«Lucy? Hai visto il mio palmare?
Non posso averlo dimenticato in ufficio! Sono gia in ritardo! Amanda mi
ucciderà!»
«Sue l’ho cercato ovunque, ma non
lo riesco a trovare…ehi stai benissimo!»
«Grazie…» mentre mi siedo sul
letto pensando ad una soluzione veloce «ma questo non risolve il mio problema.»
«Avanti, Amanda è abituata ai
tuoi ritardi, e poi è il suo ballo, vedrai che lei starà ancora decidendo quale
dei due vestiti indossare. Andare a fare shopping con voi è impossibile, sembra
che quella ragazzina abbia preso tutti i tuoi difetti.»
«E con questo cosa vorresti
dire?» mentre cerco disperatamente di non darle ragione mantenendo uno sguardo
il più serio possibile.
«Dico che è meglio che ti
sbrighi, corri in ufficio a prendere il palmare e corri da Amanda, altrimenti
rischi di essere in ritardo veramente.»
«Si, ma poi ne riparliamo.» Il
tutto mentre la guardo porgermi il cappotto turchese e contemporaneamente
indosso le decolté nere.
Scappo di corsa da casa salutando
Levi che naturalmente questa sera non potrà venire con me. Ma non ho il tempo
di pensare alle ripercussioni sulla serata visto quanto sono indaffarata a non
scivolare sui tacchi a spillo. «Perché ho dato retta a Lucy! Potevo mettere le
mie comodissime scarpe e invece ho queste trappole infernali ai piedi!» In meno
di venti minuti sono gia arrivata in ufficio. Il traffico è tutto rivolto
nell’altro senso di marcia. E pensare che sono uscita anche un’ora prima per
fare tutto con calma.
Solo ieri pensavo di trascorrere
una tranquilla serata a casa, magari a sistemare l’armadio che richiede
attenzione e invece mi ritrovo intrappolata in una situazione che avrei evitato
con piacere, ma Amanda rischiava di saltare il suo primo ballo, non era carino
rifiutare di accompagnarla.
L’ultima freccia ed entro nel
parcheggio, anche questo è semi-deserto e mi posso permettere di parcheggiare a
due passi dagli ascensori. Io non riesco a sentirlo, ma so benissimo il rumore
che devono fare queste scarpe mentre cammino sul pavimento di cemento trattato,
per non parlare dei corridoi dell’FBI! Chiamo l’ascensore e intanto ne
approfitto per guardarmi intorno, senza Levi mi sento un po’ vulnerabile, ogni ombra mi sembra una minaccia e mi
accorgo di essere rimasta con le chiavi della macchina strette in mano. Non c’è
niente da fare l’istinto prende il sopravvento. Senza nemmeno pensare ho un
arma a disposizione, le chiavi usate nel modo giusto possono diventare molto
pericolose.
Finalmente l’ascensore arriva e,
mentre spingo il pulsante del terzo piano, mi sfilo il cappotto, devo gia
correre con i tacchi, perché sudare anche a causa del soprabito?
L’ascensore si ferma al primo
piano, probabilmente qualcuno deve salire. Approfitto degli attimi in più per
controllare sullo specchietto che ho sempre nella borsa se, nella corsa, ho gia
distrutto il make-up di cui si è occupata Lucy. Nemmeno dovessi andare ad un
appuntamento. Devo solo tenere sotto controllo una ragazzina ad un ballo perché
suo padre è stato coinvolto in una importante riunione di lavoro.
Non ho scelto nemmeno il
maglioncino che indosso. Lucy ha deciso per me. Ho trovato tutto pronto sul
letto appena uscita dalla doccia. Colori della serata: nero e turchese. Visto che
non ha trovato niente che le sembrasse intonato tra i miei ninnoli, è corsa in
camera sua a prendere degli orecchini e una collanina abbinati con delle pietre
nere. Un piccolo vezzo che si è concessa qualche settimana fa quando,
gironzolando per Georgetown, abbiamo trovato un negozietto aperto da poco che
produce artigianalmente gioielli con perle e pietre, naturali o sintetiche.
Sono così occupata a pensare a
quanto ritardo ho che saluto a malapena il collega che entra sorridendo.
Finalmente le porte si aprono sul terzo piano e inizio a camminare velocemente
verso quella del nostro ufficio. Sono quasi le sette e venti, visto che non
abbiamo casi importanti in corso probabilmente se ne saranno andati tutti. Entro
spedita senza nemmeno guardarmi intorno e mi dirigo verso la mia scrivania.
Dopo la prima occhiata, e dopo
aver constatato che non ho lasciato il palmare semplicemente li sopra, mi siedo
ed inizio ad aprire i cassetti rapidamente e solo in quel momento mi rendo
conto che in ufficio c’è ancora Tara.
«Scusa! Non ti avevo proprio
vista!»
