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Autore: Fiby_Elle    20/02/2013    4 recensioni
"Perché fa così male?" ti chiede, rispondi "Non lo so."
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Sebastian scopre cosa è successo a San Valentino tra Kurt e Blaine. Inaspettatamente con lui c'è Hunter...
(Seblaine/Huntbastian solo di fondo!)
Genere: Angst, Demenziale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Hunter Clarington, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Bulletproof
 


Nella vostra stanza entri senza far rumore, lasciando intatti il buio e il silenzio, perdendoti tra quel gioco sensuale di ombre, create dalla luce pastosa di un abatjour.

Posi le chiavi sul tavolino e ti sfili la giacca. La lanci con malagrazia sul letto, lo stesso dove cadi seduto poco dopo, bruscamente tiri fuori la camicia ingabbiata stretta nei pantaloni e poi lento, prendi a piegarle le maniche candide, scoprendo prima gli avambracci, in seguito i gomiti.

Sospiri, come di sollievo, mentre senti tutta la stanchezza, tutto il peso di quella maledetta apparenza, scivolare via dalle tue viscere.

È inutile, ti sorprende sempre il modo in cui anche piccoli gesti riescono a restituirti la normalità.

Al di là di quella porta sei un leader, un macchina che non ha difetti; sai che basta un solo, piccolo errore per perdere tutto e così combatti con le unghie e con i denti, attacchi per primo per non doverti difendere a tua volta; non concedi mai alla tua mente di abbassare la guardia.

Poi però allenti un bottone e ti guardi le mani, come adesso, ti scompigli i capelli e basta questo, sì, basta solo questo e tutto ritorna alla sua realtà.

Ti chiami Hunter Clarington, tuo nonno è stato ufficiale in Vietnam e il tuo destino, da quella singola scelta, è stato tutto segnato.

La gente ti vuole di metallo, lo vorresti anche tu, invece sei fatto di carne e muscoli.

Addosso non te li senti, eppure hai soltanto diciassette anni.

La serratura del bagno scatta all’improvviso, la porta si apre e senza darti il tempo di rendertene conto, la tua solitudine si squarcia per una figura pallida che si infila nel tuo silenzio, ma, sorprendentemente, questa volta, non lo annienta.

Sebastian Smythe registra la tua presenza con una semplice occhiata; è nudo, perché i boxer striminziti che gli aderiscono addosso non posso essere considerati una stoffa e i capelli umidi gli ricadono appiccicati alle tempie, alla fronte ora un po’ china, virata verso il suolo. È magro come un chiodo, noti, mentre ti supera senza dire una parola, ha le spalle larghe, i muscoli tonici e guizzanti al punto giusto, ma i suoi fianchi sono stretti, tanto che dalla pelle, le ossa iliache, sporgono.

Strano, pensi, tra due come voi di certo non c’è cameratismo o altra sorta di amicizia, ma conosci Sebastian abbastanza bene da aspettarti, in quel momento, una qualche battuta sarcastica che, invece, non arriva.

Lui è così, col tempo hai imparato a capirlo, anche se a volte, col suo carattere, ancora ci fai a pugni, proprio non ti trattieni.
Sebastian appartiene a quella categoria di persone che provocano per scompenso, perché nessuno ha insegnato loro un modo diverso di porsi con il resto del mondo. Perché se l’attenzione della gente la fai cadere sui difetti degli altri, difficilmente notano i tuoi e se fai finta che cadere non ti importi, quando lo fai non se ne accorgono, finisce che nessuno può infierire e godere della tua ferita.

Lo senti armeggiare sulla scrivania e lo vedi darti le spalle.

Non vorresti interessarti a lui, non sei mai stato impiccione o curioso, eppure “Oggi alle prove non sei venuto.” scandisce la bocca, e per un secondo ti chiedi se sia veramente la tua.

Sebastian si volta, ma ha qualcosa di diverso nello sguardo, qualcosa che non riconosci,mentre la luce della abatjour lo macchia in pieno, colorandolo fino alla pancia.

È appena uscito dalla doccia, ma le sue labbra sono di ciano e due occhiaie nere, livide, contornano gli occhi stranamente sfuggenti, per nulla superbi o orgogliosi.

“Abbiamo perso, non c’è niente da provare.”

