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Autore: _ForeverYoung    02/01/2013    4 recensioni
Sarei disposto a trascorrere ogni giorno dietro al tuo angolo, al di sotto dello scorrere della pioggia scrosciante. In cerca di quella ragazza dal sorriso spezzato, per chiederle se le andrebbe di restare un po'..
And She Will Be Loved;

Louis amava Ginevra, e amava perdersi tra i suoi milioni di dettagli, nei suoi più impercettibili movimenti, in mezzo ai suoi più assurdi difetti, in quel buffo modo di ridere, o al suo continuo inciampare nei suoi stessi piedi, tra i ciottoli di Kensington gardens. Amava porgerle una mano, ed aiutarla a rialzarsi, ogni volta che cadeva a terra, sentirla strimpellare She will be loved con la chitarra, l’unica che sapesse suonare, e neanche tanto bene, e poi amava i suoi progetti strampalati, e la sfumatura incrinata che assumeva la sua voce, quando gli raccontava i propri sogni.
Amava Ginevra, amava ogni suo difetto. Ogni più piccola ed infinitesimale cosa che la riguardasse.
L'amava davvero, e sarebbe riuscito ad insegnarle ad amare se stessa, tanto quanto l'amava lui;
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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-Raccontami una Favola-
 

Lui le raccontava le favole,
e lei le insegnava a volare.
Dedicata a chi ancora un po’ ci crede;
 
 

I don't mind spending everyday,
Out on your corner in the pouring rain.
Look for the girl with the broken smile.
Ask her if she wants to stay awhile..
And she will be loved
;

-She Will Be Loved- Maroon 5;


 

 
C’era una volta, in un regno molto molto lontano, la storia di una bellissima principessa dai lunghi capelli dorati e di un valoroso principe, rigorosamente azzurro, che in sella ad un prode cavallo bianco affrontava mille insidie e pericoli pur di liberarla dalle grinfie del malvagio drago cattivo. Ovviamente alla fine della favola il principe azzurro salvava la fanciulla indifesa, la sposava e poi.. E poi vivevano felici e contenti, per il resto della loro vita.

 

 Questa era una favola.
Una storia piuttosto breve, estremamente sintetica e dalla trama spicciola, ma in fondo le favole si somigliavano un po’ tutte. Piene zeppe di clichè letterari, principesse fragili, perennemente in pericolo e piuttosto stupide che cantavano assieme ai pettirossi, e prodi principi, ovviamente azzurri e muniti di cavallo bianco, che puntualmente accorrevano in soccorso della fanciulla in difficoltà, nonostante nessuno li avesse tirati in causa.
E poi iniziavano tutte allo stesso modo, con un bel C’era una volta impresso sulla prima pagina, preferibilmente in Monotype Corsiva, ed un enfatizzante E vissero per sempre felici e contenti, alla fine della narrazione.
Questa era una favola, ma la realtà era diversa, e la vita vera era tutta un’altra cosa.
Era tutto ciò che stava in mezzo, tra il C’era una volta ed il tanto sospirato lieto fine.
E spesso faceva paura, ti spaventava a morte e ti buttava giù, perchè per abbatterei draghi veri non bastava una spada magica e la maggior parte delle volte, nonostante tu urlassi, non veniva nessuno a salvarti. Tantomeno in sella ad un cavallo bianco.
No, la vita vera era tutt’altro che una favola, eppure le persone continuavano a crederci, e sperare almeno un po’ in quel lieto fine tanto idolatrato.
Magari un po’ meno lieto, senza castelli grandi quanto l’Irlanda in cui andare a vivere, ne fantastici Regni da ereditare. Ma un finale sereno, degno di porre la parola fine ad una vita vissuta a pieno, e senza rimpianti.
In fondo se così tanta gente continuava a crederci, un motivo doveva pur esserci.
In tanti continuavano a chiederselo, ed in mezzo a quella manciata di persone, vi erano anche Louis e Ginevra, che di draghi, maghi oscuri e matrigne cattive, ne avevano affrontati davvero tanti nell’arco della loro giovane vita, eppure non avevano ancora smesso di crederci, almeno un po’, in quel lieto fine. E sapevano, anzi erano fermamente convinti che ci fosse un valido motivo per crederci, e anche se non l’avevano ancora trovato, erano più che certi di esserci vicini.
Perchè anche la loro era una favola, certo più modesta di Cenerentola, ne pretenziosa come Biancaneve e neanche troppo soporifera come quella di Aurora.
Non c’erano fate madrine pronte a sguainare bacchette quando la vecchia vespa di Louis, non voleva saperne di partire, o topolini domestici, vestiti di tutto punto in grado di sbrigare le faccende domestiche e rifare il letto che stava tanto sulle scatole a Ginevra, e le zucche non si trasformavano, nascevano come ortaggi e perivano in padella. I tappeti non volavano, ma servivano soltando a nascondere la polvere, i conigli domestici non chiedevano continuamente che ore fossero, e gli unici cavalli bianchi che riuscivano a veder transitare per le vie di Londra, appartenevano al Municipio e portavano a spasso turisti idioti che pagavano fior di euro per rompersi la schiena in carrozze scomode e puzzolenti.
Eppure quella di Ginevra e Louis era una favola, una favola piuttosto moderna e ambiziosa forse, ma pur sempre degna di essere vissuta, e di ricevere anch’essa, dopo schiere di draghi sputafuoco, mele avvelenate e streghe stravaganti, quel piccolo lieto fine grafato in corsivo, nell’ultima pagina della loro vita.
 
