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Autore: Little Fanny    22/01/2013    6 recensioni
Amy e Rory.
L’amore e la sofferenza, la gioia di avere una figlia e il dispiacere di non averla.
Amy e Rory.
Il litigio, le parole forti, crudeli, atte a far male, a ferire.
Amy e Rory.
Amare così tanto da lasciarsi.
Amy e Rory.
Insieme.
[spoiler! 7x01 "Asylum of the Daleks, spoiler! mini-special “Pond Life”]
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amy Pond, Rory Williams
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo: What I did for love
Fandom: Doctor Who
Personaggi: Amy Pond, Rory Williams, Ood, River Song, Eleventh Doctor (accenni)
Rating: PG13
Genere: introspettivo, triste, romantico
Conteggio parole: 6099
Avvertimenti: one-shot, spoiler! 7x01 “Alysum of the Daleks”, spoiler! mini-special “Pond Life”
Riassunto: Amy e Rory.
L’amore e la sofferenza, la gioia di avere una figlia e il dispiacere di non averla.
Amy e Rory.
Il litigio, le parole forti, crudeli, atte a far male, a ferire.
Amy e Rory.
Amare così tanto da lasciarsi.
Amy e Rory.
Assieme.

Disclaimer: La storia è basata su fatti e personaggi creati e appartenenti alla BBC e a chiunque ne detenga i diritti. La storia non è scritta a scopo di lucro, ma solo per mio puro diletto.




What I did for love




Amelia Pond sorrideva.
Sorrideva e abbracciava Rory, il suo Rory.
Era tanto che non lo faceva – sorridere, intende. E anche abbracciare Rory.
Oh, Rory.
Sciocco Rory.
Stupido Rory.
L’innamorato Rory.
Rory.
Suo marito.
Lo bacia ancora, ancorandogli le braccia dietro il collo, portando le sue labbra sulle proprie. Quanto le sono mancate quelle labbra! 


~o0o~


“Amy? Tutto bene?” domandò Rory bussando contro la porta del bagno.
Amy sobbalzò, colta di sorpresa.
“Sono ore che sei chiusa lì dentro e io devo andare al lavoro!” rimarcò il ragazzo, sbuffando spazientito.
Amy gettò uno sguardo all’orologio: era tardi. Aveva ragione.
“Un attimo e arrivo!” urlò di rimando, sollevandosi con gambe malferme. Si diede una sciacquata al viso e si truccò velocemente, prima di aprire con un gesto teatrale la porta del bagno, sperando che così lui non se ne sarebbe accorto.
“Tutto tuo!” esclamò con un sorriso, facendo cenno a Rory di aver libero accesso.
Il ragazzo si fermò a scrutarla in volto, aggrottando le sopracciglia.
“Hai gli occhi rossi.” Le disse, prendendole il viso con una mano.
Amy rise. “Colpa tua e della tua fretta.” Minimizzò scuotendo la testa. Si sistemò i capelli dietro le orecchie e posò un bacio sulla punta del naso del ragazzo, prima di spingerlo dentro il bagno. “Non eri forse di fretta?” gli chiese retorica, mentre già si involava giù per le scale.
Prese le chiavi e il cappotto, decidendo di lasciare a casa l’ombrello in un gesto scaramantico. Era già con un piede fuori dalla porta quando tornò dentro di corsa, afferrò uno dei post-it gialli in ingresso e lasciò un messaggio che attaccò al frigorifero, così Rory l’avrebbe visto.

Rory scese le scale di corsa, facendo i gradini due a due, infilandosi il maglione con una mano mentre con l’altra cercava di fare il nodo alla cravatta. Aveva decisamente bisogno di una mano di scorta. Doveva chiedere al Dottore se per caso su qualche galassia ne avevano in vendita: gli avrebbe davvero fatto comodo. Mugugnò un’imprecazione, quando la sua idea geniale di infilare il maglione, fare il nodo alla cravatta e tenere un plico di scartoffie in bocca ebbe il grandioso risultato di farlo rimanere incastrato. Dopo molta fatica e colorati epiteti – lanciati in ordine alla cravatta, al maglione, di nuovo alla cravatta e infine alla burocrazia così inutilmente voluminosa – riuscì finalmente ad uscire da quella matassa e, afferrata la valigetta, si involò fuori di casa con la prospettiva di ottenere quel nuovo lavoro ridotta a zero.

