A HARD DAY’S NIGHT
CAPITOLO
2: And when I ask you to be mine...
«Hey Paulie, chi è quell’anziano signore?» domandò la strana figura di
John Lennon, rivolta all’amico.
«Mio nonno»
spiegò il bassista, congiungendo le mani sul proprio addome.
«Non è
possibile, io ho visto tuo nonno e…»
«È l’altro.
Tutti abbiamo diritto a due nonni, e questo per me è il secondo.»
L’anziano
guardava i quattro amici, vestiti tutti uguali, con lo stesso taglio di
capelli, come se fossero degli alieni, con l’espressione crucciata e gli angoli
della bocca tendevano verso il basso.
«Che uomo
pulito...»
«Ah, non farti
ingannare, è un vero diavolo, ci costa un sacco in cause legali!»
«E come mai
hai deciso di portarlo con te?» Lennon già si rattristava per aver perso il suo
aiuto nel conquistare ragazze, ma era troppo distratto dal vagare con la mente
sulle curve di qualche ragazza, certo, sempre rammaricato che il suo compagno
non avrebbe avuto le sue stesse possibilità, perché troppo impegnato a…
«Devo badare a
lui.»
«Io bado a me
stesso!» furono le uniche proprie parole con cui l’anziano signore si presentò.
«È questo che
mi preoccupa...» confessò il giovane McCartney sovrappensiero.
Shake passò
giusto per controllare che i quattro divi di Liverpool fossero ancora vivi e
vegeti dopo “La caccia ai Beatles” gioco di cui si doveva svolgere il secondo
tempo alla stazione in cui sarebbero arrivati, dove si prevedeva un grande
afflusso di fan e conseguentemente di polizia.
«Salve! Ce
l’avete fatta allora?» esordì l’uomo alto con il capello. Aveva un’aria non
particolarmente brillante, ma sembrava simpatico.
«No.» John lo
guardò serio.
Lui neanche
provò a rispondergli, perché il cantante si sarebbe impegnato a disobbedire, in
ogni caso.
«Ciao a
tutti!» Norman teneva in mano una ventiquattrore «Per una volta cerchiamo di
comportarci come dei cittadini rispettabili, non fate nulla di cui potrei
pentirmi, soprattutto s… Lennon, mi stai scoltando?»
No,
effettivamente il ragazzo stava facendo tutt’altro: cercava di capire dopo
quanto tempo l’effervescenza della Coca Cola creasse dipendenza e assuefazione.
Ah, l’umorismo inglese!
«Sei un
suino!» esclamò sfrontato «Lo è o non lo è, George?»
«Oh, sì, lo
è!» confermò il chitarrista, che stava naturalmente mangiando.
Il manager
sospirò e riprese a parlare:
«Io e Shake
andiamo a prenderci un caffè...»
«Anche io
voglio un caffè!» l’anziano si alzò.
«E va bene
nonnino, vieni con noi!»
I Beatles
ebbero di nuovo compagnia: a entrare nel loro scompartimento fu un signore alto
e massiccio, con una bombetta calcata sul capo, che appena possibile cominciò a
polemizzare sulla regolarità con cui viaggiava su quel treno, sui suoi diritti…
Cose che i quattro non ascoltarono davvero.
«Io ho fatto
la guerra per voi altri!» esclamò poi l’uomo, adirato.
«E le dispiace
che l’abbiamo vinta?» lo prese in giro Ringo, sporgendosi leggermente in
avanti, per alzarsi dal sedile, Paul fece lo stesso.
«Andiamo a
prenderci un caffè e lasciamo solo il colonnello» il bassista si mise a posto i
pantaloni scuri e stretti, poi si avviò con gli altri.
Appena si
chiusero la porta a vetri alle spalle, John ebbe un colpo di genio, e, con
un’espressione degna di chi ha una paralisi facciale, si affacciò di nuovo;
George, Ringo e Paul gli andarono dietro, con un’abilità che appartiene solo a
chi ha passato anni in compagnia di una sagoma come Lennon:
«Hey, Mister! Can we have our ball
back?»
Il passeggero
all’interno li squadrò scocciato, poi girò di nuovo gli occhi sul giornale, su
cui era scritto a caratteri cubitali, «I Beat…»
«F@$%! Mister!» si sentì bussare al
finestrino, e, quando si girò, quei quattro mostriciattoli erano lì, che
correvano e urlavano.
«I Beatles
vanno a…» il rumore fastidioso dei tacchetti sul pavimento distolse il lettore,
di nuovo, e, quando si girò in direzione della fonte del rumore, si vide il
tipo con il naso grosso che veniva tenuto in orizzontale dagli altri tre
buffoni.
«Ehy, non
fatemi cadere...» li avvertì Ringo.
«Che te ne
frega, tanto con gli ospedali tu ci sei molto amico!» Paul e John si sorrisero.
«Ma no, perché
dovremmo? Tutto sommato sei uno dei batteristi più…» George, che con le mani
sorreggeva le spalle del suo amico, lasciò la presa all’improvviso.
Quella ragazza
la conosceva: era quella a cui aveva probabilmente rovinato irreversibilmente
la giornata, (in realtà, c’era riuscito meglio di quanto immaginasse). Le
sorrise, alzando un angolo delle labbra, lei dal canto suo spalancò gli occhi,
aggrottò le sopracciglia.
«Sono curioso
di vedere come sono venute le foto, sai?» cercò di attaccare bottone il
chitarrista, dopo aver spalancato in un solo colpo la porta, facendo tremare il
vetro.
