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Autore: Shiki Ryougi    31/01/2013    5 recensioni
[Vincitrice della SFIDA n° 53 del sito Writer's Dream]
Era da quando s'era ammalata che sognava quel lupo.
Sembrava che fosse lì proprio per lei.
Per accompagnarla verso la morte.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Sfida 53
Sfidante: Shiki Ryougi
Sfidato: Lo scrittore incolore
Sfidato: crazycat
Arbitro: Jessie
Genere: Sovrannaturale
Tema: Uno stregone fa una maledizione al protagonista
Limite di caratteri: 9.000
Boa obbligatoria: Deve esserci un lupo
Scadenza: 27 gennaio, ore 23:59
 
Trovate la sfida qui, al post numero 76 del topic.
Risultati: qui, al 54° post della discussione.
Una semplice sfida organizzata nel Writer's Dream, al semplice scopo di divertirci insieme.
Ecco i racconti degli altri sfidati: crazycat (1 parte; 2 parte) e Lo scrittore incolore (1 parte; 2 parte).









 
Era da quando s'era ammalata che sognava quel lupo.
Sembrava che fosse lì proprio per lei.
Per accompagnarla verso la morte.
 
Si guardò le mani e inorridì; pallide, magre e tremanti.
Rannicchiata sotto le coperte del letto, passava le ore tra il riflettere e il dormire. Ad altro non poteva dedicarsi, era troppo debole per fare qualsiasi cosa.
Costretta a letto, una bambina di soli dieci anni, aveva ben poche alternative.
Sentiva che sarebbe morta, lo sapeva bene, anche se gli altri le riempivano la testa con false promesse.
Ti rimetterai, dicevano, il peggio è passato, vedrai che andrà meglio.
Ma erano tutte bugie. Aveva origliato mentre parlavano con il dottore; la mamma s'era messa a piangere e il papà aveva imprecato. Nessuno sapeva cosa fare, non riuscivano a dare una spiegazione al suo male. 
L'unica cosa certa era che lei non poteva più mangiare, bastava poco per farle rigettare tutto. Quindi era andata avanti di stenti, cercando di sostenersi con il minimo indispensabile per non vomitare e, allo stesso tempo, non morire di fame.
Era peggio di una tortura perché lei sentiva il bisogno di mangiare; lo stomaco era sempre contratto dai crampi, ma poi si ritrovava piegata in due, a rigettare tutto sul pavimento.
Stava malissimo e ogni giorno era sempre peggio.
Arrivò a desiderare solo che quel supplizio finisse, quindi decise di smettere di provare. Smise completamente di assumere cibo.
Erano tre giorni che non toccava più niente, ma dieci n'erano passati da quando aveva cominciato a stare male.
 
Vicino al suo piccolo paese sperduto tra le montagne, dopo due o tre chilometri di boschi e prati incolti, attraversati in parte da esili sentieri, si trovava una piccola casetta, apparentemente disabitata.
Costituita da un unico piano, tre finestre e due porte, era ricoperta da un spesso strato di vegetazione verde e rigogliosa. Fino al tetto e per tutte le pareti si estendevano fiori, fili d'erba ed edera. Così ben mimetizzata con la natura, la casa sembrava sorgere direttamente dal vasto prato verde che la circondava.
Tutto intorno vi erano ortaggi, piante da frutto e fiori. Era un vero paradiso per gli occhi e la pancia.
Greta era entusiasta. Non poteva credere che quel ben di Dio non appartenesse a nessuno. Lì, abbandonato, dopo pochi chilometri di boschi, sentieri e prati, la bambina si domandava come aveva fatto a non scoprirlo prima.
Lei amava camminare, esplorare e scoprire, anche se spesso i suoi genitori e i fratelli più grandi la strigliavano per questo; dicevano che era pericolo allontanarsi troppo.
Senza più esitare cominciò a correre, sentendo il vento estivo accarezzarle il viso sporco di terra e spettinandole i lunghi e mossi capelli neri.
A braccia aperte si lanciò contro un ciliegio e prese ad arrampicarsi, aggrappandosi ai rami più bassi e facendosi forza per issarsi.
Raggiunto un ramo abbastanza robusto per sorreggerla, si sedette e prese a cogliere i frutti. Una, due, tre, si divorò fino a dieci ciliegie, sputando i semi sul terreno sotto di lei. Ne mangiò altre, poi quando fu sazia, saltò giù e prese ad avvicinarsi ancora di più alla casetta.
Al terzo albero che scalava, pieno di albicocche, qualcosa la fece vacillare. Fu talmente improvviso che quasi lasciò la presa, rischiando di cadere. Era stato un capogiro.
Scampato il pericolo, riprese a scalare l'albero, per poi ripetere ciò che aveva fatto con gli altri. Si riempì la pancia con quei frutti succosi fino a quando non fu sazia.
Completamente piena, si rilassò un attimo, osservando il sole che aveva cominciato a calare all'orizzonte. Realizzò che s'era fatto tardi.
Si calò giù, pronta a tornare a casa, ma qualcosa catturò il suo sguardo. 
Una persona la stava osservando dall'interno oscuro della casetta, appostata a una delle tre piccole finestre. 
Greta si fermò, in piedi accanto all'albero di albicocche. Il silenzio, quei pochi attimi, fu glaciale.
Poi venne interrotto dal cigolio dei vetri che s'aprivano; la persona misteriosa si affacciò e i raggi del sole illuminarono il suo viso. Si rilevò essere una vecchia raggrinzita, dal lungo naso, ed era la proprietaria di quel immenso giardino pieno di frutti e fiori.
Greta non sapeva come comportarsi. Non voleva passare da ladra, ma la realtà era quella; i frutti con cui s'era riempita la pancia erano di quella anziana signora.
Si avvicinò di qualche metro alla finestra; la donna la osservava impassibile, senza lasciar trapelare nemmeno un emozione.
La bambina teneva le mani dietro la schiena ed era rossa in viso, avrebbe voluto dire qualcosa, ma le parole le morivano dentro, prima ancora di aprire bocca.
Fu la donna a parlare per prima: «Ti piace mangiare, vedo. Soprattutto ti piace rubare il cibo degli altri.»
Greta rimase a bocca aperta e prese a balbettare: «No... non è così, io, pensavo... cioè, credevo fosse disabitato, non potevo sapere... mi dispiace.»
«No, non è vero. Non ti dispiace. Ti ho osservata tutto il tempo. Lì, appisolata sui i miei poveri alberi. Ma me la paghi, te lo giuro, demonio!»
Le ultime parole risuonarono cariche d'odio. Greta, spaventa, arretrò di qualche passo, portando le mani avanti. Lo sguardo di quella vecchia megera la trapassava e sembrava in grado di leggerle dentro, fino al cuore.
«Vattene da qui e ringrazia il cielo! Ringrazia che il tuo ultimo pasto sia stato così ricco di bontà. Vattene e vai a pregare il tuo Dio.». Queste ultime frasi le urlò, sputacchiando, come solo i vecchi sanno fare, ma a Greta fece davvero paura.
La donna chiuse i vetri della finestra e la bambina corse via.
 