“Allora vediamo…” borbottò Rory, grattandosi la nuca mentre mentalmente ripeteva la lista della spesa. Si abbassò a guardare il contenuto del carrello spuntando ciò che aveva già preso a voce alta. “Patate, ci sono. The, c’è. Carne… dovrebbe esserci.” Si allungò a spostare il gambo di sedano e la confezione di yoghurt, l’ultima volta lì sotto c’erano le salsicce. “Trovate!” esclamò orgoglioso. Vagliò velocemente il resto della spesa chiedendosi distrattamente se avevano davvero bisogno di cinque varietà diverse di biscotti. Scrollò le spalle, aggiungendo un’altra scatola: la preferita di River.
“Dovrei avere tutto. Ah, no. Il latte!”
Così dicendo Rory fece dietro front, destreggiandosi con quel carrello voluminoso tra gli altri clienti. Passò le varie corsie a ritroso, gettando di tanto in tanto un’occhiata per vedere se per caso non aveva dimenticato qualcosa.
“Arrivato!” esclamò bloccandosi di colpo, mentre il carrello carico proseguiva ancora la sua corsa fino ad andare a sbattere contro una signora.
“Mi scusi!” esclamò Rory allarmato, correndo ad aiutare la poveretta che aveva investito con il carrello. Si accucciò ad aiutare la ragazza a rimettere i propri acquisti nel cestino, mentre si prodigava in infinite scuse e a maledire i carrelli impazziti.
“Non si preoccupi.” Rispose la signora, buttando gli oggetti alla rinfusa.
Rory si bloccò al suono di quella voce, stringendo in mano l’ennesima scatola.
“Amy?” domandò incerto, afferrando la donna per un polso.
La ragazza sollevò il volto di scatto, facendo cadere il cappello che raccoglieva i suoi capelli rossi per terra.
“Oh! Rory!” esclamò balzando in piedi.
“Che ci fai qui?” domandarono entrambi in coro.
“Faccio la spesa.” Continuarono di nuovo assieme, come un’unica voce.
Amy lo squadrò divertita. “Non hai letto il mio messaggio sul frigo, vero?”
“Messaggio?” boccheggiò Rory, riordinando nella sua mente gli avvenimenti della mattina. “Uh, no.” Ammise infine, abbozzando un sorriso di scuse.
“Oh, Rory.” Sospirò la ragazza, fintamente esasperata. “Cosa devo fare con te?”
“Beh, possiamo unire le nostre spese. Tanto io mi sarò sicuramente dimenticato qualcosa.” Propose Rory gesticolando con la scatolina che teneva in mano. “Tipo questo.”
Lo sguardo gli cadde sulla confezione.
“Ah. Amy?”
La ragazza aveva già iniziato a fare una cernita dei loro acquisti e non si era accorta dello strano tono di voce del marito.
“Rory? Sto cercando di capire perché hai preso sei scatole di biscotti diverse. Cosa c’è?”
“Questo.” Disse il ragazzo, sventolandole sotto il naso la confezione incriminata.
Amy ammutolì, guardando la scatola come se avesse visto un fantasma. La afferrò con mani appena tremanti, mentre un moto di rabbia saliva ad imporporarle la faccia.
“Sei…?” domandò Rory, abbassando la voce.
“Non.dirlo.” scandì Amy, fremendo.
“Ma perché?” chiese con gli occhi già brillanti dalla felicità.
“No, Rory. Non dire niente.”
“Ma sei o non sei?” continuò lui imperterrito. Sentiva il proprio cuore battere furiosamente nel petto.
“Lasciami in pace!” urlò Amy lasciando cadere la confezione per terra, mentre i volti di tutti i clienti si puntavano sulla coppia. La ragazza si guardò attorno con gli occhi fiammeggianti dalla rabbia. Si voltò verso Rory, prima di uscire come un tornado dal supermercato. Tornò a casa sbattendo la porta dietro di sé, afferrò con malagrazia il post-it che sorridente la salutava dal frigorifero e lo appallottolò gettandolo nelle immondizie. Si strappò i vestiti di dosso, mentre riempiva la vasca da bagno e si chiuse in bagno a doppia mandata, appena prima che Rory arrivasse a casa carico della spesa.
Il ragazzo rientrò silenzioso, ondeggiando sotto il peso delle buste. Sistemò i vari acquisti in dispensa e sospirò di sollievo quando sentì l’acqua scrosciare al piano di sopra. Con calma preparò il the: non zuccherato per lui e con un goccio di latte per Amy.
Sentì la chiave girare nella toppa e combatté l’impulso di alzarsi: avrebbe aspettato. Dopo qualche minuto Amy apparve sulle scale avvolta nell’accappatoio. Senza dire nulla si arrampicò sullo sgabello della cucina e afferrò la propria tazza di the. Ci soffiò sopra prima di berlo con piccoli sorsi.
“Tutto bene?” domandò Rory incerto.
Amy annuì, afferrando uno dei biscotti e iniziando a mangiucchiarlo con calma.
“Io volevo chiederti scusa.” Sciorinò Rory tutto d’un fiato. “Per prima. Al supermercato.” Specificò, allungandosi per stringere una mano di Amy tra le sue. “Scusa. Non volevo.”
La ragazza annuì con la testa, prendendo un altro sorso di the. Era caldo, era buono. Sorrise, pensando che non stava più parlando di the, ma di Rory.
“Va tutto bene. Scusami per la scenata, non so cosa mi sia preso.” Ammise lei, regalandogli il primo vero sorriso della giornata.
Rory le sorrise di rimando, rafforzando la presa. Si sbilanciò all’indietro, indeciso se continuare. Poi, abbracciato il coraggio a due mani si rialzò in piedi e aprì un’anta della cucina.
“Ho finito io di fare la spesa. Ecco.” Disse, posando sul tavolo la scatola incriminata.
Amy la osservò. Così, sul legno chiaro, tra loro due, non faceva più paura. Era una confezione anonima, con le sue scritte anonime. Non c’era niente di pericoloso, non più.
La ragazza espirò piano e sollevò lo sguardo incrociando quello di Rory, il suo Rory, che la osservava con quegli occhi brillanti. Inspirò a pieni polmoni e si rimise in piedi, afferrando la scatolina mentre l’adrenalina le offuscava la vista. Salì i gradini con l’animo più leggero e si chiuse in bagno. Sentì Rory raggiungerla poco dopo e posarsi contro l’uscio chiuso.
“Sai cosa fare?” le chiese con un tono misto tra l’apprensivo e il professionale.
Amy sorrise mentre apriva la scatolina e dispiegava con un gran rumore le istruzioni.
“Sì, tranquillo. Ho tutto sotto controllo.”
“Come quella volta con l’arrosto?” domandò lui con fare scherzoso, cercando di mitigare l’ansia.Padre. Sarebbe diventato padre.
“Non è stata colpa mia! È stato il Dottore a cambiare le impostazioni del forno!” si difese Amy, oltraggiata per il fatto che le sue doti culinarie fossero state messe in discussione.
Rory scoppiò a ridere. Sarebbe diventato padre in maniera canonica. Niente Signori del Tempo. Niente moglie che si scioglie al sole. Una gravidanza normale.
Amy si sedette sul bordo della vasca, come quella mattina. Sì, sapeva come funzionavano i test di gravidanza: aveva la borsa piena di quelle scatoline ormai usate. E tutte con esito negativo, come quella.
Riaprì la porta del bagno e si fiondò tra le braccia di Rory, seppellendo la delusione, la rabbia e il dolore nella sua camicia.
Ci mise un’ora ad addormentarsi, con il viso sporco di lacrime e trucco, i capelli scarmigliati e un mal di testa allucinante. Rory chiuse la porta della camera da letto silenziosamente e scese lentamente le scale, guardando le foto che gli sorridevano di rimando.
Prese le tazze che giacevano abbandonate sul tavolo e le sciacquò velocemente; buttò via la scatolina e lo sguardo gli cadde su un foglietto giallo, caduto appena fuori dalla pattumiera.

