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Autore: Mrs Teller    27/01/2013    12 recensioni
“Q ha un problema.”
John ruota leggermente i polsi per abbassare il giornale che stava leggendo e allunga lo sguardo verso Sherlock, comodamente seduto sulla poltrona davanti la sua, coi gomiti posati sui braccioli e le labbra adagiate sulle dita giunte. Quelle sono le prime parole che il suo compagno pronuncia dopo quasi quarantacinque minuti di silenzio assoluto, e John non ne capisce davvero il senso.
“Come dici scusa?”
Spera di non apparire eccessivamente confuso, ma dall’occhiata di Sherlock comprende di aver fallito miseramente. Il detective, infatti, sospira, e alza gli occhi al cielo, come sempre fa quando è costretto a spiegare ad altri un concetto per lui evidente e banale.
“C’è qualcosa che non va John: Q ha appena posato il piede destro sul tredicesimo gradino della rampa di scale e so per certo che è turbato. Per chissà quale motivo.”

Quando Q riceve un sms assai sorprendente, scoprirà che Sherlock non è del tutto estraneo alla cosa.
Note: Bond!Lock, Johnlock, 00Q
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
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*prende il passaporto e inizia a fare le valigie per emigrare* Ecco, lo sapevo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato! Sono troppo amante di spy story per non toccare anche il territorio James Bond. Diciamo che l’idea mi ronzava in testa già da un po’, ma non ho mai trovato l’ispirazione giusta per metterla giù. Poi mi sono imbattuta in una meravigliosa fanfic del fandom inglese, The love song of James Bond, e mi si è accesa la scintilla. Questa storia, infatti, è molto liberamente ispirata a questa fanfic e se avete tempo vi consiglio fortemente di leggerla perché è meravigliosa.
Una dedica speciale va alle mie adorate Glass Heart, Fusterya e Jessie Loneliness, perché sono mie sorelle di ship e condividono la mia spropositata passione per questa coppia. Vi adoro ragazze *__*
Ultima notazione: se il titolo vi sembra familiare, è perché è una sorta di omaggio indiretto alla mia long spy, Trust Issues. Vi prometto che cercherò di aggiornarla il prima possibile.
 
 
 
Where you go I go,
What you see I see
I know I'll never be me,
without the security
Of your loving arms
Keeping me from harm
Put your hand in my hand
And we'll stand
 
Let the sky fall, when it crumbles
We will stand tall
Face it all together
(Skyfall – Adele)
 
 
 
 
“Q ha un problema.”
John ruota leggermente i polsi per abbassare il giornale che stava leggendo e allunga lo sguardo verso Sherlock, comodamente seduto sulla poltrona davanti la sua, coi gomiti posati sui braccioli e le labbra adagiate sulle dita giunte. Quelle sono le prime parole che il suo compagno pronuncia dopo quasi quarantacinque minuti di silenzio assoluto, e John non ne capisce davvero il senso.
“Come dici scusa?”
Spera di non apparire eccessivamente confuso, ma dall’occhiata di Sherlock comprende di aver fallito miseramente. Il detective, infatti, sospira, e alza gli occhi al cielo, come sempre fa quando è costretto a spiegare ad altri un concetto per lui evidente e banale.
“C’è qualcosa che non va John: Q ha appena posato il piede destro sul tredicesimo gradino della rampa di scale e so per certo che è turbato. Per chissà quale motivo.”
John alza entrambe le sopracciglia e chiude il giornale, lasciandolo cadere a terra prima di voltare il viso verso la porta e tendere l’orecchio alla ricerca di rumori, senza apprezzabili risultati per i suoi sensi non più allenati. Eppure, nel deserto un udito raffinato è la prerogativa essenziale per spostarsi la notte e avere qualche chance in più di sopravvivere. Come diavolo abbia fatto Sherlock a udire i passi leggeri di Q dal soggiorno resta un mistero per lui, ma John Watson ha ormai smesso di chiedersi molte cose da quando nella sua vita è entrato il secondo dei tre fratelli Holmes. Per cui, si limita a sospirare e spostare nuovamente lo sguardo su Sherlock, che sta fissando senza particolare interesse il teschio posato sopra il camino.
“Perché pensi che Q abbia un problema? Ma soprattutto: come fai a sapere che è Q?”
Sherlock non si premura di trattenere un piccolo sbuffo di frustrazione, e fa saettare lo sguardo verso la porta di casa prima di fermarlo definitivamente su John.
“Il rumore è quello delle sue scarpe preferite John, ma nel suo passo c’è qualcosa che non va: di solito quando sale le nostre scale è sempre veloce e dinamico, spesso le fa addirittura correndo, ma oggi sta affrontando ogni gradino lentamente, come se muoversi gli costasse troppo sforzo o avesse la mente da un’altra parte. Ecco perché penso che mio fratello abbia un problema.”
 
John non deve attendere molto per avere la sua conferma – meno di un minuto è più che sufficiente a Q per salire gli ultimi quattro gradini- e si volta automaticamente verso l’ingresso, quando la voce del minore dei fratelli Holmes arriva a loro ovattata.
“Ragazzi la porta aperta e io sto entrando eh.. Vi lascio qualche secondo così che possiate interrompere qualsiasi cosa voi stiate facendo.”
Suo malgrado, Q non riesce a trattenere una risatina mentre bussa un paio di volte alla porta socchiusa dell’appartamento B. John scuote il capo divertito e alza appena il tono di voce per farsi sentire dal soggiorno.
“Puoi entrare tranquillamente Q, non stiamo facendo nulla di compromettente.”
Non adesso, almeno.
Il pensiero affiora spontaneo alla mente di John, che cerca di scacciarlo ottenendo come unico risultato gli occhi grigi e penetranti di Sherlock addosso. Sicuramente non il modo migliore per mettere a tacere certi impulsi.. Il languore svanisce nello stesso istante in cui la figura alta e magra di Q entra nel loro soggiorno con un sorriso, i capelli neri disordinati e arruffati come il pelo di un cucciolo, così simili ma allo stesso tempo diversi dai ricci ordinati e angelici di Sherlock.
“Vi ho disturbato?”
“In realtà si: ero preso da altro genere di riflessioni e tu mi hai costretto a tornare alla realtà prima del tempo.”
Le labbra di Sherlock sono ancora adagiate sulle sue dita, mentre gli occhi raggiungono il fratello e lo scrutano a lungo, intensamente, alla ricerca di qualche segno evidente del turbamento che Q emana da ogni muscolo. Il fratello minore, a sua volta, gli scocca uno sguardo assassino portando le braccia al petto.
“A volte mi chiedo se davvero ti abbiano cresciuto mamma e papà, oppure se ti abbiano affidato di nascosto a una tribù di selvaggi riprendendoti quando ormai era troppo tardi per imparare l’educazione.”
Sherlock si lascia scappare un ghigno quasi compiaciuto per il tono tagliente e le parole al vetriolo del fratello, ma preferisce non alimentare una discussione sterile e assolutamente senza senso, indicandogli col capo il divano poco lontano.
“Cosa vuoi Q?”
Il giovane si toglie la giacca restando solo con cardigan e camicia e si siede sul divano, puntando il corpo e lo sguardo in direzione del fratello con un atteggiamento vagamente offeso.
“Devo volere per forza qualcosa? Non posso semplicemente avere voglia di passare a trovare mio fratello e il suo ragazzo?”
Il suo tono è fermo e leggermente acido e Q si chiede all’improvviso come mai abbia preferito darsi alla matematica e non alla recitazione, alla luce soprattutto delle sue ovvie abilità di attore: avrebbe sicuramente vinto un BAFTA nella categoria performance in a leading role. [1] Tuttavia, dalla luce che legge nello sguardo di Sherlock, si rende conto che forse ha leggermente sopravvalutato tali sue capacità e fingere indifferenza sarà molto più difficile del previsto.
“Non vieni mai a trovarci senza un perché..”
“Beh oggi si! Ho passato il pomeriggio con il mio amico haker che abita qui vicino, quindi visto che ero di strada ho pensato di fare un salto.”
Il fatto che quelle parole corrispondano a verità facilita molto il compito a Q, il quale riesce senza sforzo a dare enfasi e credibilità al discorso.
 
Sherlock, invece, tende le labbra nel tipico sorrisetto divertito di chi la sa lunga e pensa you don’t fool me, ma per una volta decide di stare al gioco e dare corda a Q per il solo gusto di vedere fino a quando riuscirà ad occultare il vero motivo della sua visita.
John fa vagare lo sguardo da uno all’altro dei fratelli Holmes, senza però riuscire a cogliere quel qualcosa che gli manca, perché appare ovvio anche a lui che ci sia qualcosa in ballo tra Sherlock e Q e l’espressione divertita e vagamente predatoria del compagno glielo conferma. A volte odia davvero trovarsi in mezzo a quei due e sentirsi il più stupido dentro la stanza. Si alza scoccando a Sherlock un’ultima, perplessa, occhiata e si avvicina a Q battendogli una mano sulla spalla spezzando il denso silenzio calato nel soggiorno.
“Vuoi un po’ di the?”
Q si volta appena verso John e gli sorride annuendo: ha sempre avuto particolare simpatia per quell’ex soldato così calmo e paziente, che sembra essere l’unica persona sulla faccia della terra ad avere il coraggio di stare con uno come suo fratello Sherlock. Già solo per quello, la stima di Q nei confronti di John non può che essere immensa e assoluta, ma non è solo quello. E’ proprio la forza salda e granitica che proviene da quell’uomo, così diverso ma in fondo vagamente simile al suo Bond. Forse è questo il vero motivo per cui Q trova John Watson così simpatico e intrigante.
 
“Ah Q visto che ci sei, avrei bisogno di un favore.”
“Dimmi tutto John: cosa posso fare per te?”
“Il mio computer: credo ci sia qualche virus, non riesco ad aggiornare il blog. Potresti darci un’occhiata?”
Q annuisce ancora e si sposta dal divano alla poltrona dove prima John era seduto, raccogliendo da terra il suo Mac e muovendo le dita sui tasti con una velocità e una sicurezza disarmanti.
“Tanto zucchero nel the, mi raccomando.”
Il tono è di poco più alto del normale e la risposta piccata di John – me lo dici sempre Q, guarda che me lo ricordo - gli strappa un sorriso divertito. Solo un paio di volte, durante tutta l’operazione di pulitura del portatile di John, Q si prende il lusso di alzare gli occhi dallo schermo e incontrare lo sguardo penetrante di Sherlock, ancora in religioso silenzio e con le labbra posate sulla punta delle dita, e un accenno di sorriso gli tinge le labbra davanti quell’espressione bonaria, quasi dolce. E’ quella l’espressione che il suo fratello preferito fa quando pensa a lui e qualcosa che lo riguarda, Q ne è ampiamente consapevole, ma non è in grado di individuare correttamente il filo dei pensieri di Sherlock.
E’ sempre stato così, da quando ha memoria: ciò che a Sherlock e Mycroft riesce senza il minimo sforzo, come se fosse la cosa più naturale del mondo, a lui richiede il triplo della fatica e spesso non da i risultati sperati. La sua mente, per quanto geniale come quella di tutti gli Holmes, funziona in modo diverso e si esprime su binari completamente opposti alle abilità logico deduttive che permeano i cervelli dei fratelli maggiori. Dategli equazioni, codici da decodificare, valori numerici, chiave di decrittazione, satelliti da controllare, computer da hakerare, cose da costruire e lo renderete un uomo felice; fategli fare una inferenza logico deduttiva e andrà molto probabilmente in crisi. Q sa che la sua mente predilige la parte strettamente matematica e creativa e non quella logico-razionale, ma non è mai stato un grosso problema per lui, anzi ciò non gli ha affatto impedito di instaurare con suo fratello Sherlock un rapporto particolare e profondo a modo suo.
 
