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Autore: Rota    14/01/2013    3 recensioni
[Imayoshi Shoichi x Kasamatsu Yukio]
Lo accoglie alla porta una giovane donna, piccola e dall'apparenza delicata, in kimono e sandali. Già la grandezza del portone d'ingresso gli aveva suggerito un possibile sviluppo, ma ritrovarselo proprio di fronte agli occhi gli fece effetto comunque.
Viene introdotto all'interno del cortile, lungo un vialetto di acciottolato candido. Un giardino in stile tradizionale si apre al suo sguardo, assieme a un prato verde che abbraccia tutti i lati della stanza. Una piccola villa bassa, di legno scuro, gli viene presentata come casa Imayoshi dalla giovane domestica e un signore piuttosto anziano lo accoglie proprio sulla porta d'ingresso. Ride quando gli è abbastanza vicino da poterlo assordare.
-Dunque sei tu il coinquilino di Shoichi! È un piacere conoscerti!
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Shoichi Imayoshi, Yukio Kasamatsu
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ingannevole è il cuore (più di ogni altra cosa)'
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*Autore: margherota

*Titolo: Senza sentore di menzogna alcuna

*Fandom: Kuroko no Basket

*Personaggi: Imayoshi Shoichi, Kasamatsu Yukio

*Generi: Sentimentale, Commedia, Introspettivo

*Avvertimenti: What if...?, Shonen ai, One shot, Slice of Life

*Rating: Giallo

*Note: Giusto per fare una doverosa premessa, come qualcuno già sa molte delle scene comiche di questa serie ImaKasa sono tratte dalla vita quotidiana di ogni giorno, mia e della gente che mi sta attorto. Bene, a questo si limitano le esperienze biografiche e non ad altro, specialmente non quanto state iniziando a leggere (L)

Detto questo, buona lettura (L)

 
















 

 

 

 

 

Il vestito elegante gli stava stretto lungo le gambe e all'altezza del bacino, a ogni passo stringeva le cosce e tirava la pelle in maniera fastidiosa. La cravatta scura che aveva al collo aveva ormai il nodo allargato, dopo aver passato quelle due ore ad annaspare e a singhiozzare per una cattiva respirazione.

Il bambino si piegò ancora in avanti quando la sua scarpa sbatté contro l'ennesimo sasso, lo raccolse con le dita fredde e provò a metterselo in tasca – notò a quel punto che non c'era più spazio. Sorrise e lo buttò via, proseguendo lungo il suo cammino.

Le luci ai bordi della piscina emanavano, come al solito, una luce giallastra tutt'attorno, che con i fluttui dell'acqua facevano strani giochi e mandavano riflessi ovunque. Buttò uno dei suoi sassi, e quando vi cadde dentro produsse sulla superficie tante di quelle onde che quasi si perse a guardarle. I suoni della festa che aveva alle spalle parvero ancora più lontani.

Lui non sapeva nuotare: nessuno si era preoccupato di insegnarglielo.

Non provò neanche ad allungare un piede in avanti, per sentire la temperatura o la reale esistenza di tutta quell'acqua. Provava in sé una totale fiducia per la cosa, paradossalmente.

Sentì una voce chiara, ad un certo punto – suo fratello si stava avvicinando a lui e di corsa.

Shoichi si voltò senza fretta e lo vide proprio, mentre correva da lui. Chissà come mai, a Shizue lui non era mai riuscito a nascondere nulla.

Si fece cadere all'indietro, nello stesso modo in cui una foglia si piega gentilmente alla minima brezza di vento. L'ultima cosa che sentì, prima d'essere inghiottito, fu la superficie fredda della piscina chiudersi sul suo viso e creare una cappa sopra il suo corpo inerme.

 

-Pronto?

-Pronto, Imayoshi. Sono io.

-Oh, Kasamatsu-kun. Qual buon vento?

-Hai dimenticato in appartamento il tuo libro di chimica generale.

-Ahm, sei proprio sicuro?

-L'ho tra le mani in questo momento, Imayoshi.

-Oh beh, trattalo con cura. Mi affido alla tua benevolenza.

-Imayoshi.

-Sì, Kasamatsu-kun?

-Sbaglio o fra due settimane tu hai un esame di chimica?

-Direi di sì. Come mai sai il programma dei miei esami?

-Non è importante. Imayoshi, devi tornare a riprendere il tuo libro!

-Temo mi sia impossibile.

-Osaka e Tokyo non sono molto distanti!

-Questo è vero, ma ho impegni non prorogabili.

-Vedi di trovare una soluzione in fretta, Imayoshi!

-Che ne dici di venire tu da me? Non hai esami imminenti da preparare!

-Venire da te? Non credo proprio che sia possibile!