«Ehi sei uno schianto! Non mi
dire che hai un appuntamento e non mi hai detto niente!»
Ormai ho aperto tutti i cassetti
e del palmare nessuna traccia, tanto vale respirare e parlare un attimo con la
mia amica «No, nessun appuntamento. Faccio da scorta ad Amanda al suo primo
ballo. Non ho saputo rifiutare…hai visto il mio palmare?»
«No, non l’ho visto. Comunque
dovresti vestirti più spesso così.»
«Si così poi se riceviamo una
chiamata per un caso, affondo con i tacchi in chissà quale scena del delitto.»
Non ci penso proprio, ho gia provato l’esperienza di infilarmi i pantaloni e
gli scarponcini di Bobby e sinceramente vorrei evitare di andare in giro in
quelle condizioni di nuovo.
«Dove lo avrò lasciato!» orami
sono disperata, sono le sette e trenta e non mi rimane che pensare a tutti i
luoghi in cui sono stata durante la giornata. Ok. Arrivata in ufficio ho
compilato alcune pratiche. Poco prima di pranzo sono andata alla Procura di
Stato con Jack per una deposizione che dobbiamo lasciare la prossima settimana
in tribunale e poi, uscendo, ci siamo fermati a mangiare rapidamente in una
tavola calda e sono sicura di non aver mai tirato fuori il palmare. Alle due del
pomeriggio eravamo di nuovo seduti dietro le nostre scrivanie a compilare altri
rapporti e meno di un’ora dopo l’ho usato visto che mi ha chiamata Amanda per
confermare l’orario di questa sera. Ma sulla scrivania non c’è. Mi chino e con
una rapida occhiata guardo se magari è scivolato dalla borsa fino a nascondersi
sotto la scrivania o ancora peggio sotto lo schedario. Anche la gonna stretta
sotto il ginocchio! Fortuna che almeno lo spacco laterale mi lascia camminare
quasi normalmente. «Niente, non è nemmeno qui.» Che cosa ho fatto nel
pomeriggio? Ho portato in archivio delle pratiche, sono tornata in ufficio, e
poi prima di andare via? Niente, non ne ho idea. Non so proprio dove lo posso
aver lasciato. Niente Levi, niente palmare e ormai in evidente ritardo. Ho solo
quindici minuti per arrivare a casa di Amanda ed è meglio che mi sbrighi.
«Senti Tara in caso lo trovassi
fallo sapere a Lucy, ti dispiace? Io devo scappare»
«Nessun problema Sue. Ci vediamo
lunedì! Buon fine settimana!»
«Anche a te. Mi raccomando
divertiti!» e senza trattenermi oltre scappo di nuovo verso gli ascensori.
Mentre aspetto controllando l’orologio per l’ennesima volta, continuo a pensare
a dove posso averlo lasciato ma proprio non ne ho idea. Possibile che
puntualmente, almeno una volta ogni due settimane lo lascio in qualche posto
che non ricordo e sempre nel momento meno adatto?
La temperatura nel garage è
decisamente più bassa, così mi rimetto il cappotto mentre mi dirigo verso la
macchina. Ho le chiavi ancora in mano, faccio scattare le serrature della
vettura con il telecomando e in meno di due minuti sono di nuovo in strada
diretta verso casa di Amanda.
Solo cinque minuti di ritardo, ma
lei è gia alla finestra. La vedo sorridere attraverso i vetri prima di correre
ad aprirmi la porta.
Ha compiuto da qualche mese 13
anni. A vederla vestita così adesso ne dimostra qualcuno in più. Come passa il
tempo, solo ieri sembrava un pulcino spaventato mentre cercava di essere presa
sul serio da noi.
“Come sto?” quasi non mi lascia
entrare che gia fa una piroetta su se stessa per farmi vedere il risultato di
non so quante ore di preparazione. Penso si svegli all’alba per arrivare puntuale
a scuola ormai. “Sei bellissima. Non potevi scegliere meglio.”
“Sei sicura che non sia meglio
l’altro?” Segna così velocemente che quasi faccio fatica a seguirla anche io.
“Sei perfetta!” Ormai ho capito bene come funziona questa cosa. Ho appena
rischiato di aspettarla per mezz’ora mentre si cambia d’abito.
“Vedrai che lascerei Ben senza
fiato!” Il loro litigio si è risolto per il meglio dopo quell’invito al cinema,
e ora sono diventati ottimi amici, era ovvio che sarebbe stato lui ad invitarla
al ballo. Per l’ennesima volta guardo l’orologio. Dovremmo essere gia a casa di
Ben, così le dico di mandargli un messaggio e di dirgli che stiamo partendo
adesso ed Amanda sembra illuminarsi.
“Dimenticavo! Lucy mi ha fatto
sapere che ha ritrovato il tuo palmare e che te lo portava qua!”
“Si è fatto troppo tardi Amanda.
