Chapter 1
Pilot.
Se il primo capitolo non lo chiami
PILOT, che primo capitolo è?
«Questo ragazzino credeva di
trovarsi di fronte un babbeo e invece, beh, ero io.»
Tutti ridono immaginando la
scena. Emmett Cullen è uno dei ragazzi più presuntuosi della scuola, del mondo
addirittura, eppure è anche il più simpatico e il più amato.
Dall’altra parte del tavolo c’è
Edward Cullen, impaziente mentre aspetta la sua Bella, Alice Cullen che
delucida le cheerleader con consigli di moda, il suo ragazzo Jasper Hale
esasperato, ma sempre sorridente e al suo fianco, seduta sulla panca del tavolo
della mensa, c’è la bellissima e biondissima Rosalie Hale, la ragazza di Emmett
che si bea alla vista di cotanta bellezza. O almeno questo sta pensando del suo
“scimmione”.
Chi sono io? Semplicemente la sua
migliore amica e ironia della sorte vuole che mi chiami Cassandra, Cassie,
Bloodgood – capirete più avanti il perché del mio commento – e che bazzichi
spesso dalle parti di casa sua.
I cinque sopracitati sono tutti i
figli adottivi del dottor Carlisle Cullen e della signora Esme Cullen.
Ovviamente si è parlato per mesi dello scandalo che rappresentavano le due
coppie, ma le male lingue si sono zittite quando è stato presentato a tutti il
fenomeno Cullen.
In poco tempo sono riusciti a
farsi amare da tutti, sebbene restando sempre riservati e in disparte.
E’ normale restare in disparte
quando sei un vampiro… Ah, si, dimenticavo.
Sono tutti vampiri, mammina e
papino compresi. Per me ormai è la routine, non ci penso più, ma è decisamente
un dettaglio che fa la differenza. Sebbene adesso siamo tutti così amici il
nostro incontro non fu esattamente dei migliori.
La scuola era cominciata da
qualche giorno ed io me ne stavo davanti il mio armadietto a far nulla.
Ah, ecco, ho dimenticato un’altra
cosa. Sono un tipo con la testa fra le nuvole e mi capita spesso di dimenticare
dei particolari di vitale importanza; ho un dono – ognuno lo chiama come vuole,
cambiano i punti di vista – che non sempre con facilità controllo e che a volte
mi stressa terribilmente: leggo nel pensiero.
Non stupitevi troppo, i miei
amici fanno cose che farebbero sembrare le mie capacità inezie, se non fosse
che io riesco a giocare con la mente degli altri.
Potrei sembrare antipatica e
presuntuosa, ma in realtà mi vanto soltanto con Edward, anche lui capace di
leggere nel pensiero. Il mio dono è più come avere un telecomando puntato sulla
mente degli altri, posso decidere io che canale vedere e quindi cosa fargli
pensare. A volte lo faccio con Edward, lui si infastidisce e minaccia di
mordermi, ma non mi spaventa nemmeno un po’.
Aggiunto questo particolare,
torniamo a me ferma come una fessa davanti al mio armadietto. Circolavano degli
strani pensieri nell’aria quel giorno ed io, curiosa come nessuno mai, stavo
sondando le menti di tutti per cercare di capire di chi fossero.
E finalmente le mie ricerche
diedero i loro frutti: i pensieri venivano da qualche armadietto di distanza
dal mio, Edward e Rosalie stavano parlando, o più che altro litigavano. Lei non
faceva che dire e pensare che Edward dovesse smetterla di comportarsi come un
idiota e dovesse frenare la sua sete, Edward pensava di staccarle la testa e
nasconderla nel bosco.
Quando si accorsero delle
occhiate scioccate che gli lanciavo, cominciarono altri pensieri strani e
macabri, tanto che non potei fare a meno di rispondere ad alta voce.
Da lì scoprirono il mio segreto
ed io scoprii il loro e con il tempo mi accorsi che Rosalie aveva un carattere
molto simile al mio e che insieme ci trovavamo molto bene.
Così eccomi qui, in fila accanto
a Bella Swan, amica di vecchia data, fidanzata con il vampiro dalle manie
omicide, che aspetto il mio pranzo.
«Và da Edward, prima che
sbricioli il tavolo. Da quanto non vi vedete? Ieri?» chiedo sondando la mente
di Edward.
