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Autore: Acinorev    14/01/2013    28 recensioni
«Hai pianto?» mi chiede, distraendomi e mettendomi in imbarazzo: evidentemente è palese quello che ho fatto fino ad un minuto fa.
Per qualche secondo mi limito a fissarlo, facendomi consolare dalla sua espressione preoccupata, ma poi scuoto la testa e mento. «No.»
Mentre abbasso lo sguardo, per impedirgli di scorgere altre verità così semplicemente, il silenzio piomba su di noi: io, nella mia testa, lo sto riempendo di tutte le cose che vorrei dire, di tutti i “mi manchi” che vorrei confessare. Chissà lui con cosa lo sta rimpiazzando, dentro di sé.
Posso provare a chiederglielo, però.
Racimolo un po’ di coraggio e torno a guardarlo. «Zayn…»
«Ho bisogno di te», mi interrompe lui tutto d’un fiato, prima che io possa dire qualcos’altro.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Lost between dreams and reality


 
«Melanie! Melanie!»
Quella voce insistente continua a chiamarmi senza che io possa capire da chi provenga: mi guardo intorno alla disperata ricerca di qualcuno, ma sono completamente sola, il che mi confonde parecchio.
«Chi sei? Cosa vuoi?» esclamo, voltandomi alla mia destra, da dove sembra provenire l’ennesimo richiamo.
«Mamma! Melanie è impazzita!» urla di nuovo quella voce, facendomi sussultare.
I miei occhi sono riluttanti all'idea di aprirsi, con la luce del sole che invade la stanza, e la mia mente fatica a capire che quello è stato solo un sogno dato dal dormiveglia, visto che mia sorella Fanny mi sta guardando a pochi centimetri dal mio volto.
«Sei impazzita o no?» chiede, sbattendo le lunghe ciglia e rendendo più luminosi i suoi occhioni nocciola.
«Eh? No, certo che no», le rispondo sbuffando, mentre si allontana per sedersi al mio fianco sul letto.
«Che ore sono?» domando, raggomitolandomi sotto le coperte per godermi ancora un po’ quel piacevole tepore.
«Lo sai che non so leggere l’ora», ribatte, giocherellando con il suo orsacchiotto. «Mamma mi ha detto di venirti a svegliare».
«Hai sette anni, non credi che dovresti imparare a leggere l’ora?» chiedo retorica dopo uno sbadiglio. Lei mi fa una boccaccia e scappa via nel suo pigiama cosparso di nuvolette rosa, lasciandomi sola nella stanza: mi sgranchisco le braccia preparandomi mentalmente per la giornata che mi aspetta. So per certo che quando mia madre mi fa svegliare da qualcuno è perché non ho sentito la sveglia, cosa che succede quasi sempre, e di solito ha il buon senso di mandarmi a chiamare un quarto d’ora prima dell’orario in cui solitamente esco di casa. Almeno impari a svegliarti in tempo, mi dice sempre ridendo, con la sua indole dispettosa: non serve a niente dirle che è stata lei a tramandarmi quel gene ritardatario.
 