Louis e Ginevra erano personaggi un po’ fuori dagli schemi, e probabilmente nessuno scrittore con un po’ di sale in zucca avrebbe mai pensato di poter affibbiare ad uno di loro il ruolo da protagonista in una qualsiasi delle loro storie.
Louis non aveva proprio niente dei tratti caratteristici che si confacevano al principe azzurro, non era biondo, non era ne aitante, nè tantomeno aveva un regno da governare. Aveva i capelli scuri, castani, una capigliatura indisciplinata che portava perennemente in disordine, e quando andava bene quindici euro in tasca per offrire a Ginevra la cena da McDonald’s. In compenso aveva gli occhi azzurri, celesti per l’esattezza, perchè Ginevra ogni volta ci vedeva un cielo immenso dentro.
No, Louis non somigliava affatto ad un principe azzurro, eppure era così che appariva agli occhi di Ginevra, uno sfavillante principe spettinato in sella ad una malridotta Vespa rossa, che non avrebbe mai cambiato con tutti i Reami di questo mondo.
Ma d’altro canto, neanche Ginevra avrebbe potuto impersonare il ruolo della principessa timida e remissiva, spaventata persino dalla sua stessa ombra. Ginevra infatti a dispetto dell’aspetto tenero e minuto, coi suoi lunghi capelli castani, pelle di porcellana, gote rosse e due immensi occhioni azzuri come lapislazzuli, era una persona fiera e combattiva, aveva un caratteraccio che soltanto Louis riusciva a comprendere, e spesso si comportava come una pazza sclerotica, che poco si confaceva ad una graziosa principessa.
Erano diversi, Ginevra e Louis, differenti su ogni fronte, in qualsiasi cosa facessero. Opposti e contrapposti in tutto, agli antipodi insomma, come il Sole e Luna.
Ginevra Charlotte Marie Wolwherhampton in Lancasteraveva diciannove anni, studiava Comunicazione al Collage e dalla primary school sapeva di voler diventare una giornalista, magari vincere pure due o tre premi Pulitzer e scrivere almeno un paio di best seller. Di estrazione sociale medio-alta, era l’unica figlia dell’ avvocato divorzista Lionell Richard III Wolwherhampton in Lancaster e di Mary Anne Stuart in Lancaster, rampolla plurititolata di una famiglia caduta in disgarazia più di cinquant’anni prima, almeno centocinquantesima nella linea di successione al trono, che di nobile non conservava più niente che non fosse la puzza sotto al naso, un araldo malmesso ed un vecchio maniero nello Yorkshire, che si ostinava a chiamare Villa padronale.
Louis invece era uno studente part-time dell’Academy of Drama, studiava musica e teatro, aveva ventuno anni, ma se ne sentiva almeno quaranta sulle spalle, e viveva di mille lavori per cercare di districarsi tra affitto, bollette, tasse universitarie e quando c’entrava pure di riempirsi il frigorifero. Aveva fatto il cameriere, l’aiuto cuoco in una rosticceria cinese, il fattorino per una ditta di spedizioni, e persino consegnato pizze a domicilio, con la sua vespa rossa; lavori saltuari, al nero e mal pagati che uniti a qualche serata al piano bar e poche lezioni di pianoforte a bambinetti isterici e viziati, gli avevano sempre permesso di mantenersi da solo, e non chiedere nulla ai propri genitori.
Non aveva ancora capito cosa lo avesse spinto a scegliere Londra, invece di restare a Doncaster, la piccola cittadina che l’aveva visto crescere. Aveva semplicemente puntato gli occhi sulla mappa geografica che raffigurava la vecchia Union Jake, e qualcosa, una sensazione forse l’aveva condotto fin là. E lui seguiva sempre il suo istinto, anche a costo di sbagliare.
E all’inizio aveva davvero temuto di aver preso una cantonata colossale, quando guardandosi attorno, si era reso conto di non riuscire a vedere nient’altro che l’intonaco scrostato dell’appartamento di periferia, che condivideva con altri tre sottospecie di coinquilini, che invece di frequentare le lezioni passavano tutto il tempo in soffitta, nella serra clandestina di marja che avevano allestito, e che prima o poi li avrebbe fatti arrestare tutti, lui compreso.
Ma poi era arrivata Ginevra, ed allora aveva riaperto gli occhi ed iniziato a credere di nuovo.
Perchè erano diversi Ginevra e Louis, eppure almeno un piccolo sogno in comune ce l’avevano, cambiare il mondo. Soltanto in modi diversi, Ginevra attraverso le parole, Louis con la sua musica, ed erano entrambi sicuri che un giorno, anche se distante, ce l’avrebbero fatta.
E mentre aspettavano che si avverasse, affrontavano la realtà, ed i numerosi draghi che metteva loro davanti ogni singolo giorno.
Il drago più puntuale giungeva il quindici di ogni mese, assieme al signor Bones, l’amministratore del loro palazzo, che pretendeva 450 sterline di affitto per un bilocale di 45 metri quadrati, al quarto piano, senza ascensore di una vecchia palazzina vicino South Kensington. Un vero furto, insomma, eppure in qualche modo l’avevano sempre pagato l’affitto, seppur con difficoltà. Tranne la volta in cui Louis s’era beccato l’influenza ed aveva saltato un’intera settimana di consegne e lezioni, e allora si erano nascosti come ladri, tenendo cautamente le luci spente in tutte le stanze -cioè due-, per quasi cinque giorni, fingendo di non sentire il bussare insistente del drago Bones contro al portone d’ingresso, che minacciava di sfrattarli su due piedi se non avessero saldato il debito. Poi era giunto il piccolo bonifico che ogni mese i genitori di Ginevra le spedivano per mantenerla a Londra, ed allora erano riusciti ad abbattere sia Bones, che il drago.
Riuscivano sempre a cavarsela alla fine, Louis pensava che si trattasse semplicemente di fortuna sfacciata, ma Ginevra sapeva ben che il merito andasse tutto al terzo incomodo protagonista della loro storia, l’amore.
Perchè Ginevra e Louis si erano innamorati subito, inconsapevolmente, sin dal primo sguardo.
La prima volta che Louis aveva incrociato gli occhi azzurri di Ginevra, era un sabato di fine novembre, fuori pioveva a dirotto, faceva un freddo assurdo, ed il Flying Irish, il locale vicino a Portobello, in cui ogni fine settimana si esibiva al piano bar, non gli era mai sembrato tanto affollato. Forse era merito di quell’improvvisa ondata di gelo e pioggia, che aveva fatto sloggiare gli studenti da Victoria’s Station, costringendoli a rassegnarsi all’avvento dell’inverno oramai imminente, e a riversarsi di conseguenza, in massa dentro ai locali del centro, in cerca di riparo. Il motivo comunque non aveva poi così importanza per Louis: molte persone, volevano dire un sacco di serate, e un sacco di serate, equivalevano ad.. un sacco di soldi, e a lui non poteva stare meglio di così.
L’improvvisa venuta dell’inverno però, non gli aveva portato soltanto più lavoro, quella sera, ma anche una piccola pazza sclerotica con gli occhi più azzurri che avesse mai incontrato nei suoi ventidue anni, e quella notte, c’aveva messo meno di mezzo minuto per capire che quello sguardo ceruleo gli avrebbe stravolto completamente la vita, per il resto dei suoi giorni.
Louis l’aveva notata subito, non appena varcata la soglia d’ingresso del locale; indossava un leggero vestito a fiori, sotto ad un cardigan scuro, che non c’azzeccava veramente nulla con il gelo grigio che imperversava tra i quartieri inglesi ed un cerchietto marrone tra i capelli, che le riavviava i lunghi ricci castani, dietro alle spalle, scoprendole la pelle diafana del volto. Era una ragazzina strana, non aveva spiccicato mezza parola da quando era entrata, limitandosi ad annuire ed abbozzare un paio di sorrisi falsi quanto quelli di Giuda, alle due amiche che le siedevano accanto, e che probabilmente dovevano averla trascinata là dentro, contro il suo volere.