Prendi il cappotto, in macchina mandane uno anche a lei e falle sapere che
siamo dirette a scuola. Su, avanti! Ben ci sta gia aspettando!”
Lei non se lo fa ripetere due
volte, infila il cappotto e dopo aver aperto la porta schizza alla macchina
come un razzo.
Ho cercato di pensare al mio
primo ballo, e sono felice per lei. Non ho degli ottimi ricordi di quel
periodo. I ragazzini sanno essere crudeli a quell’età, ma per Amanda
fortunatamente è diverso. Non riesco a non sorridere mentre inserisco l’allarme
e chiudo a chiave la porta, lei sta saltellando accanto allo sportello con il
suo palmare in mano per avvertire Ben.
Il ragazzino abita a cinque
minuti dalla scuola, fortunatamente è di strada, così riusciamo ad arrivare con
solo dieci minuti di ritardo. La fortuna è dalla nostra parte, non c’è nemmeno
traffico. Prima di parcheggiare li faccio scendere di fronte all’ingresso,
evito di entrare con loro. Ho intenzione di tenerli d’occhio, ma possibilmente
senza farmi vedere. È un po’ come essere al lavoro, impegnata in una missione
di sorveglianza. Prima di scendere dalla macchina mi stringo la sciarpa intorno
al collo, si è fatto freddo e continuo a pensare che la gonna e il maglioncino
a collo largo non siano stati la scelta più azzeccata per la serata. Comunque
ormai i giochi sono fatti, quindi scendo, chiudo la macchina e a passo svelto,
o almeno tanto quanto me lo permettono la gonna e le scarpe, mi dirigo verso
l’ingresso della palestra.
Nei giorni precedenti al grande evento, come lo definisce Amanda,
non mi ha parlato d’altro se non dei preparativi. I festoni, le luci, senza
parlare di quello che avrebbero indossato lei e le sue amiche. E devo dire che
il risultato che hanno ottenuto in quelle due ore in più in cui si sono fermate
a scuola per tutta la settimana è ottimo.
Mi guardo intorno alla ricerca di
qualche genitore, o dei professori della scuola e li vedo riuniti intorno al
tavolo del buffet, così mentre sciolgo la sciarpa e tolgo il cappotto mi dirigo
verso di loro.
Molti dei genitori mi guardano in
modo strano vedendomi arrivare, non li biasimo, non mi hanno mai vista. Sono
andata a prendere Amanda a scuola un paio di volte, e loro sono abituati a
vedere il padre alle riunioni, così mi ritrovo a spiegare la mia funzione nella
sua vita, non sono sicura che tutti abbiano capito bene. E non ho torto visto
che una delle mamme mi si avvicina chiedendomi da quanto frequento suo padre.
Mi scappa quasi da ridere. Uno perché all’inizio si avvicina per parlarmi all’orecchio
visto il volume della musica, ritrovandomi così a dover spiegare che io non
sento e che ho bisogno di leggere le sue labbra per capirla, ma che se vuole
può benissimo utilizzare il linguaggio dei segni come fa con suo figlio. Due
perché da quando ho conosciuto il padre di Amanda non ho mai pensato di uscire
con lui e sono sicura che l’idea non abbia sfiorato nemmeno lui in tutto questo
tempo. Non penso nemmeno di averla convinta più di tanto, ma non posso farci
niente, in fin dei conti è la pura realtà dei fatti.
Ad un tratto vedo Amanda che
cerca di attirare la mia attenzione, e quando la ottiene comunque mi sfugge la
prima parte della frase che mi segna. Vedo solo “…ti aspetta all’ingresso.” E
poi si gira senza aggiungere altro. Sicuramente si sta riferendo a Lucy, così mi
congedo dalla mamma del suo compagno di
classe e mi avvio verso la porta della palestra. Chissà dove era finito. Mi
sembrava di aver cercato ovunque in casa, magari era sotto i nostri occhi e non
lo abbiamo notato. Abbasso piano la barra della porta antincendio mentre vengo
investita da una folata di vento freddo, rabbrividisco al contrasto di
temperatura e avvolgo le braccia intorno al corpo per evitare di tremare, cosa
che comunque non mi riesce molto bene. Con una mano tento disparatamente di
chiudere il collo del maglione che mi lascia scoperte le spalle, ma il
tentativo è pressoché inutile quando è la materia prima a mancare. Per un
secondo penso di tornare dentro a prendere almeno la sciarpa, ma mi blocco
intravedendo la figura in fondo al corridoio. «Jack?» non lo dico abbastanza
forte perché lui mi senta, è solo per me, per rendermi conto che quello che
vedo la in fondo a sbirciare i corridoi è proprio lui. Come sempre quando sono
nervosa mi sistemo la maglia controllando che non faccia grinze. Che ci fa qui?