Se Mycroft gli è sempre apparso alla stregua di una di figura mitica, difficilmente raggiungibile e assai distante, Sherlock, invece, è stato quello più problematico – droga e tutto il resto- ma proprio per questo più umano e facilmente accessibile. Mentre la corazza gelida di Mycroft alla lunga si è rivelata impenetrabile per lui, quella di Sherlock ha mostrato fin da ragazzi molte più crepe ed è in quelle che Q si è infilato, aggrappandosi a lui come unico baluardo in una famiglia quanto meno particolare, pur rispettando i suoi spazi vitali. Q è consapevole di essere diverso dai suoi fratelli sotto quel punto di vista perché, a suo modesto modo di vedere, tutti i discorsi sulla pericolosità dei sentimenti per il corretto funzionamento della ragione umana sono solo un enorme pacco di cazzate, ma ciò non significa che non sia capace di rispettarne il modo di essere pur vivendo la sua vita su altri orizzonti.
Chissà se è questo che stai pensando, Sherlock…
Non può fare a meno di chiederselo, ma la patina che ammanta le iridi grigie di Sherlock a volte è troppo difficile da leggere anche per lui, che comunque lo conosce meglio di chiunque altro a parte John. Non fa in tempo a darsi una risposta, anche solo approssimativa, perché John si gli fa accanto con una tazza di the fumante e Q mette a terra il Mac con un sorriso soddisfatto.
“Te l’ho sistemato: in effetti c’era un virus ma nulla di serio, ho già provveduto a pulirlo e salvare i dati.”
“Grazie, ti devo un favore.”
“Figurati, per così poco..”
Q fa in tempo a mandare giù una lunga sorsata di the prima che Sherlock torni all’attacco punzecchiandolo.
“Q quando la smetterai di annoiarmi con questa storia del è una visita di cortesia e ti deciderai a dirmi qual è il vero motivo che ti porta qui?”
 
Il minore degli Holmes fa appello a tutta calma per non sputare il the sul tappeto, ma l’espressione di Sherlock gli suggerisce che non ha più margine per temporeggiare. Sicuramente, non gli darebbero alcun BAFTA per le sue abilità di attore.. Sospira, beve un altro sorso di the e posa la tazza sul tavolinetto poco distante, infilando una mano nella tasca dei pantaloni e tirando fuori il suo Iphone.
“In effetti c’è qualcosa di cui volevo parlare con voi..”
L’uso del plurale non è casuale: in effetti, forse per il problema che gli è caduto tra capo e collo John sarebbe un consigliere molto più adatto e affidabile di Sherlock.
“Sputa il rospo.”
Sherlock non trattiene un ghigno di vittoria per aver fatto capitolare il fratello e afferra al volo, con un gesto di estrema grazia, il cellulare che Q gli sta lanciando. Osserva lo schermo, già impostato sulla pagina degli sms, e aggrotta appena le sopracciglia leggendo l’ultimo che è stato inviato un paio d’ore prima dall’agente 007 James Bond.
Ceniamo insieme stasera? Ti faccio venire a prendere alle 21?
“Oh..”
E’ il suo unico commento mentre allunga la mano verso John, in piedi accanto a lui, per fargli leggere l’sms. Il dottore afferra il telefono e non trattiene un’espressione stupita, commentando allo stesso identico modo.
“Oh..”
 
Q alza gli occhi al cielo e sbuffa, dopo aver mandato giù un altro sorso di the ormai sempre più tiepido.
“Grazie eh.. Mi siete di molto aiuto se fate così.”
Sherlock si stringe nelle spalle prendendo nuovamente il telefono di Q e tenendolo in grembo.
“Mi sfugge ancora quale sia il problema..”
“Ti sfugge? Sul serio? Oh mio Dio sei incredibile a volte.. I selvaggi ti hanno cresciuto, ne sono sempre più convinto!”
Le iridi castane di Q si colorano di assoluta sorpresa e fatica a non scivolare verso un tono vagamente isterico mentre cerca di spiegarsi.
“James Bond, l’agente 007 con licenza di uccidere, mi ha invitato a cena. E io non so cosa pensare di questa cosa! Insomma.. Io..”
La voce gli muore in gola, risucchiata via dall’occhiata enigmatica del fratello e dal suo sopracciglio alzato, in attesa, e John decide di andare in aiuto di quella povera creatura abbassando gli occhi verso uno Sherlock evidentemente confuso.
“Quello che Q sta cercando di dirti è che non sa se questa cena sia un appuntamento o meno, ho capito bene?”
“Benissimo John, grazie dell’aiuto.”
Sherlock resta in silenzio qualche attimo, lo sguardo fisso in quello inquieto del fratello, e si limita a spostare le dita giunte dalle labbra a sotto il mento.
“Perché non dovrebbe esserlo? Ne ha tutta l’aria.. Anche a uno come me, che di queste cose capisce poco e niente, questo sembra un vero appuntamento. Cos’è che ti turba in proposito?”
“E’ che.. Tra me e Bond non va così, non sono mai capitate cose del genere.. Si è vero, dopo il casino dovuto a Silva, Skyfall e tutto il resto ci siamo avvicinati parecchio, io sono stato l’unico forse a tentare di aiutarlo e proteggerlo dal resto del mondo..”
Chissà come mai..
Sherlock trattiene a fatica il commento caustico ma si limita a lasciar parlare il fratello senza interromperlo.
“Ci siamo visti al di fuori del MI6, è vero anche questo, e non importa se abbiamo violato la politica del dipartimento. E’ stato solo al bar per un aperitivo di tanto in tanto, ma mai una cena vera e propria.. Non ti nascondo che abbiamo flirtato parecchio però.. Io ecco..”
Q deve fare appello a tutte le sue energie mentali per finire di esprimere il suo pensiero in modo più o meno coerente e comprensibile. Normalmente non è una persona timida, e Sherlock questo lo sa bene, ma quando c’è di mezzo James Bond beh.. tutto cambia inesorabilmente. Forse perché è il suo primo, vero, amore, quello con la A maiuscola.
“Non ho idea di cosa Bond abbia in mente, non ho idea da dove sia uscita questa cosa..”
Sputa fuori quelle parole con una buona dose di imbarazzo latente e cerca di annegare la sensazione affondando il viso nella tazza, finendo il the. Qualcosa, nello sguardo acceso di Sherlock, gli fa scattare nelle tempie uno strano campanello d’allarme.
Il detective, infatti, non può fare a meno di alzare gli angoli delle labbra in un accenno di sorriso vagamente compiaciuto: a quanto sembra, il suo piano ha avuto gli effetti sperati, e prima di quanto si aspettasse. Con un misto di trionfo e soddisfazione, la sua mente torna indietro al giorno prima e si perde nel ricordo della gloriosa impresa.
 
 
24 ore prima.
 
“Ricordami perché stiamo facendo tutto questo.”
John sospira e tamburella senza sosta le dita sul tavolo del bar, producendo suoni secchi e ritmici, permeati di nervosismo. Sherlock scivola appena sulla formica, quel tanto che basta per raggiungere il dorso della mano sinistra di John con la sua destra e sfioralo appena in un gesto tranquillizzante, nocche contro nocche, pelle contro pelle.
“Lo stiamo facendo per Q, per proteggerlo. Pensavo ci fossimo capiti su questo..”
“Sì Sherlock lo so, ma resta comunque sbagliato.”
L’angolo destro delle labbra di Sherlock si alza in uno dei suoi classici mezzi sorrisi indecifrabili, e John non trattiene un brivido per ciò che potrebbe accadere nei minuti successivi.
“Sbagliato è una parola grossa, John, io preferisco dire eticamente discutibile. Non importa che sia poco opportuno, so che lo faccio per il bene di mio fratello e tanto mi basta. L’hai visto anche tu com’è ultimamente, no?”
“Sì, l’ho visto, e proprio perché l’ho osservato spegnersi piano piano non ti ho preso a pugni quando mi hai chiesto di seguirti e ora sono seduto qui accanto a te. Eticamente discutibile ma a fin di bene.”
“Appunto.”
Sherlock non fa in tempo ad aggiungere altro perché la figura che stavano aspettando, familiare ancorché di fatto sconosciuta, si avvicina con eleganza al loro tavolo, lo sguardo fermo e la mascella contratta in una linea severa che si rilassa leggermente solo quando si ferma davanti a loro.
“Mr. Holmes, finalmente ho il piacere di fare la sua conoscenza.”
Il detective lascia che il ghigno sulle sue labbra si trasformi in un sorriso appena accennato, indicando col mento la sedia davanti a loro.
“Agente Bond.. Io al posto suo aspetterei a parlare di piacere: sono ragionevolmente convinto che questa conversazione per lei sarà tutto fuorché piacevole.”
James si toglie con un gesto rapido la giacca di pelle e la appoggia alla sedia, accomodandosi davanti i due uomini e fissando brevemente prima il moro dagli occhi di ghiaccio poi il suo compagno, l’ex soldato, lasciando su di lui lo sguardo.
“Capitano Watson.. Spero che almeno lei sia più diplomatico.”
Un angolo delle labbra di John si alza e non può fare a meno di accreditare alla spia una certa tranquillità, anzi forse troppa tranquillità, che non è mai una buona consigliera davanti a Sherlock Holmes.
“Mr. Bond.. Non ci faccia caso, è un piacere per entrambi conoscerla finalmente.”
“Parla per te John..”
Il dottore si limita a fulminare il compagno con la coda dell’occhio ma finge che nessun suono sia uscito dalle labbra di Sherlock, rivolgendosi nuovamente a Bond con un tono morbido abbastanza da sperare di poter iniziare la conversazione in modo non traumatico.
“Abbiamo sentito cose meravigliose su di lei..”
“E io su di voi signori, soprattutto da Q, ma presumo che non mi abbia convocato in questo bar per fare quattro chiacchiere come vecchi amici, dico bene Mr. Holmes?”
Sherlock annuisce con espressione piatta e punta i gomiti sul tavolino, giungendo le mani e posando il mento su di esse. Il gesto provoca un rapido e quasi impalpabile mutamento nell’espressione del suo interlocutore, ma il suo cervello lo registra ugualmente sebbene al momento non abbia tempo di chiedersi a cosa sia dovuto. Ci penserà dopo, sempre se lo ricorderà.
“Sono lieto di vedere che anche lei preferisce andare subito al sodo, agente Bond.”
“Apprezzo le persone dirette, che non fanno troppi giri di parole Holmes. Cosa vuole da me?”
Se la prospettiva di conoscere il fratello maggiore di Q all’inizio lo aveva divertito, ora James inizia ad avvertire i segni tipici dell’insofferenza e della curiosità, nonostante abbia una vaga idea dell’argomento su cui verterà la conversazione.
 
