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Autore: Acinorev    21/02/2013    32 recensioni
«Ma sono qui – la interruppi. - Sono qui, con te. Ed è esattamente dove voglio stare.»
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unexpected'
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I have to tell her...

Capitolo 29


Ore 17.19

 
L’attesa non era mai stata così soffocante: non l’avevo mai sentita così nel profondo, né mi era mai sembrata così insopportabile.
Ero diventato un tutt’uno con il muro grigiastro a cui ero appoggiato: seduto a terra lasciavo la testa abbandonata all’indietro con lo sguardo fisso su quelle porte. Era come stare in una bolla di sapone: sentivo lo stesso isolamento, la stessa fragilità.
Isolamento, perché oltre il mio respiro non percepivo altro: non mi rendevo conto di quanto il muro fosse freddo, non udivo nessuna voce nonostante sapessi per certo che ce n’erano parecchie, non vedevo nient’altro se non quelle porte a pochi metri da me. Eravamo solo io e il mio respiro, e non era accelerato, no: era lento, calmo, fin troppo regolare per quella situazione. Ogni volta che inspiravo cercavo di portare dentro di me quanto più ossigeno mi era possibile, forse perché stavo provando con tutto me stesso a rimanere lucido.
Fragilità, perché sapevo che tutto sarebbe finito presto o tardi: non mi restava altro da fare che aspettare, aspettare e sperare, o pregare. Non mi restava altro da fare che cercare di impedire a quel peso sul petto di schiacciarmi sotto di lui.
 

Nove ore prima: 8.46

 
Uscito dal bagno, dopo essermi svegliato completamente con una doccia fredda, mi fermai di fronte alla porta chiusa della mia camera, della camera che condividevo con Kathleen.
Alzai la mano per aprirla, ma la fermai a mezz’aria per poi farla ricadere lungo il mio corpo: non avevo più le forze di entrare in quella stanza e non sapevo come potessi ancora farlo, giorno dopo giorno. Chiusi gli occhi e respirai profondamente, cercando qualche briciola di coraggio che mi convincesse a posare la mano sulla maniglia e ad entrare: per quanto io fossi stanco, per quanto fosse diventato impossibile per me sentivo di doverlo fare e di volerlo fare, il che era una contraddizione enorme, ma ormai non mi importava nemmeno più.
Riaprii gli occhi e spinsi la porta per chiuderla subito dopo dietro di me.
La stanza era nella solita penombra, perché la luce accecante del mattino le dava fastidio, e Kathleen era lì, stesa sul nostro letto da dove non si alzava più da qualche giorno. Mi presi qualche secondo per guardarla dormire e l’ennesima coltellata si piantò nel mio cuore, come succedeva ogni volta che la vedevo immobilizzata in un letto o troppo stanca anche solo per tenere gli occhi aperti.
Mi imposi, però, di non pensarci: lo facevo troppo stesso e non potevo continuare così perché stavo distruggendo me stesso e lei, che anche in quello stato continuava a rimproverarmi, a chiedermi di sorridere, di cantare per lei, pur di non vedermi rimuginare su quello che presto sarebbe successo.
Ed era quello il problema: la consapevolezza di quello che ci aspettava era così forte, così straziante, che non mi lasciava respirare. Come faceva a chiedermi di non pensarci? Come poteva anche solo pensare che io fossi tanto forte da sopportare un tale peso? Per quanto avesse ragione a darmi quei consigli, per me continuava ad essere inconcepibile.
Mi avvicinai all’armadio per prendere qualcosa da mettere e soprattutto per distrarre la mia mente: io e i ragazzi dovevamo andare in studio per registrare il nuovo disco e non sapevamo nemmeno a che ora avremmo finito. Cercavo in tutti i modi di non stare molto fuori casa, ma a volte non mi era possibile e quella era una di quelle volte.
“Te ne vorresti andare… senza nemmeno… salutare?” sentii alle mie spalle. Mi voltai subito, stupito, e vidi Kathleen muoversi leggermente nel letto per guardarmi: si era svegliata e mi stava osservando con quegli occhi infossati che continuavo ad amare nonostante tutto.
“Volevo lasciarti dormire ancora un po’.” le spiegai sorridendo e avvicinandomi a lei.
“Non so se… crederti.” disse ancora a fatica, con una voce rotta e debole, quasi impercettibile. Abbozzò un sorriso e cercò di tenere le palpebre aperte: “Devi per forza andare?”
“Sì. – risposi sospirando e sdraiandomi al suo fianco, - Ma cercherò di tornare il prima possibile: nella pausa pranzo passo a trovarti se riesco.” Con solo l’accappatoio addosso mi ero stretto a lei, che aveva abbandonato la testa sulla mia spalla: “Mi annoierò.” si lamentò.
“Ci sarà Abbie.”
“Sì, però…” Un colpo di tosse le impedì di finire la frase e io le accarezzai i capelli per farla calmare.
“Sai com’è Abbie.” concluse appena ci riuscì. Sì, sapevo come era Abbie: come me non riusciva a vedere Kathleen in quello stato, ma se io cercavo in qualche modo di farmi forza, lei continuava a pensare e pensare e stava intorno alla sua amica come se fosse l’ultima volta, ogni volta. Kath non si lamentava perché cercava di capirla, ma doveva spezzarle il cuore vedere Abbie in quello stato, senza contare il fatto che non aveva bisogno di quell’atmosfera intorno a sé.
“Tornerò presto.” le assicurai, stringendola un po’ di più a me.
“Mi mancherai.” sussurrò, con un tono di voce sempre più basso.
“Anche tu.-  risposi, - E ora riposati.”
Mi alzai dal letto dopo averle lasciato un bacio sulle labbra e mi vestii con ancora il suo sguardo addosso.
“Zayn?” mi chiamò, mentre davanti allo specchio cercavo di dare una forma ai miei capelli; la guardai attraverso il riflesso e la vidi farmi cenno di avvicinarmi, così le diedi ascolto.
“Credi che… potrei avere un bacio prima… prima che tu esca?” domandò, sforzandosi di sorridere. Io la imitai e non esitai ad accontentarla: posai le labbra sulle sue e subito ci trovammo ad approfondire il bacio, un bacio diverso dai soliti eppure così familiare.
“Devo andare ora.” sussurrai cercando di allontanarmi, ma lei non mi diede il tempo di fare altro perché aveva ripreso a giocare con le mie labbra, insaziabile come sempre. Non mi piaceva pensare al perché fosse insaziabile, non dovevo pensare al perché fosse insaziabile. Rimasi ancora qualche minuto con lei, nonostante i ragazzi mi chiamassero per andare in studio: “Se mi sgrideranno darò la colpa a te.” scherzai, aprendo la porta per uscire dalla stanza.
“Se fanno i bulli… ci penso io, tranquillo.” ribatté, prendendomi in giro. Mi misi a ridere e la salutai di nuovo chiudendomi la porta alle spalle. Lentamente la mia risata si affievolì mentre mi appoggiavo al legno pensando a quanto Kathleen fosse in grado di stupirmi dopo tutto quel tempo. Non importava se parlare le facesse male, se stare sveglia nel letto senza potersi muovere dal dolore fosse per lei insopportabile: scherzava come se avesse una semplice influenza che le sarebbe passata da un giorno all’altro. Scherzava con me, un po’ meno con gli altri e chissà come stava quando rimaneva da sola, perché io ero convinto che fosse ancora una volta una delle sue stupide e inutili maschere.
“Zayn Javaad Malik, muovi quel culo o Paul ci lascia a piedi!” urlò Liam dal salotto, facendomi sobbalzare. Scossi la testa sorridendo e li raggiunsi.
 

