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Autore: lirin chan    16/01/2013    6 recensioni
C'era una volta, in un paese lontano lontano, un bellissimo princip- oh, che palle! Sempre la solita favoletta! Raccontiamo qualcosa di diverso, per una volta!
Non ci sarà nessun principe dai capelli splendenti e nessuna principessa bisognosa di essere salvata e nemmeno canzoncine intonate da strani esseri animati!
Quindi, mettetevi comodi ed ascoltate...
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
- Questa storia fa parte della serie 'AU Paradise'
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Autore: Lirin Chan
Fandom: Supernatural
Personaggio/Coppia: Dean/Castiel
Rating: Pg13
Avvertimenti: AU, Movie'verse
Conteggio Parole:
Beta: Princess_Perona (a cui dirò tante cose zuccherose in privato per ringraziarla)
Trama: C'era una volta, in un paese lontano lontano, un bellissimo princip- oh, che palle! Sempre la solita favoletta! Raccontiamo qualcosa di diverso, per una volta!
Non ci sarà nessun principe dai capelli splendenti e nessuna principessa bisognosa di essere salvata e nemmeno canzoncine intonate da strani esseri animati!
Quindi, mettetevi comodi ed ascoltate...
Note: Vedere i cartoni animati Disney con mio nipote mi fa male... Ma molto molto male! Non so ancora quanto sarà lunga, ma spero possa piacervi perché... Insomma, è 'La Bella e La Bestia'!
Disclaimer: Dean, Castiel & Co non sono miei!... Vi prego, datemi un Cass tutto per me çwç Ne ho bisogno!



C'era una volta, in un paese lontano lontano, un bellissimo princip- oh, che palle! Sempre la solita favoletta! Raccontiamo qualcosa di diverso per una volta!
Non ci sarà nessun principe dai capelli scintillanti come un diamante svarosky e nessuna principessa altezzosa, bisognosa di essere salvata e di sicuro non ci saranno canzoncine intonate da strani esseri animati!
Ok, ci sarà la magia, ma ehi, non sempre la magia è buona, no? - Harry Potter, tu sai cosa intendo...
Quindi, mettetevi comodi ed ascoltate...



C'era una volta un grandissimo stronzo di nome Dean della stirpe reale Winchester. Come tutti gli stronzi che si rispettino era nato come principe di quelle terre e aveva passato la sua intera vita di ventenne andando dietro alle ragazze e non preoccupandosi di niente se non di se stesso e, a volte, del suo fratellino Sam – si dice che non abbia nemmeno pianto al funerale dei suoi genitori, troppo occupato a rallegrarsi di avere finalmente tutto il castello per se.
La notte prima del suo ventunesimo compleanno, all'enorme portone del castello della sua famiglia, bussò una vecchietta che chiese di passare la notte lì, visto che pioveva forte e lei era molto anziana. In cambio avrebbe offerto al padrone del castello una rosa rossa appena colta.
Ovviamente il principe Dean – già detto che era il più grande stronzo sulla faccia della Terra? - le rise in faccia. La donna insistette ancora e di nuovo ricevette un due di picche.
Incazzata nera la vecchietta – che in realtà era un angelo - si trasformò in una bellissima ragazza dai capelli rosso fuoco e la pelle candida come la neve.
"Tu! Stupido idiota! Ma cos'hai nel cervello per non dare asilo ad una povera vecchietta?!" Beh, il suo caratterino non era ne angelico ne candido come la neve, ma fa lo stesso.
"Tesoro, se avessi saputo cosa si celava sotto quelle rughe ti avrei fatta entrare subito nel mio letto" Rispose l'altro ammiccando con i suoi magnetici occhi verdi – sì, lo so, un abbordaggio stile anni '80, ma che volete farci? Erano altri tempi e lui era un cretino...
Naturalmente l'angelo non fu affatto felice della risposta e puntò il dito contro il principe che sussultò allo sguardo severo e arrabbiato di lei.
"Dean Winchester sei un borioso, irritante ed egoistico principe che non riuscirebbe a vedere la vera bellezza nemmeno se ce l'avesse davanti sotto forma di torta di mele! Meriti una punizione esemplare!" Sancì con voce adirata.
Con un semplice schiocco di dita l'angelo tramutò Dean in una orrenda bestia e gettò un incantesimo sul castello e su tutti i suoi abitanti.