“Temo non sia questa la domanda corretta per iniziare questa conversazione, Bond.”
“Quale sarebbe quella corretta? Mi illumini.”
“Prova qualcosa per mio fratello?”
Sherlock lancia la bomba senza alcun preavviso, e non si premura di nascondere un ghigno di evidente soddisfazione per essere riuscito a stupire il grande agente 007: l’espressione di incredulità dipinta negli occhi sgranati di Bond è musica per lui.
James impiega qualche attimo a riprendersi dallo shock per quella domanda così diretta e invadente, e fa un profondo sospiro per mantenere la calma: immaginava che il nucleo centrale sarebbe stato Q, ma di certo non si aspettava che fossero quelli i termini della questione.
“Penso di non dover alcuna risposta alla sua domanda Holmes, per il semplice fatto che ciò che provo sono affari miei. Solo e soltanto miei, di nessun altro, ci siamo intesi?”
“Temo proprio di no Bond, perché ciò che prova diventa anche affare mio se mio fratello è implicato in qualche modo nella vicenda.”
Il tono di Sherlock diventa tagliente come la lama di un rasoio e John tende i muscoli, attraversati da una leggera corrente di adrenalina, come se temesse l’esplosione del conflitto da un momento all’altro e dovesse intervenire per sedarlo. Sherlock apre istintivamente le gambe sotto il tavolo in modo da far sfiorare appena la rotula contro la sua e fargli capire che la situazione è del tutto sotto controllo. Per ora.
James sorride affabile, allungando il busto verso il moro con un’espressione divertita nello sguardo.
“In che modo Q sarebbe coinvolto in questa farsa? Temo di essermi perso qualche passaggio..”
“Oh andiamo Bond, faccia un favore a se stesso e smetta di offendere la sua intelligenza fingendo di non averlo capito!”
L’irritazione ammanta cristallina le parole di Sherlock, e la cosa non fa altro che divertire ulteriormente la spia davanti a lui. Il sorriso di James, infatti, si fa più ampio e strafottente.
“Cosa avrei dovuto capire?”
“Che mio fratello Q è irrimediabilmente innamorato di lei. Lo è sempre stato per la verità. E non finga di non essersene accorto perché è evidente addirittura per me, che sono molto poco ferrato in questo genere di cose..”
James si stringe nelle spalle con nonchalance e alza un sopracciglio, sempre più intrigato dalla piega che sta prendendo quella assurda conversazione.
“Ammesso pure.. Dove vuole andare a parare Holmes?”
Il detective riduce gli occhi a due fessure lasciando scivolare piano il mento sulla punta delle dita, fissando la spia come se la volesse trapassare da parte a parte.
“Da nessuna parte Bond, il mio unico scopo è proteggere mio fratello da qualsiasi cosa possa fargli del male. Nel caso specifico, lei..”
 
Un’ondata di rabbia percorre fulminea la schiena di James e si riversa nel centro esatto del suo petto, facendo schizzare i battiti del cuore a un ritmo molto superiore alla norma. La prospettiva che qualcuno possa ferire in qualsiasi modo il suo Q lo dilania dall’interno, rodendogli la carne come acido muriatico, e se potesse lo metterebbe sotto una campana di vetro perché l’unica cosa che James vuole davvero è saperlo al sicuro e felice. Non ha mai riflettuto compiutamente su queste emozioni, troppo svuotato per porsi anche quel genere di problemi, eppure sa che ci sono: sa che i suoi sentimenti non sono anestetizzati - come invece credeva che fossero- ma sono da qualche parte nei recessi ultimi della sua testa, e ora qualcuno glieli sta sbattendo in faccia in malo modo. E’ questa la cosa che più lo infastidisce: vedersi messo con le spalle al muro da un uomo che non sa nulla di lui e della sua vita. James non vuole ammetterlo a se stesso, ma sa che le parole di quell’essere freddo e scostante corrispondono a verità, e ora è costretto ad affrontare i fantasmi delle sue stesse, sconsiderate, azioni.
“Io non faccio del male a Q. Non potrei mai.”
Patetico tentativo di difesa, se ne rende conto da solo, e per la prima volta da quando si è seduto a quel tavolo si ritrova ad abbassare appena lo sguardo, per evitare di incrociare gli occhi accusatori di Sherlock Holmes.
“Sbagliato, e lo sappiamo entrambi.. Pensa sia piacevole vivere ogni giorno a stretto contatto con la persona di cui si è innamorati, senza poter fare nulla al riguardo e senza poterla avere?”
L’unica reazione di James è l’irrigidimento della mascella e Sherlock continua, impietoso, la sua progressiva opera di distruzione.
“I rapporti tra lei e mio fratello si sono infittiti molto negli ultimi tempi, e questo penso non lo possa negare. Si è attaccato a mio fratello come un’ancora di salvezza e Q glielo ha permesso, perché non può farne a meno e non può fare a meno di lei. Lei ha colto l’occasione e ha fatto leva sui sentimenti di Q per ricavarsi un punto fermo nel caos che è diventata la sua vita. Così ha iniziato a giocare come il gatto con il topo, con tutto il suo flirtare.”
Davanti l’espressione basita di Bond, Sherlock non trattiene una risatina.
“Mi delude Bond.. Pensava davvero che noi non lo sapessimo? Eppure, si dice che lei sia la spia migliore al servizio di Sua Maestà: mi aspettavo un po’ di prontezza in più. So che di tanto in tanto vi vedete fuori dal MI6 e so che lei è addirittura andato a casa di Q un paio di notti, forse troppo ubriaco e devastato per tornare nel suo grazioso appartamento di Belgravia da solo. Immagino che quel sentimentale di mio fratello l’abbia fatta addormentare sul divano accarezzandole i capelli e dicendole che avreste affrontato tutto insieme, o sbaglio?”
 
Se James non avesse alle spalle una lunghissima esperienza come doppiogiochista e un ferreo addestramento nel mascherare le proprie emozioni, molto probabilmente a quel punto sarebbe già arrossito fino alla punta dei capelli perché è esattamente ciò che è accaduto, e vedere una cosa così personale messa sul piatto in quel modo – insieme alle sue colpe, ovviamente- brucia come il sale su una ferita aperta. Lo sapeva che non si sarebbe dovuto far trascinare in quel gioco fatto di sguardi, sorrisi, battute, risate, tranquillità soprattutto, ma non ha saputo farne a meno e ora non sa come uscire dal gorgo.
“Ci state per caso spiando?”
La risatina di Sherlock si fa appena un poco più alta.
“Non continui a insultare la sua intelligenza Bond! È ovvio che io e Mycroft vi stiamo tenendo sotto controllo. Dopo l'affare Skyfall, i livelli di sicurezza intorno a lei sono aumentati esponenzialmente, se capisce dove voglio andare a parare, quindi non è stato difficile osservarla insieme a Q, sia all'interno del MI6 che fuori. Pensava che Q fosse l'unico nella famiglia Holmes a saper usare delle telecamere e i satelliti aerospaziali, oppure ha semplicemente dimenticato chi sia mio fratello Mycroft?”
Suo malgrado, un sorriso inarca gli angoli delle labbra di James mentre si stropiccia un occhio con la mano.
“Suppongo che la cosa non debba stupirmi.. Lo spionaggio sembra essere un affare di famiglia per voi Holmes, a quanto pare.” [2]
“Lo prenderò come un complimento.”
 
La mascella di James si contrae davanti l’espressione di aperta soddisfazione del moro e un moto di impazienza lo agita dall’interno: inizia a stufarsi di quella conversazione.
“Le rifaccio la domanda Holmes: cosa vuole da me?”
Sherlock lascia scivolare nuovamente il mento sulle dita e punta due occhi infuocati in quelli altrettanto battaglieri della spia, parlando lentamente e scandendo le parole per rendere più chiaro il messaggio.
“Semplicemente metterla in guardia Bond: o si decide a lasciar stare mio fratello smettendo di approfittarsi dei sentimenti che nutre per lei, o sarò costretto a prendere drastici provvedimenti. E mi creda se le dico che so essere molto subdolo..”
La rabbia invade nuovamente le vene di James e si costringe a chiudere la mano destra a pugno per controllarsi e non scoppiare, il tono di voce basso e gelido come i ghiacci dell’artico.
“Mi sta minacciando Holmes??”
E’ una cosa cui non è abituato e l’espressione pacata di Sherlock non fa altro che irritarlo ulteriormente.
“Se vuole vederla così.. Io preferisco pensare a un amichevole avvertimento: si faccia da parte Bond, o sarò costretto a intervenire.”
L’aria si carica all’improvviso di una massiccia dose di elettricità, che sembra passare direttamente dagli occhi grigi e cangianti dell’uno a quelli imbestialiti dell’altro, facendo vibrare tutto, compreso lo stomaco di un John sempre più preoccupato e all’erta.
“Lei ha una vaga idea di quante persone siano sopravvissute dopo avermi minacciato? Beh glielo dico io: nessuna, Holmes. Potrei ucciderla così lentamente e dolorosamente da farle rimpiangere di essere nato, mi creda.”
 