«Gentile come sempre, cara mamma», esordisco entrando in cucina, dove tutta la famiglia è radunata per la colazione. Constance Benson, anche conosciuta come mia madre, distoglie lo sguardo dai fornelli per far scontrare gli occhi azzurri con i miei, fin troppo simili ai suoi: ha i capelli del colore del grano raccolti in una crocchia disordinata ed il corpo snello avvolto in una tuta di cotone. Mi sorride soddisfatta armeggiando ancora con qualcosa sul fuoco, qualcosa che ovviamente io non riuscirò a mangiare, dato il mio ritardo. Mi stupisce come sia riuscita a lavarmi e vestirmi così velocemente, ma forse è l’abitudine.
«Buongiorno tesoro», esclama, mentre le lascio un bacio sulla guancia.
«Melanie», mi saluta mio padre, sicuramente imbronciato per qualche notizia sul giornale che stringe tra le mani: lo sguardo duro è fisso tra quelle fitte parole e la bocca è stretta in una smorfia nervosa che di solito assume quando è davvero indignato.
«Bradford ormai non è più sicura», annuncia, citando probabilmente il titolo dell’articolo e passandosi una mano tra i capelli corvini. «Un altro furto! Non è possibile che in questa città non si possa stare tranquilli!» si lamenta infatti, chiudendo il giornale con fin troppa enfasi e bevendo in tutta fretta il caffè che ha di fronte.
«Ron, non cominciare», lo ammonisce mia madre, sapendo meglio di tutti che quando mio padre inizia a farfugliare sulla giustizia è capace di continuare per ore. «Piuttosto, perché non vai a controllare cosa sta combinando quella peste di Fanny?»
«Mamma, Emma dov’è?» chiedo, notando che la sedia di mia sorella è vuota.
«A letto», risponde alzando le spalle, mentre mio padre esce borbottando dalla cucina.
«Ma è il primo giorno di scuola», ribatto, in una debole protesta che non cova alcuna sorpresa: Emma ha sempre disprezzato quel periodo dell'anno ed il suo comportamento non è di certo una novità.
«Mel, sai benissimo com’è tua sorella: non le dispiace affatto perderselo».
«Sì, hai ragione», ammetto, sospirando appena. «Be’, io scappo. E tu dovresti sentirti in colpa per aver fatto saltare la colazione alla tua adorabile figlia», scherzo, dandole un altro bacio.
«Sai che non lo farei mai: la tua colazione è in quella busta sul tavolo», mi spiega con calore.
Sorrido soddisfatta e la afferro al volo mentre esco dalla stanza, ma non faccio in tempo a mettermi il cappotto né a prendere lo zaino da terra, perché un corpo paffuto si fionda su di me urlando il mio nome. «Mel! Papà vuole vestirmi!» grida Fanny, come se fosse la cosa più terribile del mondo, mentre mio padre fa capolino in salotto con il fiato corto e dei piccoli vestiti tra le mani.
«Non ho più l’età per queste cose», si lamenta lui, scuotendo la testa.
«Fanny, devi andare a scuola. Che problema c’è ora se papà vuole vestirti?»
«Non mi piacciono i vestiti che sceglie!»
Sorrido a quelle parole e mi volto a guardare che vestiti siano stati effettivamente scelti: non riesco a dire che cosa siano esattamente, se una gonna o un pantalone ed un maglioncino o una canottiera, ma di sicuro il verde pisello ed il fucsia non sono esattamente l'accostamento perfetto. Storco la bocca in una smorfia di disappunto divertito, mentre mio padre continua a guardare me e poi i vestiti. «Che c’è?» chiede confuso.
«È possibile che in tutti questi anni con quattro donne per casa, tu non abbia ancora imparato?» domanda retorica mia madre, sbucando dal nulla mentre si asciuga le mani sul grembiule da cucina che indossa. «Vieni qui, Fanny, ci penso io», continua rivolta a mia sorella, che si rifugia tra le sue braccia.
«Papà, sei senza speranze», lo prendo in giro, preparandomi per uscire ed ascoltando le sue proteste mormorate. «Ci vediamo oggi pomeriggio», saluto, lasciandogli un frettoloso bacio sulla guancia coperta da un sottile strato di barba.
L’aria gelida del mattino mi fa quasi sussultare, appena mi chiudo la porta di casa alle spalle, ed il pensiero di dover andare a piedi a scuola non migliora le cose: apro il sacchetto della mia colazione come per cercare conforto e non posso che sorridere di fronte al cornetto al cioccolato che mi aspetta.
 