Era strana, ma bellissima, e Louis non riusciva a pensare ad altro, mentre sul piccolo palco allestito in fondo al locale, e ben nascosto dalla cassa dell’amplificatore, spiava con la coda dell’occhio il suo tavolo, soffermandosi attento su ogni più piccolo ed insignificante dettaglio della figura di Ginevra. Le labbra sottili, curvate in una smorfia stanca, che faticavano a sorridere, e gli occhi vuoti, sguardi ricolmi di un cielo spento, come se qualcuno le avesse rubato le iridi cerulee, lasciandovi soltanto le nuvole grigie. E poi le dita piccole, le unghie smaltate di un buffo rosa caramella, che continuava a tamburellare sulla superficie del tavolino davanti a se, con fare annoiato.
Sembrava così fuori posto in mezzo a quella gente che la circondava, una principessa triste, che non aveva ancora smesso di sperare, e di attendere l’arrivo del principe che l’avrebbe portata via, lontano dalle sorellastre cattive.
Ed in fondo, le sue due amiche lo sembravano davvero, la reincarnazione di Anastasia e Genoveffa; entrambe arcigne e terribilmente snob, non avevano smesso per un solo istante di lamentarsi per la qualità del servizio, delle vivande e del basso target sociale della clientela che frequenteva il locale. Water griffati Chanel, le aveva definite Louis, e si sa.. la griff in certi casi era inutile, un cesso, seppur agghindato a festa, restava comunque un cesso.
La sua principessa triste invece era diversa, e c’era qualcosa dentro ai suoi occhi, che lo spingevano a volerla salvare a tutti i costi dalle grinfie delle sorellastre cattive. Forse era semplicemente autolesionismo, perchè una come lei, non avrebbe mai sprecato un solo alito della sua vita con un fallito come lui. Lei era una principessa, e lui poteva impersonare a mala pena lo sguattero che pelava le patate nelle cucine del castello.
Eppure voleva salvarla lo stesso, e non avendo la benchè minima idea di come fare, era salito sul palco, aveva impugnato tra le dita tremanti il proprio microfono, e poi aveva preso a cantare, per lei. Dedicandogli inconsapevolmente una canzone dopo l’altra.
Era così che voleva salvare il mondo in fondo, con la sua musica, e forse sarebbe riuscito a salvare pure lei, avrebbe dato qualsiasi cosa pur di vederla sorridere, gli sarebbe bastato poterlo scorgere anche una volta sola, ed era certo che quel sorriso allora, gli avrebbe offerto il paradiso.
C’erano volute due ore e mezzo di concerto e mezzo repertorio della sua playlist, ma alla fine era riuscito davvero, a farla sorridere. Un sorriso timido, impacciato, quello maldestro di una principessa a cui nessuno aveva mai insegnato a farlo nel modo giusto, e che si vergognava a mostrare agli altri. A Louis però quel sorriso, così spontaneo, così buffo e un po’ stonato, era piaciuto da morire, e avrebbe fatto di tutto pur di vederglielo comparire sul volto un più spesso, compreso improvvisarsi un principe azzurro. Chissà che aspetto avrebbe avuto la sua vespa rossa addobbata a festa, con nappe e criniera.
Spinto dal già citato autolesionismo, una volta terminata la serata, senza neanche pensarci su aveva strappato un pezzetto di spartito dal leggio della tastiera, e poi scarabocchiato tra le note, con la sua calligrafia rotonda, le dieci cifre del suo numero di cellulare, accompagnate dal suo nome, Louis. Poi si era precipitato da lei, rincorrendola fuori dal locale, in mezzo al vento gelido dei vicoli londinese, con indosso soltanto una ridicola camicia bianca, del tutto incurante del freddo di dicembre che gli trafiggeva le ossa, e del tremendo mal di gola che l’avrebbe afflitto per l’intera settimana a venire.
L’aveva raggiunta in poche falcate, visto l’arrancare lento ed incerto delle sorellastre cattive, che in bilico su dei minacciosi tacchi alla Lady Gaga, la costringevano a mantenere la loro andatura. Ma non aveva trovato il coraggio di dirle niente, gli si era parato davanti ansante, con il fiatone ed il cuore che gli palpitava in gola, e non era sicuro che fosse dovuto soltanto alla corsa a perdifiato fatta per raggiungerla. Probabilmente aveva dovuto sembrargli un pazzo, eppure Ginevra, quel bigliettino lo aveva accettato lo stesso, mordendosi le labbra per trattenere uno di quei sorrisi sghembi, di cui si vergognava terribilmente, noncurante delle occhiate minacciose delle delle sorellastre cattive, che fissavano Louis con sguardo allucinato, neanche si fossero ritrovate davanti Jack lo Squartatore. Anzi probabilmente gli avrebbero preferito un assassino pluripremiato dalla critica cinematografica, piuttosto di un umile pseudo-aspirante cantante di pianobar.
Poi all’improvviso Ginevra se n’era andata, riprendendo a camminare tra quei vicoli sempre più fitti, sempre più bui, senza dire una parola, stringendo tra le dita quel bigliettino improvvisato, lasciando persino indietro le due sorellastre, ma a Louis andava bene lo stesso. Si erano già detti tutto, anche tacendo.
Louis aveva fatto ritorno all’ Flying Irish, zigzagando tra le pozzanghere con un sorriso in perfetto stile Mentadent stampato in volto. Scoppiava di gioia a tal punto che non si era neanche lamentato quando Finnigan, il proprietario, l’aveva praticamente costretto ad aiutarlo a rimettere apposto sedie, strumenti, ed il piccolo palcoscenico fino alle tre e mezza del mattino, e per la prima volta aveva deciso di soprassedere sulla cappa pestilenziale di fumo, assimilabile ad una fumeria d’oppio di primo ottocento, che si era ritrovato appena messo piede in casa, ad opera di quei disgraziati dei suoi coinquilini.
Aveva la schiena a pezzi, il nucleo operativo dei narcos avrebbe potuto fare irruzione in casa sua da un istante all’altro per arrestarlo, eppure si sentiva felice, come mai prima d’allora.
Ginevra invece si sentiva strana, non s’era mai sentita così prima d’allora, e per un attimo, le era balenato per la testa il dubbio che le fosse venuta la febbre, un attacco fulminante di appendicite, che non avesse digerito bene la cena, al peggio persino un infarto del miocardio, o magari tutte e quatto le cose messe assieme. Una voragine le aveva preso il posto dello stomaco, il cuore le tamburellava come una scheggia impazzita nel petto da più di due ore, ed aveva un caldo pazzesco. E poi aveva voglia di ridere, come non le succedeva più da anni, da quando era bambina, da quando aveva smesso di lasciare la finestra aperta a Peter Pan, e smesso di credere alle favole.
Si sentiva strana, irrequieta, e.. sudata, e Ginevra odiava sudare. Aveva persino pensato di cercare i propri sintomi su Google, per scoprire quale terribile malattia la potesse aver afflitta, quando all’improvviso le era ritornato alla mente il biglietto che quel cantante squilibrato le era corso a consegnare. C’erano incise delle note sul retro, un pezzetto di spartito che aveva cercato di decifrare, nonostante avesse preso appena due lezioni di piano, dieci anni prima. Come previsto non era riuscita a capire di quale canzone si trattasse, ma aveva passato tutta la notte a rigirarselo tra le dita, mentre le parole di Beth e Rosaline, le cugine adorabili quanto una carie con le quali divideva l’appartamento, le ronzavano nel cervello come fastidiose zanzare.
 