La tensione nel corpo di John esplode come un panetto di C4 e il dottore si spinge in avanti sul tavolo avvicinando il busto a quello della spia, fissandolo negli occhi con una rabbia a stento trattenuta.
“Se solo ci provasse, Bond, sarebbe morto col collo spezzato prima ancora di allungare le mani, glielo posso assicurare.”
La reazione della spia è una risata di puro scherno e divertimento.
“Oh capitano Watson.. E’ un poco velleitaria questa affermazione da parte sua, non crede?”
La mascella del soldato si contrae di rabbia a stento repressa e le dita della mano sinistra affondano decise nel palmo, fino a che il contatto leggero e dolce col ginocchio di Sherlock torna e lava via un poco della tensione.
“Mi ascolti bene: lei sarà anche un agente speciale con licenza di uccidere, ma deve tenere presente che non è l'unico che è stato addestrato per farlo. Sono sopravvissuto ad anni di guerra in Afghanistan, vorrà pur dire qualcosa, no?”
“Ma lei non è un medico?”
“Ho avuto le mie giornate no..” La calma si fa nuovamente strada in John di pari passo con un accenno di sorriso, mentre inclina appena il capo di lato per indicare Sherlock. “Senza contare che lui sarebbe capace di avvelenarci qui e ora senza che noi neanche ci accorgessimo della cosa. Glielo dico per esperienza personale, si fidi di me.”
Nonostante siano passati anni da Baskerville, il ricordo è ancora piantato nel cervello di John come un chiodo e Sherlock non può fare a meno di ghignare soddisfatto, decisamente compiaciuto e un tantino eccitato per lo sfoggio di carattere del suo compagno. L’angolo destro delle sue labbra si alza di nuovo mentre lascia scivolare lo sguardo da John a Bond.
“John ha ragione: gli ho drogato il caffè al solo fine di verificare una teoria. Questo dovrebbe suggerirle che la parola scrupoli non rientra nel mio vocabolario, Bond.”
“Drogato il caffè?”
James fatica a mantenere nella norma la sua espressione: non che lui non abbia fatto di molto peggio nella sua vita, anzi, tuttavia quella cosa gli appare vagamente inquietante. No meglio, molto inquietante. Sherlock, da parte sua, si limita ad annuire in modo annoiato.
“Sì.. Farebbe bene a non sottovalutare i membri della famiglia Holmes, nessuno escluso.”
 
James sospira e alza appena le mani in un gesto di resa che non gli appartiene, ma che in quel momento gli sembra l’unica cosa che lo possa condurre fuori da quella discussione sempre più inutile e priva di senso. Il velato riferimento di Holmes non gli sfugge e la gola diventa improvvisamente secca all’idea che Q possa fare a lui qualcosa del genere, forse anche peggio. Ne avrebbe tranquillamente tutti i mezzi – avrebbe i mezzi per far saltare in aria tutta l’Inghilterra se solo lo volesse- e James si ritrova a pensare di aver preso un po’ troppo sotto gamba Q e suo fratello Sherlock.
“Ho capito, basta minacce. Cerchiamo di parlare civilmente.”
L’espressione di Sherlock si colora di approvazione per le parole della spia e le sue spalle si rilassano un poco, lasciando andare la tensione che lo aveva avvolto in modo spasmodico. Un rapido sguardo a John al suo fianco gli suggerisce che anche il suo compagno si sia un poco tranquillizzato, e la cosa non fa altro che rendere lui più sereno.
“Vedo che iniziamo a capirci.. Il che ci riporta all’origine del nostro discorso.”
Dopo qualche attimo di silenzio, Sherlock pone nuovamente la domanda che gli sta a cuore.
“Glielo chiedo di nuovo Bond: prova qualcosa per mio fratello? E non mi propini la storia del non sono gay perché tutti, a questo tavolo, sappiamo bene quanto la cosa sia relativa, poco più che un falso problema.”
Al detective non serve voltarsi verso John per capire che un improvviso afflusso di sangue gli abbia imporporato le guance, perché gli basta osservare di sottecchi la sua mascella tendersi appena per l’imbarazzo, salvo poi rilassarsi subito dopo. La realtà ormai è quella e John ci è venuto tranquillamente a patti: non ha più alcun problema in merito e non ha difficoltà ad ammettere di amare un uomo. Se il suo dottore è stato capace di innamorarsi di lui anche a fronte del soprannome John Tre Continenti Watson, Sherlock non vede perché la stessa cosa non possa accadere anche a Bond. Soprattutto alla luce del fatto che Bond ha abbastanza esperienza sul campo da aver imparato a usare il fisico e il sesso per ottenere informazioni da ogni tipo di bersaglio, donna o uomo che sia, quindi sarebbe assurdo da parte sua nascondersi dietro quel genere di considerazioni, Sherlock ne è ampiamente convinto.
 
James, infatti, incassa il colpo con stile e tira gli angoli delle labbra verso l’alto in un sorriso che stona col resto granitico del suo viso.
“Non ha peli sulla lingua, bene.. Se solo non fosse uno stronzo indisponente, lei potrebbe anche piacermi Holmes.”
“Oh, la cosa mi lusinga alquanto.”
Tutto in Sherlock urla sarcasmo: il tono di voce, la curva deliziosamente divertita del labbro inferiore, l’espressione fissa e gli occhi accesi. Se la sta godendo molto più di quanto avrebbe mai potuto immaginare e Bond è un interlocutore valido, deve dargliene atto.. Ma non è per divertimento che sta portando avanti quello sterile discorso, ed è il caso di tornare al punto.
“Se lei non prova niente per Q, lo lasci stare. Smetta di girargli intorno anche fuori dal lavoro, o gli farà solo del male. L’ha capito anche lei che è così, e in fondo sento che non è questo ciò che vuole.”
Un sospiro si fa strada a forza tra le labbra di James e all’improvviso ha come l’impressione che l’aria nel locale sia diventata improvvisamente irrespirabile. Non vuole far soffrire Q, questo è certo, ma non è affatto pronto a lasciarlo andare e vederlo sparire dalla sua vita.
Non un’altra volta, non un’altra persona..
Non sa bene perché, ma l’idea di arrivare al MI6 e non trovare il sorriso e gli occhi di Q nascosti dagli occhiali ad attenderlo è qualcosa che gli mozza il respiro. Decisamente, non può fare ciò Holmes gli sta chiedendo.
“E se non lo facessi?”
 
Sherlock si limita a stringersi nelle spalle riducendo gli occhi a due fessure.
“In questo caso mi troverei costretto a chiedere a Mycroft di assegnare Q a un altro dipartimento del MI6, così da non farlo lavorare più con lei.”
“Un po’ poco come misura di sicurezza, non crede? Q ha una sua vita fuori dal MI6, e non vedo come lei possa impedirgli di fare ciò che vuole e vedere chi vuole..”
“Non canti vittori troppo presto Bond.. Mi assicurerei personalmente che Q lavori così tanto da passare la maggior parte della sua vita dentro quegli uffici, ed essere ridotto a uno zombie incapace di muovere quattro passi una volta uscito da li. Lei non lo vedrà più mio fratello, in un modo o nell’altro, glielo posso garantire.”
Il lampo metallico che attraversa quelle iridi cangianti, mai dello stesso colore, scarica un brivido lungo l’addome di James perché stavolta sa che Holmes non è uno da sottovalutare, anzi potrebbe essere potenzialmente il peggiore dei nemici da affrontare, più scaltro di qualsiasi altro criminale abbia mai affrontato in vita sua. La parola subdolo continua a ronzargli in testa, e mai ha trovato definizione migliore per qualcuno: se Sherlock Holmes si mette in testa una cosa, James è ragionevolmente convinto che la ottenga a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo. C’è solo un’ultima carta che può giocarsi, e non intende perdere la chance di farlo.
“Se vuole distruggere il rapporto con Q faccia pure, liberissimo di accomodarsi. Suo fratello la odierebbe per il resto della vita, se ne rende conto?”
 
Il detective non sa se quelle parole siano state pronunciate con cognizione di causa o se il colpo basso sia tutto frutto di fortuna e scelte lessicali felici, ma un dolore graffiante e profondo come artigli che lacerano la carne gli si fa strada dentro. E’ consapevole che quello potrebbe essere il suo destino, e la cosa lo riporta indietro di circa quattro anni in un dejà vu che avrebbe preferito di gran lunga evitare. Ora come allora, Sherlock è pronto a fare qualsiasi cosa ritenga giusta pur di raggiungere il suo scopo, ma ciò non vuol dire che sia pronto a vedere il rapporto speciale che ha con Q andare a puttane come è accaduto con John anni prima. La tensione scivola via all’improvviso e il detective si lascia scappare un piccolo sospiro quando la mano forte e salda del compagno si chiude intorno alla sua coscia in una presa dolce, quasi che John lo volesse rassicurare sul fatto che ormai si sono lasciati alle spalle tutti quei casini definitivamente e non ha più motivo di preoccuparsi o sentirsi in colpa. Se quello dovrà essere, lo affronterà di nuovo: preferisce essere odiato che vedere Q scivolare in un baratro che, suo malgrado, lui conosce fin troppo bene.
“Sa una cosa Bond? Non sarebbe la prima volta che mi capita una cosa del genere. Posso gestire tutto quando si tratta di proteggere le persone cui tengo. Anche farmi carico del loro odio..”
La presa delle mani si scioglie e Sherlock ne insinua una nella tasca della giacca, afferrando il suo cellulare per scorrere la rubrica alla ricerca del numero di Mycroft.
 
James intuisce di aver toccato un terreno fin troppo sensibile con la sua frase, ma non ha tempo di indugiare su quei pensieri perché il cuore gli schizza dritto nelle tempie quando vede il cellulare comparire magicamente nelle mani di Sherlock. E’ troppo vicino, la fine di tutto è troppo vicina e per la prima volta dopo tanto tempo James Bond torna a saggiare il sapore vero e amaro della paura, quella che ti fa a brandelli l’anima pezzo dopo pezzo. Era dalla morte di Vesper che non si sentiva così in bilico sull’orlo di un burrone.
“Che cosa sta facendo?”
Sherlock risponde senza nemmeno alzare lo sguardo dall’Iphone.
“Sto componendo il numero di Mycroft. A meno che lei non mi fermi dicendomi ciò che voglio sentire..”
La gola di James si secca all’istante e il ronzio perenne nelle sue sinapsi gli impedisce di pensare lucidamente: vorrebbe dire qualcosa, qualsiasi cosa, pur di stoppare il movimento di quelle dita lunghe e agili sul touch screen del telefono, eppure nessun fiato viene fuori dalle sue labbra. Basterebbe dire per far finire tutto: una semplice parola che rimetterebbe tutto in ordine e lo renderebbe finalmente onesto con se stesso, fino in fondo. Perché James sa che è un la risposta alla domanda che Holmes gli ha posto all’inizio del discorso, eppure non riesce a tirare fuori quelle due lettere. Non si sente ancora pronto ad ammettere a voce alta che prova qualcosa per Q, qualcosa di vero, qualcosa di importante, perché dirlo ad alta voce vorrebbe dire renderlo reale e non sa se è in grado di gestire una realtà simile. Non adesso, almeno. Quindi non dice niente, limitandosi ad osservare le dita del moro che scivolano pigre.
Sherlock alza appena le sopracciglia, osservando per qualche istante Bond prima di premere invio e portarsi il telefono alle orecchie.
“Come sospettavo..”
 
