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Autore: fila    01/01/2013    3 recensioni
Tutti da bambini abbiamo avuto un eroe, una figura mitica che ha formato il nostro carattere. Nel caso di Steve Rogers chi era? E se fosse stato suo padre? Ecco la storia di un pomeriggio padre-figlio.
Questa storia ha partecipato al contest "I can be your hero" indetto da Ulissae classificandosi seconda.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il brutto anatroccolo

 

 

Era da poco passata l'una quando Steve entrò dalla porta, lanciò la borsa di scuola in un angolo della stanza, borbottò un "non ho fame" e corse a rintanarsi in soffitta.

Mary e John si guardarono stupefatti.

«Cosa può essere successo?» si chiese Mary. Preoccupata, seguì il figlio in cima alle scale e provò ad aprire la porta del solaio. Trovandola chiusa a chiave, bussò.

«Steve, amore, cosa succede?»

Dopo alcuni minuti di attesa infruttuosa, tornò dal marito.

«È sopra che piange, ma non risponde e non mi permette di entrare. Cosa sarà successo di grave a scuola?»

«Vediamo se a me dà più retta» disse John. Raccolse le stampelle che giacevano vicino alla sua sedia e, lentamente, cominciò a salire le scale aiutato dalla moglie.

«Steve, apri» disse John una volta arrivato davanti alla porta sbarrata.

«Andate via» rispose il bambino, con la voce rotta dal pianto.

«Steven Roger, non osare mai più rispondere così a tuo padre!» ribatté Mary con tono duro.

Pochi istanti dopo la porta si aprì e una vocina dall'interno singhiozzò: «Scusa mamma, scusa papà.»

«Lasciaci soli, cara. Questo è un discorso tra uomini» disse John e, lentamente, andò a sedersi su una vecchia cassa di legno vicino a una finestrella. «Allora, cosa è successo?»

«Niente.»

«Ti prego, come posso aiutarti se non mi racconti quali sono i tuoi problemi?»

Ci fu un attimo di silenzio.

«Quest'anno persino Paul ha avuto le scarpe nuove. Sono l'unico che non ha mai nulla di nuovo, che si veste di stracci. Mi sembra di essere il brutto anatroccolo!»

John sospirò, chiuse gli occhi e attese pazientemente.

«Mi prendono in giro; mi dicono che sono vestito di luridi stracci, che è la mamma che porta a casa i soldi. Dicono che...» il bambino serrò la bocca di scatto e abbassò gli occhi.

«Cosa dicono di me, Steve?»

«Che sei un buono a nulla, che ti fai mantenere da una donna e dalla carità dei vicini, che sei un mezzo uomo perché hai bisogno delle stampelle per camminare, che chissà in che modo infame ti sei conciato così... e io non so cosa rispondergli.»

Un silenzio pesante regnò nella stanza per qualche minuto.

«Ci sono fatti che non amo raccontare, figlio mio. Con tua madre avevamo deciso di parlartene quando saresti stato abbastanza grande. Sembra che quel giorno sia giunto.»

«Certo che sono grande, papà: ho già nove anni!» interloquì Steve, che si asciugò le lacrime e si andò a sedere ai piedi del genitore.

«Steve, per favore, mi prenderesti quella scatola nera laggiù?» chiese John indicando un angolo della soffitta. Il bambino eseguì velocemente e tornò ad accoccolarsi dove si trovava prima, con gli occhi accesi dalla curiosità.

«A scuola ti hanno mai parlato della Grande Guerra?»

«Certo» disse Steve annuendo in trepidante attesa.

«Quando l'impero Austro-Ungarico cominciò a minacciare i popoli europei e la pace del mondo, malgrado la nostra nazione non fosse ancora scesa in guerra, presi le armi e andai a difendere ciò che è la base della nostra democrazia: la libertà.»

«Perché, papà? L'Europa è lontana e la guerra era un affare loro. A te cosa importava?» lo interruppe Steve.

«Un'ingiustizia è tale chiunque la subisca e ovunque avvenga: voltarsi dall'altra parte vuol dire essere complici degli aguzzini. Per questo motivo lasciai tua madre e partii volontario, con il grado di tenente, per i campi di battaglia.»

«Eri un ufficiale? Ma allora eri importante!» disse Steve sgranando gli occhi.

John annuì e sorrise mesto. «Essere un ufficiale è un grande onore, ma comporta anche grandi responsabilità: è come essere padre, ma di tanti ragazzi. Quando sei nell'inferno della guerra devi spronarli perché diano il massimo, ma è il tuo compito proteggerli e riportarli a casa vivi. Purtroppo non sempre tutto ciò è possibile.» Gli occhi del tenente Rogers si velarono di lacrime.

Steve attese impaziente che il momento di commozione passasse. John, lentamente, aprì la scatola e con molta attenzione tirò fuori una fotografia che raffigurava un battaglione. Mostrò l'immagine al bambino e cominciò ad indicare, uno ad uno, i soldati chiamandoli per nome. «Solo dieci, me compreso, sono tornati dalle loro famiglie.»