-Spero che tu abbia il buon senso di accartocciare quello stupido foglietto e gettarlo nel Tamigi! Ma dico, non avrai mica intenzione di chiamare quel pezzente?-
-Gin per l’amor del cielo, è uno sfigato, un morto di fame! Che ci faresti con uno così?-
-Ascolta Beth, Ginny cara, sei una Lancaster.. E quello è lo sfigatello che consegna il take away alla rostecceria cinese! Che futuro potrebbe mai offrirti un simile aborto della società?-
 
Eppure Ginevra la mattina dopo l’aveva chiamato lo stesso, quello.. sfigatello, fregandosene dell’altisonante cognome del padre, o dei preziosi consigli di Beth e Rosaline, che nonostante l’avvento del 22esimo secolo, continuavano ancora a classificare la validità delle persone in base alla loro denuncia dei redditi.
Così l’aveva chiamato, alle sette del mattino -visto che aveva trascorso la notte in bianco,- svegliandolo in verità, ma Louis si era sentito talmente tanto euforico nel sentire per la prima volta la sua voce, che non aveva mai trovato il coraggio di confessarglielo.
 
-Ciao sono.. Si ecco, sono la ragazza di ieri sera. Insomma mi sei corso dietro e mi hai lasciato il tuo numero sopra ad un pezzetto di spartito. Cioè, credo che sia uno spartito, non ho mai imparato bene a leggere la musica, ma non ci vuole una laurea per riconoscere la sagoma di un paio di note. Beh, comunque ti ho chiamato, dato che mi hai lasciato il tuo numero, io ti ho chiamato. Era per me, giusto? Voglio dire, il numero.. Ma ti ho svegliato? Non è che stavi dormendo, vero? Io non riuscivo a dormire e così..-
-Si, era per te. No, non stavo dormendo, e.. Finalmente sono riuscito a sentire la tua voce. Ma non so ancora il tuo nome..-
-Ginevra, mi chiamo Ginevra. Ma tutti mi chiamano Gin..-
-Piacere, io sono Louis-
 
Ginevra, si chiamava Ginevra, e a Louis quel nome piaceva da morire, perchè le ricordava quella delle leggende arturiane, la protagonista di una delle sue favole preferite, ed era pienamente convinto che dovesse trattarsi di un qualche segno del destino, magari posto sulla stessa scia di quello che l’aveva condotto là, a Londra, e poi all’Irish Flying, la sera precedente.
 
-Credevo che Genoveffa e Anastasia non ti avrebbero mai permesso di chiamarmi, e che a quest’ora il mio bigliettino si trovasse dentro al Tamigi, tra le fauci di uno storione..-
-Ma Cenerentola trova sempre il modo di fregarle-
-Allora riesci a fuggire da palazzo, domani sera? Prometto di riportarti a casa in tempo per la mezzanotte, ma ti sconsiglio i tacchi di cristallo, ci sarà da camminare..-
 
Niente scarpette di cristallo e tiara tra i capelli; alle sette e trenta di una grigia domenica di fine novembre, Ginevra si era ritrovata ad attendere il principe azzurro, coi piedini calzati da un vecchio paio di logore vans amaranto ed una buffa cuffietta di lana colorata ben calcata sulla testa, che le conferiva una buffa aria da bambina, che però, anche se non gliel’aveva detto mai, faceva impazzire Louis.
Lui era arrivato in ritardo di dieci minuti, anche se era uscito in anticipo da casa di almeno venti, e poi era rimasto nascosto dietro all’insegna della rosticceria cinese vicino casa di Ginevra, nella quale aveva persino lavorato mesi prima, teso, nervoso e con le mani appiccicose di un appiccicoso sudore freddo, che continuava a sfregare inutilmente sui jeans, cercando di darsi una calmata. C’aveva messo un po’, prima di trovare coraggio, o forse era stata la puzza di pesce fritto a farlo fuggire via, ma alla fine l’aveva raggiunta scusandosi e dando la colpa ad un inesistente ingorgo di traffico.. pedonale, ed insieme erano saliti sul 24, il bus cittadino che portava fino a Kensington Garden, il parco che Louis amava più di tutta Londra messa assieme. Quello in cui James Matthew Barry aveva ritrovato l’ispirazione perduta, quello che gli aveva permesso di dare la vita a Peter Pan, l’eroe di Louis, quello in cui ancora oggi risiedeva, anche se solamente in forma di statua.
A Louis bastava passeggiare tra quei viali per sentirsi a casa, e librarsi in volo sulla rotta di Neverland, a volte credeva che bastasse tendere una mano verso il cielo, per riuscire ad acciuffare la seconda stella a destra, e stringerla tra le dita. La sua Neverland personale, così aveva ribattezzato quel posto, un’isola che non c’è decisamente più accessibile, disponibile senza prenotazione, senza pagare una sola sterlina, dove si riuscivano a sentire le stelle tra i capelli. E forse un giorno avrebbe svelato il suo segreto anche a Ginevra. Il centro del suo, di cielo.
Louis le aveva offerto la cena, una crepes strafarcita di nutella e cioccolato bianco, divorata in pochi minuti seduti a cavalcioni su di una panchina, vicino al bambino senza età e poi avevano percorso l’intero sentiero che dal parco si disnodava fino all’uscita, passeggiando vicini, ma stando bene attenti a non sfiorarsi neanche per sbaglio o tenersi per mano, e senza accorgersene erano arrivati fino alla riva del Tamigi.
Dio solo, sa quante volte Louis c’aveva provato, ad allungare il braccio e acciuffarle le dita, per intrecciarle alle sue e non lasciarle più, ma ogni tentavo era stato inutile, quella ragazza lo metteva in soggezione e per la prima volta in vita sua si sentiva in imbarazzo, e non sapeva come comportarsi. Ginevra era.. troppo, semplicemente troppo per uno come lui, che campava d’espedienti, e non era ancora riuscito a capacitarsi del motivo che l’avesse spinta a chiamarlo, la mattina precedente, e macinare metri e metri di asfalto polveroso assieme a lui, quella stessa sera.
Erano stati proprio quegli insinuanti dubbi, a spingerlo a fermarsi sulla passerella del fiume, vicino a Westmister, e dare via libera alle sue parole, giunte in maniera inaspettata, ma quantomai veritiere, a sferzare quell’aria fredda di novembre. Un po’ come la piena del Tamigi, giunta sorprendentemente in anticipo quell’inverno, che in quell’istante discendeva impetuosa sotto di loro, scontrandosi contro i piloni del ponte sotto di loro, appena visibili attraverso quella notte nera pece.
 
-Sai cosa credo? Credo che siamo sbagliati, intendo io e te insieme-.
 