-Suvvia, non disturbi! Casa è abbastanza grande per ospitarti comodamente!

-Sarei troppo di disturbo!

-Pensa questo quando distruggerò la seconda caffettiera per lo stress derivato da un cattivo risultato.

-... la caffettiera nuova che ho comprato con i miei risparmi?

-Proprio quella, Kasamatsu-kun. Quella che fa tutti i rumorini quando l'accendi e trema nel metterti il latte nella tazza.

-Non oseresti.

-Immagino che mi basti capitare nella stessa stanza di quell'aggeggio per indurlo al suicidio spontaneo. Non so, ho queste incredibili virtù.

-Non ne saresti davvero in grado.

-Vuoi scommettere?

-... arrivo da te in meno di due giorni.

 

Lo accoglie alla porta una giovane donna, piccola e dall'apparenza delicata, in kimono e sandali. Già la grandezza del portone d'ingresso gli aveva suggerito un possibile sviluppo, ma ritrovarselo proprio di fronte agli occhi gli fece effetto comunque.

Viene introdotto all'interno del cortile, lungo un vialetto di acciottolato candido. Un giardino in stile tradizionale si apre al suo sguardo, assieme a un prato verde che abbraccia tutti i lati della stanza. Una piccola villa bassa, di legno scuro, gli viene presentata come casa Imayoshi dalla giovane domestica e un signore piuttosto anziano lo accoglie proprio sulla porta d'ingresso. Ride quando gli è abbastanza vicino da poterlo assordare.

-Dunque sei tu il coinquilino di Shoichi! È un piacere conoscerti!

L'accento locale si fa sentire in ogni singola sillaba pronunciata e quasi stride, assieme al volume esagerato che l'uomo usa, nelle orecchie di Yukio. Non per questo dimentica cosa sia l'educazione, prostrandosi in un inchino quasi riverente di fronte al padrone di casa.

Il corridoio che l'uomo attraversa per condurlo in casa accompagna il perimetro esterno e gli dà una visuale migliore delle aiuole curate nonché delle fontanelle raccolte in letti di pietra bianchissima. Si vede a malapena il recinto di protezione, unica cosa in cemento, al di là dei canneti e degli alberi sempreverdi, dispersi a sprazzi tra il fogliame vario come un orizzonte incerto e lontano.

Viene quindi aperta una porta scorrevole, di scatto, e l'uomo invita l'ospite in una stanza addobbata solo di un lungo e largo tavolo basso, sulla cui superficie sono già disposte numerose tazze di porcellana e una teiera massiccia, dalla pancia ampia.

Inginocchiata su un cuscino morbido, sorride una giovane donna e a lui si rivolge.

-Ben arrivato, Kasamatsu-kun.

Yukio si prodiga in un altro inchino prima di venire invitato a godere del tè apparecchiato, con gentilezza e una mano protesa. È così impegnato a non risultare impacciato o sgarbato che non nota neppure la mancanza del coinquilino, almeno finché questo non si presenta di propria sponte all'ingresso che dalla stanza dà sulla casa, con un kimono largo e slacciato in vita, l'espressione che solo quando incontra lui si fa radiosa.

 

-Quindi sono due anni che condividete lo stesso appartamento. Kasamatsu-kun, devi essere una persona davvero paziente per aver sopportato così a lungo il nostro Shoichi...

Il ragazzo non fa una piega a tali parole, porta la propria tazza alle labbra e sorseggia la bevanda calda come se nulla fosse – il suo sorriso rimane incastonato nella sua espressione, come una pietra ostinata che non ha molta voglia di muoversi.

Ma Kasamatsu deve rispondere alla giovane signora, benché la voce gli esca un poco incerta.

-Non ancora due anni, in verità. E le posso assicurare che la convivenza non è così problematica.

Lei gli restituisce un sorriso che ricorda molto quello di Shoichi. Ha una lunga treccia che dalla testa le scende sulla spalla e poi le cade lungo il petto, morbida e castana. Ciglia curate, pelle liscia, postura perfetta.

Il carattere insistente che sembra tipico di ogni membro di quel dannato clan.

-Ho sentito che ti prendi molta cura di lui.

-In realtà ha saputo dimostrare di provvedere a se stesso nel migliore dei modi.

Non osa guardarlo, anche se gli è a pochi metri di distanza. Vede la manica del suo abito agitarsi di tanto in tanto, ma solo nel movimento lento del sollevare la tazza e riporla sulla superficie orizzontale: nient'altro nella sua persona si sta muovendo, non in direzione del vecchio padre e non in direzione della sorella maggiore. Sembra ancora più freddo del solito, e la sensazione che ne trae Kasamatsu non è per nulla piacevole.