Il panico, acuto e doloroso, invade i pensieri di James mentre le labbra di Sherlock si tendono un sorriso, e si allunga sul tavolo fissando il detective negli occhi senza più remore e difese ormai.
“Chiuda quella maledetta telefonata Holmes, ha vinto..”
Un profondo respiro decreta la sua resa e si abbandona nuovamente sulla sedia come se fosse prossimo a implodere su se stesso, visione perfettamente opposta al ghigno di estrema soddisfazione che colora l’espressione di Sherlock mentre chiude la telefonata e ripone il cellulare in tasca.
“Ha visto che non era poi così difficile ammetterlo? Avanti, lo dica..”
Bond si morde l’interno della guancia per tenersi a bada e non afferrare il moro per la collottola, riempiendolo di pugni fino a trasformare il suo viso affilato in una maschera di sangue. Messo nel sacco da un damerino: forse avrebbe fatto meglio a dare retta a Q quando gli parlava della scaltrezza di suo fratello. In fondo, non si torna dal regno dei morti senza qualche merito, James questo lo sa bene.
“Va bene, provo qualcosa per Q. Soddisfatto?”
“Molto!” Sherlock intreccia le dita delle mani unendo solo i due indici e puntandoli verso la spia con tranquillità. [3] “Si senta libero di prendere provvedimenti in merito quando vuole.”
 
Inaspettatamente, un sorriso sincero e vagamente dolce increspa le labbra di Bond e i suoi occhi si velano di una tenerezza di cui Sherlock non lo avrebbe mai ritenuto capace. 
“Perché sorride?”
“Perché anche Q fa sempre lo stesso identico gesto quando mi dice qualcosa di simpatico, o divertente. Vi assomigliate molto, sa? Almeno nei gesti e nelle espressioni. Vedo molto di Q in lei.”
La confusione si dipinge istantanea sul viso di Sherlock, che si tende appena in un’espressione perplessa: cosa significa quell’uscita strampalata? Non sembra da Bond fare un discorso così.. sentimentale, e il detective non ha la minima idea di come interpretare quelle parole. Lo sguardo si sposta da Bond a John e solo allora Sherlock capisce, o quanto meno intuisce cosa stia accadendo: l’espressione di John è così luminosa e serena che non può che trattarsi di un buon segno, qualcosa di positivo. Il suo John, che ora sta sorridendo alla spia come se avesse colto il più ovvio e banale dei segreti di Pulcinella: sarebbe davvero perso Sherlock senza il suo conduttore di luce, la sua bussola dei sentimenti. Vorrebbe aprire bocca per parlare ma il compagno lo batte sul tempo ghignando divertito.
“Lo vede Bond? A volte è semplicemente inevitabile.”
Non gli serve aggiungere la parte conclusiva del discorso- inevitabile amare un Holmes- perché a Bond sembra chiaro lo stesso e l’importante è che si siano capiti. James tende le labbra in un sorriso rilassato e annuisce.
“Suppongo lei abbia ragione capitano Watson.”
Sherlock alterna lo sguardo dall’uno all’altro con le sopracciglia aggrottate e le labbra atteggiate in un piccolo, delizioso, broncio.
“Cosa mi sono perso?”
“Niente Holmes, non si preoccupi.”
 
“Non posso farne a meno. Vede Bond, io l’ho osservata a lungo, ho studiato il suo modo di essere e di agire, proprio perché temevo che si arrivasse a questo punto, e ciò che ho visto non mi piace: lei ha la pessima tendenza a far del male alle persone che le sono accanto, che lo voglia oppure no.” Sherlock sospira, fissando negli occhi la spia. “Temo che in questo non siamo poi così diversi io e lei. Ma io almeno ci provo, lei invece neanche questo.”
James non replica perché quelle parole corrispondono alla pura verità, quindi preferisce incassarle senza protestare e attendere che il discorso del moro arrivi alla ovvia e banale conclusione.
“Se vuole stare con Q, deve quanto meno provare a tenere a bada la sua natura autodistruttiva, ci siamo capiti?”
“Non posso assicurarle che non capiterà nulla di.. Doloroso.”
“Non le sto chiedendo questo Bond, non sono io il sentimentale in famiglia. Io vedo la sua vera natura, so che potrebbe accadere ma non posso fare nulla di più per impedirlo. Io esigo da lei quanto meno un impegno a tenerlo al sicuro ed evitargli problemi. Questo mi basta.”
James tende appena gli angoli delle labbra in un’ombra di sorriso pensando che, in fondo, Sherlock Holmes è una persona molto migliore di quanto lo avesse reputato all’inizio di quella conversazione, e non può che provare rispetto per quell’uomo pronto a tutto pur di tenere al sicuro il fratello. Mai si sarebbe aspettato di dirlo, ma potrebbe anche trovarlo a suo modo simpatico.
“Se è così, le posso assicurare che farò tutto ciò che posso per proteggere Q e renderlo felice. Sa che sono un uomo di parola e mantengo le mie promesse.”
“La cosa mi tranquillizza, almeno un po’. Ma sappi che la tengo d’occhio, Bond, e ciò che le ho detto è sempre valido.”
La vibrazione del cellulare annuncia a Sherlock l’arrivo di un sms, e non ha bisogno di guardare per sapere che si tratta di Greg.
“Mi piacerebbe molto continuare a intrattenermi con lei, Commander [4] Bond: tutto sommato, è meno peggio di quanto credessi. Ma dobbiamo scappare. Si ricordi solo una cosa: non faccia aspettare mio fratello troppo a lungo, non se lo merita.”
James segue con lo sguardo i due uomini che si alzano e si prende il lusso di allungare una mano verso di loro, stringendo prima quella di Holmes poi quella del capitano.
“Ci penserò io a suo fratello Holmes, è in ottime mani, si fidi.”
“Lo spero per lei..”
Sherlock lascia scivolare via un’ultima minaccia prima di voltarsi e allontanarsi dal tavolo seguito a ruota da John, molto più soddisfatto di quanto si aspettasse.
 
 
"Sherlock rispondimi"
La voce di Q, di poco più alta del normale, lo riporta bruscamente alla realtà e Sherlock passa dal fissare un punto indefinito avanti a se a focalizzare del tutto l'attenzione su suo fratello, che sembra in attesa di risposta a una domanda che lui non ha udito. Le sopracciglia folte si sollevano in una posa perplessa e l'innocenza assoluta si dipinge sui suoi lineamenti.
"A cosa dovrei rispondere?"
Q sbuffa e continua a fissare il fratello con un leggero alone di sospetto.
"Rispondere alla domanda che ti ho fatto tipo cinque minuti fa, ossia cos'è quel sorrisetto."
"Quale sorrisetto?"
Sherlock continua a mantenere l'espressione e il tono di chi sta genuinamente cascando dalle nuvole e non può fare a meno di pensare che Q ha ancora molto da imparare in tema di abilità recitative.
Il fratello riduce gli occhi a due fessure e serra la mascella: odia quando Sherlock cerca di prenderlo in giro in quel modo, perché lo fa più stupido di quanto in realtà non sia.
"Sherlock sai benissimo anche tu di cosa sto parlando. Quel sorrisetto vagamente compiaciuto che hai fatto quando hai letto l'sms di James.."
Il detective si limita a stringersi nelle spalle con strafottenza e Q prende un profondo respiro per mantenere la calma.
"Tu non c'entri niente, vero?"
Il sopracciglio sinistro del detective si alza pigramente, per riabbassarsi subito dopo in una posa corrucciata.
"Per quale motivo dovrei entrarci qualcosa? Davvero mi sfugge.. Hai finalmente ottenuto l'appuntamento che volevi, cosa cerchi di più?"
Q si toglie gli occhiali stropicciandosi gli occhi ed esala un profondo respiro: la realtà è che conosce Sherlock meglio di quanto lui conosca se stesso, e sa esattamente quando suo fratello gli mente. Per quanto Sherlock sia abile, ci sono solo due persone che non riuscirà mai a fregare, e lui è uno di questi.
"Che diavolo hai combinato Sherlock?"
"Niente Q. Non ho combinato proprio niente."
 
Nonostante la pressione esercitata dagli occhi verdi e accusatori di suo fratello minore, la voce di Sherlock è morbida e fluida. Non è certo lui il punto debole della catena quando si tratta di mentire.. Il pensiero, però, attraversa il viso di Q così fulmineo ed evidente che Sherlock non può fare a meno di agitarsi sulla poltrona vedendo Q spostare lo sguardo da lui a John: il piccolo bastardo sa che è molto più semplice far capitolare John, ed era la cosa che Sherlock temeva fin da principio. Il viso di John, infatti, è una maschera congestionata dall'imbarazzo e dal senso di colpa e a Q risulta estremamente facile analizzarla, carpendo da quelle rughe e quegli occhi bassi la verità.
"John almeno tu, per favore dimmi cosa sta succedendo.."
 
Il dottore sospira e afferra con la mano destra il bordo della poltrona su cui Sherlock è affondato, con uno sguardo che sembra urlare mi dispiace. Il detective alza gli occhi al cielo e contrae la mascella ricambiando lo sguardo del compagno.
"È esattamente questo il motivo per cui ti ho tenuto all'oscuro per tre anni.."
Borbotta in modalità perfetta pentola di fagioli, incurante del fatto che il compagno possa restarci male, e John non può fare altro che incassare il colpo senza protestare.
"Me la sono cercata in effetti.."
Il suo sguardo si alza verso un Q confuso ed irritato e si tinge immediatamente di scuse.
"Abbiamo parlato con Bond."
Q fa saettare gli occhi dal dottore a suo fratello e cerca di reprimere un moto di paura: conoscendo suo fratello, ha una vaga idea su quale sia stato l’argomento della discussione. La voce esce fuori leggermente instabile e malferma.
"Cosa hai detto a James, Sherlock?"
Il detective si stringe nelle spalle senza scomporsi: non ha più senso ormai mentire, meglio ammettere le cose apertamente e affrontarne le temute conseguenze con dignità. Solo per un attimo i suoi occhi si velano di un'ombra vagamente simile alla tristezza, come quelli di chi si aspetta una condanna a morte immediata, e non ha idea se Q l'abbia colta o meno.
"Gli ho detto che doveva lasciarti stare se non provava niente per te, perché così ti stava facendo solo del male."
 