Louis aveva parlato senza guardarla negli occhi, lo sguardo fisso su quelle acque torbide, increspate dal vento; non sarebbe riuscito a mentirle altrettanto bene una volta incontrate le sue iridi di cielo, non ce l’avrebbe mai fatta a lasciarla andare.
Ginevra invece aveva incrinato le labbra, al suono di quelle parole, in un sorriso leggero, quasi trasparente.  
 
-Forse hai ragione, eppure tu riesci a farmi sentire giusta. Giusta per Te, non per il mondo-
 
Louis le aveva offerto una via di fuga, Ginevra l’aveva appena rifiutata e a quel punto lui aveva allungato le braccia per stringerla a se, schiacciare il suo corpo esile contro il suo torace e finalmente svegliare la principessa con un bacio degno di presenziare in una favola.
L’aveva baciata ad occhi chiusi, cingendole piano la vita e respirando il suo profumo di bambina, da provetto principe azzurro; un bacio dolce, trasparente come il sorriso stonato di Ginevra che non le andava più via dalla faccia, lento come l’affluire leggero della piena contro gli argini del Tamigi, e di quel vento di novembre che gli scompigliava i capelli.
Gli ci erano voluti più di duecento chilometri, mille lavoretti saltuari ed una buona dose di coraggio, ma alla fine c’era riuscito a trovare la sua Cenerentola, la principessa in grado di calzare perfettamente la scarpetta di cristallo che si portava dietro da anni, e poco aveva importanza che si trattasse di un vecchio paio di converse amaranto bucate, e non dell’ultimo modello di Louboutin dalla suola rosso sangue.
Un bacio, un solo bacio per destarsi da un’apnea durata una vita; forse non era Ginevra la principessa che aveva bisogno di esser risvegliata, forse quel bacio era servito più a lui, per rendersi conto di aver trovato lo scopo che l’aveva condotto lì, in quella città, su quel ponte rinascimentale. Ginevra, la sua favola.
 
-Credevo che non mi avresti baciata più..-
-Aspettavo di esser sicuro che lo ricambiassi-
-Sembri un tipo piuttosto sicuro di se..-
-Può darsi..-
-Detesto i tipi come te, così dannatamente.. spocchiosi! Sappi che trascorrerò il resto della serata cercando di far crollare le tue certezze. Dai, confessami una cosa di cui sei sicuro!-
-Che uccideremo tutti i draghi, e vivremo per sempre felici e contenti-
 
Dopo quella promessa, Ginevra non era riuscita a trovare nulla di sensato su cui poter ribattere, lamentarsi o aver da ridire. Succedeva di continuo, Louis le rubava le parole da sotto al naso, si appropriava delle sue tesi strampalate, delle sue paranoie e delle sue incertezze, le masticava e poi le risputava fuori a pezzi, facendole crollare come castelli di sabbia. Lui, sempre così sicuro, determinato, credeva così tanto nelle favole, da avere abbastanza fede anche per lei, che da razionale e metodica quale era, non aveva ancora capito se crederci o no.
Fatto sta che da quella sera di Novembre, Louis e Ginevra non si erano più lasciati, i presagi di Beth e Rosaline si erano avverati, e alla fine c’era finita davvero con quel morto di fame, anche se non lavorava più alla rosticceria cinese, ma era passato alla consegna di pizze e domicilio da Italia Amore Mio, però a lei non fregava nulla.
Non le importava dei commenti acidi delle proprie cugine, che minacciavano un suo imminente declassamento sociale, se non lo avesse mollato prima di subito. E non aveva ascoltato neanche il padre, quando sotto ordinanza della madre Mary Anne, le aveva intimato di lasciarlo, in quanto giudicato assolutamente inadatto all’estrazione sociale di una Lancaster.
Ginevra non si era certo piegata alle loro minacce, e dimostrando che anche le principesse fossero in grado di fare la guerra, aveva deciso di fare di testa sua, e poco le importava se il padre le avesse dimezzato i fondi, nella speranza che rinsavisse, o che le cugine le avessero tolto il saluto, rilegandola all’ultimo gradino della piramide sociale londinese.
Ginevra era felice, Ginevra aveva imparato a sorridere nel modo giusto.
Ginevra era innamorata, amava Louis.
E la amava anche lui.
Lo aveva capito un pomeriggio di Gennaio, dopo aver fatto l’amore.
E dopo aver trascorso un’ora intera a guardarla dormire, rannicchiata tra le lenzuola disfatte del suo letto, coi segni del cuscino disegnati sulla faccia, i ricci scarmigliati sparsi tra le coperte, ed il suo sorriso da bambina, ancora impresso sulle labbra.
Amava tutto di lei, a partire da quel sorriso di cui si vergognava tanto, e che ogni volta cercava di nascondere con la mano destra, per non farsi sorprendere a ridere. Amava come lo riempisse di calci durante il sonno, e che non gli lasciasse mai neanche mezzo centimetro di letto, perchè lei finiva sempre per occuparlo tutto. Amava i suoi capelli ricci, che spesso la mattina, al risveglio, si ritrovava a masticare tra le labbra; ricci ribelli ed indomabili, un po’ come lei, una principessa guerriera che nessun principe dotato di buon senso si sarebbe mai arrischiato a sottomettere.
Amava Ginevra, e amava perdersi tra i suoi milioni di dettagli, nei suoi più impercettibili movimenti, in mezzo ai suoi più assurdi difetti, in quel buffo modo di ridere, o al suo continuo inciampare nei suoi stessi piedi, tra i ciottoli di Kensington garden. Amava porgerle una mano, ed aiutarla a rialzarsi, ogni volta che cadeva a terra, sentirla strimpellare She will be loved con la chitarra, l’unica che sapesse suonare, e neanche tanto bene, e poi amava i suoi progetti strampalati, e la sfumatura incrinata che assumeva la sua voce, quando gli raccontava i propri sogni.
Amava  Ginevra, e probabilmente si sarebbe meritata una dichiarazione diversa, più elaborata, più.. principesca, magari accompagnata da mille rose rosse ed un diamante grosso quanto Westmister Abbey. Ma non sarebbe stata certo da Louis, proprio no, visto anche che l’unico gioiello che era stato in grado di regalarle, l’aveva trovato dentro all’happy meal del Mc Donald, una settimana prima. E Ginevra quel braccialetto di plastica, non se l’era tolto più dal polso.
Quando qualche ora dopo Ginevra si era svegliata, l’aveva trovato seduto in fondo al lettone, con le ginocchia incrociate ed un libro di Drammaturgia stretto per inganno tra le dita, che aveva aperto persino al contrario, troppo assorto com’era dai suoi movimenti.
Lei se n’era accorta, ma non gli aveva detto niente. Pigramente s’era stiracchiata imbarazzata le braccia indolenzite, e stringendosi il lenzuolo azzurro al seno, gli si era avvicinata, accoccolandosi fra le sue gambe. Poi mordendosi le labbra, aveva trovato il coraggio di chiedergli quali fossero le note incise sullo spartito che le aveva dato quella sera di novembre, quando le era corso dietro.
Lui allora aveva sorriso; un sorriso un po’ sghembo, un po’ timido, e lui non s’imbarazzava quasi mai, e poi si era alzato, raggiungendo la tastiera vicino alla scrivania, ed aveva suonato quelle note per lei, solo per lei, come durante il concerto che le aveva inconsciamente dedicato al Flying Irish.
Inutile dire che si trattava di She will be Loved.
 