«Tutti gli altri sono morti? Tutti quanti?» chiese Steve. «Sono tantissimi!»

«La libertà, a volte, ha un costo molto elevato, bambino mio. È per questo che non bisogna mai disprezzarla o darla per scontata. Sono comunque certo che ognuno di questi eroi farebbe la stessa scelta, se potesse tornare indietro: verserebbe il suo sangue per la nostra Patria.»

«Come fai ad esserne così sicuro?»

«Perché lo farei io stesso.»

Steve sbirciò nella scatola e vide una fotografia macchiata dal fango. «Ma questo sei tu! Dove ti trovavi, papà?»

«Verdun, in Francia. Nel 1916 il mio battaglione fu mandato a contenere l'avanzata nemica; i tedeschi avevano pensato a una battaglia lampo, ma riuscimmo a bloccarli e finimmo impantanati in una lunga guerra di trincea. Vivemmo settimane, mesi, in fossati scavati nel fango, al freddo, con poco cibo e con la paura dei gas letali dei Crucchi e della morte al prossimo assalto alla baionetta.»

«È terribile!» commentò il bimbo sgomento. «Chissà come ti sentivi triste...»

«Neanche nei momenti più bui ho permesso che venissimo presi dallo sconforto: Onore, Patria e Libertà vincono sopra ogni difficoltà. Ricordalo sempre, perché è quello che farà di te un vero uomo.»

Steve annuì.

Cadde di nuovo il silenzio. Poi John tirò fuori un'altra foto e ricominciò il racconto.

«Erano le due del pomeriggio di un giorno piovoso uguale a tanti altri, quando Robert venne da me e mi consegnò una lettera. Arrivava da New York ed era di sua moglie Milly. Non l'aveva ancora aperta e mi chiese di conservargliela fino al suo ritorno.»

«Perché non l'aveva letta, papà?»

«Voleva farlo con calma e lui stava per andare all'attacco fuori dalla trincea.» rispose John e sospirò . Fece un'altra lunga pausa.

«Devi sapere che esisteva una specie di rituale tra noi: chi usciva lasciava i suoi averi più cari in pegno ai compagni che restavano al sicuro. Quella mattina io stesso avevo lasciato a Malcom l'orologio del nonno e la fotografia del matrimonio con la mamma.»

«Perché?»

«Quando si tornava dal compagno, riscattavi i tuoi averi offrendogli da bere: era il nostro modo per esorcizzare la paura della morte e per brindare alla vita.»

«E se non tornavi?» chiese Steve in un sussurro.

John scrollò la testa mesto e il bambino gli abbracciò le gambe.

«Ho spedito decine di pegni d'amore alle famiglie dei caduti, Steve. Questa era l'altra metà del patto: se non si tornava dalla terra di nessuno, il custode si prendeva l'impegno di comunicare ai suoi congiunti che colui che era morto li aveva amati e che si era sacrificato per un futuro migliore.»

Calò un altro silenzio commosso.

«Perché era importante la lettera dello zio Robert?» chiese il bambino, infine.

«Io e lo zio non eravamo amici all'epoca; ci conoscevamo solo di vista» ricominciò John.

«Perché diede a te i suoi tesori, allora?»

«La mia squadra aveva partecipato agli assalti del mattino, quindi per quel giorno non avremmo più portato attacchi al nemico. Era certo che avremmo rivisto l'alba del giorno successivo, ero un buon custode. Lo zio mi ha poi confidato che ero rinomato per essere il più onesto della compagnia: non mi sarei mai appropriato di un bene altrui.»

Gli occhi di Steve brillarono d'orgoglio. «Qualcuno ha mai creduto che avresti rubato? Impossibile!» domandò indignato.

John sorrise al figlio e il bimbo notò una luce nuova, che non aveva mai visto.

«Il capitano Tonk fischiò e i soldati partirono all'attacco. Alla fine dell'assalto ci rendemmo conto che Robert era rimasto bloccato nel filo spinato e non era in grado di rientrare, malgrado fosse praticamente illeso. Stavamo valutando come risolvere il problema, quando i Crucchi cominciarono a sparare con il mortaio e la mitragliatrice. Sotto quel volume di fuoco uscire dalla trincea era impossibile. Robert iniziò ad urlare e io feci l'unica azione scorretta della mia vita: aprii e lessi una corrispondenza privata non indirizzata a me.»

«Perché lo facesti? Per te Robert era uno sconosciuto, lo hai appena detto» chiese Steve incuriosito.

«Non lo so, forse fu un'ispirazione divina. In ogni caso scoprii che quell'uomo, che stava per morire dilaniato dalle bombe tedesche, era appena diventato padre di Paul.»

Steve abbassò lo sguardo sulla sua camicia lisa, sui suoi pantaloni scoloriti e sulle sue scarpe vecchie: tutto una volta era appartenuto a Paul.

«Ma lo zio Robert è tornato a casa, cosa successe?»

