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Autore: Thiliol    21/02/2013    3 recensioni
John non riusciva a muoversi, né a parlare, faticava persino a respirare ed il suo cuore aveva accelerato i battiti in modo innaturale.
Cercò con la mano di appoggiarsi a qualcosa, il muro o il tavolino nell'ingresso, ma non la trovò e rimanere in equilibrio risultava tremendamente difficile.
Le buste della spesa erano tristemente a terra e alcune mele rotolavano con lentezza lontano, verso la cucina.
« Ciao, John. »
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ho immaginato di te

Ho immaginato di te





John non riusciva a muoversi, né a parlare, faticava persino a respirare ed il suo cuore aveva accelerato i battiti in modo innaturale.

Cercò con la mano di appoggiarsi a qualcosa, il muro o il tavolino nell'ingresso, ma non la trovò e rimanere in equilibrio risultava tremendamente difficile.

Le buste della spesa erano tristemente a terra e alcune mele rotolavano con lentezza lontano, verso la cucina.

« Ciao, John. »

Il medico non rispose. No, era troppo assurdo, troppo dannatamente irreale perchè Sherlock non poteva essere lì, lui lo aveva visto schiantarsi al suolo quel dannato giorno, era morto portandosi via tutto ciò che di bello c'era stato nella sua vita.

« Per favore, dì qualcosa » la voce di Sherlock era strana, meno roca di come se la ricordava... sembrava supplicarlo.

La cosa lo fece infuriare. Come osava? Come osava presentarsi lì, al 221B, come se nulla fosse? Si aspettava che lo avrebbe accolto a braccia aperte? Che avrebbe pianto e gli si fosse gettato tra le braccia? Dannazione, era esattamente quello che voleva fare, abbracciarlo e piangere finchè non si fosse addormentato, ma non poteva fargliela passare liscia.

« Tre anni, Sherlock! » gli ringhiò contro, gettandogli addosso la sua rabbia, « Tre fottutissimi anni in cui ti ho creduto morto, in cui sono stato solo... hai la minima idea di cosa significhi? »

Sherlock si ritrasse, come se lo avesse picchiato.

Era sempre stato così magro? Non ricordava che i suoi lineamenti fossero così affilati, né che i suoi occhi fossero così freddi.

Adesso si rendeva conto di aver distorto il ricordo di lui, di aver trasformato la sua immagine: occhi più scuri, sguardo più intenso, persino la sua bocca l'aveva immaginata meno tesa.

« Dovevo assicurarmi che fossi al sicuro, non potevo dirti niente. Mycroft... »

« Mycroft? »

« Mi aggiornava regolarmente su di te, su cosa facevi. »

Lo guardava a bocca aperta, incredulo e offeso. La sensazione che provava era insolita, un misto tra la rabbia e la nostalgia, perchè in quei tre anni aveva sentito la mancanza della sua apparente insensibilità più di qualsiasi altra cosa, quel modo che aveva di preoccuparsi per lui fingendo indifferenza, come se avesse paura di mostrarsi umano. John si arrabbiava quando lui era ancora là, ma poi, una volta morto, avrebbe dato qualsiasi cosa per poter avere ancora la preoccupazione indifferente di Sherlock. E avrebbe voluto litigare con lui per le teste mozzate nel frigo, per la spesa mai fatta, per le frasi inopportune.

Scosse la testa, si voltò e finalmente riuscì a chiudere la porta dietro di sé.

Sherlock gli si avvicinò, cauto. Forse temeva che si sentisse male, o che si mettesse a urlare, ma John non aveva intenzione di fare nessuna di queste due cose. Oh, era furioso, e decisamente avrebbe vomitato anche l'anima, solo non in quel momento.

Ora c'era Sherlock a solo pochi centimetri da lui, ed era vivo. Vivo.

Gli sembrava che quei tre anni fossero durati secoli e troppe cose erano ormai diverse.

« Come hai potuto, Sherlock? » glie lo chiese senza nemmeno rendersene conto.