«Tre giorni. Sai, le belle
giornate…»
Bella è un tipo timido, ma
decisamente testardo quando ci si mette. Non siamo mai state sinceramente
amiche, ma il condividere un segreto enorme ci ha unite e strano a dirsi non la
trovo più snervante come prima. La sua storia con Edward è cominciata nello
stesso periodo in cui ho scoperto tutto, ora che ci penso.
Un’altra cosa che condividiamo io
e Bella è la goffaggine. Che ci posso fare se mamma mi ha fatto due piedi
quadrati? E sembra quasi che lo sapesse quando mi ha messo al mondo, che sarei
diventata un cataclisma, tanto che mi ha chiamato Cassandra, come la povera
profetessa troiana che non veniva creduta da nessuno e presagiva solo
disgrazie.
Immaginate invece le risate che
si sono fatti a casa Cullen sentendo il mio cognome. Ridono ancora e per Edward
sono diventata Bloody, anche se in fondo non c’entra niente.
Dopo pranzo torno in classe per
la lezione di filosofia. Sarò sincera: non sono una brava studentessa, ma
quando leggi nel pensiero e in più hai una memoria fotografica ottima hai tutte
le risposte. Non mi è mai realmente importato molto della scuola, ho cose più
importanti a cui pensare. Ecco finalmente che la campanella mi salva ed esco
dall’edificio tetro della scuola.
«Tuo padre sta per tornare,
Cassie.» mi avverte Alice. Lei prevede il futuro, è utile avere una veggente
come amica.
«Quindi mi sa che non potrai venire
più tardi, vero?» chiede Rosalie.
«No, dovrò stare tutto il tempo
con lui, sapete com’è.»
Mio padre è un pilota d’aerei e
la sua compagnia si occupa di voli internazionali, quindi non passiamo molto
tempo insieme. Quando torna per qualche giorno a casa cerco di stare con lui il
più possibile. Il resto del tempo lo passo con mia zia Tessa, sua sorella. Lei
sa tutto del mio segreto e perfino di quello dei miei amici. È incredibile come
riesca a scoprire tutto.
«Zia Tessa, sono a casa!» urlo su
per le scale. Tessa sarà già andata nel panico per l’arrivo di mio padre e
starà correndo di qua e di là come una matta.
«Cassie, Cassie!» urla scendendo
di corsa. «Steve sta tornando!» E’ difficile chiamare Tessa zia dato il suo
aspetto. Mia madre è morta quando avevo dodici anni e visto che mio padre non
c’era mai a casa è toccato a lei occuparsi di me. Non che le dispiaccia, lo ha
fatto con piacere, ma quando è successo aveva soltanto vent’anni e spesso penso
che abbia dovuto fare dei grandi sacrifici per stare con me. «Lo so, me lo ha
detto Alice.»
«Avrebbe potuto dirlo anche a me!
Tuo padre mi ha chiamato un’ora fa da Seattle, appena sceso dall’aereo.»
«Per quanto resta?» chiedo
levandomi la giacca.
«Solo un giorno. Partirà domani
dopo pranzo.» risponde lei lanciandomi un pacchetto di biscotti.
«Non capisco dove riesci a
trovare il tempo di fare i biscotti.»
«Credi di essere l’unica ad avere
dei poteri? Ah, a proposito…»
«Si, lo so.» le rispondo
anticipandola. Steve è a conoscenza del mio segreto anche se la cosa non lo
entusiasma troppo, ma non sa nulla dei Cullen e quando viene qui cerco di
tenerli lontani quanto più possibile. Io e mio padre in realtà non parliamo
molto del mio dono, non è una cosa che gli piace particolarmente. Se siamo
nella stessa stanza cerca di non pensare a cose che potrebbero ferirmi o
infastidirmi ed io cerco di non ascoltarlo. Credo che pensi che io sia strana.
Affaccio alla finestra e lo vedo
finalmente arrivare.
«Bentornato.» gli dico aprendo la
porta. Lui posa l’unica valigia per terra e mi abbraccia. Mio padre è un grande
chiacchierone, ma non è affettuoso o espansivo. Per me va bene così: non sono
mai stata capace di dirgli delle frasi tipo “mi sei mancato” o “ti voglio bene”.
Tessa gli prepara del pollo
arrosto e sediamo tutti attorno al tavolo, mentre lui ci racconta del suo
ultimo viaggio. Quand’ero più piccola mi ripeteva spesso che appena fossi stata
abbastanza grande mi avrebbe portato con lui. Chissà se lo ricorda ancora?
