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Autore: Ili91    08/02/2013    2 recensioni
[2014!verse]
Castiel è ferito, ma Dean interviene in tempo per trarlo in salvo. La missione è fallita e forse in maniera anche peggiore di quanto credessero.
Tratto dalla one-shot:
Castiel sollevò il fucile e cominciò a sparare. Non poteva fuggire, ma non si sarebbe fatto contagiare senza prima aver fatto fuori più infetti possibili.
Riuscì a colpirne alla testa tre in rapida successione, ma poi il dito sul grilletto cominciò a premere a vuoto.
Era rimasto senza più pallottole.
[...]
«È pericoloso stare qui, perché non sei tornato al campo?»
«Cas, non potrei mai lasciarti indietro, lo sai.» Dean lasciò vagare lo sguardo intorno a loro e inarcò le sopracciglia. «Sei solo? Dov'è Jeremiah?»
Castiel, in risposta, si limitò a scuotere il capo.
L'espressione sul viso di Dean s'indurì e la stretta attorno alle braccia di Castiel si fece più forte, quasi dolorosa. «Andiamo, Matthew ci aspetta nella jeep.»
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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No Hope - capitolo unico Titolo: No Hope
Personaggi: Castiel, Dean, Nuovo Personaggio
Pairing: Destiel
Rating: Giallo
Genere: Sentimentale, Drammatico
Note e avvertimenti:
- Missing Moment
Note dell'autrice:
- N. parole: 3551
- Ambientata nel 2014!verse, ma non in quell'anno, bensì in quello precedente, il 2013, durante il quale Castiel dice di essersi rotto un piede ed essere rimasto a letto due mesi.


No Hope

Doveva rimanere in silenzio, Castiel lo sapeva, ma aveva dovuto correre a lungo e ora aveva il fiatone. Senza contare che, a causa del dolore al piede, era stato costretto a fermarsi e nascondersi per non farsi catturare dagli infettati del Croatoan.
La missione di quel giorno - portare in salvo alcune persone in una città attaccata dal virus – non si era svolta nel migliore dei modi.
Castiel, Dean e altri due uomini che erano venuti con loro, Matthew e Jeremiah, si erano divisi a coppie, per riuscire a sfuggire all'attacco degli infetti, ma da lì la situazione era precipitata.
Castiel e Jeremiah erano stati inseguiti da un folto gruppo di infetti e le armi che avevano a disposizione non erano state sufficienti per tenersi fuori dai guai. Jeremiah era stato catturato – non era possibile scampare o guarire dal virus, per lui era finita -, mentre Castiel era riuscito a fuggire.
Purtroppo, era lontano dal campo dei superstiti e si era anche fatto male ad un piede. Piegò la testa in avanti, osservando il piede coperto da una calza grigia e piuttosto gonfio. Aveva dovuto levarsi anche la scarpa per il troppo dolore.
Non era ancora così pratico di ferite umane, soprattutto se riguardavano se stesso, ma poteva giurare di esserselo rotto.
Era un umano anche lui, adesso, fragile e quasi inutile. La malattia, la fame e la stanchezza lo colpivano e non aveva più i poteri che una volta gli permettevano di proteggere Dean e tutti gli altri.
Nella sua mente passò l'immagine della figura di Dean e Castiel non poté fare a meno di chiedersi con preoccupazione se stesse bene.
Castiel sperava con tutto se stesso che Dean fosse riuscito a tornare al campo incolume, era la cosa che contava di più per lui.
Lentamente, il battito cardiaco rallentò e il respiro si stabilizzò.
Avrebbe almeno tentato di fuggire da quel luogo pericoloso e mettersi in salvo, anche se non sarebbe stato facile.
Premette i palmi delle mani contro il muro alle sue spalle e, sostenendo tutto il peso del corpo sulla gamba sana, si alzò in piedi.
Sorreggendosi con un braccio e lasciando che l'altro imbracciasse il fucile, cominciò a camminare lentamente, trascinando il piede malandato.