Vergognandosi del suo aspetto mostruoso la bestia si nascose. La rosa che gli aveva offerto l'angelo era davvero una rosa incantata e sarebbe rimasta fiorita fino a che il suo vero amore non fosse comparso. Se avesse imparato ad amare e fosse riuscito a farsi amare a sua volta prima che fosse caduto l'ultimo petalo, l'incantesimo si sarebbe spezzato; in caso contrario sarebbe rimasto una bestia per sempre. Con il passare degli anni il principe cadde in preda allo sconforto e perse ogni speranza.
Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?


A Lawrence tutti conoscevano Castiel Novak – era una cittadina con meno di mille abitanti, praticamente si conoscevano tutti, ma lui era il più chiacchierato del paese per ovvi motivi. Bello, occhi blu, capelli scuri, gentile, acculturato, proprietario dell'unica libreria nel raggio di dieci miglia – vuota il 99% del tempo – e nubile o come diremmo ai giorni nostri, single per scelta. Praticamente il sogno di ogni donna del villaggio fatto di semplici case di legno, dalla vita semplice e monotona.
Ma quello che più differenziava Castiel da tutti gli altri venticinquenni della zona era il fatto che vivesse in un mondo tutto suo, fatto di avventure, draghi, battaglie epiche e finali mozzafiato. Insomma, detto in gergo moderno era un nerd – la sua versione moderna potete trovarla in questo momento on line su War of Warcraft o intento a cucirsi l'ennesimo cosplay di Legolas, ma torniamo alla nostra storia...
Purtroppo il suo essere un associale rinchiuso nel suo mondo di favole non lo esonerava dall'essere adocchiato dalle gentil donzelle del villaggio. Una soprattutto, che proprio non si lasciava demoralizzare dall'evidente disinteresse del ragazzo per il sesso femminile era Meg Masters, l'unica figlia dell’uomo più ricco del paese Lucifer Masters. Nonostante i suoi continui tentativi di averlo per se, Castiel preferiva continuare a sognare di avventure oltre quelle terre e di incontrare qualcuno che lo capisse.
"Buonasera Castiel" Beh, non si poteva però dire che Meg non avesse pazienza e una gran dose di fiducia in se stessa.
Il ragazzo non distolse lo sguardo dal suo libro e continuò a camminare per la sua strada.
"Buonasera Meg" rispose lui.
Mai si dicesse in giro che fosse un maleducato.
La ragazza fece una smorfia e gli andò dietro tenendosi la gonna color melanzana e adornata di un leggero pizzo sul bordo.
"Stai tornando a casa?" Chiese, affiancandolo.
"Come ogni giorno a quest'ora, Meg" Rispose lui girando pagina. Non era infastidito, semplicemente rassegnato.
"A cosa sta lavorando questa volta tuo fratello?"
Oh, c'era un'altra cosetta per cui Castiel – anzi, la famiglia Novak – era conosciuta in paese e si poteva spiegare nell'impressionante esplosione che provenne dalla periferia del villaggio che fermò Castiel dal rispondere alla ragazza.
Il ragazzo, per la prima volta distolse lo sguardo dal libro e sospirò.
"Mi dispiace, devo andare" La salutò in fretta mentre molte porte del villaggio al tramonto venivano aperte. Poteva sentire distintamente le malelingue che venivano pronunciate da quelle persone monotone.
Corse a casa e subito si diresse nella cantina dove trovò nient'altro che fumo che gli fece lacrimare gli occhi.
"Balthazar! Stai bene?" Lo chiamò scendendo lentamente le scale di legno cercando di vedere dove andava.
"Funziona!" Sentì urlare improvvisamente. Balthazar emerse dal fumo, nero di fuliggine e con i capelli sparati in aria. "Te lo avevo detto che avrebbe funzionato, malfidato lettore di carta straccia!"
Castiel tossì.
"Non ho mai dubitato di te, ma della tua dubbia forma di scienza..." Borbottò guardando preoccupato la strana macchina che ancora tentava di capire a cosa diavolo potesse funzionare. Era composta da una stufa di ferro, una teiera, un'accetta all'estremità e fischiava decisamente troppo. Sembrava sul punto di esplodere.
"Zitto, sono un genio! Vincerò a quella fiera di pezzenti!" Esclamò, guardando Castiel vittorioso.
L'altro non poté far altro che accennare un sorriso e sperare per il meglio.


Balthazar partì quella stessa sera, con il sole ormai quasi del tutto calato dietro l’orizzonte. Esultò un'altra volta per la sua sicura vittoria e sparì nel folto del bosco lasciando Castiel da solo a casa. I loro genitori erano morti da tempo, lasciandoli solo con quelle quattro mura e un sacco di idee strampalate in testa – come le invenzioni idiote e la fissazione per le avventure.