-A cosa pensi?-
-Alle pareti della tua stanza, sono troppo.. azzurre-
-Credo che si tratti di una nuova tonalità di colore, azzurro troppo azzurro.. Dai Gin, sputa fuori la verità-
-Pensavo che.. non mi hai mai detto il titolo della canzone dello spartito, quello che hai strappato quella sera, prima di corrermi incontro. Cosa c’era scritto?-
-Quello che non ho trovato il coraggio di urlarti quella notte, o mi avresti preso per un pazzo..-
-Che hai scambiata le mie cugine per Anastasia e Genoveffa?-
-No, che ti amo Cenerentola-
-Si, probabilmente ti avrei preso per un pazzo. Ma avresti dovuto farlo, sai?-
-E mi avresti risposto?-
-Ovviamente no, ti avrei considerato uno squilibrato, ma è quello che avrei voluto gridarti anche io. Ti amo, Lou-
 
Era Luglio, il Luglio più torrido che Londra ricordasse, -il terzo più caldo dal 1932, o almeno così sosteneva il tg locale, attribuendo buffi nomi mitologici alle ondate di caldo che infestavano la City, quando circondati da scatoloni di cartone e con le guance imbrattate di vernice fresca, Louise Ginevra erano andati a vivere insieme.
Louis gliel’aveva chiesto poche settimane prima, mentre seduti sul gradino più basso della statua dedicata a Peter Pan, Ginevra cercava di leccare la stracciatella dal suo cono, prima che il caldo tropicaleglielo sciogliesse, ed intanto l’Inghilterra festeggiava il giubileo della Regina Madre che era finalmente riuscita a spodestare il record della Regina Vittoria.
Ginevra aveva rischiato di strozzarsi con il gelato, e dopo aver boccheggiato come uno degli storioni del Tamigi, nascondendo uno dei suoi sorrisi stonati, gli aveva sussurrato.. Si. Due sole lettere, e a Luois era sembrato di riuscire a sentire un coro da stadio fatto di ole, trombette e vuvuzela innalzarsi fino alle sue orecchie, al suono di quella risposta.
Solo parecchi minuti dopo, si era reso conto che si trattavano delle grida festose della gente, che radunata ai lati dei viali londinesi, festeggiava il passaggio della Regina Elisabetta. Ma Louis era comunque sicuro che si fosse trattato di un segno del destino, e che quella sera la vittoria più bella l’avesse ottenuta lui, e fanculo alla casata Reale.
 
-Mi hai portata in braccio per otto rampe di scale.. Non è che sei Superman?-
-Lo sfigato che porta le mutande sopra al costume? No grazie!-
-Sei veramente uno scemo..-
-Guarda che se vuoi, andiamo di là.. Così controlli se le porto sotto-
 
Era Luglio, il caldo asfissiante costringeva i cittadini londinesi a relegarsi in casa, davanti a condizionatori e birre ghiacciate, ma a Louis andava benissimo così. Aveva trovato la sua Cenerentola, e non avrebbe scambiato quel bilocale malandato di Portobello, neanche con il regno di Camelot. Ed era a questo che aveva pensato, mentre stringendola tra le braccia, l’aveva portata in braccio fin dentro al loro castello, convinto che un giorno non lontano l’avrebbe fatto di nuovo; solo che lei avrebbe indossato un abito bianco, come la neve.
 
-Alzati, abbiamo ancora almeno altri dieci scatoloni da portare su.. a mano!-
-Uhmf-
-Non grugnire, avremmo già finito da un pezzo se tu.. Se tu non mi avessi distratta, ecco-
-Ma se sei stata tu a strapparmi i vestiti di dosso per controllare se davvero indossassi la tuta da supererore sotto alla maglietta-
-Beh, non mi è sembrato che ti facesse così schifo..-
-Puoi strapparmi via i vestiti quando vuoi.. Sai che sono sempre al tuo servizio Cenerentola, pronto a soddisfare la tua libidine ogni volta che lo desideri. Camera da letto, cucina, bagno.. rampa delle scale..-
-Cretino!-
-Sei una principessa troppo violenta per i miei gusti, Biancaneve si rivolterebbe nella tomba se potesse vederti in questo momento.. E lascia stare i miei capelli!-
-Tranquillo, amo troppo i tuoi capelli per strapparteli. Anche se ne sei ossessionato quasi al pari dei piccioni..-
-Lascia stare Kevin!-
-Tu chiami ogni piccione Kevin, Lou.. E comunque tornando ai tuoi capelli..-
-Stai dicendo di amare i miei capelli più di me?-
-Sei incredibile, diventi geloso pure per i tuoi capelli!-
-Ho solamente paura che Cenerentola si stanchi del povero, e decida di tornare dal principe-
-Cenerentola non va da nessuna parte, e soprattutto, non senza il tuo ciuffo-
 
Amavano quella casa, quasi quanto Ginevra amava i capelli di Louis, che si divertiva a scompigliare continuamente, ovunque lui si trovasse, fregandosene bellamente delle sue smorfiette infastidite e del suo disappunto. Amavano quella casa, quattro pareti, o poco più, nella quali poter essere loro stessi, senza pregiudizi, o condizionamenti di alcuna sorta; senza sorellastre cattive pronte a comandarti a bacchetta, nè piantagioni di marijuana clandestine, da dover giustificare a polizia e vicinato. Conducevano una vita pazza, sconclusionata, che la famiglia di Ginevra probabilmente non avrebbe mai accettato: così dannatamente bigotta e perbenista, scandita da orari programmati al millesimo di secondo, in cui gli imprevisti non erano assolutamente contemplati.
Louis e Ginevra ci sguazzavano invece, negli imprevisti.
Entrambi sconclusionati, dai gusti relativamente eccentrici, come la lanterna cinese appesa al posto della plafoniera in cucina, adoravano svegliarsi alla mattina, passeggiare per Hyde Park dando da mangiare agli scoiattoli, e gettarsi nell’ignoto di una nuova alba. Avevano qualche soldo in più, ma il frigo restava comunque sempre vuoto, tranne la credenza che straripava di snack, dolcetti e biscotti di cento gusti differenti, coi quali Ginevra, stressata e coi nervi a pezzi, s’ingozzava prima di ogni esame, maledicendo Louis per averglieli comprati, e finendo poi con il ringraziarlo a dovere, alla notte, dopo l’ennesimo trenta e lode.
 