«Nessuno merita di morire senza prima aver visto e baciato il proprio bambino. Per cui presi una tronchesi e corsi nella terra di nessuno a tagliare quel maledetto filo spinato. Dio ci stava sicuramente proteggendo, perché riuscii nel mio intento. Eravamo quasi rientrati al sicuro, accompagnati dalle grida di incoraggiamento e giubilo dei nostri commilitoni, quando un colpo di mortaio cadde alle nostre spalle. Ricordo ancora il boato, il volo che mi proiettò a terra con la faccia nel fango e poi più nulla.»

Gli occhi di Steve si riempirono di lacrime. Il padre gliele asciugò e gli sorrise.

«Quando riaprii gli occhi ero sdraiato in una barella dell'ospedale da campo. Il colpo nemico mi aveva completamente distrutto il ginocchio destro e fratturato malamente la gamba sinistra.»

«Oh, papà, mi dispiace» singhiozzò Steve, nuovamente in lacrime. «Non è giusto che sia successo a te: tu stavi aiutando un uomo, stavi facendo del bene!»

«Non so se sia giusto o no, ma fui fortunato quel giorno. Colpito dal mio atto di eroismo, il colonnello Fournier mi fece curare dal miglior medico di tutto l'esercito, suo cognato. Se non fosse stato per il loro intervento, avrei sicuramente perso le gambe e molto probabilmente anche la vita. Ma soprattutto ho guadagnato un amico, di più, un fratello: Robert. Anche lui era sopravvissuto alla terribile avventura e ancora oggi mi onora del suo grande affetto.»

«Hai ragione, papà; nulla vale più di un vero amico»

A poco a poco John mostrò tutto il contenuto della scatola al figlio, raccontandogli mille aneddoti sia tristi che divertenti.

«Non avrei mai immaginato che la tua vita fosse più interessante e avventurosa di quella di Popeye e di Lindbergh!» esclamò alla fine. «Cosa c'è in quel contenitore?» chiese e indicò una scatolina metallica che era rimasta sul fondo della cassetta.

«Aprila» rispose semplicemente John.

Steve eseguì e si trovò davanti agli occhi una medaglia d'oro. «È tua?» domandò incredulo, sfiorandola con la punte delle dita per essere certo che non si trattasse di un miraggio.

«Il capitano Tonk e il colonnello Fournier, oltre a salvarmi la vita, mi proposero per un encomio solenne.»

«Papà, tu sei un eroe! Perché non me lo hai mai detto? Perché non lo dici a tutti quanti?»

«Steve, il proprio valore va dimostrato giorno per giorno con le azioni, non andando in giro con un pezzo di metallo sul petto a vantarsi con le parole.»

Steve continuò a lungo a rimirare la medaglia sotto gli occhi del padre.

«Mi spiace, ragazzo, che tutto ciò che indossi sia di Paul. Purtroppo oggi è difficile trovare un lavoro anche per un uomo sano» sospirò John. «Ma non temere, la grande crisi economica finirà e anch'io troverò un'occupazione.»

«A tavola!» urlò Mary dal fondo delle scale.

«Come si è fatto tardi! Abbiamo passato tutto il pomeriggio in questa soffitta polverosa, forse avevi qualcosa di meglio da fare che ascoltare il tuo vecchio padre» ridacchiò John.

«È stato il più bel pomeriggio della mia vita, papà!» esclamò Steve. Balzò in piedi e aiutò il padre ad alzarsi.

John, una volta ritto, lo abbracciò. «Stasera parlerò con la mamma. Magari per Natale riusciremo a comprarti un cappotto nuovo.»

«No, papà, non lo voglio» ribatté Steve.

«Ma non ti lamentavi di essere l'unico ad avere abiti usati?»

«Oggi ho capito una cosa molto importante: vale molto di più quello che hai nel cuore di ciò che indossi. Sono orgoglioso di indossare gli abiti smessi di Paul, perché senza l'eroismo del tenente Rogers lo zio Robert non avrebbe mai potuto acquistarli. Rappresentano ciò che io sono: Steve, il figlio di un eroe. Ne sono fiero e non cambierei questo con tutti gli abiti nuovi del mondo. Pensavo di essere un brutto anatroccolo, in realtà sono figlio di uno splendido cigno!» disse Steve con un sorriso.

«No, figliolo, sono io ad essere orgoglioso di te» bisbigliò John con un nodo alla gola e strinse più forte il bambino a sé.

 

 

 

 

Note: Questa storia ha partecipato al contest «I can be your hero» indetto da Ulissae classificandosi seconda. Ringrazio la "giudicia" per la splendida idea, l'invito e soprattutto il magnifico giudizio.

Ringrazio l'insostituibile Vannagio per il betaggio <3 : spero che il 2013 sia perfetto, mia cara.

Sul padre di Steve non sapevo nulla, se no il fatto che avesse combattuto nella Prima Guerra Mondiale. Questo è ciò che la mia testolina bacata è riuscito ad inventare. Spero che vi sia piaciuto.

Pubblico oggi per scaramanzia, perché come dice Dragana "Chi pubblica a capodanno pubblica tutto l'anno". Se nel mio caso sia una minaccia o una cosa positiva non ho idea...

Buon anno nuovo a tutti.

 

 

 

  
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