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Autore: Tecla Sunrise    22/01/2013    2 recensioni
Leah Clearwater non era mai stata una ragazza superstiziosa, né mai lo sarebbe stata: lei era forte, combattiva, dura, acida, stronza. Una con le palle.
Eppure…
Eppure niente, lei era Leah Clearwater, quella tosta che più tosta non si può.
…Beh, in effetti, Leah, da qualche tempo, si sentiva strana: niente di preoccupante, non per lei, ovviamente… tuttavia aveva cominciato timidamente a chiedersi se effettivamente il mondo non ce l’avesse con lei.
Ma giusto un attimo, eh.
Prima era stata lasciata per sua cugina e ok, quello era normale – doloroso, certo, ma tutto sommato normale -, poi era diventata un licantropo e aveva dovuto condividere ogni fottuto pensiero con il suo ex – e già qui, Leah se l’era fatte, un paio di domande.
Poi aveva cambiato branco, sorvegliato e protetto i Culocullen – Leah aveva ancora gl’incubi –, si era sorbita una ventina di vampiri desiderati, una quarantina indesiderati, una possibile battaglia sanguinaria ed era entrata in menopausa.
A vent’anni.
A quel punto aveva pensato che, con tutto il pieno di sfiga che aveva fatto, il destino avrebbe anche potuto dimenticarsi di lei; giusto il tempo per una vacanzina alle Hawaii, niente di elaborato, eh.
Era stata accontentata.
Eppure...
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Leah Clearweater, Nuovo personaggio
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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LA CERETTA (e no, non è il titolo di un film horror. Non ancora, almeno)



Leah Clearwater non era mai stata una ragazza superstiziosa, né mai lo sarebbe stata: lei era forte, combattiva, dura, acida, stronza. Una con le palle, per usare un francesismo parecchio azzeccato.
Eppure…
Eppure niente, insomma, lei era Leah Clearwater, quella tosta che più tosta non si può.
…Beh, in effetti, Leah Clearwater, da qualche tempo, si sentiva strana: niente di preoccupante, non per lei, ovviamente… tuttavia aveva cominciato timidamente a chiedersi se effettivamente il mondo non ce l’avesse con lei.
Ma giusto un attimo, eh.
Prima era stata lasciata per sua cugina e ok, quello era normale – doloroso, certo, ma tutto sommato normale -, poi era diventata un licantropo e aveva dovuto condividere ogni fottuto pensiero con il suo ex – e già qui, Leah se l’era fatte, un paio di domande.
All’inizio era stato uno strazio, poi aveva capito come volgere il tutto a suo favore: ogni volta che Sam Lo Schifoso si trasformava, lei s’impegnava a pensare alle cose più disgustose che avesse mai fatto o visto o sentito in vita sua.
Lo Schifoso era stato sull’orlo di impazzire, insieme ad un altro paio di componenti del branco: Leah era quasi certa che fossero Paul e Quil e quello l’aveva resa ancora più soddisfatta del suo operato.
Poi aveva cambiato branco, sorvegliato e protetto i Culocullen – Leah aveva ancora gl’incubi –, si era sorbita una ventina di vampiri desiderati, una quarantina indesiderati, una possibile battaglia sanguinaria ed era entrata in menopausa.
A vent’anni.
A quel punto aveva pensato che, con tutto il pieno di sfiga e supersfiga che aveva fatto, il destino avrebbe anche potuto dimenticarsi di lei; giusto il tempo per una vacanzina alle Hawaii, niente di elaborato, eh.
Era stata accontentata.
Ma Leah Clearwater, per quanto si fosse finalmente rilassata, sapeva che c’era ancora qualcosa.
 