Ad un tratto lo vedo alzare gli occhi su di me e cambiare espressione. Quando
rientro a casa devo assolutamente ringraziare Lucy. Gli faccio un cenno con la
mano e inizio ad avvicinarmi a lui percorrendo parte del corridoio che ci
separa mentre torno a stringere le braccia intorno al mio corpo. Questa volta
non lo faccio per il freddo, ma probabilmente solo per fermare quel tremore che
sento percorrere le braccia fino ad arrivare alle mani.
Lui al contrario è calmissimo, o
almeno sembra. Mi sorride e mi viene incontro facendomi notare l’oggetto che
stringe in mano, il mio palmare.
«Ti deve essere caduto dalla
borsa quando hai ripreso la sciarpa che ti eri dimenticata.»
«Ecco dov’era quindi! Mi
dispiace, spero di non averti rovinato la serata.»
Ci siamo di nuovo. Stiamo fermi
uno davanti all’altra senza dire una parola e ci fissiamo. È vero che a volte
le parole sono superflue, ma noi due stiamo giocando a questo gioco da
parecchio tempo.
«Se per rovinare la serata intendi
spegnere la tv e rimettere la cena nel congelatore, beh, ci sei riuscita…» e
sorride.
Allungo una mano per prendere il
palmare dalla sua, e per una frazione di secondo le nostre dita si sfiorano, ho
la sensazione di avvampare, ma faccio finta di niente e gli faccio un cenno
verso la porta dietro la quale si sta svolgendo la festa, e dalla quale sono
uscita solamente un attimo fa.
«Visto che ormai allora ho
sconvolto i tuoi piani…vuoi entrare anche tu? È una festa riservata ma penso di
riuscire a farti comparire magicamente nella lista degli invitati.»
«C’è un buffet?»
«Si, mi sembra di averlo
intravisto…» mentre gli sorrido iniziamo a camminare per tornare all’interno.
«Aspetta,» e dicendomelo mi
prende per il braccio per farmi fermare. «Ma non è che accanto a te poi
sfiguro?» Lo osservo per un attimo. Certo non posso dirgli che non avrebbe
sfigurato nemmeno se fosse venuto con i pantaloni della tuta e una t-shirt, men
che meno visto indossa la camicia di quell’azzurro intenso che gli dona
particolarmente. «Se è un modo per farmi un complimento ti ringrazio, ma mi
sembra che anche tu non stia niente male.» ricomincio a camminare lasciandolo
leggermente indietro, ma poi non resisto e aggiungo «…e poi non vorrai cercarti
una fidanzata proprio li dentro. Ci sono solo ragazzine adolescenti e donne
sposate, e non mi sembra che siano il tuo genere.»
Lui non ribatte ma accelera il
passo dopo aver alzato le spalle e fatto un profondo sospiro gettando gli occhi
al cielo, poi mi supera così da arrivare prima di me alla porta della palestra
che apre per lasciarmi entrare. Gli sorrido segnando un rapido “grazie”. Sono
obbligata a passargli così vicino da sentire il suo profumo. Probabilmente
veniamo investiti dalla musica molto alta perché lo vedo fare una smorfia prima
di abituarsi almeno un poco al volume.
«ORA MI RICORDO PERCHÉ HO SMESSO
DI ANDARE IN DISCOTECA!»
«Puoi fare a meno di urlare!» e
lui mi fa capire che non è riuscito a capire quello che ho detto. Così mi
avvicino e praticamente glielo urlo all’orecchio «PUOI FARE A MENO DI URLARE!
PER ME NON C’E’ DIFFERENZA!»
«IL PROBLEMA…» poi si ferma «il
problema è che non mi sento nemmeno io!!» e a questo punto non posso fare a
meno di ridere.
Arrivati vicino al buffet
presento Jack all’insegnante che più o meno due anni fa mi contattò per parlare
alla classe di Amanda. Vista la difficoltà di comunicazione Jack opta per
utilizzare il linguaggio dei segni. Se la cava egregiamente ormai e il
professor Cain gli fa i complimenti. Li lascio chiacchierare mentre mi avvicino
per prendere da bere, e quando mi rigiro lo vedo segnare “Grazie, ho avuto
un’ottima insegnante” girandosi poi a guardare me. Gli sorrido e lo ringrazio.
A volte mi sembra di fare solamente questo durante la giornata. Guardarlo,
sorridergli, ringraziarlo. Cerco con lo sguardo Amanda e Ben e li vedo al
centro della pista a ballare con gli altri ragazzi della scuola. Probabilmente
sente i miei occhi su di lei perché si gira e mi sorride prima di tornare a
parlare mentre ballano. Distrattamente porto alle labbra il bicchiere pieno di
una bibita di uno strano colore azzurro e squisitamente analcolico, vista la
natura della festa, ma arrivo alla conclusione che avrei preferito dell’acqua.