Arrivò all'uscita del vicolo in cui aveva trovato rifugio e sporse in avanti il viso per osservare la situazione e se passasse o meno qualcuno.
Ritirò immediatamente la testa appena adocchiò quattro infetti, uno davanti all'altro come soldatini, venire in quella direzione.
Indietreggiò di qualche passo e si voltò in direzione opposta, ma sapeva già che era un vicolo cieco quello in cui si era nascosto. Un muro in mattoni alto alcuni metri gli bloccava il passaggio e in quelle condizioni non sarebbe mai riuscito a scavalcarlo.
Si guardò intorno, ma vide solo muri, nessuna porta o rientranza in cui potesse rifugiarsi. Se l'avessero notato, non avrebbe avuto possibilità di fuga.
Un rumore alle sue spalle catturò la sua attenzione e Castiel si girò più velocemente che gli fu possibile.
I quattro infetti che aveva notato in precedenza erano uno di fianco all'altro e lo fissavano a pochi metri da lui.
Castiel sollevò il fucile e cominciò a sparare. Non poteva fuggire, ma non si sarebbe fatto contagiare senza prima aver fatto fuori più infetti possibili.
Riuscì a colpirne alla testa tre in rapida successione, ma poi il dito sul grilletto cominciò a premere a vuoto.
Era rimasto senza più pallottole.
L'infetto ignorò i suoi simili sdraiati a terra privi di vita e li scavalcò, dirigendo verso di lui di corsa. Castiel sollevò il fucile, intenzionato ad usarlo come bastone.
Riuscì a colpire l'infetto alla testa, ma il danno fu di scarsa entità. L'infetto scosse il capo, un po' confuso, mentre un rivolo di sangue gli colava dal sopracciglio sinistro, spaccato.
Castiel sollevò di nuovo il fucile, pronto a colpire di nuovo, poi una serie di spari si susseguì.
L'infetto, ripetutamente colpito alla testa e alla schiena, cadde in avanti. Castiel dovette spostarsi velocemente all'indietro, per evitare che gli finisse addosso.
Guardò davanti a sé e vide Dean, che ancora imbracciava un fucile fumante.
Un sorriso nacque spontaneo sul viso di Castiel nel vedere Dean, e salvo anche.
Dean si avvicinò a lui in pochi rapidi passi e lo abbracciò di slancio. «Cas, stai bene?»
Castiel strinse le braccia attorno alla vita del compagno e annuì. «Sì. Grazie d'avermi salvato.»
I due si staccarono, anche se Dean continuò a tenere le mani strette attorno agli avambracci di Castiel.
«È pericoloso stare qui, perché non sei tornato al campo?»
«Cas, non potrei mai lasciarti indietro, lo sai.» Dean lasciò vagare lo sguardo intorno a loro e inarcò le sopracciglia. «Sei solo? Dov'è Jeremiah?»
Castiel, in risposta, si limitò a scuotere il capo.
L'espressione sul viso di Dean s'indurì e la stretta attorno alle braccia di Castiel si fece più forte, quasi dolorosa. «Andiamo, Matthew ci aspetta nella jeep.»
«Aspetta, Dean» ansimò Castiel.
Dean si era allontanato e lui era sempre più instabile su un piede solo.
Fu allora che Dean notò le sue condizioni fisiche. «Cosa ti è successo?» chiese, mentre si portava al suo fianco e si avvolgeva un braccio di Castiel attorno al collo.
«Mi sono rotto un piede» spiegò Castiel e rise amaramente. «Non sono più quello di prima...»
Dean lo guardò. «Rimarrai sempre il mio angelo» disse, poi scostò lo sguardo, imbarazzato. «Ora, andiamo!» aggiunse con tono burbero.
Castiel sorrise di nuovo.
In mezzo alla distruzione, al virus, al dolore e alla morte che avevano colpito il pianeta, c'era ancora spazio per qualcosa di buono, qualcosa che rendeva le loro vite, se non belle, sopportabili.
Perché erano l'uno per l'altro tutto quello che era loro rimasto.
