Lettre
à personne
« Ho
imparato da mia madre a non temere la morte
e la
attenderò con fermezza »
Maria
Antonietta, Regina di Francia
*
Questa
è probabilmente una lettera a nessuno, ma io Vi
scrivo comunque, mon ami,
sperando che
– ovunque o chiunque Voi siate – possiate
trovare questo foglio di carta ingiallito e stropicciato. Supplico il
Mio Dio
di conservare queste righe nel tempo e di prendersene cura,
perché sono tutto
ciò che mi rimane.
Perdonatemi, se
la mia calligrafia non è delle più eleganti
– un tempo era la più bella tra le belle, proprio
come me – ma questo gelo è
penetrato nelle mie vene, raffreddando le mie mani così
tanto da non riuscire
più a muovere le dita.
Mi dispiace non
essere a conoscenza della Vostra identità,
mio Signore, suppongo possa essere una grave mancanza da parte mia, ma
sono
sicura che possiate comprendere le mie ragioni: siete l’unica
persona cara che
ho, dopotutto.
Voi, che
potreste essere chiunque, ma anche nessuno.
Ho bisogno della
Vostra fedeltà, almeno della Vostra –
chiunque Voi siate – così da potermi rallegrare un
poco, in questi tempi in cui
il mio popolo ha deciso di punire
la
mia indifferenza, il mio scegliere di non scegliere.
Spero di essere
comprensibile, sto tentando di raggruppare i
pensieri, di scegliere con cura i termini per formare quelle che sono
le mie ultime parole.
Oh, no, non Vi
spaventate, mon ami, io non lo sono
più, oramai, quindi non dovete esserlo Voi
per me. Supportatemi in questo orrendo supplizio leggendo questa
lettera.
Questa lettera
che forse non troverete mai.
Ma Voi esistite,
vero? Voi non siete solo il frutto della
fantasia di una Regina ormai caduta in disgrazia, sola e senza sudditi,
in
disperata ricerca dell’amico che mai ha avuto?
Oh, perdonatemi,
perdonatemi. Come potrebbero interessarvi
questi futili quesiti, a Voi, che siete un vero gentiluomo?
E ditemi,
ditemi, com’è la mia Grande ed Orgogliosa Austria?
– perché sono certa della Vostra appartenenza a
suddetto popolo, Voi siete
proprio come me, dopotutto.
Oh, come amerei
poter rivedere la romantica Vienna, ancora
una volta. Solo una volta, prima di andare incontro al mio triste
destino,
voluto da un Dio punitivo. Ci sono ancora i fiori nelle rigogliose
aiuole,
quelli che ho sempre adorato? Raccoglietene uno anche per me, mon ami.
Oh,
Mon
Dieu! Una goccia
birichina ha bagnato questo straccio, caduta dal
soffitto umido, come il resto della prigione di Conciergerie, nella
quale mi
trovo. Sapete, è così bizzarro trovarsi in un
luogo così angusto, proprio io,
la donna più illustre ed
affascinante della Francia intera, che un tempo – ormai
lontano secoli –
passeggiava galante attraverso i giardini della Reggia di Versailles.
Vi state
immaginando una donna finita, vero, mon ami?
Non fatelo, oppure potrei
pensare di strappare queste memorie e gettarle tra le fiamme,
maledicendovi
agli Inferi. Io sono la Regina di
Francia, nonostante i miei capelli bianchi, nonostante
l’aspetto trasandato,
nonostante le ferite – interiori ed esteriori. Nonostante
tutto.
Loro,
popolo
di infedeli, di villani, infami – io li condanno al dolore
eterno – mi hanno
privata della mia Corona, della mia libertà, dei miei
diritti, di mio marito,
del mio giovane fanciullo... ma non mi porteranno via la
dignità. La dignità
che solamente di una Regina.
