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Autore: Ita rb    26/01/2013    5 recensioni
[Nataku x Goku]
[...] Non voleva sporcarlo, non voleva corromperlo, ma la tentazione era così forte, mentre la titubanza rendeva tremanti le sue dita, lievemente assorte sulla corteccia del grande ramo. [...]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nataku, Nataku, Son Goku
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Winterless'
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Note: Salve a tutti! Mi rendo conto della vostra titubanza (?) dinanzi a un coppia come questa, ma posso assicurarvi che non ho intenzione alcuna di desaturare il loro rapporto. Adoro Nataku, perciò spero proprio di non averlo mandato OOC. Per qualunque cosa, anche se negativa, scrivetemi pure. Perché ho scritto questa fan fiction? Bella domanda, non lo so. Era un’idea che mi ballonzolava in testa da un po’ di tempo e ho voluto renderla tangibile. Spero di non deludervi, perdonate eventuali errori di battitura causati dalla mia terribile dislessia.
Xoxo
 

In Fear


 Vedi?
Sopra quell’albero, lassù in alto, c’è un nido d’uccelli.


Al di là del crepuscolo, un tempo sconfinato, fisso, criptico quanto angosciante, non faceva che ripetersi, pesantemente, come se fosse stato l’unico istante in cui il cielo avesse potuto brillare nei raggi pieni. Mentre le palpebre abbassate, annoiate e tristi, rendevano l’immobilità un dato di fatto, oltre la sicurezza dell’ignoto, quando i ricordi sapevano solo lacerare le carni perfette, sondando lo spirito con perizia, egli fissava vacuamente quella finestra sul mondo, protetto dalla cristallizzazione del dolore, rammaricato dall’anelante spasmo dell’arco. Alle volte, fremere, è solo una proiezione del desiderio ripercorso, che fluttua inconsistente, lontano dalla malizia e dal soffocante abbraccio dell’universo.
Quelle sue labbra sorridenti erano davvero morbide, sapevano di qualcosa di dolce, eppure non erano in grado di pronunciare nulla, non in quel momento -schiuse e docili-, mentre le iridi dorate splendevano, indiscutibilmente sfiorate dai raggi solari, dalle pagliuzze candide che, fievoli, si posavano sulla pelle del viso, ricadendo tra i capelli scomposti, lisci e setosi.
Non poteva far altro che ricordarlo in uno spazio senza confine, con le braccia tese, concentrate come il cipiglio aggraziato e infantile che, spensierato, si focalizzava tra le sopracciglia, arrossandogli appena le gote. Il silenzio dell’attesa non sembrava opprimente, non poteva esserlo, perché il cinguettio lontano, carezzevole, giungeva alle sue orecchie come un canto di libertà.
Oltre quelle catene che, invisibili, tenevano salde i suoi polsi, incurante dell’abisso  cui si era levato, librandosi con coraggio attraverso un futuro senza forma, un ragazzino dall’animo tormentato, ferito dalle mani avide di un uomo disgustoso, aveva trovato la pace -quale concetto astratto è racchiuso in una simile parola-. Un sogno eterno era diventato il rifugio perfetto dalle angherie subdole di un creatore corrotto, per questo l’immobilità lo aveva colto nella rinascita, rendendolo meno vivo di una marionetta. Aveva smesso di pensare al negativo divario della sua esistenza, ignorandolo spontaneamente, crucciandosi solo nella sicurezza di non poter abbracciare la consistenza.
I suoi occhi erano così pieni di gioia, da sembrare un’offesa all’appellativo eretico, così si disse, quando udì per la prima volta l’ordine viscido del padre. Avrebbe preferito continuare a crogiolarsi nei ricordi, udendo la sua voce infantile che, levandosi nell’aria, pareva rugiada estiva, perché sapeva di non essere in grado di storpiarla, così come gli era stato richiesto.
Le sue mani, sporche di sangue, erano quelle di un capro espiatorio, creato con cura dalla brama di potere altrui, la stessa che si avvinghiava come un rampicante sul suo  corpo fanciullesco. Era solo una bambola assassina, un tempo, un oggetto sacrificale, nato con lo scopo di distruggere ciò che terzi avevano creato per risalire una gerarchia, ma aveva un cuore, contro ogni previsione, lo stesso che l’aveva spinto a far calare la spada divina su di sé.
Avrebbe voluto sfiorarlo ancora, mentre allungava la mano per raggiungerlo, mentre l’osservava in silenzio, ma nessuno avrebbe potuto ricostruire il tempo meglio di lui, poiché la follia era solo una calda coperta sulle sue membra stanche, un incentivo morbido al delirio.
Se l’affetto fosse stati in grado di tramutarsi in frammenti, ne sarebbe stato ferito, senza ogni ombra di dubbio, ma era così pacato, da sfiorare appena l’inconscio, cullandolo. Sapeva solo osservare, scrutando, nell’eterno sonno, il cruento sprazzo di morte che era calato tra loro, rammentando il dolce sapore delle sue labbra infantili, le stesse che aveva profanato come piuma, infiltrandosi nella fenditura del conosciuto, con tenui carezze. Non voleva sporcarlo, non voleva corromperlo, ma la tentazione era così forte, mentre la titubanza rendeva tremanti le sue dita, lievemente assorte sulla corteccia del grande ramo. Sentiva il suo respiro, era così vicino, tanto debole da sembrare evanescente, che per un momento comprese la sua reale essenza, avvicinandosi e osservandolo mentre svaniva nel nulla. Il palmo che afferrava il vuoto, la lacrima che scandiva la speranza. Era solo, ormai, da troppi anni, mentre l’illusione si riavvolgeva come un nastro, ossessionandolo sulla cima di un albero dalla quale non sarebbe più sceso.


Lo vedi, vero?

In Fear

   
 
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