«Prima o poi dovrai smetterla di diventare sempre più bella, o farai una strage!» sento alle mie spalle, riconoscendo una voce fin troppo familiare.
Sorrido mentre chiudo l’armadietto e mi volto, sicura che troverò davanti a me un ragazzo dalla pelle diafana ed i capelli fin troppo neri; i suoi occhi altrettanto scuri, infatti, mi scrutano pieni di nostalgia ed allegria. «Aaron!» lo saluto con entusiasmo, lasciandomi abbracciare. Il fisico asciutto è racchiuso in un maglioncino in lana nera non molto aderente ed in un paio di blue jeans a sigaretta, che gli fasciano le gambe sottile e forse più femminili delle mie.
«Fatti guardare!» esclama, afferrandomi per le braccia. «Sì, mi erano decisamente mancate le tue guanciotte rosse», dice dopo una veloce occhiata, strapazzandomi le guance come farebbe una vecchia zia d’oltreoceano. Forse sto arrossendo ancora di più a quell’osservazione, dato che è il vizio che non riesco a far scomparire: tutti quelli che mi conoscono sanno di questa mia caratteristica, del mio arrossire per ogni emozione che provo, ed il fatto che me lo facciano spesso notare finisce solo per peggiorare le cose.
«Dai, smettila», lo rimprovero, sorridendo e coprendomi le guance. «Piuttosto, quando posso rubarti un pomeriggio? Ho bisogno del mio amico super-gay».
«Il tuo amico super-gay è al tuo servizio», risponde, improvvisando un teatrale inchino. Se la mia timidezza è riconosciuta a livello mondiale, infatti, l’omosessualità di Aaron non è di certo meno popolare: al primo anno non ha esitato a farsi riconoscere come la persona più incline all'altro sesso e divertente che possa esistere, ed il suo coraggio è la cosa che mi ha sempre affascinato di lui. Non tutti avrebbero ostentato con tale sicurezza ciò che molti considerano una vergogna.
«Allora oggi pomeriggio tieniti pronto, perché pranzi con me, tanto le lezioni finiscono prima», esclamo, puntandogli un dito sul petto come per fargli capire che non ho intenzione di accettare un suo rifiuto. Lui, con i piedi ancora incrociati per l’inchino, mi prende la mano destra  e si affretta a lasciare un bacio delicato sul dorso. «Ogni tuo desiderio è un ordine, Melanie Clarke».
«Stai passando all’altra sponda, Wood?» domanda un ragazzo dell’ultimo anno, rivolgendosi ad Aaron e passandoci di fianco. Io ritraggo subito la mano dalla stretta del mio amico e sento il volto prendere fuoco, sia per la rabbia, sia perché quel ragazzo mi ha sempre intimorita con la sua aria beffarda: sono anche io una paladina della giustizia come mio padre, ma ho tutto un altro modo di fare. Spesso e volentieri la mia timidezza mi impedisce di dire qualsiasi cosa.
«Passerò all’altra sponda solo dopo averti assaggiato, pasticcino!» grida in risposta Aaron, sfoderando la sua arma di difesa: l’ironia.
«Sta’ lontano da me, frocetto», ribatte quello, facendo qualche passo all’indietro per guardarlo con un’espressione schifata.
«Guardati le spalle, Styles. O il culo», scherza ancora il mio amico, mentre l’altro si allontana.  Dire che si diverta a rispondere a tono ai bulletti sarebbe riduttivo: ama far vedere a tutti quanto sia fiero del proprio orientamento sessuale, perché lo trova "dannatamente divertente”, e qualche ragazzo troppo sicuro di sè, con i capelli ricci spettinati e gli occhi verdi da sbruffone non lo potrebbe di certo intimorire.
«Non capisco perché non possa lasciarti stare una volta per tutte. Non si è ancora stancato dopo due anni?» chiedo esasperata, ripensando a tutte le volte che ha rivolto ad Aaron commenti del genere.
«Tesoro, tu sei troppo buona per capire certe persone», mi assicura, passandomi un braccio intorno al collo per camminare al mio fianco nel corridoio affollato. Le vacanze invernali sono appena finite e tutti sembrano incontrarsi dopo anni di assenza: persino io ed il mio inseparabile migliore amico non siamo riusciti a vederci in quelle poche settimane, anche se solo perché lui è partito con la sua famiglia per un viaggio in Scozia.
«Parlando di persone con le quali sono troppo buona, hai visto Becka per caso?»
«Sarà nella foresta con i suoi amici spiritelli», sospira, facendomi ridere. Aaron crede che Becka, la terza componente del nostro piccolo gruppo, sia uno spiritello: la chiama così per via della sua lingua biforcuta e della sua iperattività, che la porta ad essere una fonte di energia pura. Credo possa essere definita il  mio contrario, dato che è spigliata e schietta a livelli estremi: eppure, l'abisso che sembra dividerci, in realtà non fa altro che tenerci unite.
«Becka!» esclamo, scorgendo i suoi capelli ramati tra la folla. Lei si alza sulle punte dei piedi ed avvista la mano che continuo ad agitare in aria per attirare la sua attenzione: inizia a spintonare le persone d'intralcio nel suo cammino, con la gonna che minaccia di scoprirle un po' troppo le gambe magre ed il cardigan bianco che si accosta alla sua carnagione. In un attimo me la ritrovo stretta tra le braccia, con il suo profumo a salutarmi.
«Grazie per la considerazione», borbotta Aaron, improvvisando un battito di mani falso e fingendosi offeso. Becka si allontana da me scrutandomi con i suoi occhi nocciola e mi sorride come se non mi vedesse da mesi, quando solo ieri abbiamo passato insieme l'intero pomeriggio. Poi si volta verso il nostro amico e gli fa una smorfia, che viene seguita da un caloroso abbraccio che mi fa sorridere.
Aaron non esita a trascinarmi con sé in quella stretta affettuosa, cogliendomi alla sprovvista, mentre Becka ridacchia un «Mi siete mancati, stronzetti», con la sua voce squillante.
 