***
La missione si era rivelata un completo fallimento: erano arrivati troppo tardi per salvare qualcuno, avevano perduto Jeremiah e Cas era rimasto ferito.
Non era grave, ma un piede rotto avrebbe richiesto mesi per guarire e questo metteva Cas in una posizione indifesa che a Dean proprio non piaceva.
«Come stai?» chiese Chuck, in piedi di fianco a lui, a Cas.
Quest'ultimo era stato portato nella casa che divideva con Dean e ora era sdraiato nel loro letto. Il dottore che si era occupato di lui era andato via da qualche minuto e nella casa erano rimasti solo Dean, Castiel e Chuck, passato a trovare il ferito.
Cas scrollò le spalle. «Sono ancora vivo» rispose. Aveva gli occhi lucidi ed era intontito dagli antidolorifici. In ogni caso, l'importante era che stesse bene e fosse riuscito a scampare all'attacco degli infetti.
Uno sbadiglio colse Cas, che si portò una mano alla bocca. Si sistemò meglio tra i cuscini e lottò per tenere gli occhi aperti.
«Riposa, adesso. Ci vediamo più tardi» gli disse Dean e l'altro annuì piano, prima d'addormentarsi quasi istantaneamente.
Cas era così: da quando aveva perso i poteri ed era diventato umano, aveva cominciato a provare la necessità di dormire e quando accadeva sembrava quasi cadere in stato comatoso.
Il fatto che Dean lo trovasse segretamente adorabile per questo, molto probabilmente, lo rendeva un idiota.
Lui e Chuck uscirono dalla casa in silenzio – Cas non si sarebbe svegliato, ma non volevano lo stesso disturbarlo – e, appena giunsero fuori, sentirono della confusione e videro una folla di persone raccolta a cerchio.
Dean si fece largo tra la folla per vedere cosa avesse scatenato quel trambusto e rimase a bocca aperta nel vedere Jeremiah – apparentemente vivo e salvo – stretto tra le braccia della fidanzata.
Veronica era in lacrime e sembrava non aver più intenzione di lasciar andare Jeremiah. Solo un paio d'ore prima aveva dovuto darle la notizia della perdita della persona che amava, perciò poteva capire come si sentisse.
«Veronica» sussurrò Jeremiah tra i capelli biondi dell'amata, anche lui con gli occhi lucidi.
Sembrava un bellissimo ricongiungimento e a Dean dispiaceva dover mettere alla luce i suoi dubbi di fronte a quel miracolo, ma la salvezza degli altri dipendeva da lui.
«Jeremiah, come hai fatto a salvarti?» chiese, interrompendo il dolce quadretto. «Stai... bene?» aggiunse, che andava inteso come: “sei stato infettato, per caso?” «Cas mi ha detto che ti avevano catturato.» Dean non si preoccupò di trattenere il tono sospettoso.
Veronica sussultò e si staccò da Jeremiah, voltandosi a guardare Dean con occhi fiammeggianti e le guance rigate di lacrime. «È qui e sta bene! È proprio necessario questo interrogatorio?»
«Certo, dal momento che potrebbe evitare di metterci tutti in pericolo!» Spostò lo sguardo su Jeremiah e attese che questi si spiegasse.
Intorno a loro, aveva cominciato a levarsi un brusio fastidioso dalla folla, che sembrava intenzionata a non perdersi nemmeno una parola di quella conversazione.
Senza lasciare il fianco della fidanzata, Jeremiah si passò una mano tra i capelli con fare nervoso e si schiarì la voce. «Mentre Castiel e io scappavamo da una folla d'infetti, veramente troppi per solo due persone, ho finito per essere circondato da una decina di loro. Credo che Castiel sia tornato indietro ad aiutarmi, ho sentito sparare e alcuni infetti che cadevano a terra, ma non è mai arrivato, non so perché. A proposito, l'avete trovato?»
«È ferito, ma si riprenderà.»