La giovane sorride un poco, senza palese derisione o scherno, e pare quasi ricordare con calore antiche scene di cara quotidianità – ma il sottolineare ancora una volta i difetti dell'interessato sembra all'ospite frutto di un'ostinazione sospetta e parecchio ambigua.

-Immagino bene che sia sempre una faticaccia svegliarlo la mattina. Quando era a casa la nostra domestica doveva lottare per farlo scendere dal letto.

D'altra parte, non può neanche far finta di nulla, e si vergogna ad ammettere che ha pienamente ragione. Shoichi, ancora una volta, non dice nulla.

-Non è molto mattiniero, no...

Lei sorride e gli porge la teiera bianca, con un gesto fluido.

-Gradisci un'altra tazza di tè?

-La ringrazio...

Ha giusto il tempo di bere un sorso di tè e di ustionarsi lingua e labbra quando anche il vecchio signore prende la parola. Lui ride apertamente, alza la voce senza però intenzioni ostili, e fa fare un sobbalzo al ragazzo sul posto, per l'improvviso intervento. Ha la buona creanza di cambiare argomento, almeno.

-Kasamatsu-kun, cosa studi?

-Seguo la Facoltà di Lettere, signore.

-Ah, quindi vuoi diventare un insegnante?

-Sì signore.

Ride ancora, ed è come se scaldasse il cuore.

-È un nobile intento. Il mio Shoichi invece ha desiderio di rinchiudersi in un laboratorio per il resto della sua vita!

-A studiare topi o molluschi, come se fosse la cosa più interessante a questo mondo.

La voce fredda della sorella fa capolino, di contro a tutto quello, ed è in quel preciso momento che anche Shoichi interviene, con la bocca ancora incollata ai bordi della sua tazza e uno sguardo sottile, tagliente ma rivolto al vuoto.

-Almeno non hanno la facoltà di parlare a vanvera.

Sorridono tutti, specialmente i due fratelli, stretti tra risolini apparentemente rilassati e nulla più – ma questo non impedisce a Kasamatsu di guardare con occhi sgranati il ragazzo, anche solo per qualche secondo, e ricevere in risposta non altro che l'ennesimo sorriso freddo e uno sguardo noncurante.

-Kasamatsu-kun, questo tè è di ottima qualità. Penso che tua madre lo saprebbe apprezzare. Che ne dici di fartene dare un po'?

Stacca gli occhi di dosso dal suo coinquilino per appiccicarli, come se non ci fosse altro nella stanza, sulla figura del capo famiglia.

-Sì signore.

-Shizune, servi il nostro ospite!

 

Yukio non chiede alcuna spiegazione in merito, ma più lui e Shoichi si allontanano dall'ingresso e meno lui si stupisce: la stanza dei giochi riservata al più piccolo dei figli maschi del signor Imayoshi si trova sottoterra, accanto alla cantina dove l'esigua servitù conserva formaggi, vini e pochi altri alimenti. È una stanza piccola, dove le cose per starci devono essere tutte quante ammassate – ci sono diverse coperte, sopra i cuscini al suolo, e un termos dimenticato tra i libri di scuola ingialliti del tavolino scuro nell'angolo a destra. Ma più del grande schermo, che quasi occupa tutta quanta la parete davanti all'ingresso, e le diverse console ai suoi piedi, più ancora dei due scaffali colmi di videogiochi e altre scatole dalla dubbia funzione, ciò che attira la sua attenzione è quel set di tre katane appeso alla parete accanto al poster indubbiamente notevole di Date Masamune con la sua armatura storica: è così distante dai gusti palesati di Shoichi che l'ospite si chiede come mai un simile e inutile gingillo si trovi proprio in quella camera.

-Metti pure le tue cose dove capita. L'importante è che poi ti ricordi dove si trovano.

Lui non lo guarda neppure, ma si sfila quel che resta del suo kimono, lo butta per terra e rimane solo con i pantaloni addosso. Mentre lui si china e cerca tra i tanti oggetti sul tappeto qualcosa in particolare, Kasamatsu posa con una certa apprensione il suo bagaglio sull'unica sedia presente e estrae da questa il tomo spesso del libro di chimica, per appoggiarlo sopra una pila alta di volumi dalla copertina rigida. Un'occhiata e legge diversi titoli tutti a tema: “Etologia del mammiferi”, “Strutture e apparati dei molluschi”, “Il cervello degli insetti”.

Qualche attimo dopo e Shoichi gli parla di nuovo, facendolo quasi sobbalzare.

-Mio padre mi ha fatto arrivare due giochi nuovi dall'America. Avevo visto dal catalogo che là hanno avuto molto successo, ma se avessi aspettato la distribuzione in Giappone probabilmente il prossimo Natale non sarebbero stati ancora qui.