“Era il compleanno di Wes.”

“Non avevo la testa.” biascica, trascinando sulla lingua le parole e finalmente capisci, facendo più attenzione, cosa ci sia di stravagante nella sua figura.

Ti avvicini, mentre lui ti osserva sospettoso. Senza che abbia il tempo di ribellarsi, gli afferri il mento e lo rigiri alla luce, fissandolo intenso, finché quello, con una manata, ti scaccia e si allontana.

Aspetti che tocchi il muro con le spalle, prima di dire “Sei strafatto.” e attendere il suo sorriso di sfida.

Ma la reazione che ottieni a quelle parole è ben lontana da tutto ciò che pensi.

Sebastian ti concede una sola, profonda occhiata delle sue pupille troppo grandi, troppo nere, poi però incrocia le braccia al petto come cercasse di difendersi dai tuoi giudizi e fugge via verso la finestra, sulla quale appoggia mollemente la fronte.

Desideravi un scontro, hai avuto un’esecuzione.

Lo guardi e lui barcolla, un po’ trema, sembra che a stento riesca a non perdere per strada i pezzi.

È un granchio fuori dalla sua corazza.

“Nick mi ha chiesto di andargli a prendere il cellulare il camera.” comincia, ma hai l’impressione che parli solo a se stesso, alla camera forse, non certo a te che in quel momento di rovine ci capiti per puro caso.

“Cosa?” però dici ugualmente e davvero questa volta desideri la sua voce, speri ti confonda col buio e ti confidi cosa lo renda così vulnerabile, visto che ti ha messo addosso il terrore cieco che qualsiasi cosa sia ti prenda e ti colga, rendendo in quello stato anche te.

Il silenzio vi avvolge, stonandovi con la sua pesantezza, con la sua attesa fremente.

Fuori sta piovendo e piccole gocce, fredde e sottili come spilli, feriscono il vetro e colano giù, in rivoli di poco conto.

Non riesci a staccare gli occhi dalla sua schiena.

“Nick mi ha chiesto di andargli a prendere il cellulare in camera…” ripete e la sua voce è atonale, anche se sai che si sforza. Alza il braccio lentamente, come gli costasse una fatica immensa, e facendo coincidere il polpastrello con un frammento di pioggia, ne segue il corso senza fretta, mentre un po’ del suo respiro si condensa sulla superficie fredda del vetro.

Ha i polsi così sottili che sembrano nodi di corda.

“Eravamo tutti seduti in biblioteca. Io gli dico che lo faccio solo se dopo mi ricompensa con un pompino, lui si mette a ridere, però poi mi risponde che mi avrebbe finito i compiti se lo facevo, quindi ho accettato.”

Deglutisce.

Si prende il suo tempo.

Segue con maniacale attenzione il destino già segnato della sua piccola gocciolina.

“Mentre sto tornando da loro, il cellulare mi vibra in mano. È Blaine. È un messaggio di Blaine. È felice perché ha fatto l’amore con Kurt. Un’altra volta. Ha detto che è stato come ritrovare il proprio posto nel mondo, il pezzo giusto dello stesso puzzle.”

E sì, le parole di Sebastian hanno la stessa inflessibile cadenza della pioggia là fuori, eppure tu ci trovi più dolore in questo, in questo vuoto senza rumore, che in tutte le grida del mondo.

Perché Blaine Anderson è la crepa dell’armatura di Sebastian, quel centimetro di luce per gli occhi, di cui tu hai una paura folle, che se viene colpito, dietro di sé, non lascia superstiti.

Lo vedi abbassare le braccia lungo i fianchi, in segno di resa.

L’acqua ormai vien giù a secchiate, vi stona col suo frastuono pulito, incessante, mentre un lampo solo, senza suono, vi illumina contemporaneamente,tutti e due.

E poi non lo sai cosa succede, davvero.

Forse dentro di te qualcosa si rompe, si altera. Forse è soltanto l’assurdità di tutta quella stramba situazione che ti investe, ti soffoca. Forse è il temporale, la stanchezza, quell’intimità rubata.

Non ne hai la minima idea. Sai soltanto che nel silenzio, così, all’improvviso, come fosse la cosa più normale della terra, di punto in bianco ti fermi.