«Semplicemente…
Semplicemente meravigliose» la biondina cercò di sembrare convincente, ma nel
suo tono di voce c’era troppa insicurezza, scaturita dall’orrendo ricordo dei
denti di George nella foto. Si mise a ridere sotto i baffi, come una
psicopatica, da sola...
«Ah sì?! Io
sto andando a bere qualcosa, ti va di venire?»
«No, guarda,
ti ringrazio, per come sta andando la giornata, come minimo, mi verserei
addosso qualunque cosa mi venga offerta...»
«D’accordo.»
sorrise George.
“Quell’essere
è ancora lì!” urlò mentalmente Amelia, alla vista delle verdure impigliate tra
i denti del chitarrista.
«Non mi
scapperai, abbiamo ancora fin troppo tempo da passare sullo stesso treno.»
Il vagone ristorante non era particolarmente affollato. Ad
attirare l'attenzione dell'unico gruppetto di passeggeri, c’era una giovane
ragazza seduta a mescolare un mazzo di carte con abilità e rapidità. Proprio
mentre i ragazzi entravano allargò le braccia con aria teatrale e posò le mani
sul tavolo per farsi forza ed alzarsi in piedi:
«E ora,
signori e signore...» annunciò Kate «Volete per caso provare a vincere ciò che
avete perso? Non sarà facile, ma vi darò una possibilità!» sorrise amabilmente
«Guardate bene queste tre carte: quelle nere perdono, quella rossa vince. Solo
uno di voi potrà provare. Allora, chi si fa avanti?”
«Posso
scommettere me stesso, ma se dovessi perdere saresti costretta a tenere anche
me!» McCartney senior rise marpione, strizzò un occhio. Nel frattempo Norman e
Shake volevano sotterrarsi dalla vergogna… Ma perché nessuno li aveva
avvertiti?
«Accetto solo
cash, nonno» rise canzonatoria la ragazzina, e lui si girò dall’altra parte.
In quel
momento i quattro Favolosi fecero il loro ingresso, tutt’altro che elegante, visto
che stavano ridendo senza ritegno:
«Cos’è questo
silenzio?»
«L’avrei detto
anche io prima del vostro arrivo, Lennon» osservò Norman, nervoso, mentre
tirava delle lunghe boccate da un sigaro.
Ringo si
avvicinò e li guardò, sinceramente preoccupato:
«Che succede?
Non vi ho mai visto nervosi...»
«Il nonno ci ha provato con la croupier.» spiegò Shake,
additando la ragazza che intratteneva il pubblico.
Paul lanciò uno sguardo distratto al tavolo, prima di
riconoscerla e rimanerne incantato.
C’era qualcosa di differente in quel ragazza che sedeva con
le gambe incrociate sulla poltroncina del treno, da sola, occupando il posto
che in teoria sarebbe dovuto essere per due persone.
Forse era per via dei capelli, che invece di essere
cotonati, erano ordinati in una coda tirata; o magari per i semplici… Forse a
far apparire la giovane differente dalle altre, erano le carte da gioco
smozzicate e ormai spiegazzate che maneggiava con mirabile maestria.
«Qualcuno dei Signori qui presenti ha voglia di farsi
avanti?» riprese, visto che con il gioco delle tre carte tutto il pubblico si
era scoraggiato.
«Avanti in cosa?» domandò Lennon, guizzando i sopraccigli
all’unisono.
«Mi sembra ovvio! Una partita a poker! Ovviamente dobbiamo
giocare con una piccola posta, giusto per rendere il tutto un po’ più…
Piccante!»
«La ragazzina sa come divertirsi, eh?» sussurrò John a Paul,
che però sembrava perso in un altro universo.
Mentre la partita si svolgeva, la signorina sorrideva: i
denti bianchi (e soprattutto senza una piantagione ben annaffiata), venivano
incorniciati dalle labbra rosse; gli occhi, strategicamente allungati con una
linea di eye-liner, seguivano ogni passaggio della giocata.
Paul decise che era il caso di fare la sua puntata: la posta
in gioco era alta.
«Signorina, gradirebbe lasciar perdere questi bacucchi per
unirsi a me in privato per una partitella amichevole a strip-poker?»
Kate sbatté le palpebre allibita, domandandosi se era quello
il modo di abbordare una signorina. Sarà stato anche Paul McCartney, ma in
fatto di corteggiamento era un cavernicolo.
«No. Le spiegherò le mie motivazioni, comunque. Primo: non
mi piace vincere facile. Secondo: se vincessi non ne trarrei nessun profitto.»
Tutto il vagone scoppiò a ridere, compresi gli altri tre Fab, che avrebbero
voluto manifestare la sua solidarietà all’amico, ma che erano troppo divertiti
per potersi trattenere. «Ad ogni modo, se qualcuno di voi volesse tentare la
fortuna ancora, stasera sarò al Circolo Le Cirque. Siete tutti invitati a
raggiungermi, basterà dire il mio nome all’ingresso... e io sono Kate.» la
ragazza sorrise, abbagliando tutti, in particolare il bassista.
‘Kate...’
Note delle Autrici:
Ci terremo a ringraziare per il caloroso responso al primo capitolo e per i vostri commenti gentilissimi! Cercheremo di non deludervi!
Aggiorneremo probabilmente tutti i giovedì :)
Intanto vi auguriamo un buon principio di anno nuovo!
MrBadCath (M&S)