«Vedo che con lui non hai avuto alcun dubbio sul fatto sia stato contagiato o meno» scattò Veronica.
Non sopportava più di sentirla blaterale! Dean la fulminò con gli occhi e mosse qualche passo verso la coppietta. «Stai mettendo in dubbio il mio giudizio?!»
Istintivamente, Jeremiah arretrò e avvolse le braccia attorno a Veronica.
«Ehi, ehi!» fece Chuck, intromettendosi nella discussione e mettendosi in mezzo a loro. «Calmiamoci tutti, adesso.» Rivolse la sua attenzione a Jeremiah. «Continua il racconto.»
Questi annuì meccanicamente con il capo. «Sono riuscito a crearmi un varco tra i gruppo che mi aveva circondato e mi sono rifugiato all'interno di un abitazione. Ho trovato un paio di fucili e dei proiettili... è con quelli che sono riuscito a salvarmi dall'attacco degli infetti e ad arrivare fino a qui.»
«Niente morsi, graffi?» chiese Dean.
Jeremiah scosse il capo.
«Nessun tipo di ferita?»
«No, io... no.»
Dean gli credeva, sentiva che l'altro era sincero con lui, ma non si sarebbe scusato per i suoi modi duri. Gli umani sani al mondo erano sempre meno, non erano concessi errori. «Bene. Bentornato, allora.»
Sia Veronica sia Jeremiah sorrisero e si allontanarono dalla folla mano nella mano, mentre anche questa si disperdeva.
Dean si girò verso Chuck e abbassò il tono della voce. «Fallo tenere d'occhio.»
Chuck non diede segno di essere sorpreso da quell'ordine. «Certo» affermò e annuì con il capo.   
***
«Cas?» chiamò Dean, entrando in casa.
Erano trascorse alcune ore da quando se n'era andato ed era ormai sera. Aveva bisogno di parlare con lui a proposito di quello che era successo durante la missione.
Cas era sveglio, ma non steso tra le lenzuola, come si era aspettato, ma seduto al tavolo della cucina, che trafficava con delle mappe e delle carte.
«Potevi riposarti, almeno oggi» gli disse, prendendo posto anche lui.
«Va bene così» rispose. Cas scostò le carte e lo guardò. «Devi chiedermi qualcosa?»
Che bisogno c'era, di parlare, quando si poteva comunicare anche solo tramite uno sguardo?
«Non so se hai sentito, ma Jeremiah è tornato al campo.»
Cas annuì. «Sì, Chuck è passato di qui, prima. So tutto.»
«Cosa ne pensi?»
Castiel prese un respiro profondo e scosse il capo. «Non lo so, Dean. Credevo veramente che non l'avremmo visto più, non da umano, comunque.»
Dean gli prese la mano e la strinse. «Che cos'è accaduto?»
Lo sguardo di Cas si fece pensieroso, mentre ricordava. «Quando ci siamo divisi, Jeremiah e io siamo andati verso il retro dell'edificio e siamo entrati, ma ad attenderci c'erano gli infetti.»
Le persone che si erano preparate ad abbattere gli infetti erano sempre di più, eppure non bastava mai, perché gli stessi infetti aumentavano a dismisura.
Forse non sarebbero mai riusciti a mettere a posto le cose.
«Siamo riusciti a fuggire, però, qualche minuto più tardi, Jeremiah è stato circondato. Ero qualche centinaio di metri più avanti, quindi non me ne sono accorto subito.»
«Poi sei tornato indietro ad aiutarlo?» Non era rimasto sorpreso dal suo gesto, lui avrebbe fatto lo stesso.
«Sì, ne ho ucciso qualcuno, ma ero distratto dalle invocazioni di aiuto di Jeremiah e non mi sono accorto dei detriti in mezzo alla strada.»
«È così che ti sei rotto il piede, inciampando in qualche sasso?» chiese Dean, senza mascherare il tono ironico.
Cas gli rifilò un'occhiataccia. «Quello e il masso che mi è caduto proprio sul piede.» Fece una smorfia, come se stesse ricordando il dolore che aveva provato. «Quando sono riuscito a rialzarmi, non c'erano più infetti, in giro, né Jeremiah.»