E scoppi a ridere.

Ridi.

Ridi, ridi, ridi.

E Sebastian si volta, puntandoti addosso quei suoi occhi indagatori. E all’inizio è perplesso, non capisce, probabilmente pensa che tu sia pazzo, che gli steroidi ti abbiano fottuto il cervello. E forse ha ragione, sì, ha ragione da vendere, poi però qualcos’altro si spezza e ride anche lui, prima piano, poi più forte, lasciando che quel suono giovane, cristallino, per un po’ vi culli e sovrasti la pioggia.

Ti rendi conto in quel momento che è da quando hai messo piede alla Dalton che non ti concedi il lusso di osservare Sebastian così attentamente -sia per pudore, sia per timore di quella stramba vertigine che ti prende la pancia- e hai fatto bene, avresti dovuto continuare a far finta di niente, perché adesso sei lì che lo guardi ridere e lo trovi talmente bello, talmente fulgido che ti fa male la retina.

Ma il suo modo di ridere è strano, noti ad un certo punto, sembra storto, c’è qualcosa di malato in mezzo e ne hai la conferma quando lui continua, mentre tu ti fermi.

Ride sempre più forte.

Così forte che basta un respiro più lungo degli altri per farlo cominciare a piangere.

Non l’hai mai visto un uomo che piange.

Non l’hai mai visto e forse non lo vedi neanche adesso, perché quello che hai davanti è un bambino che cerca di farsi sempre più piccolo, vuole scomparire. E hai l’impressione che nessuno gli abbia mai spiegato come si pianga, deve essere la sua prima volta, perché sembra frastornato da tutte quelle sensazioni, non muove un muscolo della faccia e le lacrime gli solcano le guance come fossero capitate lì per caso.

È un vaso stracolmo che perde acqua.

“Perché fa così male?” chiede, rispondi “Non lo so.”

Quando ti accorgi di esserti mosso, gli sei già arrivato a un palmo e lo hai intrappolato tra te e la finestra.

Ti osserva con le sopracciglia un po’ corrugate, il labbro inferiore leggermente proteso; appena provi a toccarlo lui è già lì come una molla a scacciarti, fissandoti con quello sguardo intenso, rosso e nero, verde orma soltanto per errore.

Non ti arrendi, non conosci i tuoi piani, ma qualsiasi cosa sia ci riprovi subito; allora a tradimento gli afferri un polso e un fianco, prova a divincolarsi, ma te lo tiri addosso e non gli concedi altra alternativa.

“Sei una delusione, Smythe.” gli dici “ Sei proprio una delusione…” e senza accorgertene lo hai stretto e gli hai morso la bocca.

Di nuovo cerca di sgusciare via.

Gioca sporco; finge di prendere una direzione, poi cambia; scivola sulla sinistra e sta per sfuggire, ma con un braccio gli circondi il busto e lo blocchi, te lo incolli addosso un’altra volta e per evitare che fugga scivoli insieme a lui lungo il muro, schiena a petto, sistemandotelo in mezzo alle gambe.

Combatte ancora per un po’, ma solo per principio.

Sulla nuca ha tre vertebre che sporgono. Le succhi lento e finalmente si arrende, scioglie i muscoli sulla tua spalla.

Non ha emesso un solo suono, eppure non ha smesso un attico di piangere.

Intoni una canzone, sussurrandola, come un segreto, sulla sua pelle.


“Funny how the heart can be deceiving,
more than just a couple times.
Why do we fall in love so easy,
even it’s not right.”



“Non lo dire a nessuno.”

“Cosa? Che sai piangere?”

“Che sono innamorato. Non dire a nessuno che mi sono innamorato.”

“Where there is a desire,
there is gonna be a flame,
where there is a flame
someone’s bound to get burned,
but just because it burns
doesn’t mean you’re gonna die.
You’ve gotta get up and try, try, try.
Gotta get up and try, try, try.
[Try, P!nk]



Rimanete abbracciati così, in quell’angolo di mondo, tutta la notte.
 
 
 




Direi che c’è davvero poco da dire su questa storia.
L’ho scritta piangendo, spero non stiate piangendo anche voi, ma che almeno vi abbia lasciato qualcosa.
 
 

 
 
 
 
 
   
 
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