Passo io a prendere il latte.
Se ti serve altro chiamami.
Amy, xxx


“Oh, Amy.” Mormorò posandosi sul lavello, mentre vedeva le sue lacrime silenziose confondersi con le piccole gocce d’acqua. “Mi dispiace. Mi dispiace così tanto.”


~o0o~


“... e poi credo di avere inventato la pasta. Sì, lo so, è presto, ma mi è sfuggita! E ora devo scappareeeeeeeeeeeeeeeee!”

Il racconto del Dottore si concluse con il trillo della segreteria telefonica.
“È incredibile.” Commentò Rory con ancora la forchetta ferma a mezz’aria.
Amy mugugnò in segno di assenso con ancora la bocca piena della salsiccia che gli aveva rubato in un attimo di distrazione. Il ragazzo la guardò male, ma poi le sorrise. Era bello poterla vedere così felice.
“I tuoi programmi per oggi?” chiese Rory, afferrandole la mano.
La ragazza lo scrutò circospetta per un attimo. “Oh, le solite cose. Un po’ di quello, un po’ di questo.” Spiegò con un gesto casuale della mano.
“Perché non provi questo?” le propose lui, frugandosi un attimo nelle tasche, prima di tirare fuori un volantino.
Amy si sporse in avanti, strappandoglielo dalle mani e la fronte leggermente aggrottata.
“Non andrò a sentire un altro specialista.” Lo mise in guardia, puntandogli addosso il pezzo di carta come fosse una spada.
“Lo so. Lo so. Però forse il Dottore potrebbe…” tentò lui, ancora una volta.
“No. Non ho intenzione di sottopormi ad altri test. Il discorso è chiuso, Rory.” Ribatté Amy, sbattendo le mani sul tavolo con vigore per rimarcare il concetto. Gli restituì il volantino, senza nemmeno aprirlo.
Rory la guardò ferito, ma le sorrise incoraggiandola a prestare attenzione a quel pezzo di carta. Solo allora Amy abbassò lo sguardo per vedere cosa pubblicizzasse il volantino.
“Un provino?” domandò scettica.
“Sì. Ho pensato che ti sarebbe piaciuto. L’ho visto ieri al supermercato e visto che l’altra volta ti sei divertita…”
Rory non riuscì a finire la frase che si trovò Amy tra le braccia intenta a riempirgli ogni angolo di pelle di baci.
“Oh, Rory!”
“Allora, ti piace l’idea?” domandò lui, ancora incerto.
La ragazza gli tirò uno schiaffetto leggero, col sorriso più radioso di sempre.
“Stasera non prendere impegni.” Gli disse soltanto soffiandogli un ultimo bacio attraverso la stanza prima di scomparire su per le scale.
“Speriamo solo che il Dottore non intenda fare un saluto come l’altra volta!” le ulrò Rory dal piano di sotto. Amy rise leggermente.
“È inutile che ridi. Lui e la salvezza della Terra. Non è capace di rispettare una regola che sia una!” sbuffò ancora ripensando all’ultima volta che il Dottore aveva fatto capolino nella loro stanza da letto.
“Il Dottore e le regole? Davvero, Rory?” commentò Amy sbucandogli dietro le spalle, vestita e truccata di tutto punto.
“Beh, ci sono delle regole, no? Non è che può stare lì a intasarci la segreteria telefonica con i suoi aggiornamenti, spuntare a qualsiasi ora del giorno e della notte e sperare che possiamo essere sempre pronti.”
“Oh, ecco il mio maritino brontolone.” Lo prese in giro Amy, dandogli un buffetto sulla guancia.
“Almeno che si premurasse di venire a salvare la Terra quando davvero la Terra è in pericolo.”
“Dai, ha sbagliato la data solo una volta.”
“Solo una volta? Solo una volta?” chiese retoricamente il ragazzo, sventolando in aria lo strofinaccio. Amy gli depositò un bacio sul naso e poi uno sulla bocca con il chiaro intento di troncare il discorso sul nascere.
“Sei proprio come lui.” Borbottò il ragazzo, prima di approfondire il bacio.
“Ti amo Rory!” ribatté svelta la ragazza sciogliendosi dal suo abbraccio. Gli scoccò veloce un ultimo bacio, prima di uscire di corsa di casa con l’in bocca al lupo del suo Rory che ancora risuonava nelle sue orecchie.


