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Autore: KittyPryde    17/07/2007    6 recensioni
Isshin Kurosaki era sempre stato un cretino, ma un cretino che aveva fatto un ottimo lavoro.
[Ichigo e famiglia]
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kurosaki Ichigo, Kurosaki Isshin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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« ma io sono curioso! » era una frase che ripetevo spesso; poteva essere a causa dei regali che mamma e papà avevano nascosto prima di un qualsiasi natale, o per colpa di un segreto che volevo mi fosse raccontato a tutti i costi, allora ero piccolo, le mie sorelline parlavano appena e io potevo ancora concedermi il lusso di fare dei capricci « devi dirmelo mamma! »
ma la signora Kurosaki era troppo bella e sorridente perché i suoi bambini le tenessero il broncio, la mia rabbia infantile durava solo qualche minuto, esattamente il tempo che mia madre usava per piegarsi leggermente sulle ginocchia e arrivare a guardarmi dritto negli occhi, ammiccando radiosa e dicendo qualcosa che era sempre, esattamente, ciò che i suoi figli volevano sentirsi dire o riuscendo a mascherare la verità in modo da renderla gradevole, Masaki era una mamma a cui piaceva giocare con i suoi figli in ogni momento, per questo a quel tempo io ero ancora un bambino sereno e coccolato e la nostra famiglia appariva così felice « Ichigo » quando ci parlava, quando si apprestava a dirci qualcosa di importante, nostra madre cercava ogni volta il contatto, con una carezza sulla testa di Yuzu e Karin o con una stretta di mano; quando si rivolgeva a me lo faceva sempre mettendomi le mani sulle spalle, poi raccontava certe grandi verità che, dette dalle sue labbra, avevano un suono sincero e della sua voce carezzevole non avrei mai dubitato perché, quello che diceva la nostra mamma, non poteva essere una bugia « anche i genitori a volte sono curiosi sai? » ci educava con naturalezza, giocando con noi come una bambina e allo stesso tempo trattandoci con responsabilità, come piccoli adulti, non ci faceva mancare nulla
« curiosi? » forse pensavo che dopo aver vissuto una vita intera non si potesse essere curiosi, pensavo che gli adulti non fossero più in grado di stupirsi, ma nostra madre annuiva davanti a ogni nostra perplessità, pronta a chiarire i nostri dubbi con innata tenerezza
« non immagini quante volte avrei voluto che mi raccontassi cosa avevi fatto durante il giorno a scuola o con i tuoi compagni, ma a volte tornavi a casa triste e quindi aspettavo che ti tornasse il sorriso per farti delle domande » Masaki sorrideva sempre, per abitudine, e ci istruiva sulle piccole cose parlandoci di come lei e papà le affrontavano, perché li avessimo sempre di fronte come esempi da seguire, come figure a cui fare riferimento « a volte è necessario dominare la propria curiosità fino a quando non è il momento giusto e in questo modo imparerai anche ad avere pazienza... »
nostra madre era istintivamente dolce e non diceva mai bugie, ma era morta troppo presto, senza raccontarci tutte le verità che conosceva e lasciando un vuoto incolmabile dietro di se.
Avevo quasi nove anni, le mie sorelline pochi meno e da quando mamma non c'era più io ero diventato un fratello maggiore, ma era un ruolo che ancora mi andava stretto e senza di lei avevo ricominciato a sentirmi piccolo; da quando era morta non c'era più stato nessuno a tenermi le mani sulle spalle, nessuno che mi trattasse come un adulto, io non sapevo quali fossero le verità da raccontare alle mie sorelline ed ero troppo ingenuo per capire che anche nostro padre era rimasto orfano. Così privati di Masaki da un momento all'altro, senza che nessuno avesse mai pensato che una cosa simile potesse succedere, la nostra famiglia era rimasta mutilata.
Non ero il solo ad essere ancora piccolo e fra mio padre e le mie sorelline io dovevo trovare un ruolo all'interno della nostra famiglia ferita, ma mi sentivo insignificante e colpevole. Il sorriso di mamma, lo stesso che un tempo mi rendeva tanto felice, ora mi faceva piangere; riuscivo ancora a distinguere il calore che mi trasmetteva attraverso il tocco affettuoso delle sue mani e che sarebbe rimasto imprigionato tra la pelle e le magliette leggere di quella tragica estate per ancora troppo tempo. Un marmocchio di nove anni non può prendere la morte della madre con maturità se non c'è nessuno ad aiutarlo e presto, di quel bambino sofferente non sarebbe rimasto altro che un adolescente pieno di rabbia, ma io possedevo la fortuna di avere un padre che non me lo avrebbe mai permesso.