«Ah, Steve, non ricordo se ti ho
detto di Sarah Black.» dice Tessa in un momento di silenzio.
«Si, lo hai fatto.» risponde mio
padre afflitto. Da quel che ricordo Steve ha due grandi amici: il capo della
polizia e padre di Bella, Charlie Swan, e Billy Black un vecchio nativo
americano che vive nella riserva di La Push. La moglie di Billy è morta, ma è
successo un sacco di mesi fa quando mio padre era ancora in viaggio. «Credo che
più tardi andrò a trovare il vecchio Billy. Venite con me?» continua Sam.
«Certo.» risponde fulminea Tessa.
La guardo per capire se c’è qualcosa che non va. Sebbene non abbia dei poteri o
non riesca a leggere nel pensiero, Tessa ha un sesto senso che farebbe invidia
perfino a quello di un vampiro. Non so com’è possibile, magari è da lei che ho
ereditato i miei poteri, ma percepisce delle sensazioni, positive o negative lo
decide lei, che riescono ad indirizzarla sulla giusta o la cattiva strada. Non
si tratta solo di indovinare se pioverà o meno, cosa non difficile a Forks,
dato che piove un giorno sì e l’altro pure.
Tuo padre ha qualcosa che non va. Tu non ci hai fatto caso, ma non ha
smesso di guardarti un secondo da quando è arrivato.
Questo è quello che pensa Tessa e
come a conferma di ciò, vedo con la coda dell’occhio che mio padre mi fissa,
quasi mi scruta. C’è sul serio qualcosa che non va.
Per tutto il
tragitto in macchina nessuno parla, solo mia zia sembra essere viva e cambia di
continuo stazione radio. Io sono occupata a sondare la mente di mio padre e lui
invece è impegnato a tenere la sua mente impegnata cantando una vecchia canzone
anni
Arriviamo alla
riserva, che tra parentesi puzza di salsedine ed è gelata, e il mio cellulare
squilla. E’ Bella, non posso non rispondere, potrebbe trattarsi di qualcosa
molto importante, così dico ai miei – si, li chiamo miei anche se Tessa non è
mia madre – di andare avanti senza di me.
Alla fine la
chiamata di Bella mi tiene impegnata cinque minuti scarsi, non era nulla di
importante, così mi avvio verso la piccola casa rossa.
Busso
leggermente, ma pare che nessuno mi senta. Allora busso più forte e sento
qualcuno urlare. Ad aprirmi è un ragazzone che occupa l’intera porta, – ad una
prima occhiata giuro che mi pare pure più grande di Emmett – ha la faccia
assonnata e anche parecchio arrabbiata, forse l’ho svegliato. Il tizio, che
ancora non mi ha rivolto parola, mi squadra dalla testa ai piedi e mi guarda
come se fossi la cosa più insignificante sulla faccia della Terra.
Beh, grazie
tante.
A parte la
faccia imbronciata ha un bel visetto, i capelli tagliati molto corti e dei
muscoli che farebbe invidia ad un campione di pesi massimi. Non so perché mi
viene in mente uno dei pesi massimi, in realtà ho di nuovo pensato a Emmett. Io
non sono una ragazza molto alta, quindi i tipi grossi e robusti mi
impressionano facilmente - non sono fissata con Emmett, ecco! -.
«Dimmi.» dice
l’energumeno.
«Dovrei
entrare.» rispondo io cercando di superarlo, ma la cosa mi riesce difficile,
dato che occupa l’entrata. Per tutta risposta, mi guarda male e mi sbatte la
porta in faccia tornando da dove è venuto. Scioccata busso un’altra volta e mi
vedo spuntare davanti un ragazzo più piccolo del precedente, ma sempre messo
bene e con una notevole somiglianza.
«Non compriamo
niente, grazie lo stesso.»
Questo cerca di
essere più gentile, ma nemmeno mi fa parlare che mi sbatte di nuovo la porta in
faccia. Ora si che mi sento sul serio presa in giro. Mi aggiusto il cappellino
di lana morbida sulla testa – me lo ha regalato Alice quando è tornata dalla
Francia, praticamente lo indosso tutti i giorni – e busso di nuovo con il fumo
che mi esce dalle orecchie. Sono un tipo calmo se non mi fanno infuriare.