~o0o~


“Ecco le vostre tisane.” Disse ossequioso l’Ood, porgendo le tazze fumanti ai due ragazzi.
Amy e Rory le afferrarono con un sorriso incerto sul volto.
“Non ti fa strano?” le domandò il ragazzo sorseggiando la bevanda calda e ringraziando l’Ood con un cenno della testa.
“Shh. Non dirlo a voce alta.”
“Ma mi sento in colpa. È come avere un elfo domestico.”
“Stai ancora leggendo Harry Potter?” domandò Amy, reprimendo una risatina.
“E allora? Che male c’è?” si difese lui, posando la tazza con un gesto seccato che fece trasalire l’Ood.
“Qualche problema, padrone?” domandò l’alieno, sporgendosi verso di lui. Rory si tirò indietro: tutti quei tentacoli erano davvero troppi. E poi di prima mattina, per colazione. Ok, era un infermiere ma anche gli infermieri a volte hanno bisogno di un po’ di sana tranquillità.
“No, nessuno. Davvero.” Disse affrettandosi a bere una lunga sorsata di tisana che gli bruciò la lingua. Stava per sputacchiare il liquido caldo in giro quando un calcio sotto al tavolo da parte di Amy e la sua occhiata ammonitrice lo fecero desistere. Deglutì con calma, con gli occhi che lacrimavano per il dolore mentre Amy distraeva l’alieno dandogli gli ordini per la giornata.
“Non mi sembra giusto.” Smozzicò lui piano, appena ebbe ripreso possesso della sua lingua martoriata.
“Che male c’è?” ribatté lei mentre si gustava la colazione preparata dal loro Ood personale. “L’ha detto il Dottore che il suo compito è quello di servire, altrimenti diventa pericoloso. E poi non ti facevo fan del C.R.E.P.A.”
Rory si passò una mano sul volto e solo a quel punto vide l’ora: era in ritardo.
“Va bene. Va bene.” disse ingurgitando la colazione con la massima velocità consentitagli. “Lo teniamo per un altro giorno.” Scattò in piedi e afferrò la giacca. “Ma se il Dottore non si fa vivo nemmeno domani lo chiamo, ok?” aggiunse sulla porta di casa.
“Ok!” rispose Amy, seguendo divertita con lo sguardo l’Ood che si affrettava a sistemare il pranzo per Rory e corrergli dietro lungo il vialetto di ingresso. Rise di gusto quando sentì un Rory piuttosto imbarazzato ringraziare con un eccesso di zelo l’alieno per avergli portato il cestino del pranzo.
La ragazza afferrò il telefono e compose il numero del TARDIS. Era ora per l’Ood di tornare a casa. Amy guardò con nostalgia la sua casa pulita, il bucato già steso ad asciugare, ripensò ai letti già fatti e ai pasti che non doveva nemmeno cucinare. Sospirò mentre il telefono squillava a vuoto e maledisse il Dottore per l’assenza di segreteria telefonica.
Riagganciò sconsolata: era davvero comodo l’Ood, anche se doveva ammettere che la tranquillità domestica un po’ le mancava.
Non aveva fatto nemmeno in tempo a finire la frase che un rumore al piano di sopra la fece scattare sull’attenti. Afferrò la propria borsa e risalì silenziosamente le scale. L’Ood era sul giardino sul retro intento a curare le piante, Rory era appena andato al lavoro e non aveva sentito nessun rumore di ferraglia. Salì i gradini il più silenziosamente possibile, tenendo la borsetta come fosse una mazza da baseball. Avrebbe dovuto comprarne una, si disse aggiungendola mentalmente alla lista della spesa. Arrivò guardinga sul pianerottolo: il rumore proveniva dal bagno. Si ancorò alla propria borsetta e la sollevò in aria pronta a colpire chiunque si fosse trovato all’interno. Mise la mano sul pomello e aprì la porta buttandosi di slancio all’interno.
“River?” domandò alla massa informe che stava combattendo con la tenda della doccia.
“Oh, mamy.” Rispose quella, litigando con la stoffa.
“Sta’ ferma che ti aiuto.” Disse Amy sbrigativa, posando la borsa sul lavandino ed accorrendo in soccorso della figlia. Era strano avere una figlia di quell’età, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine. A viaggiare con un Signore del Tempo non si sa mai come si finisce.
“Tutto bene?” le chiese dopo che l’ebbe liberata dalla prigione di stoffa.
La donna annuì, occhieggiando la borsetta abbandonata sul lavandino. “Volevi colpirmi con quella?” le domandò indicando l’oggetto, davvero poco contundente.
“Non avevo niente di meglio a portata di mano.” Spiegò Amy con una scrollata di spalle. “Ti va una tazza di the? O del caffè? Latte e cereali?” elencò mentre scendeva velocemente le scale. “Non so nemmeno cosa ti piace.” Ragionò fermandosi a metà, con un piede a mezz’aria. River la raggiunse e le posò piano una mano sulla spalla. “Amy? Va tutto bene.” le disse rincuorante. “Sono io. Sono Mels.”
La ragazza le sorrise grata, dirigendosi con fare sicuro verso la cucina. Tirò fuori il the e mise sul fuoco il bollitore, mentre apriva la scatola di biscotti che Rory le aveva comprato apposta.
“Grazie.” Rispose River, accomodandosi sullo sgabello mentre spulciava i vari infusi.