Non so se sia l’effetto del colore o il sapore che non riesco a decifrare. Con
il bicchiere ancora in mano torno a guardare i grandi. Jack ha sortito il mio stesso effetto, solo che come al
solito il suo ingresso ha accentuato l’attenzione delle signore, sposate o no
poco importa. Se dovessi ripensare a tutte le volte che è successa questa
cosa…non mi basterebbero le dita delle mani e dei piedi per contarle. Mentre
sorrido al ricordo di un meccanico molto intraprendente, mi avvicino al
gruppetto per rientrare nella conversazione, e a quel punto ormai chi non lo
aveva capito comprende che sono quell’Agente
dell’FBI. Non tutti i genitori erano stati contenti del mio intervento alla
scuola, ma in fin dei conti ognuno ha il diritto di pensarla come vuole. Questa
continua ad essere la mia vita, il mio mondo, e non vedo perché dovrei cambiarlo
per far più contenta una parte della comunità rispetto ad un’altra. Posso
spiegare le mie ragioni e gli altri hanno il diritto di poterle contestare.
Inizio ad essere stanca. La
settimana di lavoro è stata pesante e risento dei tacchi a spillo. Con la scusa
di controllare i ragazzi faccio due passi, almeno il dolore ai piedi
diminuisce, e getto un’occhiata a Jack per vedere se l’ho lasciato in
difficoltà. Sta chiacchierando con la signora che prima credeva che fossi la
compagna del papà di Amanda, e lei sembra aver optato per urlargli
all’orecchio. Per l’ennesima volta lui mi sorride e io gli segno le mie
intenzioni “Faccio un giro della palestra” si, e trovo un angoletto dove
sedermi. L’orologio segna le nove e quarantacinque. La serata è ancora lunga,
per l’occasione il coprifuoco scatta alle ventitré. Vorrei essere gia a casa.
Continuo a sorseggiare questa cosa azzurra solo per occupare un po’ di tempo,
ormai mi sto abituando sia al colore che al sapore eccessivamente dolciastro.
Finalmente mi siedo. Le gradinate di una palestra non mi sono mai sembrate così
comode. Sistemando la gonna riesco anche ad accavallare la gamba, impresa che
sembrava impossibile fino a poco fa ma che risulta essere parecchio piacevole. Mi
massaggio distrattamente la caviglia mentre guardo i ragazzi e mi tornano alla
mente alcuni ricordi non molto gradevoli. Sapevo che in una circostanza come
questa sarebbe successo, ma mi rendo anche conto che ho veramente superato quel
periodo e che non mi fa più male ricordare i rifiuti del passato. Crescere
porta con se dei vantaggi. E io sono stata particolarmente fortunata negli
ultimi tre anni. Torno dai miei ricordi perché sento la gradinata sotto di me
vacillare leggermente. Non l’ho visto avvicinarsi, ma adesso è seduto accanto a
me.
«TI PORTO…» probabilmente la mia
espressione la dice lunga sul suo tono di voce perché sorride porgendomi un
bicchiere di punch «ti porto le scuse della signora Bowery…»
“Le scuse?” penso di aver capito
male perché non so proprio di che cosa si debba scusare con me la signora
Bowery. «Si, mi ha detto di chiederti scusa per l’insinuazione che ha fatto
prima su te e il padre di Amanda. Non sapeva che fossi fidanzata.» A questo
punto penso di essere entrata in un mondo parallelo. “Fidanzata? Io? E con chi?
Certo se non è troppo disturbo rendermene partecipe.” Quando inizia a ridere e
a bere il suo bicchiere di punch comincio a capire. Questa situazione è più o
meno come quella delle sue conquiste, potremmo collezionare le volte in cui ci
hanno definiti una coppia. Rido, non
posso farne a meno e assaggio il punch che mi ha portato. La bevanda mi fa
trovare anche il modo per svicolare elegantemente sul discorso. “Questo non è
lo stesso dei ragazzi vero?” Devo avere una faccia abbastanza buffa perché a
Jack va quasi di traverso il suo. Appena smette di tossire e ridere
contemporaneamente forse riuscirà a rispondere.
«Tranquilla, questo è quello dei
grandi. Qualcuno si è ricordato anche di noi fortunatamente.»
“Meno male! Comunque da domani
non mi lamenterò più per il caffè dell’ufficio. Hai bevuto quella cosa azzurra?”
«No sono stato salvato in tempo.»
“Il solito fortunato!”
«Gia, non hai tutti i torti visto
che sono riuscito a trovare una fidanzata in poco più di quaranta minuti ad una
festa piena di adolescenti e donne sposate.» Lo guardo appoggiarsi al gradino
dietro di lui prima di lanciargli una delle mie occhiate. Penso che mi vengano
veramente bene solamente con lui. “Fortunato tu, ma bisogna sentire lei…”
Questa volta sono io ad appoggiarmi comodamente al gradone dietro di me mentre
lui mi punta il dito vicino al naso facendolo oscillare. Scoppio a ridere
ancora. Come potrei non farlo. Ecco lo stiamo rifacendo. Ci stiamo fissando.
