mormorarono con voce spezzata promesse, giuramenti, tenerezze che non avrebbero probabilmente mai visto la luce del sole ma che sarebbero rimaste ben impresse, indelebili, nelle loro memorie.

 

**

 

    Sdraiata di fianco a lui nel caldo talamo, Giulia osservava l’uomo che riposava, probabilmente come poche altre volte nella sua vita, con aria serena. Dopo un breve vagare, il suo sguardo andò d’istinto a posarsi su quel volto devastato, e con una violenta stretta al petto si rese conto di quanto le fosse mancato durante il mese trascorso lontana da lui. La lontananza aveva quasi fatto sbiadire i ricordi del suo viso, e negli ultimi giorni aveva faticato persino a ricordare la forma dei suoi occhi; gli aveva davvero prestato così poca attenzione, in passato, da non riuscire a ricomporre le fattezze dell’uomo che amava a distanza di qualche tempo?

    Con delicatezza, per timore di svegliarlo, allungò una mano verso di lui ad accarezzare la carne piagata, seguendone il contorno con estrema concentrazione e tenerezza: sfiorò le gote con i polpastrelli seguendone diligentemente il profilo, accarezzando gli zigomi, la linea dura e severa della mascella, il mento, il naso, le labbra che si socchiusero al passaggio delle sue dita. Da ciò si accorse di averlo svegliato, e con un leggero imbarazzo Giulia abbassò la mano, rimanendo tuttavia accoccolata contro il suo corpo.

    Erik tuttavia le prese la mano e vi depose sopra un bacio, gli occhi ancora socchiusi e un’aria teneramente imbronciata che mai gli aveva visto. «Tutto bene, mon cœur?» Chiese, non potendo fare a meno di detestarsi per quell’istintivo e odioso disagio che aveva provato nello svegliarsi e sentirsi così osservato. Sapeva che era sciocco, per non dire tremendamente puerile sentirsi in imbarazzo con lei dopo quello che avevano condiviso, eppure… Dannazione a lui, non poteva farne a meno.

    Forse Giulia intuì ciò che gli era passato per la mente, perché si affrettò a fornirgli una spiegazione. «Volevo guardarti», rispose in un sussurro, soppesando le parole per timore di un qualche fraintendimento. «Mi piace guardarti. Voglio imparare a riconoscerti a occhi chiusi, solo toccandoti… voglio imprimerti tutto nella mia mente, per non dimenticarti mai.»

   L’uomo serrò con forza gli occhi, senza però fare nulla per allontanarsi da lei; uno sbuffo incredulo e doloroso gli scappò dalle labbra socchiuse. «Come se potesse mai essere possibile, dimenticare questo orrore», ribatté con un tono amaro, gelido, sollevando una mano a stringere il polso sottile della ragazza, per poi scivolare più su e posare il proprio palmo sul dorso della sua.

    Lei non se la prese per quel tono astioso: erano già stati fatti tanti passi avanti in un solo giorno, e sapeva di non poter pretendere più di tanto visto tutto quello che Erik aveva passato. Prima o poi avrebbe capito che non era per vincere il disgusto o abituarsi alla sua deformità che lei l’avrebbe voluto guardare in continuazione – se non avesse avuto paura di provocare un malinteso avrebbe potuto spiegargli che se ne voleva semplicemente appropriare, che voleva farlo suo, che voleva essere l’unica a conoscere a memoria ogni tratto del suo viso, ogni sfumatura dei suoi occhi, ogni centimetro di carne sofferente. Così lasciò perdere e risolse il problema spianando con un bacio le rughe di sconforto e preoccupazione che erano spuntate sulla sua fronte. Erik la amò silenziosamente per quella sua pazienza, e glielo dimostrò in modi che non comprendevano parole.

 

 

 

***

 

 

 

    Accadde al termine dei sette giorni.

   Erik era sdraiato di sbieco sul grande letto matrimoniale, il capo poggiato con naturalezza sul ventre della ragazza che lo cullava accarezzandogli i capelli; le lenzuola erano completamente sfatte e profumavano di loro, e tutto era così pacifico che l’uomo temeva di essere immerso in un semplice sogno. Ma poi, se piegava appena il capo di lato, vedeva la morbida curva dei seni di Giulia coperti dal lenzuolo, le sue spalle e il collo nudo, arrossato in alcuni punti laddove la sua passione l’aveva portato a lasciarle dei deliziosi piccoli marchi, le labbra ammorbidite da un sorriso sereno, le guance arrossate e i capelli sparsi sul cuscino. Quella meraviglia non era un sogno, dato che Erik non era capace di sognare cose così belle.

    Probabilmente sarebbe rimasto così tutto il giorno, come avevano peraltro quasi fatto nella trascorsa settimana: senza avere alcun contatto con il mondo esterno, lasciavano il letto quasi solo per mangiare e lavarsi – avevano scoperto che la vasca in rame riusciva a contenerli senza sforzo entrambi – e per quel po’ di tempo dunque vissero all’interno di una piacevole bolla di sapone, dove tutto, o quasi tutto, era esattamente come lo desideravano.