Si avvicina a lui con due custodie tra le mani e un sorriso alquanto infantile sul viso. Sembra star cercando qualsiasi pretesto per non parlare davvero.

-Quale preferisci?

Yukio sbuffa e neppure legge cosa i due videogiochi gli suggeriscono, indica senza interesse quello a destra e vede l'altro palesare una smorfia di disappunto ma anche attenersi al suo verdetto. Butta via la custodia scartata e si acquatta a terra, tira presso di sé una delle tante console e introduce il disco nell'apposita fessura. Solo quando si siede sui cuscini si ricorda di dovergli riservare anche un briciolo di educazione.

-Siediti pure qui. Prendi tutti i cuscini che vuoi: ce ne sono abbastanza da poter soddisfare almeno cinque persone.

Yukio evita di chiedergli se mai cinque persone, tutte assieme e contemporaneamente, sono riuscite ad entrare dentro quell'anfratto dall'odore di stantio dimenticato dal mondo, e quindi accoglie il suo invito e gli si fa vicino.

Quando il gioco parte, viene travolto da un volume tanto alto da farlo cadere all'indietro; Shoichi ride non poco della cosa, ma acconsente ad abbassare di molto l'audio, almeno da riuscire a non stordirlo completamente. Dopo quell'incidente, tutto funziona alla perfezione, compreso il fatto che Kasamatsu perda contro il proprio avversario nei primi cinque minuti di gioco.

-Non è possibile essere alleati, per una volta?

Lui è ancora imbronciato, lo guarda male come se volesse ucciderlo: Imayoshi intuisce bene che non è una cosa saggia contraddirlo. Allora entrambi i loro personaggi cadono sotto la bandierina blu e cominciano a muoversi entro il labirinto preposto della prima avventura. Oltre che ammazzare qualsiasi cosa si muova, devono anche arrivare all'interno dello schema, rubare qualcosa di indefinito agli avversari e tornare indietro, possibilmente vivi. Detta così è anche semplice, poi però vengono a conoscenza dei diversi livelli della piattaforma su cui si muovono e di tutte le trappole che i nemici hanno piazzato per loro durante il tragitto. Prima ancora di capire come saltare, Yukio si ritrova senza più testa e con le cinque vite sprecate.

Shoichi sorride non poco e si appropinqua a cambiare modalità, magari scegliendo quella “semplice” invece che quella “normale”. Ed è durante questo cambio, per la relativa calma che produce in loro, che Kasamatsu si abbandona a terra e si sente per la prima volta da quando a messo piede in quella casa davvero rilassato.

-Hai solo una sorella maggiore?

Imayoshi lo guarda un po' prima di decidersi di rispondergli. Intanto, sullo schermo, c'è un omino che balla nel tentativo di incitare il giocatore a fare la sua scelta di gioco.

-Oltre a Shizune, ho un fratello maggiore e una sorellina minore. Siamo in quattro, in tutto.

-Dove si trovano adesso, gli altri?

Shoichi porta la mano al ventre e si gratta in maniera distratta la pelle, rendendola un poco rossa. Ci pensa davvero, a quello che deve dire, ma non pare interessargli molto.

-Shizue è a Tokyo, a lavorare. Lui vive là già da qualche anno. Shioko credo sia con sua madre a fare commissioni. Vuole farle fare bella figura per la cerimonia d'apertura del nuovo anno scolastico, quindi è andata a prenderle qualcosa.

-Sua madre?

Imayoshi gli sorride.

-Hisako è...

Alcuni passi provenienti dal vano delle scale interrompono la sua confessione e lui alza la testa di scatto, in alto, attendendo che la porta d'ingresso venga spalancata e vi entri una figuretta piccola, graziosa e particolarmente esaltata, che non perde neppure tempo a guardarsi attorno che già sta urlando verso di loro.

-Sho-chan!

E quella stessa figuretta corre in avanti, travolge il fratello maggiore nel suo pieno tentativo di alzarsi e lo fa precipitare assieme a sé al pavimento.

È strano, ma Yukio vede per la prima volta un vero sorriso dipingersi sulle labbra di Shoichi Imayoshi.

 

Shioko non interrompe un solo secondo il suo discorso. Ha cinque anni per gamba, un viso tondo e occhi decisamente troppo grandi, un dente storto e un neo scurissimo sulla fronte, e si mantiene incollata al fianco destro di suo fratello maggiore. Sembra particolarmente ostinata nel volergli raccontare per la terza volta com'è riuscita a scegliere il vestito perfetto che le occorreva, scartandone tantissimi altri altrettanto meravigliosi ma difettosi davanti al suo occhio super- allenato. A tavola, parlava solo lei, tranne ogni tanto quel vecchio servo dalla barba grigia che annunciava l'arrivo di un nuovo piatto da servire e le risate, in risposta, dell'anziano padrone di casa.