«Così ti sei nascosto fino a che non ti ho trovato» concluse Dean.
«Esatto.»
Alla fine, entrambe le versioni collimavano, ma chi poteva dire con certezza cosa fosse accaduto a Jeremiah?
«Che cos'hai intenzione di fare?» chiese Cas.
«Ho chiesto a Chuck di tenerlo d'occhio. Se non darà segni di squilibrio, sarà salvo, e potremmo passare sopra a questa brutta storia.»
Dean si alzò e si diresse verso le credenze della cucina, intenzionato a cucinare qualcosa per cena.
Cas si voltò verso di lui. «Vuoi una mano?»
Lui scosse il capo e sollevò una mano, come per fermarlo. «Lascia, faccio da solo.»
Ci fu qualche minuto di silenzio, poi Dean domandò: «Non te l'ho ancora chiesto: come stai?»
«È solo un piede rotto, Dean. Doloroso, ma sopportabile.»
«Dividerci... è stata una pessima idea.»
Cas scosse il capo. «Siamo solo stati sfortunati a trovare tutti quegli infetti. Non sarebbe stato facile nemmeno se fossimo stati insieme.»
«Sì, ma...» tentò d'obiettare Dean, prima d'essere interrotto.
«Non colpevolizzarti sempre per tutto.» Sospirando, Cas prese le stampelle e si alzò, raggiungendo Dean. «Le cose succedono e, a volte, non si può fare altro se non cercare di rimetterle a posto, perché non si poteva prevederle in anticipo.» Si sporse in avanti e fece incontrare le loro labbra, in un gesto amorevole e di conforto. «Se Jeremiah è un infetto, lo fermeremo prima che possa nuocere a qualcuno.»
Dean, perso negli occhi azzurri e profondi di Cas, annuì meccanicamente. Mentre riprendeva a cucinare, gli sfiorò il pensiero che Cas sapeva sempre come calmarlo.
***
Jeremiah era al centro di quella che, un tempo, era una bella e prosperosa cittadina. Ora, era cambiato tutto: i palazzi erano fatiscenti e in rovina, le strade deserte, auto sfasciate e abbandonate ovunque.
Non era più una bella visione.
Stringeva tra le braccia un fucile e non aveva idea del motivo per cui si trovasse in quella città, in quel momento.
Come ci era arrivato?
Senza un motivo apparente, cominciò a sparare ripetutamente.
Jeremiah rideva a bocca spalancata e con la testa inclinata all'indietro, mentre i corpi davanti a lui cadevano uno dopo l'altro.
Uno sparo e Dean Winchester moriva. Un altro ed era la volta di Matthew Thompson, il suo migliore amico. Poi un altro e un altro ancora.
La cosa peggiore – o migliore? - era che non gliene importava nulla, poteva solo continuare a mietere vittime.
Sparò di nuovo e Veronica emise un gemito, mentre la sua maglietta si macchiava di sangue, in prossimità del ventre.
Jeremiah boccheggiò. Come aveva potuto?! Proprio a lei!
Non riusciva a spiegarsi cosa gli stava accadendo.
Veronica impallidì, portandosi le mani al ventre e gemendo per il dolore. Le ginocchia le cedettero e crollò a terra.
Era morta?

Jeremiah si risvegliò urlando.
Le mani gli tremavano, sudava copiosamente e il cuore sembrava stesse per uscirgli dal petto.
Prese a respirare in modo irregolare, come se avesse il fiatone, e lasciò vagare lo sguardo lungo la sua stanza.
I suoi occhi si soffermarono sulla piccola cassettiera in legno, posizionata in un angolo, dove erano posizionate tutte le fotografie di lui e Veronica, e delle loro famiglie, che erano state scattate prima che il virus si diffondesse e il mondo cambiasse.
Era a casa, era stato solo un sogno.