Le dita di Q affondando sui braccioli della poltrona fino a farsi sbiancare le nocche e una sensazione di velenoso calore gli invade le vene, man mano che l'ira si impossessa di lui al pensiero di come James possa essere stato vessato e minacciato da Sherlock.
"Tu. Hai. Minacciato. James. Bond?"
L'espressione piatta di Sherlock non muta.
"Qualcosa del genere si.. Gli ho detto che se non avesse smesso di girarti intorno e flirtare con te, io avrei chiesto a Mycroft il tuo immediato trasferimento a un altro ufficio del MI6 e ti avrei fatto lavorare così tanto da renderti quasi incapace di avere una vita fuori da quel posto. Qualsiasi cosa pur di tenerlo lontano da te."
Ammessa la verità, a Sherlock non resta altro da fare che aspettare che Q inizi a urlargli in faccia manifestandogli tutto il suo odio. Cosa che accade, puntualmente, qualche istante dopo.
"Come hai potuto fare una cosa del genere, Sherlock, COME? Chi ti ha dato il permesso di giocare con la mia vita così, decidendo chi devo o non devo frequentare? Dio mio ma ti guardi?"
L'unico movimento che spezza l'aria del soggiorno, dopo le urla e il respiro rabbioso di Q, è la mano di John che affonda nei ricci di Sherlock e inizia ad accarezzargli dolcemente il capo, come se ciò bastasse a infondergli forza. Vorrebbe intervenire il dottore, ma sa bene che quella ormai è una disputa tra fratelli cui lui deve restare estraneo, e il massimo che può fare è confortare silenziosamente l'uomo che ama.
Davanti al silenzio di Sherlock, la voce del fratello si alza ancora di più.
"Non hai proprio niente da dire? O ti credi così onnipotente da poter dire e fare qualsiasi cosa senza subirne le conseguenze? Eppure pensavo che gli ultimi cinque anni della tua vita ti avessero insegnato qualcosa! Evidentemente mi sono sbagliato."
Q capisce di aver passato il limite nello stesso istante in cui quelle parole taglienti, dirette a ferire, escono dalle sue labbra, e vorrebbe solo rimangiarsele e cancellarle via insieme alla sofferenza che vede espandersi sul viso di Sherlock, ma ormai è troppo tardi.
 
Sherlock ha l'impressione che nella sua gola si sia formata una pietra fatta di dolore e rimorso, e fa una fatica immane a deglutirla via buttando giù una dose tripla di saliva, che purtroppo nulla può per sanare il senso di annebbiamento dovuto alle parole di Q. Il dolore non fa altro che scendere dalla gola al cuore e li si ferma, gravandogli sul petto e impedendogli quasi di respirare normalmente. Sapeva che tutto quello sarebbe arrivato, sapeva che Q avrebbe reagito esattamente in quel modo e sa anche che non può biasimarlo per questo, ma ciò non gli impedisce di annegare nel mare dei ricordi dolorosi e mai del tutto cancellati.
Le stilettate del fratello gli rammentano di nuovo la sua propensione a far soffrire le persone che ama, a giocare con le loro vite e decidere per loro senza alcun diritto: lo riportano a tre anni prima e a tutto ciò che gli ha roso l'anima, mentre vedeva John scivolargli via dalle mani per colpa sua, solo sua e delle sue bugie. Gli occhi di Sherlock si chiudono appena e dalle sue labbra esce un sospiro strozzato, nello stesso momento in cui la mano di John affonda meglio nei suoi capelli e gli percorre la nuca con amore infinito.
Ha come l’impressione che il suo compagno gli stia silenziosamente urlando tutto quello è finito, ormai ce lo siamo lasciato alle spalle e non deve più farti paura perché io ti amo più della mia stessa vita e non ti lascerò mai. Sherlock sa che non dovrebbe avere paura, eppure non può farne a meno di averne guardando gli occhi lucidi di Q, accuratamente nascosti dagli occhiali.
 
"Scusami. Mi dispiace io.. Questo è stato un colpo basso."
La voce di Q sembra provenire da una dimensione lontana ed è molto più flebile di quanto a Sherlock piaccia, perché è intrisa di un senso di colpa che non dovrebbe provare. Il fratello maggiore scuote appena il capo, abbozzando un sorriso.
"Me lo sono meritato in effetti. Sono io che dovrei chiederti scusa perché ho fatto una cosa che non avrei dovuto fare."
Q passa velocemente l'indice sotto l'occhio destro per raccogliere via una lacrima malandrina sfuggita al suo controllo.
"Puoi ben dirlo infatti.. Non avresti dovuto farlo Sherlock. So che lo hai fatto per me, perché pensavi di proteggermi, ma non serve. So badare a me stesso."
Sherlock sospira, innaffiando i polmoni dell'aria che sembra essere stata risucchiata via, e preme meglio il capo contro la mano di John, ancora teneramente affondata tra i suoi ricci e impegnata in morbide carezze.
"Lo so che sai badare a te stesso Q, non è questo il punto."
"E allora qual è?"
"Sono i sentimenti: quelli che provi per Bond e che ti stanno distruggendo piano piano."
Il minore dei fratelli Holmes spalanca gli occhi e affonda ancora di più nella poltrona, quasi che il peso della verità enunciata da Sherlock lo stia schiacciando inesorabilmente. Sa che il fratello non ha torto, e sa che in fondo lo ha già perdonato per il suo gesto.
"Non posso farci niente Sherlock.."
"Lo so Q. Tu mi sei stato sempre accanto, in quei tre anni e anche dopo, e nessuno meglio di te sa quanto sia stato difficile il mio percorso. Lo hai vissuto insieme a me, anche se da lontano, e sai che parlo con cognizione di causa. Stavi sprofondando in un tunnel, lo stesso che ho vissuto io, e non volevo che ti accadesse la stessa cosa. È la cosa peggior del mondo avere a portata di mano la persona che si ama e non poter allungare le dita e prenderla."
 
 
A Sherlock non serve aggiungere altro perché ognuno di loro sa a quale periodo si stia riferendo: quello immediatamente successivo al ritorno, in cui John era ancora confuso, arrabbiato e sposato con Mary. La tensione attraversa fulminea il corpo del dottore perché quelle parole suonano al suo orecchio come il peggior capo d'accusa: nonostante Sherlock gli avesse mentito e lo avesse abbandonato, lui lo ha fatto soffrire quando lo ha riavuto indietro. Per questo si è sentito in dovere di intervenire ed evitare a Q lo stesso destino. Il viso di Sherlock si gira all'improvviso verso di lui e la luce serena che gli tinge gli occhi chiari ha il potere di far svanire all'istante ogni rimorso, restituendogli la tranquillità del loro amore presente.
Q sospira, alternando lo sguardo tra suo fratello e il dottore, e semplicemente cede.
"Hai ragione. E mi dispiace di averti aggredito così Sherlock: tu stavi cercando di aiutarmi e io me la sono presa con te. Forse dovrei prendermela con me stesso e con la mia incapacità di lasciarlo andare, perché non sarà mai come mi piacerebbe che fosse."
Le labbra di Sherlock si tendono in un sorriso inaspettato e divertito, mentre scuote il capo.
"Non necessariamente Q.. Mi stupisce che in tutto questo discorso tu abbia mancato il punto fondamentale."
"Che sarebbe?"
"Andiamo non è difficile! Dopo tutto quello che ho detto a Bond, come pensi debba essere interpretato questo suo sms?"
Il sorriso di Sherlock si allarga quando Q prende finalmente consapevolezza di tutti i termini della questione.
"Oh mio Dio.. Tu quindi mi stai dicendo che..?"
La prospettiva è così inaspettata e dannatamente bella che la voce gli muore in gola, chiusa in una morsa di pari passo col rossore che gli imporpora le guance. Sherlock trattiene a fatica un commento caustico per quel triste spettacolo, limitandosi a finire la frase al posto del fratello.
"James Bond prova qualcosa per te fratellino. Altrimenti ti avrebbe semplicemente ignorato, non ti avrebbe invitato a cena.." Piccola pausa. "Invito cui, mi pare, si debba ancora rispondere a dovere.”
 
Q impiega qualche attimo di troppo per capire le intenzioni del fratello, ma quando lo fa Sherlock ha già preso il cellulare e le sue dita si stanno muovendo in fretta sul touch screen.
"No Sherlock no, aspetta!"
Lo slancio in avanti è rapido e fulmineo come quello di una gazzella, ma Sherlock è più veloce e preme invio passando l'iPhone a John prima che Q afferri i lembi della sua giacca e gli frani addosso.
"Troppo tardi fratellino."
Q lo scuote qualche istante poi si lascia andare, affondando la fronte contro la clavicola di Sherlock e respirando sulla sua giacca taglio sartoriale, respiri profondi, di chi è prossimo al panico. Un appuntamento con James Bond: Q teme che il suo cervello geniale possa collassare da un momento all’altro davanti a quella prospettiva.
"Ho appena accettato un appuntamento con James Bond.."
"Non per fare il pedante, ma in realtà io l'ho accettato per te visto che era il tuo sogno proibito da quasi un anno."
"Sei pedante in effetti, a sottilizzare su queste cose..”
La voce di Q arriva attutita dal rifugio che si è scavato sulla spalla di Sherlock e non ha alcun problema a restare in quella posizione, anche se il corpo del fratello sotto di lui è immobile e poco propenso alle coccole.
"Un grazie basterebbe, sai?"
“Hai rischiato di mandare a puttane la mia vita, e dovrei anche ringraziarti? Sei assurdo!”
“Almeno sono riuscito a far avverare il tuo sogno proibito, in un modo o nell’altro..”
“A volte dubito che tu sia davvero mio fratello..”
Q si lascia andare a una risata sconsolata, sfogando tutta la tensione che l'idea di uscire seriamente con Bond gli ha scaricato addosso, e fa riemergere il viso solo per stampare un bacio leggero sulla guancia di suo fratello. Sa che Sherlock odia quel genere di cose e non è mai felice quando qualcuno diverso da John invade il suo spazio fisico, ma sa anche che in quello spazio fisico lui è ammesso e non può fare a meno di approfittane di tanto in tanto per coccolare quel fratello così amato.
Le labbra di Sherlock si tendono in un sorriso e la mano sinistra si alza inaspettatamente, raggiungendo i capelli di Q e infilandosi tra di essi per una carezza dolce e amorevole, come quelle che John continua a fare a lui. Preferisce non pensare al quadretto stucchevole che formano al momento, con John che gli accarezza il capo e lui che coccola Q, altrimenti si pentirebbe all'istante di quella crepa nel suo solito distacco e andrebbe in coma glicemico. In fondo, di tanto in tanto, non è poi così male lasciarsi andare.
 