Distolgo lo sguardo. O forse lo fa prima lui, non ne sono sicura, so solo che a
volte è difficile farlo. Giro lo sguardo verso la pista per osservare i
ragazzi. Si stanno divertendo molto, fortunatamente domani è giorno di festa,
penso che i genitori faranno fatica a tirarli giù dal letto, troppe emozioni,
saranno stravolti.
Quando con lo sguardo torno al
buffet vedo la signora Bowery che mi sorride e che mi fa un cenno di saluto con
la mano. Rispondo e poi mi giro verso Jack mentre sento che mi circonda le
spalle con il braccio destro. «Non vorrai mica deluderla! Due errori di valutazione
nella stessa serata, potrebbero essere fatali per la sua autostima.»
E no, questa volta la mia smorfia
se la merita proprio, e penso di essere riuscita nel mio intento perché mi
risponde con una delle sue e poi mi stringe un po’ di più la spalla mentre saluta
la nostra osservatrice al di la della palestra alzando la mano con il bicchiere
come a dedicarle un brindisi.
Non posso segnare mentre la
signora Bowery ci guarda, così faccio la stessa cosa che ho fatto appena
entrati, mi avvicino al suo orecchio e alzo un po’ il tono di voce per farmi
sentire da lui al di sopra della musica. «Dici che per lei sarebbe fatale?»
«O si assolutamente, tu non la
conosci!»
«Perché tu si vero?» non mi resta
che rimanere a guardarlo sorridere perché non aggiunge altro e si gira a
guardare i ragazzi sulla pista facendomi un segno con la testa. «Sembra che la
mia idea dell’incontro casuale sia servita…»
Seguo la direzione del suo
sguardo fino ad Amanda e Ben. Lui deve essere appena andato al buffet perché ha
in mano un piattino con dei sandwich e si stanno sedendo ad uno dei tavolini
che hanno allestito vicino alla pista. «Ma tu hai mangiato?» mi sono appena
ricordata che quando è arrivato mi ha detto di aver rimesso la cena nel
congelatore.
«Ho depredato il buffet prima di
essere rapito dalla signora Bowery.»
Guardo l’orologio, dobbiamo
essere a casa per le ventitré. Il tempo è volato, manca solo mezz’ora. «Devo
dire ad Amanda che tra dieci minuti è ora di andare. Ci sono i genitori e i
professori da salutare prima di tornare a casa.» Mi alzo e scendo il gradino su
cui ero salita per sedermi.
«Ben vorrà accompagnare a casa
Amanda. Che dici se vi seguo con la macchina e poi lo porto a casa io? Poi
potremmo approfittarne per fermarci a prendere qualche cosa di caldo prima di
tornare a casa se ti va.»
«Bella idea, ma offro io questa
volta. C’è un nuovo locale nel mio isolato. Sembra che facciano una torta al
cioccolato buonissima. Che ne dici?»
«Dico che è impossibile rinunciare
ad una fetta di torta!» Si alza anche lui e mi prende il bicchiere di punch
dalle mani. «Allora io vado a salutare i professori… e la signora Bowery…»
dicendolo mi guarda ridendo, quasi aspettandosi un’altra smorfia «Tu avverti i
ragazzi?»
“Va bene” «Ti raggiungo subito,
così prendo il cappotto e li aspettiamo fuori.» mi segna un rapido ok e si
avvia verso l’altro lato della palestra. Rimango a guardarlo per un attimo
mentre se ne va poi mi giro e mi avvicino un poco al tavolo di Ben e Amanda,
quel poco che mi basta per attirare l’attenzione. “Tra meno di mezz’ora
dobbiamo essere a casa. Vi aspetto fuori tra dieci minuti.” La osservo mentre
sono sicura stia pensando di allungare un po’ l’orario, ma sa bene che non lo
farò. Abbandona l’idea immediatamente e mi risponde che va bene. La guardo solo
un secondo mentre dice a Ben di controllare l’orologio e mi avvio verso il
tavolo del buffet. Un paio di genitori se ne sono gia andati portando a casa i
figli, quindi saluto brevemente gli altri e prendo il cappotto che mi porge
Jack. Riusciamo a svicolare da una discussione che il professor Cain aveva
iniziato da poco, ci scusiamo dicendo che dobbiamo portare a casa i ragazzi.
Sono sotto la nostra custodia e mi sono impegnata a riportarli a casa
all’orario stabilito dai genitori.
In pochi secondi siamo fuori
dalla palestra. Improvvisamente mi rendo conto che è quasi Natale. Agli angoli
delle strade ci sono gia dei mucchietti di neve caduta a sprazzi nelle
settimane precedenti, ma il cielo è compatto, domani o al massimo lunedì, ci
potremmo svegliare con una bella sorpresa. Il vento ha smesso di soffiare e non
fa più così freddo.