Era grande, più grande di un lupo normale.
Il pelo era grigio e arruffato, gli occhi grandi e profondi. Due pozzi neri.
Ma era molto stanco, affamato. Non sarebbe vissuto a lungo.
 
Fu quella notte, dopo l'incontro con la vecchia strega, che sognò per la prima volta il lupo.
Non era un incubo, ma nemmeno un bel sogno, quelli che ti fanno svegliare con il sorriso stampato sulle labbra. No, era semplicemente un susseguirsi d'immagini e sensazioni. Dolore, fame, tristezza, solitudine, bisogno d'aiuto e morte.
Il lupo stava morendo e la guardava, quasi a implorarla.
Poi il sogno finiva e Greta apriva lentamente gli occhi, con il volto tranquillo ma nessun sorriso. 
No, non era un incubo, ma nemmeno un bel sogno.
Fu dopo quella notte che cominciò a vomitare.
 
In quei dieci giorni l'aveva visto tutte le notti.
Lei pian piano moriva dentro e fuori. Stava letteralmente scomparendo.
La strega l'aveva maledetta, aveva mantenuto la promessa. Greta, la sua colpa, l'avrebbe scontata con la morte.
Si osservava le mani, ossute e pallide. Le braccia, le gambe, la pancia, il viso, tutto appariva ricoperto solo da un sottile lenzuolo bianco, teso, quasi sul punto di strapparsi; sotto c'erano soltanto le ossa, la carne era svanita.
I capelli le cadevano a ciocche e quindi era stata costretta a tagliarli corti, tanto da sembrare un maschio.
Si faceva schifo e non aveva intenzione di continuare a vivere così, sapendo che pian piano sarebbe sprofondata, scomparendo nell'oscurità.
 
Quella notte era gelida e il vento ululava.
Gretta camminava nel buio, ondeggiando e traballando sulle sue esili gambe.
Era decisa, ci aveva pensato. Raccolte le ultime forze rimaste, era scesa dal letto e, senza farsi scoprire, era uscita di casa, diretta verso il bosco, che si estendeva poco dopo i campi di suo padre.
Sapeva dove trovare il lupo, l'aveva sognato talmente tante volte da essersi impressa nella mente anche il luogo. Sperava solo di riuscire ad arrivarci. Ad ogni passo era sempre più tremante, sempre più debole, sempre più vicina alla morte.
Ci mise una ventina di minuti a raggiungere i primi alberi ma a Greta parve una eternità. S'inoltrò nella boscaglia e, completamente senza forze, cadde al suolo, ai piedi di un enorme albero.
Sapeva che non si sarebbe più alzata, aveva dato tutta se stessa per raggiungere quel posto e adesso aveva soltanto voglia di dormire.
Stava per chiudere gli occhi, quando avvertì una presenza. Il lupo era proprio sopra di lei e l'annusava.
Greta sorrise perché era lui, quello del suo sogno. Era felice perché non sarebbe morta invano, avrebbe salvato una vita.
Infatti, la povera creatura, nonostante la sua bellezza, era ridotta pelle e ossa. Il lupo era debole e affamato, proprio come lei.
«Siamo simili.» sussurrò «Ma tu continuerai a vivere, mentre io morirò...». Concluse, alzando il braccio per sfiorargli il muso.
Il lupo emise un rantolo, in segno di assenso.
S'erano capiti l'un l'altro e Greta era pronta.
La bambina chiuse gli occhi e la creatura spalancò le enormi fauci.
Il dolore all'inizio fu quasi insopportabile ma poi ogni sensazione svanì, lasciando spazio al nulla.
 
Quando Greta aprì gli occhi notò che era mattino.
Si trovava nel suo letto.
Il sole filtrava dalle tende della camera e i raggi le colpivano il viso, di nuovo in carne.
Dopo quella notte non sognò più il lupo.
Il suo sacrificio l'aveva salvato e lui le aveva restituito una vita, degna di essere vissuta.
   
 
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