Hanno preso il
mio bambino, sapete? Lo hanno portato via,
tempo fa, e lo hanno lasciato a morire – lui, il mio piccolo
– tra gli stenti e
la fame. Lui, solamente un povero
infante, un dolce ed innocente giovine. Lo hanno ucciso per la colpa di
essere
nato dal grembo di quella “puttana austriaca”.
E ditemi ora,
è questa giustizia? È questa la giustizia di
cui quei pezzenti sproloquiano tanto, rinchiusi nelle loro locande
marce?
Non ho
più nulla, se non Voi e il mio onore, mon
ami.
L’onore
di poter ancora incamminarmi verso la ghigliottina
con il mento alzato verso il cielo, lo sguardo di una nobile, uccisa
dalla
plebe. Io morirò da
regina.
Vi chiederete
quale crimine posso aver commesso per aver
spinto la mia gente ad uccidermi, ma non risponderò ai
Vostri dubbi,
perdonatemi. Mi hanno chiesto di ammettere le mie colpe, nel loro
“Tribunale
Rivoluzionario”, un insulso buco per topi:
un’intera popolazione, un’Assemblea
contro di me, una sola donna. Loro, predicanti
uguaglianza e libertà, mi hanno accusata di aver abusato del
mio bambino,
sangue del mio sangue. Loro, i
padri
di una Francia nuova e rigogliosa. È su questo che intendono
posare le basi per
una nazione forte?
Non ho
più tempo. Il guardiano si sta avvicinando alle
sbarre della mia cella, non mi guarda in viso.
Vi devo
lasciare, mon
ami, ne sono addolorata. Il mio tempo è giunto al
termine. Ma non
disperate, sono sicura che prima o poi ci incontreremo, se Dio lo
vorrà. Sono certa,
comunque, che sentirete l’eco del mio nome aleggiare
attraverso i secoli.
Conservate le
mie parole, imprimetevele nella mente, non
cancellatele. Fatene tesoro. Ripongo le mie più sincere
speranze in Voi, mio
unico e vero amico.
Voglio che nella
vostra testa vi immaginiate una donna – perché
è questo che sono, anche se loro non
lo capiscono – che cammina lenta verso il boia.
E ricordate che,
nonostante tutto, io morirò come
la
Regina Maria Antonietta di Francia.
*
Note
Cari lettori,
Questa dovrebbe
essere una fantomatica lettera scritta dalla
Maria Antonietta, chiusa nella prigione di Conciergie –
storica e veritiera
galera dove la Regina è stata rinchiusa – in
attesa della sua condanna a morte.
Ovviamente la Regina non ha scritto alcuna lettera, ma mi piaceva
immaginarla
così, orgogliosa ed indignata da una Rivoluzione che
predicava principi che non
rispettava: Maria Antonietta, storicamente, non è stata
sicuramente uno stinco
di santo, anzi, tutt’altro, ma ho voluto vedere la
rivoluzione dal suo punto di
vista, quindi ho cercato di immedesimarmi un po’ in quella
che avrebbe potuto
essere lei.
La lettera non è indirizzata a nessuno, ed è
questo il particolare: è una “Lettere
à personne” (lettera a nessuno) che la Regina
scrive sperando che un suo fantomatico
amico la trovi: quest’amico è assolutamente
inventato dalla sua fantasia, perché
necessita di avere qualcuno a cui scrivere; era per sottolineare
l’immensa
solitudine di Maria Antonietta, tradita dal popolo e privata della
famiglia.
Detto questo, i fatto storici riportati sono veritieri, così
come l’accusa di
abuso nei confronti del figlio che è stata fatta alla
Regina; lei aveva
risposto con una frase epica, ovvero “Se
non rispondo è perché non è possibile.
Faccio appello a tutte le madri in
questa sala.”
Bene, direi che mi sono dilungata abbastanza! Ringrazio di aver letto,
spero
abbiate apprezzato e di avervi regalato un bel testo... spero di aver
reso
onore a questa grandiosa figura storica, almeno un po’.
Farebbe piacere sapere
cosa ne pensate, quindi se vi va, lasciate un commentino.
Un abbraccio,
Eryca.