“Allora, che si dice?” domandò la donna, sorseggiando la propria tazza di the.
“Niente di che. Ho iniziato a lavorare come modella.”
“Ah, la ragazza stanca di aspettare.” commentò River atona.
“Lo sapevi?”
“Ah, mamy, mamy. Spoiler!” rispose svelta con un sorriso furbo sul volto.
“Siete proprio uguali.”
“Chi?”
Amy roteò gli occhi e nascose il sorriso dietro la propria tazza di the.
“A che punto siamo?” le domandò incuriosita.
River le sorrise dolcemente, anche se un’ombra di tristezza le oscurava il volto, mentre tirava fuori dalla borsa un involucro ripiegato con cura. “Le analisi che mi avevi chiesto.” Le disse avvicinando il plico alla madre, con il chiaro intento di evitare il discorso.
Amy represse una maledizione all’indirizzo del flusso temporale ed afferrò le carte. Strappò la busta con un gesto secco: via il dente, via il dolore era il suo motto. Aprì la busta e spiegò il risultato delle analisi, leggendo velocemente il responso medico.
“Mi sa che il Dottore mi farebbe davvero comodo in questo momento.”
“Perché?” domandò River, mangiucchiando un biscotto e spargendo briciole tutto intorno.
“Non ci capisco nulla!”
“Da qua.” Disse la donna rubandole il foglio di mano e leggendolo velocemente. “Senza TARDIS che traduce è difficile capirci qualcosa, ma non è niente che io non possa tradurre.” Si gongolò appena, facendo cenno ad Amy di passarle carta e penna.
“Cosa dice?” domandò la ragazza, vedendo la figlia corrugare la fronte ad intervalli più o meno regolari. “Dimmelo. Voglio saperlo. E-” aggiunse, prima di lasciarla parlare; “dimentica la regola numero uno del Dottore. Siamo intese?”
River annuì e le girò il foglio con la traduzione annessa. Amy lo sfogliò con cura, passando le varie parole con la punta delle dita, ripercorrendo i fronzoli della calligrafia chiara della figlia.
“Non ho nulla.” Esalò infine, sconcertata. Aveva pensato che almeno le Sorelle avrebbero potuto diagnosticarle qualcosa, darle una spiegazione. E invece era tutto nella norma. Non c’era niente di anomalo nel suo corpo. Nulla di nulla. Tranne il fatto che non riusciva ad avere figli.
“Amy…” sussurrò River, allungandosi sul tavolo per afferrare la mano della madre che aveva cominciato a tremare. “È un bene, no?” le chiese con tono incerto.
La ragazza negò con la testa, lasciando che i capelli le coprissero gli occhi velati dalle lacrime.
“Un figlio, River.” Mormorò con un filo di voce. “Rory vuole un figlio.” Continuò alzando il tono, la voce rotta dalle lacrime. “Rory vuole un figlio e io non posso darglielo.” Si alzò in piedi e prese a camminare su e giù per la stanza, sfogandosi con sua figlia, raccontandole tutte le sue paure, le sue menzogne, i suoi timori. “Non posso andare avanti così.” Dichiarò infine, sconfitta. Si lasciò cadere sul divano e subito River accorse ad abbracciarla.
“Posso fare qualcosa per te?” si offrì la donna, porgendole l’ennesimo fazzoletto. Amy si soffiò il naso e si asciugò il volto impiastricciato di trucco. Scosse la testa in segno di rifiuto e si ributtò sui cuscini.
“Posso rispondere a una domanda, se vuoi.” Le propose la donna, stringendo le mani della madre tra le sue. “La sola verità, niente discorsi interrotti a metà, frasi lasciate in sospeso.”
“Va contro tutte le regole dei Signori del Tempo.” rispose Amy, accorgendosi di quanto una frase buttata lì potesse essere nociva per il futuro. River le sorrise, con gli occhi dolci di una figlia che sa tanto ma che può dire molto poco.
“Allora ti dico una cosa che già sai, solo che non hai ancora il coraggio di vedere.” Le disse, facendosi improvvisamente seria mentre nella sua mente provava a scegliere le parole giuste. Perché era vero ciò che Amy aveva espresso: era pericoloso conoscere il proprio futuro, si correva il rischio di creare un punto fisso nello spazio. River prese un respiro profondo, guardando Amy di sottecchi. La madre la fissava con i suoi grandi occhi, era un po’ preoccupata, ma il suo animo era deciso. Amy la osservava di rimando con uno sguardo dolce ma anche strano: era difficile riconoscere nei suoi tratti la figlia che aveva avuto modo di stringere solo che per pochi attimi. In lei vi era celata l’amica con cui aveva trascorso l’infanzia e la donna che viaggiava con il Dottore e che lei aveva visto solo per fugaci istanti. Però l’istinto le diceva altro, molto altro.
“Amy, mamy.” Iniziò River, mettendosi più comoda sui cuscini del divano. “Tu e papà…” si interruppe, non avendo trovato ancora le parole con cui proseguire.
Amy vide la figlia abbassare lo sguardo sulle loro mani ancora intrecciate e sulla fede che orgogliosa scintillava ancora al dito. Le due donne si sorrisero in quel discorso che sarebbe apparso senza senso in una famiglia diversa dalla famiglia Pond.

“Grazie, Melody.” Sussurrò Amy, dando un ultimo abbraccio con gli occhi alla donna che si stagliava ancora nella stanza. River le regalò un ultimo sguardo, prima di scomparire con un lampo.
“Grazie a te, Amelia Pond.”