« Dovevo proteggerti, Moriarty ti avrebbe ucciso. John, dovevo proteggerti a qualsiasi costo. »

John si chinò, rimanendo in silenzio, e raccolse la spesa dal pavimento, per poi andarla a poggiare in cucina.

Sherlock era sempre il solito, vedeva dettagli impossibili ma si lasciava sfuggire l'ovvio.

Tornò nell'ingresso e gli si mise di fronte, in modo da poterlo guardare. Aveva pensato a quel viso così tante volte, lo aveva immaginato per tre anni, eppure non era come quello che aveva di fronte, in carne ed ossa.

« Non potrò mai perdonarti » gli disse, « Eri il mio migliore amico ed io... » si bloccò.

Sherlock lo guardava, paziente.

« Io ti amavo » concluse, con un sospiro di frustrazione.

Ma perchè? Perchè doveva tornare così, un fantasma riemerso per fare a pezzi il suo cuore e costringerlo ad ammettere ciò che tentava così disperatamente di nascondere?

« Non sei arrabbiato per questo » rispose lui, come se sentire il proprio coinquilino confessare di amarti dopo che ti aveva creduto morto fosse una cosa perfettamente normale.

« No » dovette cedere.

« Dovresti essere contento di sapere che non sono morto, John, anche se una certa rabbia iniziale è comprensibile. Ma tu non ti sei infuriato, eri perfettamente calmo e, nonostante l'iniziale incredulità, persino felice, ma poi le tue pupille si sono dilatate e hai perso il controllo. Non sei furioso perchè mi sono finto morto, sei furioso perchè sono tornato. »

Sherlock aveva parlato con tono monocorde, le mani intrecciate dietro la schiena, quasi che stesse esponendo la prova inconfutabile di un delitto alla polizia. Era così tipico di lui da risultare doloroso e, ancora una volta, non capiva.

A dir la verità, lui stesso faticava a capirsi perchè quello era il miracolo che aveva chiesto tre anni prima alla sua tomba e, diamine, aveva desiderato quel momento con tutto se stesso.

Se c'era una cosa che aveva compreso, durante quella tortura e quella solitudine, era che non avrebbe mai amato nessuno come aveva amato Sherlock e non era una questione di sesso, di essere gay o etero, era una questione di anima e tutto ciò che il suo amico rappresentava.

Non lo aveva realizzato, non coscientemente almeno, finchè non si era ritrovato a fare i conti con la sua assenza, con la solitudine e il vuoto incolmabile, con il suono del violino che non lo svegliava più alle tre di notte, con il divano su cui non era sdraiato lamentandosi dell'inattività dei criminali di Londra, con il frigo che ormai era solo un frigo e conteneva semplicemente latte e birra.

Sherlock era ancora di fronte a lui. Non si era tolto il cappotto, né la sciarpa, ma se ne stava semplicemente lì con le mani infilate in tasca e l'aria di essere smarrito.

Riusciva a vedere l'ansia in lui, dietro quel velo di freddezza, e alla fine non riuscì a trattenere un sorriso.

E poi lo fece: gli si gettò addosso e lo strinse, abbracciandolo fino a farsi male, fino a che lui non fu costretto a ricambiare la sua stretta.

« La verità, » gli disse mentre lo stringeva, « è che mentre non c'eri, mi sono innamorato di te un'altra volta, di ogni cosa di te che avevo amato e di ogni cosa che avevo odiato. »

« Sei un patetico sentimentale » gli rispose il Detective e John sorrise, sciogliendosi dall'abbraccio per poterlo guardare in faccia. Sorrideva.

« Mi sei mancato, Sherlock. »

Se siete arrivati fino alla fine, beh, complimenti! Questa è la mia seconda prova nel fandom e ha partecipato al contest "[Multifandom] Flash Contest – Una citazione per ispirarti" indetto da Layla84 (a cui vanno tutti i miei ringraziamenti e la stima) sul forum di EFP, classificandosi sesta. La frase in corsivo nel testo è la citazione attorno a cui doveva ruotare la storia ed è di A. Sebold

   
 
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