    E tuttavia all’improvviso, a spezzare il loro idillio, giunse il suono fastidioso ed elettrico di un allarme lontano. Giulia sobbalzò, presa alla sprovvista, e si volse a guardare Erik che, riconosciuto quel segnale, era scivolato giù dal letto con un’espressione imperscrutabile in volto.

    «Non è niente, mon cœur», mentì. «Rimani pure a letto. Vado a vedere cosa succede e sarò di ritorno il prima possibile.» Si rivestì di tutto punto in fretta e furia, sotto lo sguardo attento della ragazza che, a quelle parole, iniziò a preoccuparsi e ad intuire per sommi capi ciò che poteva essere accaduto. Se non rammentava male, una volta Erik le aveva detto che nessuno si sarebbe mai potuto introdurre in quelle catacombe – e di conseguenza nei suoi domini – senza ch’egli ne venisse a conoscenza immediatamente: e poteva forse, quel rumore, avvisare il padrone di casa che un qualche intruso aveva varcato i confini del regno del fantasma?

    Prima che uscisse dalla stanza, la voce della ragazza lo richiamò indietro. «Stai attento», fu l’unica cosa che riuscì a dire mentre egli si voltava e l’ombra truce abbandonava per un attimo i suoi occhi. «Sembra che i sotterranei siano pieni di trappole», aggiunse, con un sorriso appena accennato. Egli tornò sui suoi passi e la raggiunse, solo per baciarla velocemente sulle labbra e per sussurrarle ancora una volta di non preoccuparsi. «Torno presto», ripeté baciandola ancora, senza tuttavia avere il coraggio di guardarla negli occhi.

    Con una rivoltella in una mano e un cappio nell’altra – entrambi sapientemente celati allo sguardo preoccupato della giovane – Erik si diresse fuori dalla stanza, andando incontro all’intruso.

    Giulia non sapeva bene perché, ma qualcosa le diceva che la loro tranquillità era finita.

















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*Oui, c'est toi, je t'aime, Charles Gounod, Faust, Atto 4° - Una delle arie più belle, a mio avviso, e non solo perchè colonna sonora di questo gioiellino di miniserie.
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Angolo Autrice.
Sto perdendo colpi. Missà che devo provare le gocciole...
Questo capitolo non mi convince nel modo più assoluto - anzi, non mi piace proprio per niente. Non lo dico per falsa modestia, dato che se un capitolo mi soddisfa sono la prima a dirlo con orgoglio, ma questo... Ah, è stato uno scoglio difficilissimo da superare; ero tentata fino all'ultimo di far finta di niente ed eliminarlo, ma così sarebbero andate perdute cose che malgrado tutto non reputo essere così male, così ho detto massì, che diavolo, è l'ultimo dell'anno e chi scrive a Capodanno scrive tutto l'anno, e così eccoci qui. :D
Non aggiornavo da tempi immemori, mi sembrava troppo brutto lasciar concludere il 2012 senza un altro cenno di vita da parte mia, quindi spero che appreziate lo sforzo! Mi dispiace di essere tornata con un capitolo nel quale non succede praticamente niente e, anzi, forse è anche troppo frettoloso, ma volevo passare oltre e vedrete che dal prossimo (in parte già scritto! a dir la verità, quasi la maggior parte dei capitoli da qui alla fine sono già scritti, epilogo compreso, dunque, a meno che non sopraggiungano ostacoli, forse il 2013 potrebbe essere l'anno decisivo per la conclusione di questa storia... dopotutto siamo sopravvissuti al 21 dicembre, tutto può succedere!) le acque torneranno a momentarsi, alcuni personaggi che abbiamo perso per strada in questi ultimi capitoli faranno nuovamente la loro comparsa e vedremo in che modo cercheranno di mettere i bastoni tra le ruote ai nostri protagonisti :) Basta pacchia e sdolcinatezze, in questo capitolo ho dato il meglio peggio di me e non capiterà più, promesso xD
Qualcuno mi presti un po' di sadismo e cinismo, ne ho bisogno D:
Scherzi a parte, spero che questo aggiornamento sia un qualcosa di piacevole da leggere durante le vacanze di Natale, magari davanti al camino con il pc sulle ginocchia, una tazza di cioccolata calda in mano e la copertina sulle spalle - praticamente mi sono autodescritta - e che vi trovi allegre, felici e magari anche un po' brille per lo spumante che scorrerà a fiumi domani notte! ;D
Anche per quest'anno ho fatto del mio meglio, sono una pessima scrittrice, lo so, ma nei propositi per l'anno nuovo rientra la puntualità, promesso :)
Un bacione grande grande e un abbraccio a tutti, di nuovo buone vacanze e buon anno!
La vostra babbA natale,
Niglia.
   
 
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