Disclaimer: I personaggi non
mi appartengono
Purtroppo
.: Can I
Love When I’am Afraid :.
.: To
Fall? :.
Solo un passo ancora.
La folla si divise per lasciarla passare, le fecero
ala mentre avanzava senza più paura o anni o speranze infrante sulle spalle.
Sorrise in attesa che gli occhi di Steve arrivassero a cercare i suoi,
cancellando Manhattan e il ventunesimo secolo, la Seconda Guerra Mondiale e il
ghiaccio che li aveva divisi.
Sarebbe stato tutto perfetto, sarebbe stato
esattamente come il passato aveva impedito loro di essere.
Reclinò appena la testa di lato, socchiuse le
palpebre e vide lo sguardo di Steve posarsi su di lei, gli occhi sgranare, il
respiro bloccarsi nel petto e poi la consapevolezza, la gioia mescolarsi alla
confusione mentre faceva un passo e poi un altro ancora, e la falcata diventata
più ampia e la folla scivolava via il tempo si fermava.
Si fermavano i negozi e le persone, il sole e il
cielo, la realtà si concentrò e cristallizzò nel momento e nel punto esatto in
cui Steve la cinse con le braccia, la tenne stretta, Peggy le sussurrò all’orecchio e la voce era la sua, come la
ricordava, come non mai l’aveva dimenticata.
Non era lo Stork Club, non era sera, non c’erano
Bing Crosby o Billie Holliday ad accompagnare il loro lento, ma che importava?
Attorno a loro non c’era nemmeno Frank Sinatra e
Peggy era sicura, terribilmente sicura, che Steve avrebbe amato Frank Sinatra e
lo avrebbe sentito modulare New York, New
York a labbra chiuse mentre passeggiavano sulla Avenue e lei gli raccontava
di questo e di quello, gli indicava un palazzo e poi gli raccontava di quanto
si era perso, di ciò che il mondo aveva guadagnato, com’era cambiato nel bene e
nel male, degli albi di Capitan America che ancora andavano a ruba, delle
figurine da collezione e dei bambini che si travestivano da lui ad Halloween.
Sapeva che lui avrebbe accennato a lei con un
sorriso, annuendo e cercando di comprendere, capire, immaginarsi, chiedendosi
se sarebbe stato diversa la Guerra Fredda se ci fosse stato lui tra le file dell’esercito
in Vietnam, domandando di più su Woodstock e fermandosi incantato davanti ad un
negozio di fumetti, dove, da dietro la vetrine, piccole statuette che lo
riproducevano alla perfezione li fissavano in silenzio.
Ma ci sarebbe stato tempo, avrebbero recuperato ogni
anno, ogni mese, ogni giorno, ogni minuto in cui erano rimasti separati e
tutto, tutto iniziava, partiva da quell’abbraccio improvviso sbocciato nel
centro di Manhattan.
Un abbraccio caldo, il respiro ancor più caldo di
Steve, la sicurezza della sua figura e quegli occhi, oh, quegli occhi che per
troppo tempo aveva ricordato col timore di dimenticarli, come aveva scordato
altri volti e altre persone, persi tutti nel claudicante sentiero dell’età che
avanza senza requie.
Non pensare, Peggy, non pensare.
Il tempo del pensare e del penare era passato. C’era
un futuro, ora, un nuovo futuro per entrambi.
Gli avrebbe insegnato a ballare un lento e poi lo
swing, libri e film, musica soffusa e la notte che soffia il buio tra le
imposte..
-Nonna, vuoi che lo vada a chiamare?-
Peggy si riscosse e sollevò gli occhi sulla nipote.
Sharon la osservava con la testa piegata, le labbra
assottigliate e una ruga tra le sopracciglia aggrottate: aveva capito tutto e
non chiedeva. Non chiedeva mai, non aveva chiesto nemmeno quando la figura di
Capitan America aveva giganteggiato dentro lo schermo del televisore.
-No. Non ti preoccupare- gracchiò con voce roca, le
dita nodose che andavano a disegnare il profilo del portacenere davanti a lei -Non
c’è bisogno di disturbarlo-
La ragazzina non disse nulla e le si sedette
accanto, prendendole la mano e tentando un sorriso; Peggy le rispose con una
carezza sulla guancia, per poi lasciar cadere di nuovo il braccio in grembo.
Il tenente Carter tornò a guardare l’ombra di Steve
Rogers scivolare tra la folla, ad osservare e desiderare e piangere quel
sorriso che il Capitano stava rivolgendo al figlio di Howard.
Da come si punzecchiavano, dall’occhiata sagace di Stark
alla mascella contratta di Steve, dal riso che scioglieva la tensione, dal modo
in cui si guardavano l’un l’altro, il silenzioso sorriso nascosto ai lati degli
occhi, lo sfiorarsi casuale delle dita e dei polsi, entrambi -Peggy sentì il
cuore stringersi, non seppe e non volle sapere se per dolore o commozione-
sembravano del tutto ignari di essersi aspettati per più di settant’anni.
…Mentre lei sedeva lontano, in un anonimo bar di
Manhattan, la promessa di un bacio a sfiorarle ancora le labbra.
I have died everyday waiting
for you.
Darling don't be afraid I have loved you
For a thousand years.
I love you for a thousand more
{ A Thousand
Years } ~
Note
Finali
Ho sentito la canzone “A Thousand
Years” su Glee e il collegamento con Peggy è stato immediato.
Peggy, oh Peggy, quanto mi piace quel
personaggio. La scena finale di Captain America…NGGGHHH----!! Okay, basta, mi
ripiglio.
Sharon sarebbe Sharon Carter, la nipote di Peggy e, nel canon Marvel, fidanzata
storica di Capitan America (Almeno, secondo quanto mi ha detto Wikipedia XD)
Alla
prossima!