Veronica, sdraiata al suo fianco, nel frattempo, si era svegliata e lo guardava con apprensione. «Cosa ti succede?»
Jeremiah scosse il capo, non sapendo cosa rispondere, e scostò le lenzuola per alzarsi.
Veronica lo imitò. «Jeremiah, cos'hai?»
La testa gli scoppiava.
Chi era? Cosa ci faceva lì? Improvvisamente non riusciva più a ricordarselo. L'unica cosa che voleva era uccidere e... mordere.
Veronica lo raggiunse e lui, in un attimo di lucidità, poté vedere quanto fosse preoccupata per lui.
«Jeremiah, non... per favore, non dirmi che...? Non è il virus, vero? Dimmi che non è così!»
Ma Jeremiah non avrebbe potuto farlo, perché... sì, era diventato un infetto.
«Veronica!» esclamò, prendendole il viso tra le mani e guardandola negli occhi. «Devi andare via da qui. Subito!»
Lei si staccò da lui e scosse il capo. «No, non me ne vado. Non ti lascio da solo.»
Jeremiah sentì crescere dentro di sé la rabbia, per quanto si sforzasse di trattenerla. «Vattene! Vattene, ho detto!» disse, alzando il tono della voce e indicando la porta con una mano. «Devi andare via, adesso.» Le strinse una spalla, intenzionato a direzionarla verso l'uscita, ma mise molto più forza nella spinta di quanto avesse voluto.
Veronica perse l'equilibrio e sbatte la testa contro la parete.
Jeremiah si precipitò al suo fianco, inginocchiandosi accanto a lei, mentre piangeva sommessamente. «Veronica? Veronica, rispondimi, ti prego» implorò.
Che cosa aveva fatto? Che cosa gli stava facendo il virus?
***
Dean si era appena appisolato, quando vennero a cercarlo.
Alla porta c'era Chuck, con il fiato corto, una mano appoggiata allo stipite e l'altra su una delle ginocchia. «Dean, devi venire. Sta succedendo qualcosa a casa di Jeremiah e Veronica.»
Dean annuì. «Arrivo subito.» Prese il fucile e si precipitò fuori, senza guardarsi indietro.
La casa della coppietta non era molto distante della sua, perciò la raggiunse in fretta.
Era quasi sulla porta quando sentì delle grida; non si soffermò a chiedersi cosa significassero e spalancò la porta.
Jeremiah e Veronica erano nella loro camera da letto. Lei sul pavimento e lui in lacrime al suo fianco. Bastò un secondo a Dean per capire la situazione. «Allontanati da lei.»  
Jeremiah si voltò di scatto, leggermente sorpreso. «Dean.»
«Allontanati» ripeté, scandendo le parole.
L'altro ubbidì: si alzò e si allontanò di qualche metro, spostandosi dall'altra parte della stanza.
In quel momento, entrò l'infortunato Cas. Dean fece una smorfia, a cui Cas rispose scrollando le spalle.
Lasciando perdere, riportò l'attenzione su Jeremiah, che non si era mosso d'un passo. «Sei stato infettato» disse e non era una domanda.
«Io non lo sapevo, Dean! O non mi sarei mai permesso di farle questo!» esclamò Jeremiah tra le lacrime, gettando un'occhiata a Veronica.
Quest'ultima era a terra, priva di sensi, e con Cas al suo fianco.
Dean lo sapeva, ma non cambiava nulla. Jeremiah era stato infettato, non rimaneva altra soluzione per lui se non ucciderlo. Presto, troppo presto, non sarebbe stato più se stesso e avrebbe fatto del male a chiunque, indistintamente.
Gli puntò il fucile contro. «Sai che devo farlo.»
Jeremiah annuì. «Sì, fallo. Sono un mostro, ora, non voglio uccidere le persone che amo.»
Dean ammirò questo suo desiderio di fare la cosa giusta, senza ribellarsi. Senza perdere altro tempo, gli sparò e Jeremiah si accasciò a terra. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e piegò il capo in avanti.