Isshin Kurosaki era un buffone, un bambino di quarant'anni con la sindrome di Peter Pan, un giullare sempre pronto allo scherzo, non usava lo stesso modo protettivo di giocare che aveva mamma, ma era l'unico che sapeva ancora farci ridere nonostante la perdita di Masaki lo avesse colpito quanto noi; non la chiamava mai per nome, con noi era la mamma, con gli altri la donna che amava e parlava di cose importanti tipo l'eternità come se stesse scherzando; fu lui a trovarmi quando mi stavo perdendo nel mio senso di colpa, lui ad ammortizzare il trauma che stavo attraversando, a ritagliare un posto tutto mio nel nostro piccolo universo in restauro, mi guidò di nascosto verso quella che sarebbe stata la mia parte, senza farmi notare che era stato lui a indicarmi la strada e facendomi poi credere che avessi fatto tutto da solo
« le mamme dovrebbero essere tutte come la vostra » lo aveva detto distratto, senza dare troppo peso mentre cambiava i vestiti a Yuzu che aveva fatto un'altra volta la pipì nel letto « dovrebbero insegnare ai propri mariti come si diventa bravi papà e ai bambini come si diventa bravi figli » aveva continuato, dando un lieve colpo affettuoso sulla testa di mia sorella che aveva ancora gli occhi lucidi per la vergogna; fu in quel momento che nella mia testa era riaffiorato il ricordo di una scena accaduta anni prima, quando erano nate le mie sorelline e mamma mi aveva accompagnato tenendomi la mano fino al lettino dove riposavano, poi mi aveva appoggiato le mani sulle spalle e le aveva strette con forza, mi aveva guardato con il volto serio di chi sta per comunicare qualcosa di importante e aveva detto che, se fino a quel momento avevo dovuto impegnarmi ad essere un bravo figlio, da allora in poi avrei dovuto essere anche un bravo fratello maggiore. Questo disse la mamma, mentre io guardavo con diffidenza le due creaturine che dormivano beate nel lettino che solo qualche anno prima era stato mio, ma le promisi che mi sarei occupato io delle sorelline perché non avrei voluto mai, in nessun modo, deluderla.
Intanto papà era riuscito a calmare l'inconsolabile pianto di Yuzu e a convincerla che, non era una pipì a letto che avrebbe fatto di lei una cattiva figlia, la aveva spedita a preparare il tè per il suo esercito di pupazzi con la scusa poco plausibile che li aveva sentiti lamentarsi per la fame mentre io ero rimasto sulla soglia del bagno anche quando Yuzu era corsa a sfornare una prelibata colazione di plastica per i suoi peluche; avevamo parlato di tante cose io e papà, da quando mamma era morta, ma non avevamo mai parlato di me, mentre lui riordinava il bagno e metteva i vestiti di Yuzu tra la biancheria da lavare, io entrai e mi sedetti sul bordo della vasca da bagno aspettando che si accorgesse di me, lui si voltò appena, sbirciando con la coda dell'occhio
« che succede, Ichigo? »
« papà, io sono un bravo figlio? » non avevo smesso di sentirmi piccolo, non avevo smesso di sentirmi in colpa
« tu sei il mio ometto Ichigo » affermò con semplicità piegando un asciugamano
« mamma diceva... »
« mamma diceva che sei un bambino impulsivo, premuroso e sensibile e che dovevamo assolutamente fare in modo che non cambiassi questa tua natura generosa crescendo »
« ...e devo essere un bravo fratello »
« vedi Ichigo » si voltò, era chiaro che stesse per cominciare un discorso impegnativo « la nostra nave procedeva a gonfie vele prima di arenarsi sugli scogli » io lo ascoltavo scettico mentre con i gesti mimava ogni parola condendo la commedia con espressioni enfatiche. Quel modo di comunicare mi era ancora sconosciuto, ma presto avrei imparato che così Isshin Kurosaki giocava a fare il papà; poi tutto d'un tratto tornò serio, fece una pausa che durò giusto il tempo di piegarsi leggermente sulle ginocchia per arrivare a guardarmi negli occhi e mi appoggiò le mani sulle spalle; erano incredibilmente più grandi di quelle della mamma, meno affettuose e più forti, diverse, ma davano sicurezza « io conto su di te perché mi aiuti a superare gli scogli e riparare i danni... se lavoriamo in squadra possiamo tornare sulla rotta » pensavo con sempre maggiore consapevolezza che le sue mani, dopotutto, mi piacevano; fu allora che tornai a sentirmi grande.

Era un 17 giugno di un anno a caso da quando la mia vita è diventata un casino
mi piace ricordarlo così quel giorno mi trovai per la seconda volta da solo con papà, davanti alla tomba di mia madre; mi sedetti a terra con le gambe incrociate aspettando che si accorgesse di me, lui, di nuovo, si voltò appena
« che succede, Ichigo? »
« sai, non ti ho mai ringraziato » non rimase sorpreso, ma era evidente che qualcosa dentro di lui si era mosso « per quando mi hai fatto capire che avevo ancora qualcosa da fare invece che piangermi addosso » con il passare degli anni, crescendo impulsivo e generoso come avrebbe desiderato mamma, avevo capito quanto quel padre pagliaccio avesse fatto.
Lui rise e si accese una sigaretta
« potrà sembrarti strano, ma ho imparato un sacco di cose da vostra madre » aspirò, la spense; Isshin Kurosaki era sempre stato un cretino, ma un cretino che aveva fatto un ottimo lavoro.
   
 
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