«Ora si che sto meglio.» Jack si
chiude la zip del giaccone mentre lo dice. «Ma le nostre feste erano così?»
«Non so le tue, ma le mie sono
sempre state silenziose. Esattamente come questa…» gli sorrido mentre questa
volta è lui a farmi una smorfia. Io non ho problemi a fare battute sulla mia
sordità e ormai quel leggero imbarazzo che c’era stato all’inizio è scomparso
anche con loro. Con Myles ancora far finta di non aver capito funziona benissimo
però.
«Giuro che non me le ricordavo
così. Starò mica invecchiando?»
«Effettivamente ho notato un paio
di capelli bianchi, ma non volevo dirtelo per non farti preoccupare. Tra un po’
potresti anche aver bisogno degli occhiali…» non controbatte ma lo vedo
trattenersi dal farmi l’ennesima smorfia. «A parte gli scherzi Jack. Grazie per
avermi riportato il palmare e… per essere rimasto.» L’ultima parte della frase
la pronuncio con un po’ di fatica. Mi guarda. E lo fa intensamente come avviene
sempre più di frequente. Stiamo cercando ancora di capire quale debba essere il
nostro prossimo passo e fino ad allora penso che queste cose continueranno ad
accadere. Ci stiamo ancora guardando quando sobbalzo sentendomi toccare il
braccio. Amanda e Ben sono di fianco a noi.
“Complimenti. Siete stati
puntualissimi.” Lo dico appena mi riprendo. Fortunatamente succede velocemente.
Jack segna ai due ragazzi la
proposta che poco fa aveva fatto a me e loro accettano più che felici per la
soluzione per cui abbiamo optato. In fin dei conti che ballo sarebbe se il
cavaliere non accompagnasse alla porta di casa la sua dama?
I ragazzi salgono in macchina e
io aspetto che si allaccino bene le cinture di sicurezza prima di mettere in
moto. Non ci mettiamo molto, dieci minuti e siamo gia di fronte alla casa di
Amanda, le luci del piano inferiore sono accese. Suo padre deve essere
rientrato. Lo aspetta almeno un’ora di racconto serrato. Jack si è fermato poco
distante, quel poco per lasciare ai due ragazzi quella privacy di cui hanno
bisogno. Lo vedo scendere dalla macchina e appoggiarsi al cofano. So benissimo
che li sta osservando con la coda dell’occhio, proprio come sto facendo io nascosta
nella penombra dell’automobile.
Guardo Ben che si avvicina e le
da un bacio sulla guancia, poi vedo Amanda correre verso la porta di casa che
si sta aprendo. Scendo per fare un cenno di saluto al papà poi seguo con gli
occhi il ragazzo che si dirige verso la macchina di Jack. Lui gli sta gia
aprendo la portiera dell’automobile.
“Ti aspetto sotto casa?”
“Sono li in quindici minuti.” Gli
sorrido prima di risalire in macchina e partire. Certo che andare a mangiare
una fetta di torta alle unici e mezza di sera…
Trovo un parcheggio a due passi
da casa. Chiudo la macchina e mi avvio verso il portone controllando di aver
preso tutto. Mi accorgo di un messaggio sul palmare, è Lucy.
Mi ringrazierai domani mattina…non ti aspetto alzata…Buona notte!
Sorrido scuotendo la testa, il
messaggio risale a poco dopo che Jack me lo ha consegnato, è riuscita anche a
calcolare i tempi perfettamente.
Lui mi sta gia aspettando davanti
al portone. «Ma come hai fatto!»
«A volte può succedere un
miracolo…» e sorride facendomi strada con il braccio.
Camminiamo veloci, la temperatura
sta scendendo ulteriormente. Il locale comunque è dietro l’angolo e ci mettiamo
solo un paio di minuti ad arrivare. «Più che una fetta di torta al cioccolato,
ho bisogno di una cioccolata calda.»
«Bollente sarebbe meglio.» lo
dice mentre si soffia aria calda sulle mani e fa un cenno ad una cameriera. La
ragazza arriva rapidamente e ci porta ad un tavolo.
«Bel posto vero?»
«Si, e se i dolci sono buoni solo
la metà di quanto sono belli sarai costretta a passare spesso di qui per
portare le ciambelle in ufficio.»
«Vedo che non ti è sfuggito il bancone…»
«Certo che no. So quante persone
ci sono qui dentro, ho gia individuato le possibili uscite e potevo non notare
quelle meraviglie?» sorride indicando il banco con il pollice.
«Giusto.»
Due cioccolate bollenti arrivano
dopo pochi minuti dalla nostra ordinazione e per la gioia di Jack vengono
accompagnate da dei deliziosi biscottini. « Non avevi depredato il buffet al
ballo vero?»