Shoichi presta attenzione ad ogni singola parola della sorellina, anche se ovviamente, proprio perché è lui, non si degna neppure di mostrarle quel poco di tatto dovuto e le fa notare, non troppo carinamente, che ripetere per la quindicesima volta “vestito da sogno” la fa sembrare soltanto stupida. Lei prosegue come se niente fosse ma ricalca proprio “vestito da sogno” e lo inserisce a sproposito in tutte le frasi seguenti che dice.

Se non fosse così tanto paradossale vedere due persone così dissimili portare lo stesso cognome, Kasamatsu riderebbe di gusto.

-Kasamatsu-kun, desideri altro pesce?

Hisako, la padrona di casa, è una signora esile e dall'aspetto morbido. Siede accanto al marito, composta come la figlia maggiore sopra uno di quegli scomodi cuscinetti bassi e voluminosi, e sembra così rigida nel suo kimono da ricordare le fattezze di una bambola. Uno dei servi, alle sue parole, si avvicina all'ospite con un vassoio e il capo chino, e solo quando il ragazzo fa cenno con la testa di no allora si allontana lento.

Yukio tenta di sorridere, ma altre cose lo trattengono dall'essere completamente sé stesso. Per esempio, il fatto che madre e figlia abbiano cominciato a parlare di kimono tradizionali e il modello giusto per una bambina dell'età di Shioko, isolando così il signor Imayoshi e i due fratelli minori come se fosse la cosa più naturale del mondo. D'altra parte, anche la bambina e Shoichi non gli danno molte occasioni di inserirsi nei loro discorsi, anche se ad un certo punto il coinquilino non lo indica alla bimba e gli ricorda la sua esistenza.

-Shioko, ora basta parlare di vestiti. Non vedi che Kasamatsu- kun si sta annoiando?

Lei volta la testa di scatto, scuotendo così tutti i capelli che ha sul capo. È da quando Imayoshi li ha presentati che Yukio è in soggezione a causa del suo sguardo, uguale a quello del fratello: sembra che lo voglia ghermire, sondare in ogni suo piccolo dettaglio e anfratto, in qualche modo, ed è esilarante, dal momento che è soltanto una bambina di dieci anni, eppure lo mette a disagio lo stesso.

Senza prestare molta attenzione al resto, Shioko gli sorride, aspettando giusto quell'attimo in cui tutti sono in silenzio per parlare.

-Sei qui per chiedere la mia mano a papà, vero?

Kasamatsu quasi sputa quello che ha nella bocca mentre una sorta di ilarità generale scoppia all'improvviso – tranne che in Shioko, che sembra fin troppo seria. Shoichi l'abbraccia e la attira a sé.

-Shi-chan, Shi-chan! Quanto sei intraprendente!

Gli rivolge un'occhiata divertita, di sottecchi, prima di baciare la testa di sua sorella e tornare al suo piatto. Dall'altra parte del tavolo, la sorella maggiore sta ancora ridente.

-Il nostro ospite ha fatto conquiste.

Non sapendo esattamente cosa dover rispondere, Yukio si concentra su quelle poche briciole che ha nel piatto e aspetta con calma che le risa si spengano sulle labbra degli altri convitati. La signora Imayoshi, però, pone fine a tutto quello con risoluzione.

-Kasamatsu-kun, che lavoro fanno i tuoi genitori?

Quella è una domanda alla quale Yukio sa rispondere. Riesce persino a guardarla in viso senza abbassare lo sguardo, nonostante lei stia ancora sorridendo.

-Mia madre lavora in un supermercato come commessa, signora, mentre il mio patrigno ha un negozio di alimentari poco lontano da casa.

La donna sembra perplessa per qualche secondo, ma lui vede chiaramente che si trattiene dal fargli un'ulteriore domanda. Quindi le sorride piano e risolve, senza ulteriori indugi, i suoi dilemmi.

-I miei genitori sono separati.

Sente anche lo sguardo di Shoichi su di sé, in quel momento, ma a differenza dei suoi familiari che si ritrova davanti non gli trasmette la minima pietà. Lo ringrazia di cuore, perché avrebbe fatto ancora più male, altrimenti.

-Oh, mi dispiace molto. Dev'essere dura, per te.

Lui continua a sorridere e come al solito dice solo e soltanto la verità

-Io e il mio patrigno abbiamo un ottimo rapporto.

L'espressione della donna si fa quasi orgogliosa, grata, e i suoi occhi scorrono lungo il perimetro del tavolo e indugiano specialmente sulle figure delle due sorelle. Apre le braccia e le indica.

-Anche io e i miei figli lo abbiamo. Devi sapere che io sono la madre naturale solo della piccola Shioko, ma ormai li amo tutti come se fossero proprio miei!

