Disclaimer: i fatti descritti in questa storia sono puramente
inventati, e ogni riferimento a cose e/o persone è puramente
casuale. I personaggi della fanfitcion sono di nostra proprietà intellettuale poiché completamente fittizi, e non intendiamo offendere e/o discriminare
nessuno con questa fanfiction.
Detto ciò, buona lettura!
Durrie e Donnie
Perché le cose migliori
della vita,
tipo gli abbracci,
si fanno a quattro mani.
E io ci aggiungerei
Perché le cazzate
migliori
Come giocare a carte
alle quattro del mattino dopo aver cantato waka waka per il paese facendosi
reputazioni strane
Si fanno con la Donnie.
Anelli di cipolla
Capitolo 1: Almeno non mi chiamo Aivelyna.
Mi chiedo perché tanto spesso la
gente confonda la solitudine con la tristezza.
Io, da sola, ci sto più che bene: non che odi l’umanità intera, sia chiaro, ma
casualmentela stragrande maggioranza degli esseri umani (se non tutti) con cui
sono stata obbligata ad avere rapporti umani nella mia breve vita si è rivelata
poi essere una massa di stronzi o di approfittatori. O più in generale gente
che avrei preferito non incontrare.
Erano le 7:45 del mattino, non riuscivo a tenere gli occhi aperti e il mio
cervello iniziava a riflettere sul significato profondo delle cose.
Dico io.
Un improvviso lampo color carne e cachemere beige mi distrasse e le mie adorate
e consunte cuffiette si staccarono dalle mie orecchie finendomi in grembo, la
musica che continuava a vibrare con rabbia
«Mi stavi ascoltando almeno?» indagò
incazzosamente il testone biondo di mio fratello senza staccare gli occhi dalla
strada, la mano destra con le sue unghie eccessivamente curate ancora protese
verso i miei poveri auricolari.
«…eh? »
«Sai, essendo soli in macchina e non avendo io ancora iniziato a parlare con la
Mercedes, per quanto la preferisca alla tua persona, mi sa che stavo proprio
parlando con te stronzetta! Ma che te lo chiedo a fare, tanto vivi nel tuo
mondo fatato, tu»
Gualtiero sbuffò irritato, imboccando la circonvallazione della città.
«Una volta che mi metto d’impegno e faccio il bravo fratello maggiore che ti
porta fino a scuola così non devi strisciare il tuo culo stitico su quegli
stupidi autobus e tu manco mi caghi?! Mi sono alzato alle 6 per farlo, e non ci
ricavo assolutamente niente!»
Dio che isterico. E che ipocrita.
Come se non fossi a conoscenza del fatto che la
domenica prima aveva detto a mammyna e
papyno (giuro, li chiama seriamente così, alla veneranda età di 21 anni) che
mi accompagnava al liceo. E questo grande sacrificio, interpretato dai miei
come un atto di grande maturità, era finalizzato solo all’ imboscamento da
qualche parte con quella zoccoletta della sua nuova ragazza, Gessika (con la gi
e con la kappa, perché esistono esseri umani in grado di concepire un nome
simile, sappiatelo) e al conseguente allegro strusciamento prima che lei
entrasse nel CFPE, ossia Centro di Formazione Professionale Estetiste.
Amabilmente soprannominato Centro Formazione Pompinare Escort, a causa del
quoziente intellettivo relativamente basso e il consumo di peni pro-capite
spaventosamente superiore alla soglia di guardia europea.