-Smettila di guardarmi-
-Non ci riesco, adoro come mangi le ciliegie-
-Le mordo.. Come qualsiasi altro essere umano sulla faccia della terra-
-Non credo che il resto dell’umanità le mangi così. Seduta accanto a me sul letto, con indosso solamente una delle mie camicie e le labbra imbrattate di succo.. Non sai quanto vorrei che mordessi anche me, come una di quelle ciliegie-
-Lou non stai bene, lasciatelo dire-
-Mordimi, ti prego mordimi!
-Mi hai presa per Edward Cullen?-
-Ovvio che no, tu sei la mia Cenerentola!-
-Amore, sei assurdo-
-E tu sei pazza di me-
-Si, come per le ciliegie-
 
Louis e Ginevra si amavano come due pazzi, eppure erano stati tanti i momenti durante i quali, avevano pensato di finirla lì, quando i draghi prendevano il sopravvento, Louis si scordava di rifornire la dispensa di dolcetti, dentro al frigorifero non trovavano che mele avvelenate e la fata madrina invece di sguainare la bacchetta ed aiutarli, pareva essersi ritirata in pensione a vita ad Honolulu. Louis allora si riempiva in fretta e furia, lo zaino di vestiti ed ogni volta fuggiva via distrutto ed incazzato dal loro castello, che in quei casi somigliava più a quello di Grimilde, piuttosto che a Camelot.
 
-Ti sei dimenticato di pagare la luce un’altra volta!-
-Lo so..-
-Era l’ultimo avviso, te l’ho ripetuto almeno cento volte questa mattina!-
-Lo so..-
-Cazzo ma non ne combini una giusta!-
-Mi dispiace, okei?-
-No, non c’è niente di okei. Non viviamo di favole, Louis-
-Non fai altro che ricordarmelo, Ginevra-
 
A Ginevra, metodica e razionale quale era, bastava davvero poco a volte per accendersi e scoppiare come una lampadina. Diventava isterica, si spaventata, gridava e piangeva, torturandosi nervosamente i ricci con le dita, serrando le palpebre così forte da far scomparire le ciglia, per non esser costretta a vedere Louis allontanarsi da lei, lasciandola sola come una principessa guerriera senza armi, e con il cuore spezzato. Ogni loro lite finiva così, sempre allo stesso modo, con le urla soffocate di Ginevra, ed il portone di casa che Louis si sbatteva dietro alle spalle.
 
-Sei una stronza del cazzo! E pure isterica!-
-E tu un arrogante figlio di puttana che spreca in stronzate la propria vita!-
-Si, sono un cazzone arrogante, ma almeno ho ancora la forza di credere in qualcosa! E io di credo Ginevra, sei tu che non ci credi abbastanza! Sei tu che non ci credi più!-
-Forse sono semplicemente troppo stanca, per credere ancora..-
 
Ma Louis tornava sempre, alla fine. Magari dopo aver trascorso l’intera nottata a girovagare come un vagabondo per i lungarni del centro, ad inveire incazzato contro tutto e tutti, ma pronto a tornare da lei, alleggerito dalla propria rabbia, più innamorato che mai della sua isterica principessa. Una volta era persino rincasato con le tasche piene di centesimi, pochi spicci che aveva tirato su assieme a Rudholph, un barbone che bazzicava Hide Park, con cui aveva improvvisato un concerto chitarra e voce. Ed era stato un vero successo.
Solitamente lui tornava a notte fonda, e Ginevra che lo aspettava ogni volta alzata, perchè senza di lui non ci riusciva a dormire, se lo ritrovava sempre a sonnecchiare distrutto sul pianerottolo di casa, rannicchiato contro la porta d’ingresso, con le occhiaie marcate come un panda, e le labbra corrucciate di una pallida tristezza.
 
-Dai vieni a letto, sai che non riesco a dormire senza di te-
-Neanche io ci riesco, il pavimento è decisamente scomodo, e credo che la signora del 4b mi abbia appena rivolto un’avances sessuale..-
-Dai vieni di là con me-
-Me ne vuoi proporre una migliore? Credo di averla sentita nominare la panna spray..-
-E’ bene che quella megera tenga le zampe al proprio posto-
-Altrimenti che fai?-
-Mi trasformo in un drago anche io-
-D’accordo, ma posso andare lo stesso a prendere la panna?-
-Non abbiamo la panna in casa Louis-
-Nutella allora? Marmellata di albicocche? Pesche? Fragole?-
-Mi rifiuto di ascoltarti idiota-
-..Ciliegie?-
-Prendi il barattolo, ti aspetto in camera.. E non ghignare, viviamo in quaranta metri quadrati, e da qui posso vederti benissimo-
 
C’erano periodi in cui le cose giravano decisamente meglio, ed i draghi sembravano planare su orizzonti più che mai irraggiungibili: Louis aveva l’agenda piena di lezioni, il Flying Irish si riempiva ogni sera di gente, e Finnigan, che considerava la propria fata madrina personale, soddisfatto dei lauti incassi, gli aggiungeva in busta paga sempre qualche sterlina di extra, coi quali riuscivano a pagare affitto, bollette, concentrarsi finalmente su qualche esame, e anche regalare a Ginevra qualche gita fuori porta, magari di un paio di giorni soltanto, in una piccola pensione di seconda scelta, vicina al mare, ed accontentandosi di cenare con un paio di tramezzini al tonno. Ma a loro bastava davvero poco per essere felici, respirare l’odore del mare, ed addormentarsi abbracciati su di un materasso scomodo, con la pelle umida di salsedine, ed i sogni cullati dallo sciabordare leggero delle onde contro il porticciolo.
Spesso, in quei momenti, la sera Louis si sedeva sul lettone accanto a Ginevra, con la chitarra stretta tra le dita e la mente piena di accordi, parole e canzoni ancora da abbozzare. Mentre Ginevra, appoggiata alla testiera del letto, fingeva di studiare combattendo con il sonno, sforzandosi di carpire quante più strofe possibili, dalle labbra di Louis. Sussurri impercettibili, in continua evoluzione, accordi che mutavano forma, e canzoni che prendevano vita dalle dita, dalla bocca, dal cuore di Louis.
 
-Stai  dormendo Cenerentola, studi troppo-
-Smettila di chiamarmi così, e poi sai che ho un esame la prossima settimana-
-Ma se hai imboscato Vanity Fair sotto al libro..-
-Non è assolutamente vero!-
-Dicono che quest’anno il verde pistacchio sia il colore must della stagione..-
-Non è vero, è il giallo!
-Ah, beccata!-
-Fanculo. Buonanotte Tomlinson-
-Sogni d’oro imbrogliona-
 
Erano coraggiosi Louis e Ginevra, forti e valorosi, non si perdevano d’animo neanche quando la matrigna cattiva, cercava in ogni modo di contrastarli. E Ginevra non parlava con lei da Settembre, quando durante una cena di famiglia alla quale Louis non era stato invitato, aveva cercato di accoppiarla con un certo Jean-Baphtiste, un avvocato francese trentacinquenne basso, stempiato e con.. le orecchie pelose, da fare invidia a Dobby di Harry Potter, ma che a quanto pareva, rappresentava un ottimo partito.
Tornata a casa, aveva deciso di non raccontare nulla di quella disastrosa serata; passando dalla cucina, aveva stretto tra le dita laccate di celeste, il vasetto della marmellata di ciliegie e si era presentata da Louis con uno di quei suoi sorrisi stonati impresso sulle labbra. E Louis non c’aveva messo che due secondi a correre da lei, sollevarla tra le braccia, e lanciare chissà dove chitarra e spartiti.
 