Questa è la volta di Yukio di guardare Shoichi: il ragazzo sta ancora accarezzando la sorellina e non ricambia il suo gesto. Pare distante, distaccato, intonso. Probabilmente sta trovando fastidiosa persino l'aria condivisa con la matrigna, figurarsi la sua voce.

-Davvero, signora?

Interviene anche il signor Imayoshi, senza però ridere. Lui guarda il figlio, con un amore fin troppo riconoscibile nello sguardo – e una nota di malinconia a cui il ragazzo non sa proprio dare spiegazione.

-Sì, Shoichi è l'ultimo dei figli della mia prima moglie. È anche quello che le assomiglia di più.

Shizune batte all'improvviso le mani e le si accendono gli occhi di una nuova, incredibile idea. Tutti si risvegliano, a quel gesto, e le danno istintivamente ascolto e tutta la loro attenzione.

-Possiamo fargli vedere le foto di famiglia, che ne dite?

Yukio tenta di opporsi alla cosa, ma viene persino interrotto dalla signora.

-No, non credo che...

-Buona idea, Shizune!

La donna guarda quindi la figlia minore, che finalmente si stacca a forza dall'abbraccio fratello.

-Shioko, Shioko-chan! Di' a Sakura di prendere gli album e di portarli qui!

 

-Vorrei sinceramente capire in cosa assomiglieresti a tua madre.

Kasamatsu riemerge da una delle stanze interne e raggiunge un Shoichi seduto sulla veranda, gambe incrociate e piatto con anguria a portata di mano. Sta guardando fuori, verso il giardino, e non si sposta di un centimetro quando l'altro gli si siede accanto e si serve da sé.

Lui è riuscito a fuggire al terzo album di fotografie, quando la signora Imayoshi presentava una Shizune bella pronta per la sua prima elementare, sorriso smagliante e gonna perfettamente a posto. Yukio no, ma perché non è mai stato bravo ad affrontare certi tipi di situazioni, e una persona che fa una domanda per lui merita sicuramente una risposta, chiunque essa sia. E Hisako ne ha fatte tante, di domande, il più delle quali suonavano come “Ma quanto era bella la mia bambina?” “Non credi che questo vestito le stia d'incanto?” “S'è fatta davvero grande, non è vero?”.

Per sfizio, intanto che passava il tempo, ha anche contato le fotografie in cui compariva Shoichi, prima volendo solo quelle in cui compariva da solo per poi accontentarsi di quelle in cui si notava e basta: di cinque album, ne ha viste in tutto venticinque.

Lo adocchia e ridacchia, chino in avanti. L'immagine della genitrice è qualcosa che non può sfuggirgli dalla mente, anche solo per il semplice fatto che la matrigna s'è prodigata a metterla, in una bella cornice d'argento lavorato, proprio sul comodino accanto al suo letto. La prima e l'ultima cosa che vede è lei.

-Nella linea degli occhi, forse?

L'altro fa una smorfia poco convinta e propone un'altra ipotesi.

-Forse nel carattere...

-Questo te lo possono dire loro, io non l'ho mai conosciuta.

C'è calma, nel giardino. Uno dei coniglietti bianchi di Shioko sbuca da un cespuglio e fa qualche saltello in avanti, poi ingaggia una corsa a perdifiato con il suo compagno appena arrivato e sparisce all'orizzonte, da qualche parte sotto le assi di legno della casa.

Shoichi aspetta che Kasamatsu finisca la sua fetta, con tutta la calma che si sente, prima di sospirare affranto e rivolgersi a lui con un'espressione chiedente pietà.

-Mi dispiace sinceramente che tu sia stato costretto a subire tutto questo. Non è di certo la cosa più esaltante del mondo guardare vecchi album di una famiglia che a malapena conosci.

Yukio appoggia la buccia verde del frutto sopra il piatto e si serve ancora: ha sete, molta sete, e nonostante il sopraggiungere della notte il caldo non accenna proprio a diminuire.

-Non mi sono annoiato.

Shoichi gli sorride e non fa fatica a credergli, per quanto gli risulti paradossale una cosa del genere. Non si aspetta bugia alcuna dal coinquilino e quella è una cosa che, più di molte altre, lo fa stare tranquillo. Quindi si permette di rilassarsi.

-Shioko- chan da bambina era ancora più brutta di adesso.

-Ha un bel sorriso e degli occhi grandi.

-Spero che possa trovare qualcuno che l'apprezzi anche per questo. Dopotutto, ha un carattere amabile!

-Se ci sei riuscito tu, non vedo perché lei non possa fare altrettanto.