Come se non sapessi che il nostro leccatissimo e laccatissimo padre due giorni fa
l’aveva preso da parte e gli aveva detto che «dobbiamo fare qualcosa per quella
scapestrata di Evelina, rovina l’immagine della famiglia col suo modo di
comportarsi in-ac-cet-ta-bi-le! Gualtiero, ti prego, lo so, lo so, non fare
quella faccia, nemmeno io vorrei trascorrere tempo con lei, ma dobbiamo
impegnarci tutti per farla rigare dritto. Noi siamo i De Cervis, abbiamo un cognome importante che ci impone un certo
rigore comportamentale… La nobiltà sarà anche deceduta, ma il nostro prestigio
no! Prova a farle capire che con questo comportamento non arriverà mai da
nessuna parte, non minacciarla, prova a darle qualche contentino e ad ammorbidirla,
lavoratela, e poi…»
E poi un gran bel tubo, visto che l’arrivo improvviso della governante mi aveva
impedito di continuare ad origliare la sempre più interessante conversazione
tra i miei sempre più schifosi parenti.
Però avevo capito il succo.
Il solito vecchio stantio succo. Evelina di qui,
Evelina di là.
Sì, Evelina sarei io.
Oh che sciocca, non mi sono ancora
presentata, i miei genitori mi avrebbero già rimproverato se fossero stati
presenti nella mia testa (ORRORE).
Piacere, Evelina De Cervis, annacquatrice
del sangue di secoli e secoli di nobili e blasonate dinastie di marchesi,
professionista nella vergogna familiare, guastafeste part-time e tante altre
cose buone e giuste. E sì, nella mia famiglia si ha la mania di impartire nomi
tristi e desueti, ma almeno non mi chiamo Aivelyna (ogni riferimento a Gessika
è puramente casuale).
Dall’occhiata funerea di Gualtiero alla guida del suo meccanico destriero –nota
mentale: aggiungere “poetessa” al biglietto da visita– capii che mi ero
dilungata troppo nelle mie elucubrazioni mentali, così mi schiarii la voce
ruminando giusto un poco e mi decisi a infilare un paio di paroline dolci per
il mio amatissimo fratellone.
«Ahem…scusa, ma non sapevo di essere tenuta a stare ad ascoltarti quando parli.
Sai, solitamente la gente ascolta solo quando gli interessa ciò di cui si sta
parlando, oppure gli interessa la persona che parla, capito no? Escludendo a
priori che da quel vespasiano che tu ti ostini a chiamare bocca possa uscirne
qualcosa che io possa ritenere vagamente intelligente od originale, rimane solo
l’opzione numero due. E sì, insomma, tu non è che m’ interessi poi sto granché.
Oddio, sei un bel ragazzo e tutto, buona famiglia (e qui ne avrei avute di cose
da ridire) per carità, ma non sei proprio il mio tipo. E poi non hai già la
ragazza?»
Sfoderai il mio migliore dei sorrisi finti, quasi soddisfatta di me stessa.
«Vai a farti fottere.»
Parlò coi denti così stretti che
sembrava che il dentista gli avesse riempito la bocca di mastice.
Mi soffermai
sul fatto che sarebbe stato divertente provare a incollarglieli insieme, e poi
magari mettere sempre più collante, fino a tappargli del tutto la gola,
facendolo soffocare lentamente.
«Volentieri,
dove devo andare esattamente? Aspetta, chiedo l’indirizzo alla tua ragazza, che
sicuramente ne sa molto più di me! Non ti affaticare, ti vedo già arrossato,
attento che ti rovina il colorito, la chiamo io, tu pensa a guidare, non sia
mai che tu ti scomodi per tale piccolezza!»
E improvvisamente il mio tentativo di rispondere con il sarcasmo che manca alla
mia famiglia si trasformò in qualcosa di non ben definito, che oserei chiamare
semplicemente verità.
«Eccolo qua, il promettente rampollo della dinastia De Cervis! Gualtiero,
secondo del suo nome, ereditato dal nonno paterno, compiantissimo e riposi in
pace amen, la personificazione del destino brillante che attende le industrie
del gruppo! Mai una virgola fuori posto, così perfetto che per dormire mi sa
che lo mettono nel cellophane. Che bel ragazzo, che regalissima chioma bionda,
che compostezza… Come sta bene vicino a sua sorella Tosca, una top model nata, e
ai suoi distinti genitori, tutti eleganti, sobri e raffinati, che famiglia
perfetta, accidenti, magari si potesse imparare questa gran classe! Eh, ma
bisogna nascerci così, certe cose stanno nel DNA. Ah, che persone squisite, che
famiglia esemplare! Come spiegare tutto ciò? Oh ma si, ecco, basta guadare la sentita
partecipazione al dolore per il funerale di quell’operaio la settimana scorsa!