-Gin non rispondi a tua madre? Il tuo cellulare sta squillando da mezzora, e non ne posso veramente più di sentire Cindy Lauper dire alle ragazze di divertirsi!-
-Non toccarmi Cindy, quando lei cantava tu ancora puzzavi di latte! E comunque lascialo suonare, non mi va..-
-Non mi hai ancora detto perchè ce l’hai con Grimilde questa volta-
-Le solite cose, non preoccuparti. Più tardi la chiamo, prima finisco di studiare-
-D’accordo, salutami la strega. Ah, e portagli un paio di mele avvelenate da parte mia-
 
Dopo un paio di mesi, si era presentata allo porta di Grimilde, senza le mele avvelenate promesse a Louis, ma intenzionata a chiarirsi con lei. Alla fine, dopo estenuanti trattative ed impliciti inviti, mascherati da amore materno, a lasciare Louis, erano riuscite a raggiungere un punto d’incontro: non si sarebbe intromessa più nella sua relazione, nè l’avrebbe nuovamente incastrata in appuntamenti combinati, a condizione di tornare a renderla più partecipe della propria vita, iniziando dal costringerla a presenziare a quelle noiosissime feste dell’alta borghesia, che Ginevra detestava.
Ginevra odiava agghindarsi a festa, conciandosi come una meringa e prender parte a quegli eventi, erano uno strazio, un supplizio, eppure lo faceva con il solito sorriso storto stampato sulle labbra, conscia che una volta arrivata sera, ci sarebbero stati un barattolo di marmellata alle ciliegie e un ragazzo pazzo di lei, ad attenderla a casa.
 
-Sono le undici e mezza, credevo che Grimilde ti avesse rinchiusa in una qualche torre del castello. Ed i tuoi capelli sono ancora troppo corti per potermici arrampicare, come accidenti avrei fatto a salvarti?-
-Non iniziare coi tuoi deliri. I tacchi mi hanno ucciso i piedi, ho camminato a piedi nudi sull’asfalto per tornare a casa.. E non vedo l’ora di togliermi di dosso questo vestito orribile, detesto l’arancione pesca, e la lampo deve essersi incastrata!-
-Scusa Raperonzolo, dai vieni qui, che ti aiuto a sfilarlo.. Sono il mago delle zip, dovresti saperlo-
-Lou, sono, davvero stanca stasera, non sai cosa mi ha fatto passare mia madre..-
-Dici che la marmellata alle ciliegie riuscirebbe ad alleviare le sofferenze di Grimilde?-
-La marmellata alle ciliegie può fare tutto-
-Non muoverti Cenerentola. Io, te, e la marmellata, abbiamo un lavoro da fare-
 
Era Dicembre, stavano assieme da ormai un anno, da sei mesi esatti vivevano assieme, e Louis, risparmiando fino all’ultimo centesimo, persino quelli guadagnati al parco assieme a Rudolph, -perchè si, qualche volta ci andava ancora, e non di certo per elemosinare quattro spiccioli, ma ormai lui e quel senzatetto avevano stretto amicizia,- era riuscito a comprarle una piccola fedina in oro bianco, sottile quanto una foglia, in un piccolo negozietto vicino a Notting Hill. L’aveva notata in mezzo a tante, tra diamanti grossi quanto conchiglie, e migliaia di sterline in platino, un po’ per caso, un po’ per destino, durante una consegna di pizze dell’ultimo momento. Una vera piccola, per nulla vistosa, e piuttosto semplice, tanto che persino l’orefice aveva storto il naso, mostrandogliela.
Eppure Louis se n’era innamorato subito, trovandola perfetta, e pagando pochi pounds in più, aveva fatto incidere all’interno del cerchietto, i loro nomi, e nient’altro.
Perchè Louis era così, non era il classico principe sdolcinato delle favole, pronto a decanatare il proprio amore a tutto il reame, improvvisando dichiarazioni in prosa degne di Shackespeare, anzi certe esternazioni finivano sempre con l’imbarazzarlo da morire, e le volte che aveva detto a Ginevra di amarla si potevano contare sulle dita di una mano.
Stessa cosa non si poteva dire delle sue canzoni, perchè lì dentro, Ginevra c’era sempre.
Era in ogni nota, in ogni accordo, ed in ogni strofa.
Era nel ritornello di ogni sua canzone, in quelle parole che si ritrovava sempre in bocca, e non riusciva a mandare giù.
Amore. Ginevra. Entrambe di cinque lettere, entrambe padrone del suo destino.
Era Dicembre, la mattina di Natale, fuori stava nevicando, e Ginevra con le dita impiastricciate di marmellata alle ciliegie, aveva appena trovato il suo regalo; Louis glielo aveva nascosto dentro al barattolo.
 
-So che è un po’ misera, ma credimi riuscirò a comprarti un anello come si deve un giorno.. Già immagino l’orribile ghigno di Grimilde appena lo vedrà, sono sicuro che correrà a prendere la lente d’ingrandimento per farmi dispetto. Ma tu non hai idea di quanto costino i diamanti, cioè lo sanno che sono fatti di carbone? Non proprio carbone, carbone ma..-
-Aspetta, frena un attimo. Louis Tomlinson mi stai chiedendo di sposarti?-
-Forse, non lo so.. Insomma lo faresti?-
-Sono pazza abbastanza per dirti di si-
-Okei.. Tua madre ci ammazzerà-
-Naah, Grimilde perde sempre alla fine della favola-
-E la principessa che fine fa?-
-Sposa il principe, e poi lo tradisce con l’aitante servitore-
-Oh, allora è una fortuna che tu ti sia innamorata subito dello sguattero!-
 
Si, Ginevra si era innamorata dello sguattero, alla fine della favola. Un finale insolito, degno della fiaba più assurda e strampalata dell’intero mondo magico, narrante le vicende di un principe squattrinato, in cerca delle luci della ribalta, e di una principessa isterica e completamente fuori di zucca.
Ma era una favola. Speciale, diversa, ma lo era davvero.
E a loro tutto questo poteva anche bastare.
 
E poi.. E poi vissero felici e contenti.
Ma questa è un altra storia, e occorrerà il sacrificio di un altro drago per raccontarla.
 
And She Will.. Be Loved


My Sandpit;
Questa è ona shot che ho scritto qualche tempo fa, ci ho lasciato un pezzettino di cuore dentro e spero davvero tanto che qualcuno la possa apprezzare, e possa sorridere, come ho fatto io scrivendola.
Non chiedo niente, solo un parere, in caso vi fosse piaciuta, qualche riga  farmi capire se vi ha strappato un sorriso.
Un bacio. Dì;

  
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