A Yukio, una dichiarazione del genere sfugge tra un morso e l'altro, mentre ancora sta fissando le luci di un aereo che lampeggiano tra le nuvole scure del cielo. Imayoshi però le recepisce molto bene – e lo guarda per qualche secondo di troppo, con un sorriso quasi piatto sulle labbra.

-Dici davvero?

-Certo che sì.

Yukio non è molto diverso da quello che è sempre stato: diretto, senza peli sulla lingua, capace del più profondo rispetto per il prossimo. Non ha cambiato atteggiamento nei suoi confronti né quando ha saputo che era omosessuale, né quando ha capito che desiderava proprio lui, né quando ha compreso di provare per l'altro i medesimi sentimenti. Shoichi ignora quali siano stati i processi mentali che hanno impegnato la sua mente, ma per mantenere una coerenza simile Yukio si è mostrato una persona forte come poche altre ne aveva viste. Il cambiamento indubbio che c'è stato, nella sua persona – e non solo fisico e non solo sessuale, attraverso la prima volta che gli ha donato non più di un mese prima – non ne ha mutata l'essenziale bellezza.

È dentro Imayoshi che qualcosa sta cambiando davvero, seppur gradualmente.

Poi Kasamatsu sbotta, quasi all'improvviso, in un sussurro di troppo.

-Capisco bene perché tu abbia preferito venire a Tokyo per studiare.

Una madre troppo impegnata a tessere le lodi dell'unica figlia che la sua età le abbia permesso d'avere, un fratello maggiore lontano, una sorella maggiore così presa dal suo odio infantile che neppure si accorge che la sta corrodendo dall'interno, un padre intrappolato nei ricordi di un passato che non è più suo. Una sorellina minore inconsapevole del bene che fa pronunciando semplicemente “Sho-chan” con la sua faccetta allegra e spensierata.

Shoichi lo sa per primo, ma dalle sue labbra non può uscire più alcuna verità.

Allora allunga il braccio in avanti e indica qualcosa di più o meno definito, nel buio.

-Vedi quella buca laggiù, Kasamatsu?

-Sì, la vedo.

-Una volta c'era una piscina, in quella conca. Dopo i miei undici anni l'hanno tolta.

-Come mai?

-Perché ho tentato di affogarmici dentro.

C'è del silenzio, dopo quella rivelazione, ma Shoichi non vuole incrociare lo sguardo pieno di rimprovero che Kasamatsu gli sta rivolgendo – ora come ora, di certo non ne ha molta voglia. E lo sente sbottare, davvero contrariato, lo sente usare la stessa scarsa delicatezza di sempre. Quasi gli era mancata.

-Non dirlo come se fosse una cosa da niente, Imayoshi.

Lui comincia a ridere, prima piano e poi via sempre più forte, libero dopo tanto tempo di un peso che gravava sopra le sue spalle. L'ultima volta che ha rivelato a qualcuno quella faccenda è stato con Hanamiya – ai tempi delle medie, durante un tempo che non ricorda neppure più tanto bene.

-No, in realtà è un fatto divertente, sai? Mi ero riempito le tasche di pietre, sperando che così il mio corpo affondasse da solo. Non avevo considerato che dentro i polmoni c'era aria e quindi che sarei rimasto a galla abbastanza perché mi riprendessero.

Lui ride, Kasamatsu ha lo sguardo orripilato.

-Fu molto divertente. I più si convinsero che ero scivolato dentro, che mi fossi comportato come al solito da scemo. Sapessi quanto erano sconvolti.

Si decide a ricambiarlo, ha le lacrime agli occhi e non riesce a essere toccato dalla sua rabbia così dolce, così gentile. In questo momento gli è soltanto grato.

-Non ho mai imparato a nuotare, né prima né dopo. Come dire, spero sia la mia ancora di salvezza, prima o poi.

Yukio non regge più: si volta dall'altra parte e si rannicchia su se stesso.

-Tu sei pazzo. Se mai dovessi farlo davanti a me, prima di salvarti ti riempirei di schiaffi.

-Lo faresti davvero?

-Certo che sì!

È dolce e neppure se ne rende conto. Ha il viso rosso, probabilmente per la rabbia, e le spalle tanto rigide che sembrano fatte di pietra. Imayoshi lo guarda a lungo senza dire nulla, sistemandosi un paio di volte gli occhiali sul naso. Poi decide di levarseli proprio e ci gioca con le mani, chiudendone e aprendone le stecche più volte.

Yukio ricompone, pian piano, i pezzi di un puzzle dalla trama fino ad allora sconosciuta, che invece assume contorni più definiti, seppur sfocati, seppur incerti. Un anno esatto prima Imayoshi era tornato nel loro appartamento ubriaco, rotolando per terra senza più forze, condividendo con lui nei giorni successivi una crisi isterica come non ne aveva mai vista prima, da parte sua. Il giovane si chiede cosa quale sforzo debba comportare avere il grave di una tensione simile ogni giorno, ogni singolo minuto, senza nessuno accanto. Non si stupisce molto, non più, di molte cose.