***
 
Biglietti: prenotati e stampati.
Passaporto: rinnovato.
Valigia: fatta, disfatta e rifatta di nuovo. Due volte.
Pieno alla macchina: fatto.
Bacio al Sergente: fatto.
Calcio ben assestato et dolorosissimo a Jacob: fatto. Due volte. Tre. Ok, cinque, cinque volte.
Abbraccio tritura-ossa a Seth: fatto.
Pigiama: …
Cazzo!
Corsi alla cassettiera scassatissima della mia camera, infilando a casaccio le mani nel cassetto e ringhiando: dimenticavo sempre il pigiama.
Mi sembrò di tornare a quando avevo cinque anni e il Sergente mi sgridava sempre per essermelo dimenticata, costringendolo a comprarmene uno nuovo.
Dal cassetto emerse una maglietta sbiadita e sbrindellata con la scritta Hollywood sul petto, che una volta era stata una camicia da notte piuttosto lunga e scomoda.
La infilai in valigia senza troppi ripensamenti, sicura che, se tutto fosse andato come previsto, non avrei avuto bisogno di usarla.
Non dopo la prima notte, almeno.
Richiusi la valigia con uno scatto nervoso e mi rialzai, tornando al mio elenco mentale di cose da fare.
Prima che potessi concentrarmi di nuovo, però, il mio sguardo corse con orrore alla figura riflessa dallo specchio: indossavo un top rosso e un paio di shorts presi a caso tra il mucchio dei vestiti da licantropo.
Mi si ghiacciò il sangue nelle vene e rimasi immobile, con gli occhi fissi sulle mie gambe, incapace di mettere insieme un pensiero coerente che fosse diverso da “peli”.
Peli dappertutto.
Andai in iperventilazione e fui costretta a sedermi sul letto per non cadere a terra; come avevo potuto dimenticarmi una cosa così importante?
Avevo passato le scorse settimane a pianificare nel minimo dettaglio tutto, onde evitare che la sfiga cosmica ci mettesse lo zampino, e mi ero dimenticata di fare la ceretta.
Come diavolo era potuto accadere?!
Ok, recentemente – diciamo pure negli ultimi tre anni – non avevo fatto molto caso al mio aspetto estetico: per prima cosa, non ero una che si mettesse in tiro spesso e inoltre, passando le mie giornate nei boschi e rotolarmi nel fango sotto forma di lupo, non è che l’estetica fosse proprio al primo posto dei miei pensieri.
Ma ora dovevo andare alle Hawaii, scopare come una pazza per due settimane e rilassarmi come non avevo mai fatto,non giocare alla lotta.
Mi serviva una ceretta, dannazione.
E, visto che il mio volo sarebbe partito da Seattle nel giro di cinque ore, mi serviva subito.
Tentai di calmarmi e pensare razionalmente, distogliendo lo sguardo dallo spettacolo orrendo che si era presentato ai miei occhi – i miei poveri occhi!
Presi in mano il cellulare, rendendomi conto solo in quel momento di star tremando come una foglia; ricacciai indietro il lupo, ringhiando un avvertimento al mio stesso corpo: era il momento di agire, quello, non di giocare ad un’altra partita alla giostra dei mostri.
Scesi di corsa le scale, trascinandomi dietro la valigia come se fosse fatta di piume, senza curarmi del vaso che avevo appena fatto cadere; uscii di casa di corsa, sotto lo sguardo attonito di mio fratello.
“Leah? Ma che stai…?”
“Seth, è un’emergenza!”
Il suo volto si contrasse in una smorfia grave e lo vidi ergersi in tutta la sua altezza “Cos’è successo, Leah? Il branco è…?”
“Ma chissene frega del branco!” urlai, incazzata come una belva.
Raggiunsi la macchina e ci lanciai dentro la valigia, ignorando il vago scricchiolio di protesta del mio ammasso di ferraglia.
“E allora cosa…?”
Seth mi aveva raggiunto e lo scansai senza tante cerimonie, concentrata con tutte le mie forze nel raggiungere il posto del guidatore il prima possibile.
“Parto prima, mi hanno spostato il volo” inventai di sana pianta, accendendo il motore che, con un rombo assordante, protestò per la mia insolita violenza.
“Ma come è poss-…?”
“Ciao Seth, saluta Il Sergente!” urlai, mentre ero già sgommata via; guidai come una pazza per dieci minuti e finalmente raggiunsi l’autostrada, facendo sbandare un paio di macchine quando m’inserii nel traffico delle cinque.
Guidai per un’ora e mezza con il piede perennemente schiacciato sull’acceleratore, suonando il clacson a ripetizione e mandando a cagare un bel po’ di autisti, prima di vedere la luminosa uscita di Seattle apparire nel mio raggio d’azione.
Ci mancò poco che piangessi dal sollievo.
Un angolino della mia mente si complimentò con me per aver fatto il tragitto La Push – Seattle in un’ora e mezza, quando normalmente ce ne avrei messe due e quaranta, senza provocare incidenti e alla guida di una vecchia Ford del ‘96.
Ora mancava solo un’estetista.
 
***
 
Mezz’ora, tre giri di Seattle e qualche bestemmia dopo, inchiodai in un minuscolo posteggio e scesi dalla macchina correndo: l’avevo trovato.
Mi fermai davanti alla vetrina e respirai profondamente: si chiamava Tropical Light ma di Tropical, quel posto, aveva soltanto un’estetista annoiata con una piuma blu attaccata alla bell’e meglio tra i riccioli platino.
Entrai e decisi che non era proprio il caso di fare la schizzinosa, visto che alla chiusura del gate mancavano solo due ore e mezza.
La bionda alzò il suo sguardo vacuo su di me, smettendo di limarsi le unghie; la sua pelle era talmente abbronzata che, al confronto, io avrei potuto definirmi una viso pallido.
“Buonasera. Devo fare una ceretta completa” dissi, tamburellando impazientemente le dita sul bancone di marmo.
La Pochaontas dei poveri mi sorrise, dolce e caramellosa come solo Barbie avrebbe saputo essere.
“Mi dispiace, siamo pieni”
Ci misi qualche secondo per realizzare cosa avesse detto, dal momento che il sorriso era ancora congelato sulle labbra-canotto.
“Mi prende in giro?” chiesi, inarcando minacciosamente un sopracciglio.
Parola mia, se questa non avesse collaborato l’avrei sbranata con tanto di piuma.
Sembrò sorpresa “Beh, no. Mi scusi”
Presi un respiro profondo, calmando il Lupo, e le feci un sorriso che, dall’espressione terrorizzata che assunse, probabilmente somigliava molto ad un ghigno diabolico.
“Mi ascolti bene, principessina: ho un aereo che parte per le Hawaii tra un’ora” piccola licenza poetica “Mi serve una fottuta ceretta e mi serve ora
Ci mise qualche secondo per passare dal terrorizzata all’incazzata e io osservai il processo sempre più imbufalita.
Pochaontas giocava col fuoco.
“Lei non si deve permettere di…”
I miei occhi lampeggiarono e scoprii i canini, ringhiando “O mi accontenti o finisci male.”
La paura era tornata sul suo volto.
Bene.
 