Prese un respiro profondo e informò Cas che sarebbe uscito un momento per liberarsi del corpo e chiamare il medico per Veronica.
Aveva un gran bisogno di respirare.

«Lei come sta?» chiese a Cas, quando questi uscì dalla casa di Veronica, dopo l'arrivo del dottore, e lo raggiunse nel cortile.
«Fisicamente: abbastanza bene. Ha preso solo una botta in testa, le verrà un bernoccolo. Mentalmente è diverso, ha perso Jeremiah per la seconda volta e questa volta per davvero.»
Dean incrociò le braccia al petto e distolse lo sguardo. «Beh, non potevamo certo lasciarlo andare in giro ad ammazzare persone o infettarle.»
Cas sospirò e ruotò gli occhi. «Non ho detto questo, stai calmo.»
Dean sospirò. Aveva i nervi tesi. «Scusa, ma non posso fare a meno di pensare che tutto questo potesse essere evitato, se mi fossi accorto prima del contagio.»
«Jeremiah sembrava in sé, non potevi saperlo.»
«La prossima volta farò più attenzione ai dettagli e porrò fine alla questione subito, senza troppi drammi.»
Cas lasciò andare una stampella, lasciandola scivolare sul terreno, e gli strinse una mano sulla spalla. «Sei stato bravo, anche se ti ostini a non riconoscerlo. Sei intervenuto tempestivamente e Veronica è salva, mentre hai fatto la sola cosa possibile per Jeremiah. Lui era già perduto.»
«Grazie, Cas.» Dean lo amava così tanto. In quella vita che gli aveva portato via tutto, gli rimaneva ancora qualcosa per cui vivere e non semplicemente sopravvivere.
L'unica piccola luce nella sua vita, che gli consentiva di restare a galla e non perdere quel poco che era rimasto del vecchio se stesso.
Fece un mezzo sorriso sardonico. «Forza, andiamo a casa, Gambadilegno. Dove volevi andare con il piede in quelle condizioni?»
Cas lo fissò confuso per un attimo, segno che non aveva compreso la battuta, come al solito.
In fondo, Cas era sempre Cas e a Dean andava benissimo così.
Mentre si allontanavano dall'abitazione, si sciolse in una breve risata.

Seguendo Dean, Castiel si chiedeva il significato del riferimento alla gamba di legno. Comunque, poco gli importava, perché Dean stava ridendo. Accadeva così di rado, ultimamente, che non l'avrebbe interrotto per nulla al mondo.
Allontanandosi, stretto al fianco di Dean, che gli aveva avvolto un braccio attorno alle spalle, si voltò un'ultima volta verso la piccola casa di Veronica.
Il giorno dopo ci sarebbe stato tempo per pensare a lei, e ora era decisamente meglio lasciarla dormire, come aveva anche suggerito il dottore.
Riportò l'attenzione su Dean e gli sorrise, lasciandosi trascinare verso la loro abitazione.


Spazio Autrice: Il mio primo tentativo di scrivere qualcosa su Supernatural, spero abbiate gradito.
Inizialmente doveva essere una cosa molto fluff e basta, ma Dean e Cas non erano d'accordo con me e hanno voluto poco fluff e qualcos'altro.
Il mio Jeremiah doveva essere solo una comparsa, morto ancora prima d'entrare in scena... decisamente le cose sono andate diversamente.
Dato che Dean, nella 5x04, non si è degnato di parlare chiaro riguardo i sintomi, quanto ci mette il virus ad agire dopo il contagio (limitandosi a sparare in testa a quel poveraccio), ho improvvisato quella parte.
Ad un certo punto, Jeremiah compie un'azione che è un parallel di qualcosa che ha fatto Dean nella... sesta serie, mi sembra. Indizio: c'entrano i vampiri.
Ci sono dei riferimenti, assolutamente voluti, alla 5x04 (a parte quelli ovvi), che sono una specie di spiegazione al comportamento di Future!Dean nel suddetto episodio.
Spero di tornare in questo fandom di nuovo.
Ilaria  
   
 
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