Questa volta il ragazzo che mi apre – quanti ce ne saranno ancora lì dentro?! –
ha un sorriso stampato in faccia che sembra emanare luce propria. Assomiglia
agli altri due idioti di prima, ma ha qualcosa di diverso. Forse è il cipiglio
divertito ma allo stesso tempo dolce negli occhi che noto e che mi rimane
impresso.
«Senti mi
dispiace, forse non capisci bene la nostra lingua e il fatto che due persone
diverse ti sbattano la porta in faccia, ma mi piacerebbe molto che la smettessi
di bussare ancora alla porta di casa mia, perché stai disturbando sia me che i
miei amici. Comprendi?»
Ritiro il
complimento sul sorriso e sul fatto di sembrare diverso, perché questo qua mi
sembra più idiota degli altri due. La battuta alla Jack Sparrow, poi, mi fa
incazzare in maniera assurda e mi metto ad urlare.
«No, senti tu! Non so
cosa tu e i tuoi amici scemi vi siate fumati stasera, ma io sono qui fuori da
abbastanza e non mi sento più le dita dei piedi! Ora fammi entrare oppure dì a
mio padre che ci vediamo a casa!» Quasi si affoga, eppure non ha niente in
bocca a parte la sua saliva immagino.
«Sei la figlia
di Steve?» domanda allarmato.
«Oh, beh,
grazie per averlo chiesto. Ora posso entrare o devo avere un permesso scritto
da tuo padre?!» Mi azzardo a dire tuo padre perché mi pare di aver riconosciuto
l’imbecille e poi perché ha detto “casa mia”. Dovrebbe essere Jacob, l’unico
figlio maschio dei Black.
Se posso
permettermi in quanto a cervello non gli è venuto tanto bene.
Farfuglia
qualcosa imbarazzato fino alla punta dei capelli, mentre io entro gongolante.
Attraverso il salotto e tre paia di occhi mi si puntano addosso. Tutti i
ragazzi che vedo sembrano fatti con lo stampino; poi mi ricordo: riserva,
nativi americani, si assomigliano un po’ tutti per i colori e la fisionomia. E
che fisionomia!
Chiedo a Black
– se ti chiamo per cognome sei sulla mia lista nera – dove sono mia zia e mio
padre e lui mi indica la cucina, ancora rosso in viso. Ben gli sta.
La mia testa si
affolla velocemente di pensieri prettamente maschili e per un minuto sono
tentata di buttarci in mezzo qualche borsetta e un po’ di trucco tanto per
confonderli, ma mi limito ad isolarli e mi accomodo accanto a mia zia, facendo finta
di seguire la conversazione mandata avanti da Billy. Ho un bel ricordo di
quell’uomo e anche di sua moglie, a dir la verità. Mi è dispiaciuto quanto ho
saputo che è morta. Poi penso a Jacob e alle sue sorelle e a quanto devono
avere sofferto e un po’ mi sento in colpa per come ho risposto poco fa. Però io
so che vuol dire perdere la madre e so anche che qualche commento acido non fa
tanto male. A me non lo ha fatto.
Qualcuno pronuncia un nome nel
mezzo della conversazione, il nome più bello del mondo: Artemis. È il nome di
mia madre, la mia mamma greca, la mamma che adesso non c’è più. Steve
l’abbreviava in Emis e tutti la conoscevano così. Ogni notte veniva nella mia
stanza, si sedeva ai piedi del letto e mi raccontava la storia delle dee e
delle muse greche, ogni notte una diversa. Dopo la sua morte restai spesso a
fissare il punto in cui era solita sedersi, aspettando forse che tornasse lì,
ma il cancro me l’ha portata via per sempre.
Steve e Billy parlano delle loro
perdite e mio padre cerca di aiutarlo in qualche modo, ci parla, vuole che non
smetta di essere quello che è sempre stato perché Sarah non lo vorrebbe vedere
così. Gli dice anche che secondo lui sarebbe una buona idea che io e Jacob ci
frequentassimo, per fare in modo che parlandone Jacob superi la cosa.
Non capisco subito cosa ha detto mio
padre, ma poi intuisco che la cosa implica me e l’imbecille pompato nella stessa
stanza da soli a parlare. Fermi tutti. Che cosa?!
Eccoci giunti al primo capitolo. Beh, cosa ne pensate?
Il secondo capitolo è già pronto aspetto solo le vostre opinioni per postarlo!
Cosa nasconde il padre di Cassie?
Lo scoprirete nel prossimo capitolo?
Un bacio, Cel. ;)