***
Strap.
“Cristo!” ruggii, staccando una parte del lettino su cui ero stesa; Pochaontas si concesse un breve sorrisino di vittoria, nonostante la paura – incrementata dalla mia involontaria opera di demolizione – albergasse ancora nel suo sguardo.
“Male?” chiese, tentando di essere sarcastica, ma, al mio sguardo omicida, trasformò il tono in un pigolio spaventato.
Cazzo, male sì.
Non ricordavo che fosse così tanto doloroso, in effetti.
Ci avevo messo meno di cinque minuti a capire perché: la licantropia non solo rendeva i miei capelli morbidi e resistenti, ma aveva trasformato i miei peli in soldatini d’acciaio saldati alla pelle.
Strap.
Mi partì una bestemmia, sotto lo sguardo scioccato di Pochaontas; quest’ultima, appena si fu ripresa dalla sorpresa, mi punì con una passata di cera sull’inguine.
Oddio. Oddio. Oddio, oddio, oddio, oddio, oddio…
STRAP.
“Aaargh! Porca puttana! Porca puttana!!”
Vedevo rosso e ci mancò tanto così perché mi trasformassi sotto gli occhi di Pochaontas per scuoiarla viva.
“Dddio…”
Mi lasciai cadere sul lettino, distrutta: avevo provato un male simile solo quando, durante una lotta piuttosto accesa con quel cretino di Paul, eravamo entrambi finiti giù da un dirupo.
Mi ero rotta le ossa in 77 punti diversi, Paul in 83, e non aveva fatto male neanche la metà di questa tortura.
Bestemmiai mentalmente per evitare ritorsioni da parte dell’estetista; non ero mai stata una persona aggraziata e beneducata, questo era vero, ma condividere costantemente ogni più piccolo pensiero con una banda di diciassette adolescenti scalmanati, rozzi e puzzolenti doveva aver aggravato la mia situazione.
E, considerando la mia situazione precedente, ero davvero diventata sboccata.
Strap.
Strap, strap, strap.
Strap.
Cazzo, straaaap.
“Finito. Se ne vada, adesso”
Mi alzai e rivestii di corsa, rallentata dal dolorosissimo indolenzimento di braccia e gambe, sotto lo sguardo incattivito della Barbie.
“Quanto ti devo?”
La vidi alzare gli occhi al cielo “Oltre ad un abbonamento a vita da uno psicologo? Quaranta dollari.”
Ghignai e le porsi cinquanta “Tieni il resto e grazie della disponibilità, …?”
Prese i soldi e se li infilò nel reggiseno “Barbara. Mi chiamo Barbara”
Risi come se non ci fosse un domani.
Barbara.
Mi ero fatta fare la ceretta da Barbie Pochaontas!
 
***
 
Miss Wellington sobbalzò quando il rombo di un tuono squarciò il silenzio terapeutico; le mani di Kelly, la sua massaggiatrice di fiducia, fecero presa sulla sua schiena con un po’ di forza, costringendola a rilassarsi di nuovo.
Avrebbe voluto chiedere per quale motivo il tuono sembrasse così… nasale e, soprattutto, se stesse piovendo: in quel caso sarebbe stato un bel problema, per Eric, partire per le Hawaii.
Ma il massaggio era così rilassante... avrebbe dato una lauta mancia alla proprietaria, Barbara.

 
 
Note
Non so perchè abbia scritto... questa, questa... cosa.
Non ha alcun senso e credo sia la cosa più stupida che abbia mai scritto. amen.
Perlomeno, durante la MIA ceretta, mi ha distratto il pensare a cosa avrebbe fatto Leah al mio posto :) grazie, cara!
Per chi non lo sapesse Barbie è effettivamente il nomigliolo di Barbara; non so se esista Barbie Pochaontas, ma l'idea mi piaceva da morire e quindi...
chiudo col dire che il tuono che sente Miss Wellington è la risata di Leah e che Eric potrebbe ricomparire, in futuro.
GoodBye Strangers!
p.s. anche se è una schifezza, recensite! voglio sapere quanto schifezza sia!
un bacio a tutti!
Tecla
  
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