Ma sì, quello schiacciato da un macchinario… E noooo, non può essere stato che
hanno preferito pagare cene a base di caviale dei dirigenti piuttosto che
rispettare le norme di sicurezza, non è possibile per una casata di così alto
lignaggio! Giurerei, anzi, sono sicura, di aver visto una sola singola lacrima
solcare il volto di Tosca. È evidente che non è riuscita a contenere la
commozione del momento. Puoi avere tutta l’educazione di questo mondo ma
trattenere la sincera partecipazione al dolore è così difficile alla sua giovane
età… E poi li hai visti? Persino vestiti a lutto sono un quadretto pittoresco! »
Mi fermai giusto per riprendere fiato, presa dalla rabbia e dall’indignazione.
Mi resi conto che forse avrei dovuto fermarmi E BASTA, ma tanto, che m’ importava.
Tacere e parlare nella mia famiglia è la stessa cosa, per quanto mi riguarda.
Quindi perché non sfogarsi una volta per tutte?
«Ma no, aspetta un attimo, chi è quella lì? Aspetta, c’è una macchia scura in
un angolo? Come dici? L’altra sorella? Ma che diamine stai farneticando! Quella
cosa lì una De Cervis? No, è
impossibile, si vede lontano un miglio che non può fare parte di quella
famiglia, guardala, sembra uno straccio usato e umido buttato in mezzo alle
pelli di daino! Sarà una cugina, ma molto alla lontana neh… Ma che fa? Sale in
limousine con loro? Quell’essere? Non dirmi che è davvero una sorella! Sarà una
domestica, una della servitù, una sguattera, più non può essere, non assomiglia
nemmeno lontanamente ai suoi fratelli… Dio che volgarità, guarda, prima l’ho
vista addirittura abbracciare la
vedova dell’operaio, manco fossimo al mercato del pesce…tsk, mi spiace per
Raffaele, ritrovarsi una figlia così… ma siamo sicuri che non l’abbiano
adottata?»
Mi resi conto che stavo urlando, e piangendo, eppure la mia voce proseguì senza
incrinarsi.
Almeno, non troppo.
«Lo so, preferireste tutti che io non fossi mai nata, so anche della vasectomia
di papà dopo Tosca, ma ciao, sono qui, l’errore chirurgico! Il mio compito è
rovinare la vostra vita perfetta, come sto andando?»
Scoppiai in una risata isterica, quasi che la consapevolezza di non essere mai
stata desiderata fosse la barzelletta più spassosa di questo mondo.
Gualtiero ammutolì di fronte al mio sfogo. Non provò nemmeno a controbattere, o
tantomeno a negare, perché sapeva che ogni singola parola che avevo detto era
la verità.
Tirai su col naso e cercai di riprendere il controllo.
Calma, Eve, calma, è solo quello stronzo di Gualtiero. Il solito, vecchio,
stronzo, Gualtiero. Non pensare che ti sei appena aperta in un qualche modo
complesso con tuo fratello, pensa positivo, l’hai azzittito. È un grande
risultato, no?
Pian piano questi ed altri pensieri mi restituirono la calma. A mente fredda mi
accorsi che eravamo praticamente arrivati e Gualtiero stava accostando per
farmi scendere davanti a quel bel palazzone antico che è il mio liceo.
Bofonchiai un grazie nemmeno troppo convinta, e ricevetti un altrettanto
bofonchiato prego di risposta.
E, come un’ombra, m’ immersi nella multicolore e
rumorosa fiumana umana che stava accalcandosi all’entrata, sfiorando tutti e
toccando nessuno.