Il cavallo spinse il carretto per un ora prima che scendessero le tenebre tra gli alberi. Balthazar non era uno che si preoccupava spesso, ma quando si rese conto che ormai doveva essere già arrivato da un pezzo cominciò a farsi venire i dubbi sulle sue qualità di lettore di cartine – lui in futuro non lo ammise mai, ma la verità era che la stava tenendo al contrario... Insomma, invece di andare alle Hawaii stava galoppando verso Vancuver...
Arrivato ad un bivio fermò il cavallo.
"Zack, ma dove cazzo mi hai portato?" Borbottò – il povero vecchio cavallo bianco e grigio, se avesse potuto, lo avrebbe mandato a quel paese seduta stante, ma da bravo cavallo educato, si limitò a nitrire in segno di disappunto.
Balthazar guardò le due strade. Quella di sinistra era una normale strada, sempre buia, ma sembrava abbastanza sicura. Quella di destra era il sentiero del terrore con tanto di ululato di lupi in lontananza.
Il cavallo fece per seguire ovviamente, quella che sembrava la strada più sicura, ma venne fermato e spinto per le redini verso l'altra.
"Oh, no! Non farti ingannare! Funziona sempre così nei libri di Cas! La strada più sicura è quella che sembra peggiore! Non mi faccio fregare!"
Ovviamente nel giro di un quarto d'ora si trovarono con la neve fin sopra i capelli, l'orientamento perso, il vento che non gli faceva capire se davanti a lui avesse il didietro del cavallo oppure un masso peloso e poteva giurarci i gioielli di famiglia, che quelli che sentiva dietro di se erano respiri di lupi famelici, cosa che percepì perfettamente anche Zack che cominciò a correre spaventato.
Balthazar gli urlò di calmarsi ma non ci fu niente da fare, ormai era imbizzarrito e quando il branco di lupi li accerchiarono la paura alla fine attanagliò pure lui. Nelle fauci dei lupi vedeva la sua fine e non poté far altro che pensare al suo fratellino che avrebbe lasciato.
I lupi attaccarono il cavallo che, per proteggersi, si impennò facendo alzare anche il carretto. Balthazar cadde all'indietro e poi nella neve. Quando alzò la testa fradicia e gelata poté solo vedere Zack correre via rincorso da alcuni lupi.
Si alzò in piedi a fatica stringendosi addosso il mantello marrone per poi fare alcuni passi imprecisi nella neve. Sperò che i lupi avessero seguito il carretto, ma dovette subito ricredersi quando ne vide due comparire da dietro alcuni alberi. Guardò i loro occhi affamati e poi si mise a correre.
Non sapeva dove stesse andando, superava alberi e sterpaglie congelate dal freddo senza pensare a niente se non a sopravvivere e a suo fratello.
Forse qualcuno lassù lo ascoltò perché si ritrovò davanti un enorme cancello. Nemmeno stette a pensare a chi o al come e lo aprì con una spinta decisa richiudendoselo subito dietro. I lupi sbatterono sul ferro e ringhiarono, riuscendo ad agguantargli il mantello che velocemente si tolse per non essere trattenuto.
Col fiatone e con i brividi di freddo e paura alzò lo sguardo verso quello che scoprì essere il castello più grande, maestoso e terribilmente inquietante che avesse mai visto in vita sua.
"Che diavolo..." Mormorò incamminandosi verso di esso.
Attraversò il ponte adornato di goblin e diavoli mostruosi, raggiungendo l'enorme portone. Quello che lo insospettiva di più era che nessuno gli fosse venuto incontro. Un castello così grande doveva appartenere ad una facoltosa famiglia con un centinaio di servitori. Come mai nessuno di loro gli era venuto incontro? Che fosse un castello abbandonato?
Con forza spinse il portone che si aprì con un cigolio inquietante. Vi scivolò dentro ritrovandosi in un enorme salone vuoto, freddo e illuminato malamente solo da un candeliere posto su un tavolino polveroso. Una gigantesca scalinata che portava ai piani superiori si vedeva sul fondo, ma sembrava inutilizzata da anni. Tutto era pieno di polvere e ragnatele.
"Ehi, di casa! C'è nessuno?!" Urlò. La sua voce rimbombò per tutta l'entrata.
Tese l'orecchio, ma nessuna risposta gli giunse.