Quando il telefono nella mia tasca prende a vibrare, mi affretto a leggere il messaggio di Becka: "Dannazione Mel, perché non mi chiami mai quando decidi di saltare una lezione?”
Sorrido tra me e me, riponendo nello scaffale un libro che non ha attirato la mia attenzione. “Perché tu devi seguire le lezioni!” rispondo velocemente, riferendomi al fatto che la mia amica sia una vera schiappa a scuola. Non che sia stupida, ma si potrebbe dire che, nel suo caso, la tipica frase “è intelligente ma non si applica” calzi alla perfezione. Per quanto riguarda me, invece, le lezioni mi annoiano: amo studiare, o meglio imparare, ma ascoltare le parole monotone di professori frustrati smorza qualsiasi possibile entusiamo; questo mi porta a collezionare numerose assenze, procurando un certo stupore nei docenti, che non si impegnano in rimproveri seri grazie ai miei ottimi voti.
Anche questa volta, infatti, ho deciso di evitare la parlantina fin troppo veloce della professoressa di matematica per dedicarmi a qualcosa che di sicuro non mi sognerei mai di mettere da parte: i libri. La biblioteca della mia scuola è il posto che più mi piace visitare: resto sempre affascinata dagli scaffali ricolmi di libri impolverati che quasi nessuno legge, dalle poltrone la quale comodità è sconosciuta a molti, dal silenzio in cui posso immergermi nello sfogliare pagine mai sfiorate.
“Sei ingiusta, stronzetta”, risponde Becka, facendomi ridere ancora. Ovviamente si diverte nel chiamarmi con un nomignolo che non mi rispecchia affatto, anche se è convinta che in realtà io abbia molto più coraggio di quanto dia a vedere: si ostina a sostenere che un giorno o l’altro dimostrerò la mia reale determinazione, ma io riservo ancora qualche dubbio in proposito.
Svolto l’angolo con due libri in mano, gli unici due che oggi sembrano potermi distrarre, e mi avvicino all’ennesimo scaffale alla ricerca di qualcos’altro dopo aver riposto il telefono in tasca.
«Mh… No, questo no», borbotto, scartando con lo sguardo un volume poco invitante. «E questo cosa ci fa qui?» chiedo a me stessa, in quanto responsabile della biblioteca. Questo posto è praticamente abbandonato a se stesso e probabilmente le persone che lo visitano si possono contare sulle dita di una mano, quindi sono io ad occuparmi di risistemare i libri nelle giuste sezioni, nonostante succeda raramente .
Un movimento alla mia sinistra mi fa sobbalzare per lo spavento: subito mi porto la mano libera al petto, voltandomi verso il posto da quale è provenuto il rumore. Il cuore rallenta subito nel constatare che non si tratti di nessun fantasma o creatura fantastica proveniente da qualche libro, ma solo di un ragazzo.
È seduto a terra con la schiena appoggiata al muro ed una gamba piegata, di poco distante da quella stesa sul pavimento. La testa è abbandonata sulla parete e tra le dita tiene una sigaretta con fin troppa cenere sul punto di cadere: sono i suoi capelli neri leggermente spettinati ed il suo sguardo scuro a farmi avvampare: mi guarda con una tale intensità e con una tale insistenza da mettermi a disagio, nonostante non sia poi tanto difficile. È a pochi metri da me ed è riuscito a far riprendere i battiti accelerati del mio stupido cuore, non oso immaginare cosa potrebbe succedere se lo avessi accanto.
Stupita dalla sua presenza, ed anche dalla sua insensata perfezione, mi soffermo a guardarlo per qualche istante: lo osservo mentre si porta alla bocca la sigaretta per poi aspirare a lungo ed osservo le sue labbra carnose e ben definite, mentre rilascia il fumo in una nuvola che nasconde parzialmente i suoi lineamenti. Non è da me fissare le persone, perché sostenere lo sguardo di qualcuno è qualcosa che mi riesce difficile, quindi distolgo gli occhi dalla sua figura, accontentandomi di qualsiasi altro particolare che non gli sia correlato.
«Non-non puoi fumare qui», sussurro, in preda alla mia solita timidezza. Torno per un attimo sul suo viso e lo vedo inclinare la testa da un lato, come se stesse cercando di capire quelle mie parole, eppure non risponde, anzi, continua a fumare indisturbato come se non avessi nemmeno aperto bocca.
Sbatto le palpebre più volte, stupita da quella reazione incurante, e mi volto velocemente tornando a fare quello che devo: non so se i suoi occhi siano davvero su di me o se sia solo la mia stupida soggezione a farmi avere questa sensazione, ma è una sensazione così intensa da farmi pensare che, se avessi il coraggio di voltarmi a guardare di nuovo quel ragazzo, li incontrerei senza ombra di dubbio.