Q resta adagiato sulla spalla del fratello qualche altro attimo, per massimizzare fino all'ultimo uno di quei rari momenti di intimità che Sherlock gli concede, e si tira poi su pulendosi i pantaloni.
"Mi stavo giusto chiedendo per quanto altro tempo volessi abusare della mia pazienza e del mio buon umore odierni."
"Non ti preoccupare, ho appena finito! Devo prepararmi per un appuntamento, ricordi?"
Le labbra di John si increspano in un sorrisetto malizioso.
"Q indossa una camicia viola questa sera: è scientificamente provato che addosso a voi Holmes stanno da dio e hanno un effetto da spezzare il fiato."
"Grazie del consiglio John, ne terrò conto. Non mi fare in bocca al lupo?"
Sherlock porta nuovamente le labbra sulle dita giunte, ma stavolta sono aperte in un sorriso.
"Non credo che ne avrai bisogno Q, ma se ti può aiutare a stare meglio in bocca al lupo."
Davvero se n’è uscito con una cosa del genere? A volte ancora fatica a credere a cosa Q sia capace di fargli fare con la sua sola, solare, esistenza e il suo sorriso aperto e dolce.
"Grazie. Vi farò sapere domani com'è andata."
"Perfetto. E ora sparisci, che dobbiamo tornare a lavorare."
"Agli ordini signori! Ci sentiamo domani, grazie di tutto."
Sherlock sospira quando Q volta i tacchi ed esce dal soggiorno del loro appartamento, e si volta poi verso John trascinandolo giù affinché si accomodi sulle sue gambe.
"Ha funzionato."
Il dottore scivola agile sulle cosce del compagno facendo attenzione a non gravargli troppo addosso col proprio peso, e avvicina il viso al suo stampandogli un bacio sulle labbra.
"Siamo stati fortunati. Hai avuto molto coraggio, Sherlock, e io ti amo per questo."
"È sempre bello sentirselo dire.."
 
 
Ore 21:30
 
Quando la limousine si ferma davanti il ristorante di lusso più bello di tutto il distretto di Belgravia, Q ha l’impressione che il cuore gli sia esploso per il sovraccarico eccessivo e i pezzi siano ormai sparsi nella gola e nelle tempie, dolorosamente pulsanti. L’incertezza e l’aspettativa lo stanno divorando, e non può fare a meno di sentirsi un po’ stupido per questi sentimenti che, teoricamente, non dovrebbe provare. In fondo non è la prima volta che esce con James Bond, ma è la prima volta che lo vede in quel modo, durante un appuntamento reale e consapevole, che il luogo sfarzoso rende ancora più ufficiale ed importante.
Un vero appuntamento con James Bond.
E’ l’unica cosa cui Q sia riuscito a pensare per tutto il pomeriggio, annegando nell’ansia del cosa dire, cosa fare, come comportarsi, come giustificare le azioni di Sherlock, come evitare di apparire un ragazzino alla sua prima cotta, impacciato e imbarazzato; soprattutto, come riuscire a guardare in faccia James sapendo che lui sa che lo ama, e sapendo che anche Bond prova qualcosa per lui.
Sebbene sia più avvezzo alla sfera sentimentale rispetto ai fratelli maggiori, tutto ciò appare difficilmente gestibile anche a lui, ed è con passo leggermente malfermo che entra nel locale e segue la proprietaria verso la parte più lontana e nascosta, che ospita probabilmente una stanza privata.
 
Nel percorso che lo conduce verso Bond, Q non può fare a meno di osservare il proprio riflesso sullo specchio che domina una delle pareti e percorre con gli occhi il proprio corpo per la millesima volta, alla spasmodica ricerca di un particolare fuori posto. Nulla sembra sbagliato nel suo abbigliamento fatto di un elegante vestito nero e una camicia viola portata aperta, i bottoni del collo slacciati per mettere in evidenza i muscoli: sicuramente su Sherlock quell’abbigliamento avrà un effetto migliore, ma anche addosso a lui non sembra poi così male. L’unico dettaglio diverso dal solito è l’assenza degli occhiali – tenuti rigorosamente nella tasca della giacca- e si ritrova ad evitare all’ultimo secondo una sedia piazzata in mezzo che non ha notato, a causa proprio della vista sfuocata.
Iniziamo bene..
Sospira cercando di trovare un barlume di tranquillità, ma la porta che gli si apre davanti mettendo in un luce un ambiente raffinato, silenzioso ed incredibilmente intimo non lo aiuta affatto. La donna lo invita ad accomodarsi senza entrare, e il fiato di Q si spezza definitivamente nel momento esatto in cui i suoi occhi si posano sulla figura massiccia ed elegante di Bond in avvicinamento, fasciata da un semplice smoking nero e camicia bianca e illuminata dall’accessorio più bello che Q potesse desiderare: un sorriso ampio e caldo.
James gli si ferma davanti dopo pochi istanti e Q si limita a fissarlo in silenzio, completamente rapito dal suo fascino magnetico e dai suoi occhi più azzurri del cielo che sembrano, per la prima volta dopo tanto tempo, davvero sereni. Felici, quasi. Vorrebbe dirgli che lo trova bellissimo, che tutto quello è bellissimo e che non riesce a credere che sia per lui, ma le parole gli muoiono nel petto e si fermano agli occhi, senza raggiungere le labbra. Quello è esattamente ciò che si era imposto di non fare – bravo, stai facendo la figura dell’adolescente idiota- ma la gola è così secca e i polmoni così vuoti che non riesce ad emettere alcun suono, completamente annientato da Bond, dal locale, dall’emozione.
 
E’ James a infrangere il silenzio imbarazzato dopo qualche attimo di reciproca contemplazione, lo sguardo avido che percorre dall’alto in basso il corpo di Q come se volesse mangiarlo li e ora.
“Wow.. E questa camicia viola da dove spunta fuori?”
Le labbra di Q si tendono in un sorriso e non gli importa di essere in piena tachicardia: è con James, James gli sta sorridendo e lo trova uno schianto, almeno a giudicare dalle sue occhiate fameliche. La tachicardia è un costo sopportabilissimo a fronte di un miracolo simile.
“Diciamo che mi è stata consigliata da qualcuno.. A detta di questo qualcuno, sta molto bene addosso a noi Holmes. Ora lascio giudicare te.”
“Beh puoi dire al capitano Watson da parte mia che ha assolutamente ragione: il viola sta molto bene a voi Holmes.”
Bond resiste a fatica all’impulso di prendere Q e baciarlo in modo così violento e prepotente da lasciarlo privo di sensi, ma preferisce dargli qualche altro minuto per rilassarsi e fare la mano alla situazione nuova.
“C’è solo un dettaglio che non mi quadra..”
Lo stomaco di Q si chiude all’istante, al pensiero di aver sbagliato qualcosa.
“Sarebbe?”
“Questo.”
La spia alza le labbra in un sorrisetto divertito e allunga con nonchalance la mano verso la giacca di Q, aprendo lentamente il primo bottone per infilare le dita nella tasca e prendere gli occhiali, tirandoli fuori e richiudendo poi con eleganza il bottone. Un attimo dopo, gli occhiali sono adagiati sul naso di Q e le labbra di Bond raggiungono il suo orecchio sinistro sussurrando con tono leggermente malizioso.
“Respira Q. Ho promesso a tuo fratello che ti avrei tenuto vivo e in buone condizioni.. E sappi che ti preferisco con gli occhiali, sei più tu.”
Q spalanca gli occhi fissando il tavolo apparecchiato avanti a se ed esala a fatica un respiro, sentendo i polmoni pungere per lo sforzo. Immaginava che sarebbe stato bello, non immaginava che sarebbe stato fantastico.
 
“Ehm ecco.. A tal proposito..”
L’indice di James arriva a mettere a tacere l’impacciato discorso che Q stava cercando di abbozzare, e il ragazzo non può fare a meno di perdersi negli occhi freddi e caldi insieme di Bond, ammirandone ogni pagliuzza e sfumatura ora che la sua vista è tornata ad essere perfetta. Non sapendo cosa fare con quel dito posato sulle labbra -cosa fare che non sia un esplicito invito di carattere sessuale, ovviamente- Q resta in silenzio, in attesa.
“Prima che tu dica qualsiasi cosa, voglio mettere in chiaro un concetto.”
Accade tutto così in fretta che Q non ha tempo di realizzare, e quando capisce è ormai troppo tardi e l’unico suo pensiero – oh mio dio, sta per baciarmi- si infrange contro le labbra sottili ma dannatamente invitanti di James, premute con forza sulle sue, e contro le mani ampie che gli coprono entrambe le guance, affondando la punta delle falangi nei capelli e solleticandoli.
Dopo un attimo di sorpresa, il corpo pietrificato del ragazzo riprende vita e risponde al bacio della spia con altrettanta intensità: le labbra si schiudono per lasciar entrare la lingua di James e la sua va ad accoglierla, ingabbiandola in una danza umida e dolce, lenta e priva di fretta, come se avessero tutto il tempo del mondo, prima di esplorare i suoi denti e il suo palato e poi ancora di nuovo lingua e saliva e passione che non può più essere trattenuta. Q geme quando James gli morde piano il labbro inferiore e tira fuori la punta della lingua per accarezzare piano la pelle tumida, nello stesso punto che ha appena morso, e dio tutto quello è semplicemente divino.
 
“Spero di essermi spiegato abbastanza..”
Il sussurro di James si ferma direttamente sulle sue labbra e Q non può fare a meno di tenderle in un sorrisetto vagamente malizioso, percorrendo con la punta della lingua il labbro inferiore di James.
“Mmm non saprei, forse una seconda spiegazione, più approfondita, potrebbe essermi d’aiuto.”
Bond ghigna, leccando ancora il labbro rosso e invitante del suo giovane amore.
“Se le cose stanno così..”
Un secondo più tardi le sue labbra vanno nuovamente ad aggredire quelle di Q e la lingua si insinua tra le loro bocche, succhiando, leccando e accarezzando senza sosta, mentre le mani spingono il viso del ragazzo per dare ancora maggiore profondità.
Q si aggrappa quasi disperatamente alle spalle di James e preme il petto contro il suo respirando dal naso, per far durare quella sinfonia di tocchi ed emozioni il più a lungo possibile. Geme quando l’uomo affonda il viso nell’incavo della sua spalla e va a mordicchiargli piano i muscoli del collo tesi: un brivido di eccitazione e desiderio lo percorre come una frustata, ma Q cerca di metterlo a tacere con tutte le sue forze. Non lì, non al momento. Dopo, dopo avranno tutto il tempo del mondo.
“Forse così sono stato più chiaro..”
“Decisamente sì.. Ma se mai volessi ricordarmi la lezione più volte, ripetutamente, durante la serata, non mi dispiacerebbe affatto.”
 