"Oh beh... Chi potrebbe vivere in questa topaia dopotutto?" Borbottò calciando una pallina di polvere.
"Topaia?!" Sentì esclamare da una voce burbera.
Si guardò attorno di scatto, ma non vide nessuno.
"C'è qualcuno?" Chiese di nuovo prendendo il candeliere in mano. "Mi sono perso! Giuro che non ho cattive intenzioni!" Tentò di spiegarsi.
"Ovvio che ti sei perso! Sembri proprio una testa di legno!" Sbraitò una voce vicino a se, ma non vide nessuno.
"Dove sei?" Bene, ci mancavano solo i fantasmi. Beh, sempre meglio dei lupi. Si vedeva che era lunedì, che giornata di merda...
Qualcosa gli batté sul pollice della mano con cui teneva saldamente il candelabro e si voltò verso di esso. All'inizio non vide niente di strano, ma poi quando le braccia esterne – con tanto di candela fiammeggiante – si mossero e quella centrale gli sorrise con tanto di occhi che lo guardavano non poté far altro che sgranare gli occhi...
"Salve"
ed urlare come un ragazzina alla vista di uno scarafaggio quando questi addirittura parlò.
Lasciò cadere l'oggetto – o opera del demonio o qualsiasi altra cosa fosse – che quando toccò terra si lamentò.
"Che maniere!" Era una voce femminile, poteva giurarci. Una voce di donna sulla quarantina.
"Emm... Mi... Mi dispiace?..." Borbottò – si stava davvero scusando con un candelabro?!
"Ellen! Ti avevo detto di stare zitta!" Oh, perfetto. Adesso un piccolo orologio a pendolo stava zampettando verso il candelabro dorato. "Forse se ne sarebbe andato!"
"Oh, sta zitto Bobby! Sono anni che nessuno entra qui! Ne ho piene le scatole di vedere solo le vostre brutte facce!" Sbraito il candelabro – la... candelabra? - chiamata Ellen mentre si rimetteva dritta sulla sua base – solo ora lo notava - a forma di gonna larga.
L'orologio chiamato Bobby sbuffò e le sue lancette girarono su se stesse passando davanti agli occhi e alla bocca posti nel quadrante.
Balthazar rimase ad osservarli, senza parole – diavolo, era la prima volta che gli succedeva!
Ellen si voltò verso di lui e stirò la cera che formava il suo volto in un sorriso.
"Devi essere stanco, vieni a riposarti" Lo invitò per poi saltellare e fare luce verso una stanza adiacente. L'orologio li seguì borbottando che sarebbero finiti nei guai.
La stanza era riscaldata da un fuoco scoppiettante e arredata con tappeti, quadri e piccole statue di mostri. Vicino al camino stava una poltrona che sembrava comodissima. Ellen lo esortò ad accomodarsi e una coperta gli venne posta sulle spalle da un attaccapanni nero che gli fece un inchino.
"Ditemi la verità... In realtà questo è un sogno e sto venendo sbranato dai lupi..." Disse a nessuno in particolare.
Un carrello con sopra una teiera fumante e una tazzina scheggiata si fermò al fianco della poltrona.
"No, tutto vero, tesoro" Disse la teiera inclinandosi da sola per versare nella tazzina il the caldo. "Sono Lisa" Si presentò con un sorriso mentre Balthazar sollevava la tazzina che rabbrividì tra le sue dita.
"Mamma! Ha le mani fredde!" Disse con voce infantile.
"Ben, fai il bravo..." Lo rimproverò la teiera.
"Io continuo a dire che è una pessima idea..." Si intromise Bobby saltellando sul tappeto di fronte alla poltrona. "Una tazza di the, si riscalda e poi se ne va!"
"Ma finiscila" Lo liquidò Ellen. "Il padrone non scende mai! Non se ne accorgerà nemmeno!"
Le ultime parole famose.
La porta della stanza venne aperta con violenza facendo entrare un vento gelido che fece spegnere il fuoco gettando tutti nell'oscurità, ma nonostante il buio Balthazar poté scorgere, con orrore, la figura imponente e mostruosa che stava entrando.
"C'è un estraneo qui..." La voce roca, simile ad un ringhiò fece rabbrividire il ragazzo che rimpianse i lupi.
"Padrone, il ragazzo si era perso! Non potevamo-" Provò a spiegarsi Ellen, ma venne bruscamente interrotta dall'imponente mole della bestia che si erse in tutta la sua altezza.
"Cosa ci fai qui? Sei venuto a vedere la bestia?" Disse ringhiando e mostrando le zanne.