Dopo un paio di minuti lo sento muoversi, ma non mi preoccupo di lui, aspettando che se ne vada da qui senza tante storie: eppure i suoi passi rallentano quando si avvicinano a me e sono quasi inquietanti se paragonati al silenzio che regna nella biblioteca. Posso avvertire la sua presenza alle mie spalle e proprio non capisco che cosa stia facendo, fino a quando mi sfiora il braccio con le dita, con una delicatezza irreale ed estranea: subito mi volto, con ancora i libri stretti al petto e gli occhi spalancati sia per lo stupore, sia per il brivido che quel semplice contatto mi ha provocato. Mi pento immediatamente di essermi mossa, però, perché quel ragazzo è più vicino di quanto pensassi e perché a questa distanza posso distinguere ancora meglio i suoi occhi bruni, incorniciati da ciglia scure e folte. Mi chiedo se tutto questo faccia ancora parte del sogno di questa mattina: forse quando Fanny se ne è andata io mi sono addormentata di nuovo e ho continuato a sognare; forse il sottile strato di barba che gli ricopre la mascella non è altro che un particolare onirico, così come il suo odore di tabacco che posso quasi definire profumo, dato l’effetto inebriante che ha su di me.
Sogno o non sogno, è fin troppo vicino a me con i suoi centimetri di altezza in più e le mie guance sono in fiamme. Solo per un attimo riesco a sostenere il suo sguardo, che mi scruta divertito come se stesse cercando di studiarmi: i miei occhi non possono sopportare i suoi, se vogliono impedire che scoppi un vero e proprio incendio sul mio volto, quindi continuano a spostarsi velocemente da un punto all’altro senza prestare davvero attenzione, e forse per questo decidono di limitarsi a seguire i movimenti della sua mano destra, che di nuovo si avvicina a me, sfiorando i miei capelli bruni e lisci sulle spalle.
Quasi rabbrividisco a questo secondo contatto, mentre nella mia testa continuano a suonare campanelli d’allarme e a rimbombare domande del tipo che non si capacitano delle sue intenzioni. O delle mie. Certo, la mia natura mi sprona ad allontanarlo, perché è un estraneo e sta invadendo il mio spazio vitale con una presunzione fastidiosa, ma il mio corpo si rivela tutt’altro che contrario alla nostra vicinanza.
Contro ogni forma di istinto di sopravvivenza, le mie iridi svettano di nuovo nelle sue come se volessi rivolgergli le stesse domande che mi ronzano in testa, ma appena li incontrano sento un sorriso farsi spazio sul suo volto ed in un attimo la distanza tra noi è annullata: le sue labbra sono premute sulle mie, leggere, facendomi assaporare il gusto della sigaretta fumata poco prima, e la sua mano fredda è sul mio collo.
I libri che stringevo al  petto fino a pochi secondi fa cadono a terra, forse perché il mio cuore ha battuto troppo forte sotto di loro, ed i miei occhi si spalancano mentre mi stupisco nel constatare che quel bacio assolutamente inaspettato, inopportuno ed insensato mi stia effettivamente mozzando il respiro.
È questione di pochi attimi, però, perché prima che possa abituarmi a quel contatto, il ragazzo si allontana da me, anche se non troppo. «La prossima volta fumerò da un’altra parte», sussurra con un sorriso beffardo sul volto, prima di spostare la mano dal mio collo e sparire nel corridoio della biblioteca.
Rimango immobile con ancora la sua voce nelle orecchie e la sensazione delle sue labbra sulle mie. Mi porto le dita sulle labbra, sfiorandole, come per accertarmi di non esser stata vittima della mia immaginazione ed il rumore della porta che si chiude sembra voler confermare la realtà nella quale mi trovo: eppure come posso spiegare che un completo sconosciuto mi abbia appena baciato tra gli scaffali della biblioteca solitamente deserta? Mi ha colta alla sprovvista e nella mia insicurezza l’ho lasciato fare senza dire nemmeno una sillaba per oppormi: forse perché le cellule del mio corpo si sentivano quasi a loro agio, mentre lui mi sfiorava?
Sospiro per scacciare quei pensieri e dopo qualche secondo mi piego per raccogliere i libri da terra, ancora scossa: realtà o immaginazione, per qualche strano e malsano motivo vorrei che quel ragazzo non se ne fosse già andato.
 