Imayoshi lo stupisce ancora, arrivando a lui quasi all'improvviso. È sovrappensiero quando parla di nuovo, dicendo cose scollegate da ogni ragionamento plausibile – ma è l'epifania che lo coglie, nell'attimo della più reale verità, che riempie ogni altro vuoto. Certo, perché è dannatamente semplice.

-Sai cosa c'è? Una volta provavo fastidio a dormire nella stessa stanza di qualcuno. Mi davano fastidio non solo i rumori che producevano in maniera naturale, ma la presenza stessa altrui.

L'altro non ha ancora smaltito la rabbia e infatti gli risponde male, secco e brutale. Ostinato nel suo abbracciarsi stretto.

-Questo non c'entra niente con quello che stiamo dicendo.

Lui sorride e si sdraia, col volto lontano dal suo.

-Hai ragione, ma ci stavo pensando giusto adesso.

 

È notte, fuori dalla finestra e nel buio di ogni angolo.

Il futon di Kasamatsu è morbido e spesso, ma a inquietarlo sono le alte mura della stanza in cui l'hanno relegato e quel lampadario appeso che oscilla di tanto in tanto – o sembra dannatamente farlo da solo, ecco – che non lo lasciano proprio dormire.

Si gira e si rigira tra le coperte, senza riuscire a prendere sonno.

Dà le spalle alla porta quando sente che l'ingresso viene violato e qualcuno si introduce, il più piano possibile, entro la camera e si fa sempre più vicino a lui.

Lo riconosce dall'odore, forse, o dalla stazza. O anche dai capelli che gli scivolano addosso, quando lui si china sul suo corpo.

-Posso rimanere qui?

Lo guarda nel buio, prima di sussurrare un domanda altrettanto terribile.

-Ti sei confidato con me per mettermi alla prova?

Yukio non vede i suoi lineamenti, quando risponde, ma immagina una mascella contratta per la sorpresa, uno sguardo un po' preso dal sonno e un po' duro, come quelli che l'altro fa quando vuole sembrare davvero serio. Non ha dubbi sulla veridicità delle sue parole.

-L'ho fatto perché tu non sei capace di provare pietà. Ogni tanto mi serve questo. Io vorrei solo essere considerato per quello che sono.

Kasamatsu solleva le lenzuola e fa spazio, in maniera quasi meccanica. Shoichi si acquatta velocemente contro di lui, con i suoi piedi freschi e la punta del naso inspiegabilmente bagnata. Non lo abbraccia e non vuole essere abbracciato: si addormenta appena le coperte lo coprono tutto.

Poco dopo, lo fa anche Yukio.

 

C'è un treno, che non è il suo, che fischia e parte dal proprio binario con una lentezza che ricorda quella dei vecchi in procinto di spegnersi.

Yukio si sistema meglio la borsa sulle spalle e dà un'ultima occhiata alla stazione: non c'è molto da stupirsi se conta soltanto tre binari, con tutta la verde campagna che fa da sfondo alle sue recinzioni. Imayoshi gli è poco distante, che balla sulla punta dei piedi in attesa quanto lui. La macchina della madre lo sta aspettando al di là della strada e a lui secca dare altre occasioni per lagne inutili, specialmente ad una donna con una voce tanto stridula.

Una voce registrata annuncia l'arrivo a breve di qualcosa di poco importante, scusandosi per il disagio del mezzo minuto di ritardo. Shoichi sorride appena.

-Mi ha fatto piacere venire a trovarti.

Quando lo guarda, trova già i suoi occhi ad attenderlo. È una sensazione piacevole, dopotutto.

-Ora sei assolutamente sicuro che mi preparerò adeguatamente per l'esame di chimica.

-Se non prendi un bel voto penso che mi sentirò legittimato ad affogarti nel lavandino della cucina.

Sogghigna, ma sa che la minaccia è più che seria.

Arriva un altro fischio, l'aria si solleva e fa dondolare i ciuffi scuri dei capelli di Imayoshi. Dondola, dondola ancora.

-La prossima volta vengo io da te. Devi presentarmi tua madre.

-Sarà contenta di rimpinzarti di cibo.

È un gesto meccanico che fa con estrema naturalezza, senza neppure pensarci: Shoichi sistema, con una sola mano, il colletto della camicia di Yukio, perché stia a posto.

-Allora ci vediamo fra due settimane, a casa nostra.

Lui sorride e anche l'altro lo fa, dopo. Niente bugie.

-A casa nostra, sì.

   
 
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