Balthazar scivolò via dalla poltrona, strisciando all'indietro mentre continuava a fissare quel mostro, tremando da capo a piedi.
"Io... Mi sono perso e..." Non riuscì a dire altro mentre la bestia si avvicinava, oscura e terribile.
"Padrone, stava morendo di freddo!" Provò di nuovo a calmarlo Ellen, ma non servì a niente.
Ringhiando la bestia prese per le spalle il ragazzo, fino a sollevarlo da terra.
"Gli darò io un posto dove stare"


Castiel voltò pagina sistemandosi meglio sui guanciali che aveva steso per terra. Suo fratello gli mancava, ma doveva ammettere che quando non era in giro a far esplodere cose c'è una pace perfetta per leggere in tranquillità.
Ovviamente è universalmente saputo che quando stai assaporando il piacere di un momento perfetto qualcuno deve per forza disturbarti. Per Castiel fu un leggero bussare alla porta.
Meditò di far finta di non essere in casa, ma purtroppo era stato educato troppo bene per farlo, quindi si alzò per andare ad aprire. Quando vide chi stava sulla sua soglia maledisse la sua educazione.
"Meg, hai bisogno di qualcosa?" Chiese, cercando di trattenere il suo tono esasperato.
La ragazza gli fece un sorriso che al ragazzo sembrò quasi famelico.
"Sei da solo?"
Castiel fece un'espressione perplessa.
"Mio fratello è andato ad un concorso per inventori, tornerà stasera tardi" Rispose, non capendo.
Il sorriso di Meg si allargò.
"Bene" La sentì dire prima di essere spinto malamente dentro casa.
La porta venne chiusa con forza mentre sentiva Meg bloccarlo contro il tavolo della sala. Continuava a non capire cosa stesse succedendo.
"Castiel, non credi che sia ora di smetterla di fingere?" Disse strusciandosi su di lui.
"Fingere?" Mormorò l'altro, sempre più confuso. La maggior parte delle volte non capiva quello che Meg diceva.
Le mani di lei sfiorarono i suoi fianchi mentre si metteva sulle punte per arrivare più vicino al volto dell'altro.
"Ammettilo che vuoi avermi" Mormorò per poi cercare di raggiungere le labbra di Castiel con le sue, ma questi sfuggì con uno spostamento rapido.
"Meg non so di cosa tu stia parlando" Non riuscì a nascondere l'agitazione della sua voce mentre si appoggiava alla porta d'ingresso. Meg non si arrese e si avvicinò di nuovo a lui dondolando i fianchi.
"Immagina, io che cucino e ti aspetto a casa insieme a sei o sette figli e tu che mi ami fino a che morte non ci separi" Disse lei, facendo qualche altro passo con espressione predatoria.
"Mi dispiace, Meg, ma..." Disse mettendo la mano sulla maniglia ed aprendola di colpo quando lei fu abbastanza vicina da spingerla fuori. "Io non ti merito" Sentenziò prima di chiudere la porta e lasciare la ragazza sul pianerottolo.
Stette appoggiato al legno per qualche attimo prima di allontanarsi con un sospiro. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto cedere. La loro situazione economica non era delle migliori e se Balthazar non avesse vinto quel concorso non sarebbero arrivati a pagare nemmeno il pane. Il matrimonio con Meg Masters avrebbe risolto ogni cosa, permettendo perfino al fratello maggiore di continuare col suo sogno di inventore.
Ma questo avrebbe voluto dire rinunciare alla sua vita, rinunciare ai suoi sogni d'avventura e perfino mettere su famiglia. Non gli piaceva Meg, non gli piaceva nessuno.
In verità l'unico collegamento che sentiva, oltre che verso il fratello, era quello verso i libri e la sua voglia di fuggire da quella monotonia soffocante.
Sussultò quando sentì uno scalpiccio di zoccoli sul terreno fuori di casa. Non poteva essere Balthazar, era troppo presto. Aprì la porta e controllò che Meg se ne fosse andata per poi scendere le scale.
Nel prato stavano il cavallo e il carretto, ma del fratello non c'era traccia.
Subito ebbe una bruttissima sensazione e corse al fianco dell'animale prendendone le redini per calmarlo.
"Zachariah, dov'è mio fratello?" Gli chiese mentre questi lo guardava terrorizzato. Un brivido di terrore gli percorse la schiena e cercò di non pensare al peggio per mantenere la calma. Lo liberò velocemente del peso del carretto e montò in sella. "Portami da lui, svelto"
   
 
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