~o0o~


Amy entrò nella stanza in punta dei piedi, attenta a non far rumore. Si era spogliata in bagno e ora teneva tutti gli abiti su un braccio, mentre con il cellulare in mano si faceva luce nella camera. Lasciò cadere i vestiti sulla poltrona accanto al letto, in un intrico confuso di maglie e calze. Da qualche parte dovevano anche esserci i suoi orecchini: o erano ingarbugliati nella sciarpa o li aveva persi da qualche parte.
Amy scostò piano le coperte e si distese il più lentamente possibile nel letto. Era sceso l’inverno e le coperte erano ghiacciate dalla sua parte. Le sarebbe bastato spostarsi appena e intrecciare le proprie gambe con quelle di Rory per poter dormire serena.
Ma non l’avrebbe fatto.
Si raggomitolò in posizione fetale, stando attenta a non muoversi troppo nel letto, e poi chiuse gli occhi pregando di potersi addormentare al più presto. Le immagini della festa le vorticavano ancora dietro le palpebre chiuse. C’era tanta gente che regalava sorrisi falsi, sorrisi di circostanza, sorrisi che volevano essere ammaliatori ma che la facevano sentire triste e sola, sbagliata in quel posto così diverso dalla vera Amy. Aveva le orecchie ancora piene di discorsi vuoti e senza senso – persino un paradosso temporale sarebbe stato più ben accetto. Dio, quanto le mancava il Dottore, ma si costrinse a non pensarci –, il rumore sordo dei bicchieri che cozzavano tra loro, lo champagne che scorreva a fiumi. Sentiva ancora il tintinnio dei propri braccialetti quando il suo braccio si muoveva meccanicamente impegnato a stringere le mani a milioni di sconosciuti. Le facevano male le labbra, costrette per troppe ore a mantenere un sorriso accondiscente, le dolevano i piedi, la schiena, ogni singola fibra del suo corpo urlava pietà e riposo.
Amy si girò dall’altra parte, decisa a scacciare il fastidio della serata voltando ad essa le spalle e si trovò a rimirare la schiena di Rory. Il ragazzo era rannicchiato dalla sua parte del letto, con la coperta stretta attorno al corpo come un bozzolo caldo. La ragazza sollevò una mano, il miraggio di una carezza muoveva il suo braccio, ma questo ricadde senza vita sul letto, tra il freddo che li divideva.
Amy si addormentò così, con la mano tesa verso un abbraccio che era vivo e caldo solo nel suo ricordo.

Rory si svegliò prima del suono della sveglia.
I suoi occhi scattarono verso il soffitto bianco: non c’era più un letto sopra il suo ad oscurargli la visuale. Doveva ammetterlo: un po’ gli mancava il letto a castello, il TARDIS, le avventure, Amy.
Già Amy.
Allungò il braccio verso l’orologio: erano quasi le 6 e doveva andare al lavoro. Spense la sveglia e si alzò dal letto, muovendosi alla cieca per cercare la vestaglia che aveva abbandonato la notte prima sulla poltrona. Tastò l’ammasso di abiti ammonticchiati e, dopo molto cercare, trovò ciò che cercava. Si drappeggiò l’abito addosso con una mossa che Amy avrebbe definito quanto mai teatrale.
Amy.
Ancora una volta.
Sospirò e uscì dalla stanza in punta dei piedi. Non aveva sentito la ragazza rincasare quella notte e questo significava che doveva essere arrivata ben tardi. Le avrebbe fatto bene dormire qualche ora in più.
Si fiondò in doccia, scacciando via gli ultimi residui di sonno. Aveva fatto un sogno strano che gli aveva lasciato un velo di inquietudine addosso. Solo che non si ricordava nulla.
Scacciò quei pensieri strofinando con forza i capelli con lo shampoo e dimenticò ogni problema finendo di lavarsi via con l’acqua calda. Si vestì di fretta in quel bagno umido per il troppo calore e si fermò solo un attimo per contemplare il proprio volto allo specchio. La superficie riflettente gli rimandava l’immagine di uno spettro di uomo. Aveva il volto pallido e delle profonde occhiaie accentuavano i suoi occhi rossi. Si diede una sciacqua al viso con l’acqua gelida prima di fiondarsi giù per le scale.
Il silenzio della cucina lo invase: l’Ood era sparito da un po’ di tempo e Amy rincasava sempre troppo tardi per potersi alzare e fargli compagnia di prima mattina, mentre lui faceva la colazione.
A Rory erano piaciuti i primi tempi, quando lei arrivava tutta assonnata giù per le scale, con una coperta drappeggiata addosso. Si sedeva sulla sedia di fronte alla sua e con gli occhi ancora impastati dal sonno lo osservava mentre lui sorseggiava il the caldo. Qualche volta Amy allungava la mano per rubargli un biscotto, o, se lui si era svegliato prima del solito e aveva avuto il tempo di mettersi ai fornelli, gli scroccava l’ultimo boccone di bacon sorridendo compiaciuta. Ogni volta la ragazza tirava fuori la storia della dieta – per Rory, non per se stessa – e a lui non rimaneva altro che sorridere innamorato per quella ragazza che aveva avuto la fortuna di sposare.
Adesso invece al suo trambusto in cucina non succedeva nulla: niente Ood, niente Amy, niente colazione per due. E lui cucinava sempre in abbondanza, un po’ per se stesso e un po’ per la sua Amy, ma ormai lei non scendeva più a fargli compagnia. Rory abbassò lo sguardo e valutò la propria pancia: forse un filino di grasso l’aveva messo su.
Gli mancava Amy.
Gli mancava da togliergli il fiato.
Aveva provato ad affrontarla un giorno – anzi una notte, visto gli orari in cui lei rincasava –, ma non aveva ottenuto nulla. Amy si era addormentata sul divano, mentre lui continuava il proprio monologo recriminando la carenza di attenzioni, la distanza che aveva messo la ragazza tra di loro. Rory si era interrotto e si era fermato a guardarla, sospeso tra l’essere arrabbiato e l’essere innamorato. Amy era bella, ai suoi occhi era sempre bellissima. Anche con quelle occhiaie che il trucco non riusciva più a nascondere e i capelli sfibrati per le troppe acconciature che cambiava nell’arco di una sola giornata. Il ragazzo l’aveva osservata attentamente: aveva visto la sua espressione di rabbia cambiare con l’arrivo del sonno e trasformarsi in una maschera di dolore. Così Rory non aveva potuto fare altro che prendere la ragazza in braccio e portarla a letto il più silenziosamente possibile, sistemandola sotto le coperte con un dolce bacio sulla fronte.
Rory sospirò al ricordo: quella notte era stata l’ultima che avevano dormito assieme, l’ultima notte in cui lui aveva avuto la possibilità di sfiorarla, di nascondere il proprio volto tra i suoi capelli, di potersi stringere a lei.
Gli mancava Amy.
Gli mancava terribilmente.
Il ragazzo si alzò di corsa: l’orologio segnava inesorabile il suo cronico ritardo. Sistemò gli avanzi in frigo e pulì velocemente i piatti. Fece un ultimo salto in bagno per darsi la svegliata definitiva e infine caracollò giù per le scale mentre si infilava di tutta fretta la giacca. Prese le chiavi e il suo sguardo gli cadde sui post-it gialli. Di solito, se non si incontravano nell’arco della giornata si lasciavano un bigliettino: un promemoria delle cose da fare o da comprare, o anche un semplice saluto di buongiorno.
Rory inspirò profondamente, indeciso sul da farsi. Prese in mano la penna e ci giocherello per un attimo distratto. Lanciò un’occhiata al piano di sopra ancora silenzioso e alla cucina spoglia. Chiuse la penna e si sbatté la porta dietro le spalle.