Dopo il sorriso di James e la sua mano grande e forte che cerca e stringe la propria trascinandolo verso il tavolo, la cognizione del tempo diventa, per Q, un concetto assai nebuloso ed astratto, risucchiato com’è dall’aura potente dell’uomo al suo fianco. Da quel momento sono solo risate, sguardi languidi, fiumi di parole e confessioni senza più barriere, come Q desiderava da tempo.
James gli chiede dettagli della sua famiglia, curiosità che ha sempre avuto e non ha mai avuto modo di approfondire, e Q risponde aprendo il suo cuore senza più timore di risultare fuori luogo. Parla di Sherlock, dell’affare Moriarty, dei suoi problemi con la droga, di come abbia cercato di uscirne per non dare a lui un pessimo esempio – il fratello non gliel’ha mai detto ma lui sa che è così- parla di Mycroft e dei suoi genitori, soddisfacendo ogni curiosità dell’uomo che ama.  
A sua volta, Bond gli racconta particolari ulteriori sulla sua infanzia da orfano e su come sia entrato al MI6, cose su M che non ha mai rivelato a nessuno e che mai pensava di poter dire a voce alta, cose riguardanti le innumerevoli missioni che lo hanno visto vincitore sul campo. Q vorrebbe chiedere di Vesper, vorrebbe sapere cosa Bond trovasse nell’unica donna che abbia mai davvero amato, ma preferisce tacere, perché il fantasma di Vesper è ancora troppo vivo e presente e lui non ha voglia di vedere il rimpianto e l’ombra del dolore calare sugli occhi di James. Non vuole mettersi a confronto con una donna eccezionale che ha saputo stregare il celebre agente 007, perché ha paura che uscirebbe sconfitto dal confronto su tutta la linea e non è quello ciò che vuole nel suo primo, vero appuntamento.
Anche se, la mano di James costantemente intrecciata alla sua durante tutta la cena sembra volerlo rassicurare dicendogli che ormai non esiste più Vesper, non esiste più nessun’altro a parte lui, solo lui. James è suo adesso ed è l’unica cosa che conta, il passato ormai è morto ed è giusto che resti tale. Un giorno, forse, Q farà le domande che lo tormentano, ma al momento vuole solo godersi l’emozione di essere il solo nella mente e nel cuore di James Bond.
 
Dopo più di tre ore e svariate portate di ottimo cibo, James gli porge nuovamente la mano per farlo alzare e gli circonda le braccia con fare quasi protettivo, stringendolo a se mentre lo guida verso l’uscita del privè. Q si stringe al petto dell’agente 007 e affonda il viso all’altezza del suo cuore, nascondendo l’ennesima risata e l’ennesimo sorriso carico di un sentimento così profondo che Q teme possa spaventare l’uomo che lo sta stringendo. All’improvviso, le mani di James gli arruffano divertite i capelli.
“Sto per portarti a casa, fare l’amore con te fino a domattina senza sosta e ancora non so quale sia il tuo nome vero. Perché ti ostini a non volermelo dire? Penso di avere diritto di saperlo, no?”
“E’ orrendo..”
“Lascia giudicare me.”
“Carlton Augustus Holmes. [5] Ecco, ora capisci perché preferisco farmi chiamare Q?”
Q storce il naso e serra le labbra in una linea severa, salendo al posto del passeggero della macchina sportiva di Bond mentre la spia scoppia a ridere divertita.
“Non ti posso biasimare in effetti.. I vostri genitori ne hanno avuta di fantasia nel darvi i nomi eh..”
E’ l’ultimo commento sghignazzato della spia, prima di mettere in moto e dirigersi verso il proprio appartamento.
 
 
Qualche ora dopo.
 
James Bond ha come l’impressione di essere nella fase di pieno post sbornia quando riapre gli occhi a fatica, fissando il soffitto della sua stanza da letto con una sensazione di dolce annebbiamento che non provava più da secoli. E’ completamente ubriaco, e non certo per via dello champagne che hanno consumato in abbondanza durante la cena, bensì per le sensazioni intense e inebrianti che ancora gli percorrono ogni singolo muscolo: è ubriaco di sesso, ubriaco di Q, ubriaco di ogni singolo secondo d’amore che si sono regalati in quella notte infinita.
Fatica a richiamare alla mente tutti i ricordi nel dettaglio: l’ultima cosa che visualizza con certezza sono lui e Q che entrano nella sua stanza da letto e lui che quasi strappa da dosso al ragazzo la camicia viola, troppo preso dall’urgenza di averlo sotto di se per fare attenzione alla forma.
Da quel momento in poi, è stato solo e soltanto un incredibile, estenuante ed infinito trionfo dei sensi: mani che toccano, accarezzano, stringono, graffiano, strizzano, palpano, affondano nella carne e la divaricano facendosi strada; labbra che si muovono sui muscoli lentamente, inesorabilmente, leccando via sudore e umori, labbra che baciano e sfiorano con riverenza ogni cicatrice e ogni centimetro di pelle, labbra che stringono e succhiano e danno piacere; lingue che sfiorano e leccano ovunque senza pudore alcuno, senza tralasciare alcun dettaglio; corpi uniti in una perfetta sinfonia di passione e carni una, due, tre volte, in una spirale di piacere così sublime da annientare ed essere quasi divino nella sua perfezione. Un piacere giusto, dal sapore quasi catartico.
James ha perso il conto di quante volte Q lo abbia portato all’orgasmo quella notte: lentamente e con una progressiva scalata, rapidamente e senza troppe cerimonie, con il suo corpo, con le sue mani sparse in ogni anfratto, con le labbra strette divinamente intorno al proprio sesso e dio quelle labbra meravigliose e abili..
L’ennesima scarica di adrenalina gli percorre il corpo e si riversa nel suo addome, dando nuovamente linfa vitale ai suoi desideri che sembrano non volersi esaurire mai in quella notte di passione. A fatica abbassa lo sguardo su di se e accanto a se, trovandosi parzialmente avvolto dalle lenzuola massacrate e con lo sguardo divertito e serafico di Q che lo inchioda dall’alto del suo corpo steso a pancia sotto e sollevato sui gomiti, col fondoschiena coperto dal lenzuolo e l’inseparabile Mac davanti. [6]
 
Con un movimento repentino, James ruota sul fianco così da posizionarsi a pancia sotto accanto a Q e lo abbraccia, insinuando una gamba tra le sue così da rendere maggiore la vicinanza tra i loro corpi ancora caldi ed esausti.
“Ben svegliato.”
Il ghigno del ragazzo è divertito ma la curva delle sue labbra è così dolce che James teme di poter iniziare a sanguinare amore da un momento all’altro.
“Quanto ho dormito?”
“Quattro ore, trentacinque minuti e diciannove secondi.”
“Tu, invece, immagino che non abbia dormito affatto.”
Q si stringe nelle spalle allungando la mano destra sul viso di James per una carezza, lasciandola poi abbandonata sulla sua guancia. Il suo sorriso si tende quando Bond volta il capo quel tanto che basta per affondarlo nel palmo della sua mano e lasciarlo li, baciandone con calma ogni centimetro.
“Io non sono mica vecchio come te, James..”
I baci di Bond si trasformano in un leggero morso nell’incavo tra pollice e indice, che strappa a Q un mugolio deliziato più che infastidito.
“Non devo mica ricordati che questo vecchio, come dici tu, ti ha fatto urlare senza vergogna per tutta la notte e implorare pietà, vero?”
“Colpito e affondato.”
“Ecco, vedo che ci capiamo. Cosa stai facendo?”
Lo sguardo di Bond si sposta dal viso del ragazzo allo schermo luminoso del computer e una serie di finestre assolutamente incomprensibili gli appaiono sotto il naso: non è un caso che lui sia la semplice pedina e Q il giocatore alle spalle che lo muove. Bond sa che Q è importante per il dipartimento tanto quanto lui, anzi forse anche di più per il suo genio e il lavoro di guida che svolge con lui: il suo indispensabile e fedele quartemaster. Suo. Suo e di nessun’altro. 
“Nulla di che, stavo solo controllando un po’ di cose che mi serviranno per domani in ufficio.”
 
Il naso di James percorre avanti e indietro le dita lunghe e affusolate di Q, prima di fermarsi tra medio ed anulare e inspirarne il profumo carico di sesso che ancora impregna l’aria e i loro corpi.
“Comunque tuo fratello è uno stronzo di prima categoria, e non mi piace questa cosa che ci tengano sotto controllo. Devo per caso temere di ritrovarmi a pezzi in fondo al Tamigi domani, dopo tutto quello che ti ho fatto stanotte?”
Q scoppia a ridere divertito, gettando il capo all’indietro.
“Non ti preoccupare, non c’è questo pericolo. Riguardo al fatto di spiare.. Ti faccio vedere una cosa.”
Le dita agili di Q si muovono sui tasti del Mac cambiando schermata e sostituendola con delle riprese di bassa qualità, probabilmente una piccola telecamera nascosta da qualche parte. La ripresa mostra una stanza, meglio un soggiorno, completamente invaso da carte, appunti, fotografie e dominato da un divano e due poltrone davanti un camino, con un teschio posato sopra il camino e uno smile giallo dipinto su un muro e sfregiato da colpi di proiettile. A condire il tutto, abiti sparsi ovunque e una bottiglia di lubrificante abbandonata sul tappeto insieme a un cuscino con la Union Jack.
“Cosa diavolo è questo?”
“Non ci sei ancora arrivato? Ti facevo più sveglio 007..”
“Non sono del tutto sicuro di volerlo sapere..”
Q sghignazza divertito osservando lo scempio che è stato fatto del soggiorno del 221B.
“Mio fratello sta diventando lento.. Ho piazzato la telecamera nella sua libreria da più di 20 giorni e ancora non l’ha trovata. Probabilmente è vero che l’amore di John un po’ lo rallenta.”
James non trattiene un’espressione stupita.
“Fammi capire, tu hai messo una telecamera nel soggiorno di casa di tuo fratello?”
“Si! Per fargli capire cosa si prova ad essere spiato costantemente. Mi ucciderà quando lo scoprirà..”
La risata di James risuona nella stanza forte e vibrante, del tutto spontanea e divertita, e la mano aperta di Q la attutisce a mala pena.
“Oh mio Dio, tu sei completamente pazzo!”
“Lo so, ma mi ami anche per questo.”
Il tono di Q è scherzoso e assolutamente non serio, ma il suo cuore aumenta i battiti all’istante vedendo le labbra di James in avvicinamento e leggendo nei suoi occhi un’espressione così dolce da fargli tremare di gioia ogni singolo muscolo. Le parole successive, sussurrate direttamente contro le sue labbra, sono tutto ciò che serve a Carlton Augustus Holmes per andare dritto in paradiso.
“Che Dio mi aiuti, sì.”
 
 
 
 
[1] Citazione rimaneggiata di The love song of James Bond.
[2] Autocitazione della mia spy story Trust Issues.
[3] E’ il gesto che Sherlock fa al tassista di ASIP, per capirci.
[4] Non ho resistito alla tentazione di usare questo appellativo: è troppo UNF, if you know what i mean *si butta dentro una vasca con ghiaccio per spegnere l’autocombustione*
[5] Il nome di Q è frutto di uno sclero tra me e Fusterya: è il nostro headcanon ormai XD
   
 
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