 

 


Ciaaaaaaaao!
(È tipo la 89457394° volta che scrivo questo spazio autrice perché ogni volta che arrivo alla fine si blocca tutto....) Comunque sì, sono di nuovo qui a presentarvi un altro prodotto della mia mente malata.
So che ho due storie da finire, una da iniziare a breve ed una raccolta di OS da mandare avanti, ma voi sapete che non ce la faccio a resistere. Per chi non lo sa, vi assicuro che imparerete a conoscere me e la mia forza di volontà e magari vi staremo simpatiche! Forse lei un po' di più, mentre di me penserete che sono una psicopatica ahhahah Basti pensare che oggi una mia amica mi ha definita "ossessionata dalla scrittura", quindi....
Comunque, io sono Veronica *ciao Veronica* e spero che questo primo capitolo non vi abbia fatto troppo schifo! Lo spero perché i primi capitoli sono sempre un trauma per me e questo non porta con sé grandi sconvolgimenti che potrebbero attirare la vostra attenzione, a parte il bacio di uno sconosciuto che la nostra Mel non ha di certo rifiutato :)
Avviso 1. Mel è diversa dalle altre protagoniste di cui ho scritto, è tutto l'opposto direi. Semplicemente perché ho sempre parlato di ragazze cazzute ed indipendenti e mi sono stancata.
Avviso 2. Sì, il protagonista è di nuovo Zayn e sì, sono noiosa e monotona. MAAA, c'è sempre un ma, è uno Zayn diverso e spero vi possa piacere :)
Avviso 3. È scritta al presente, il che è una novità per me, ma spero non sia venuta una cagata ahhaah
Cooooomunque, sarete voi a dirmelo, non è così? Potete dirmi se vi fa schifo o no, se ho sbagliato in qualcosa oppure no, quello che volete!
In ogni caso vi ringrazio lo stesso per essere arrivate fino a qui e per aver letto! Spero continuerete a seguire la storia (quante cose spero in questo angolo autrice!)!

E niente, vi saluto con un'immagine di Melanie (ho girato mari e monti per trovare la ragazza adatta) e con una gif di Zayn :)
(Per chi non mi conoscesse, è mia abitudine darvi il colpo di grazia con le gif di Zayn a fine capitolo ahhaha)

Un bacione,
Vero.



  
  
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