Poco dopo Amy si affacciò sulle scale: aveva sentito lo scalpiccio di Rory per tutta casa, il suo rimestare con le pentole e il bollitore dell’acqua. Si era svegliata silenziosamente e l’aveva osservato fare colazione dall’alto delle scale, protetta dalla sua vista dall’oscurità in cui il piano superiore era avvolto. Aveva visto l’attimo di indecisione di Rory davanti ai post-it, con la penna che si era librata a lungo sul foglio giallo.
Amy scese le scale velocemente e agguantò i foglietti. Erano intonsi: nessun promemoria, nessun saluto. Amy li strinse in un pugno e sentì il proprio corpo tremare. Si accucciò per terra, stringendosi le gambe con le braccia e nascondendoci il volto dentro mentre sentiva le proprie lacrime solcarle la faccia.
Pianse.
Pianse fino a non avere più la forza di farlo.
Pianse tutte le lacrime che non aveva mai versato.
Pianse per Rory sul pavimento dell’ingresso.
Pianse per loro, versando le proprie lacrime su quei fogli gialli.
Pianse per se stessa, sulla sua pancia sempre terribilmente piatta.
Dopo quelle che le parvero ore si rialzò in piedi. Era infreddolita e sentiva gli occhi bruciare dal dolore. Arrivò fino al lavello della cucina e buttò la testa sotto il getto di acqua gelida. Si bagnò i capelli, ma non le poteva interessare di meno. Voleva sentire dolore, voleva provare ancora più dolore di quello che sapeva di star causando a Rory. Quando ormai non riusciva più a sorreggersi in piedi per i brividi chiuse l’acqua e si lasciò cadere su una sedia, lasciandosi tremare. Solo in un secondo momento si accorse del telefono di casa che squillava. Lasciò che scattasse la segreteria: in quel momento non aveva voglia di parlare con nessuno. E in cuor suo sperava di sentire la voce di Rory in quel messaggio. O almeno del Dottore. Aveva bisogno di parlare con lui, aveva bisogno di sentire la sua voce raccontare storie meravigliose, storie un po’ pazze ma che l’avrebbero fatta sorridere.
“Amy? Sei in casa? Beh, volevo dirti che il servizio fotografico di oggi è posticipato, vieni direttamente da Charles per le 11. Ti aspettiamo.”
Amy sospirò. Aveva sperato che fosse Rory: il suo cuore ci aveva creduto fino a quando la voce della propria agente non aveva riempito il silenzio di quella casa.
La ragazza si preparò con gesti meccanici: aveva ormai imparato ogni trucco per cancellare qualsiasi segno del proprio dolore dal volto. Arrivò al frigo, decisa a buttare giù almeno un goccio di latte quando le caddero gli occhi sulla colazione avanzata di Rory. Prese il piatto mentre sentiva le proprie mani tremare. C’era un po’ di bacon, salsiccia e funghi. Ma non era tanto il contenuto ad interessarle, quanto la disposizione del cibo sul piatto. Formava un piccolo cuore e Amy scoppiò nuovamente a piangere perché sapeva di non meritarsi tutte quelle attenzioni, non da Rory. Non le meritava e le sue lacrime ticchettavano sulla pellicola che copriva la colazione. La ragazza si asciugò con forza le lacrime e sbatté la porta del frigorifero, lasciando il piatto intonso all’interno.
Aveva ormai preso la propria decisione e non aveva alcuna intenzione di tornare indietro.
Rory meritava qualcuno di migliore al suo fianco.
E quel qualcuno non poteva essere lei. 