«Non sono mai stato bravo come
ladro, è per quello che sono entrato nell’FBI. Solo un paio di tramezzini.»
«E io che pensavo fosse a causa dell’hokey!»
Il tempo passa sempre troppo
veloce quando ci si diverte, è proprio vero. Quando guardiamo l’orologio è
mezzanotte e mezza passata. Fortuna che domani è sabato…ma da Levi comunque non
ho scampo. Esco per prima dal locale, e rimango affascinata da quello che vedo.
«Jack! Sta nevicando!» Mi sento come una bambina. Washington è gia una bella
città, ma sotto la neve…la coltre bianca rende tutto ancora più bello anche se
non lo credi possibile. Dopo il primo momento di stupore vengo assalita dal
terrore…casa sarà anche a due passi, ma riuscire ad arrivarci sarà un’impresa.
Altro che ringraziare Lucy, domani mattina…
Jack mi appoggia una mano sul
braccio per richiamare la mia attenzione che era completamente assorbita
dall’osservazione delle mie scarpe. «Penso sia meglio che approfitti del
braccio.» Lo guardo mentre me lo porge piegato.
«Penso proprio che non me lo farò
ripetere due volte.» e mi appoggio a lui per fare il primo passo sulla neve. Ci
metto un attimo a trovare un certo equilibrio e appena acquistata un po’ di
sicurezza mi rendo conto di quanto siamo vicini, e di quanto gli stia
stringendo il braccio per mantenermi in piedi.
«Scivola?» me lo chiede con un
sorriso divertito. Non ha tutti i torti, devo avere un’espressione particolarmente
assorta, ma come moto di ripicca raddrizzo la schiena e assumo un’espressione
sicura «Non quanto mi aspettassi…» e lo dico troppo velocemente perché un tacco
non fa aderenza sulla superficie del marciapiede e per poco non ci ritroviamo a
terra entrambi.
Ok. E adesso? Se consideravo
quella di prima una vicinanza, ora? Praticamente sono tra le sue braccia…«Si,
scivola…» non so con che tono mi sia uscito. E non lo voglio nemmeno sapere…so solo che ho il
cuore che mi martella nel petto, e ho fatto particolare fatica a deglutire, non
so perché ma non penso sia per lo spavento. Inizio a ridere quando un ragazzo
ci passa di fianco e si gira a guardarci. Fa una faccia strana, scuote la testa
e ride. Con un po’ di fatica ritrovo l’equilibrio tenendomi saldamente ancorata
a Jack.
«Tutto ok?»
«Non te lo dico. Altrimenti
rischio di ritrovarmi a terra.»
«Ci riproviamo?» a pensarci bene
potrei anche rimanere così, ma naturalmente non ho l’intenzione di dirlo.
«Riproviamo…» Camminiamo con
calma facendo estrema attenzione. La nevicata si sta intensificando e tutto si
sta facendo più ovattato. Sembra di essere stati quasi catapultati nella pagina
di un libro di fiabe. È proprio vero, la neve è magica.
Abbiamo camminato in silenzio
scambiandoci alcune occhiate, soprattutto divertite visto che dopo lo scivolone
iniziale ho rischiato di cadere almeno un altro paio di volte.
«Eccoci qua…»
«Gia…eccoci qua…» lo guardo
togliendomi un po’ di neve dal cappotto «Grazie per avermi portata a casa sana
e salva…» lui mi sorride abbassando la testa. Ok, ci siamo…è ora di
andare…buona notte…smettila di pensare Sue! Quando lo farai sarà sempre troppo
tardi! Da quando ho iniziato a parlare a me stessa in terza persona? Da quando
vorrei che tutto fosse semplice come a tredici anni?No, non era semplice nemmeno allora.
«Allora….»
«…allora…»
«…buona notte.»
«Buona notte…» gli rispondo
prendendo le chiavi di casa dalla borsa. «Grazie ancora per la serata…» e mi
giro per aprire il portone d’ingresso.
«A lunedì…» sorrido facendo un
passo all’interno. Trattengo per un attimo il portone, ho come l’impressione
che voglia aggiungere altro, ma alla fine alza una mano in segno di saluto e io
lo lascio richiudersi. “‘notte, e vai piano. Le strade saranno ghiacciate…” lo
segno visto che ormai parlare sarebbe inutile…vorrei essere io ad aggiungere
qualche cosa, magari il portone a vetri mi potrebbe dare una mano, ma non lo
faccio. Lo guardo solo segnarmi l’ennesima buona notte poco prima di nascondere
nuovamente le mani in tasca. Ho ancora l’impressione che mi abbia detto qualche
cosa che mi è sfuggita perché vedo condensarsi davanti alla sua bocca una
nuvoletta poco prima che si giri per andarsene, ma forse è stata solo
un’impressione…
FINE