~o0o~


“Vai Tesoro. Bene così. Ora guardami. Oh, sei davvero perfetta.” La omaggiò il fotografo scattando una miriade di foto. Il flash illuminò ancora la stanza, lasciando dietro le orbite della giovane Amy tanti puntini colorati che le annebbiavano la vista. Le bruciavano gli occhi e le faceva male il volto, costretto in un sorriso sforzato da ormai troppe ore.
“Inclina la testa da quella parte. Ottimo, perfetto così.” L’uomo continuò a scattare, variando le luci che illuminavano il volto della propria modella e cambiando spesso posizione.
“Perfetta. Assolutamente perfetta. Hai un vero talento naturale, tesoro.” Le disse chiudendo finalmente l’obbiettivo.
Amy gli regalò un ultimo sorriso tirato e sospirò internamente, felice di aver finalmente finito la giornata. Afferrò l’asciugamano che la propria agente le porgeva e, prima che la donna potesse dirle qualcosa, si precipitò nel proprio camerino e si chiuse dentro. Si diede una sciacquata al volto e si struccò velocemente. Indossò i propri abiti comodi, immergendosi nel calore della sua felpa. Sorrise felice nel risentire il profumo di casa impregnare il tessuto.
Rimase seduta sulla propria poltrona aspettando che fuori spiovesse. Un temporale estivo era episodio comune a Londra, soprattutto in quella strana estate.
Uscì solo quando gli ultimi raggi del sole, segno che la giornata stava giungendo a termine, iniziarono a sbucare dalle nuvole. Camminò per le vie ancora bagnate dalla pioggia, respirando l’aria di pulito che il temporale aveva portato; curiosò le varie vetrine, dove ogni tanto il proprio volto della sua ultima campagna pubblicitaria la salutava con un piccolo broncio. Sorrise alla se stessa del cartellone e, non vista, le lanciò una linguaccia.
Entrò al supermercato con animo più leggero, comprando le ultime cose per la cena di quella sera.
Era una data importante, questa.
E andava assolutamente festeggiata.
Rientrò a casa con due buste pesanti, destreggiandosi sull’ingresso per chiudere la porta mentre tentava di sfilare le chiavi dalla toppa senza far cadere la spesa per terra.
“Rory!” salutò leggermente affannata per lo sforzo. “Rory! Sono a casa!”
Solo il silenzio le rispose.
Avanzò fino alla cucina, dove lasciò cadere le buste sul ripiano. Lanciò un’occhiata intorno e lo sguardo le cadde sulla cornice rovesciata: era la foto del loro matrimonio.
Fu un attimo e i ricordi della sera prima la investirono come un treno lanciato a tutta velocità. Si sentì spaesata e tramortita e si sedette sullo sgabello prima di precipitare al suolo.
Non ci poteva credere.
Non poteva credere a ciò che era successo.
Rory.
Il litigio.
Rory.
Le parole forti, crudeli, atte a far male, a ferire.
Rory.
La rabbia.
Rory.
Le lacrime.
Rory.
Il silenzio.

E la porta che sbatteva.
Una valigia all’ingresso della loro casa.
La solitudine.

Si passò una mano sugli occhi, scoprendoli bagnati di lacrime.
Rory.
Gli aveva urlato dietro.
E lui le aveva urlato addosso.
Rory.

Sentì il suo corpo intero tremare per il freddo che sentiva nel suo animo. L’aveva allontanato, l’aveva fatto per il suo bene.
Rory meritava una donna migliore al suo fianco.
E quella donna non poteva essere lei.
Meritava di essere felice.
Meritava di più di quello che lei poteva offrirgli.
L’aveva lasciato andare perché lei lo amava così tanto, ma così tanto che non poteva costringerlo a rimanere al suo fianco senza che lei potesse dargli ciò che più desiderava. Non poteva essere egoista e tenere Rory, il suo Rory, accanto a sé privandolo della gioia di poter avere una vera famiglia attorno.
Oh, se lo amava.
Lo amava davvero tanto.
Lo amava così tanto che aveva dovuto dirgli addio, allontanarlo pian piano. E poi ferirlo. Ucciderlo con quelle parole crudeli. Voleva che lui fosse felice, ma non poteva esserlo se fosse rimasto al suo fianco.

Amy si asciugò con rabbia le ultime lacrime che le bagnavano il volto. Guardò la spesa abbandonata sul ripiano della cucina e sospirò tristemente. Allungò una mano verso la segreteria telefonica e la azionò sperando in nemmeno lei sapeva cosa.

Non ci sono messaggi.

La ragazza si sistemò i capelli, mentre quella nuova solitudine iniziava a farsi strada nel suo cuore.
“Dottore, ho davvero bisogno di te.” Sussurrò al silenzio di quella casa.
Aveva bisogno del Dottore, solo lui poteva essere la soluzione ai loro problemi. 


~o0o~


E il Dottore alla fine era arrivato.
Era giunto in modo un po’ inaspettato, con l’inchiostro sui fogli del divorzio che si stava ancora asciugando.
C’erano i Dalek ed era una questione di vita o di morte.
Ma lui era lì per loro, solo e unicamente per loro. Non si era dato per vinto, aveva ascoltato i loro silenzi, aveva affrontato il freddo dei loro cuori per aiutarli a ricordare chi erano: Amy, la ragazza che ha aspettato, e Rory, l’ultimo centurione.
Lui aveva dato loro un’ultima – pazzesca – possibilità per chiarirsi e a Amy non interessava se in quel momento quel mondo stesse per saltare in aria, l’unica cosa veramente importante erano le labbra di Rory.
Il suo Rory.
Lo baciava e piangeva.
Piangeva e lo baciava.
Baci.
Baci.
E ancora baci. 
   
 
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