Ore 17.27

 
Quando guardai l’ora sul mio telefono per l’ennesima volta, arrivai persino a pensare che si fosse rotto: era impossibile che i minuti passassero così lentamente. Mi sembrava di essere seduto in quel corridoio da ore o persino giorni, eppure l’enorme orologio appeso al muro sembrava volermi dimostrare che in realtà tutto scorreva normalmente mentre la lancetta dei secondi si spostava a rallentatore per me. Perché in effetti ero convinto che solo per tutti gli altri il tempo scorresse normalmente: io ero come in un’altra dimensione, una dimensione in cui se mi fossi sforzato un po’ di più sarei riuscito a percepire distintamente ogni millisecondo. Ma non mi sforzavo, perché farlo avrebbe voluto dire intensificare quella fitta insopportabile al centro del petto che mi lancinava: non era la solita sensazione di avere un coltello piantato nel cuore, quella che si ha quando si sta davvero male, perché io non stavo male.
Io in quel momento non esistevo proprio più: ero lì fisicamente e forse anche mentalmente, ma mi sentivo completamente vuoto. Era quello il mio dolore, non sentire nulla: avere l’impressione di non riuscire più ad alzarmi da quel pavimento, qualsiasi cosa fosse successa.
Non esistevo più perché ogni parte di me era sparita dietro quelle porte che non si erano ancora aperte, almeno non per noi: io ero oltre di loro a lottare per sopravvivere, almeno un po’.
 

Un’ora prima: 16.33

 
“Sapete che l’altro giorno El mi ha fatto leggere una Fan Fiction su Tumbrl in cui portavo la mia ragazza nello studio di registrazione e me la facevo sul pavimento?” raccontò Louis, armeggiando con la chitarra di Niall e guardandoci solo per un attimo per sorriderci divertito.
“Innanzitutto l’accordo è sbagliato; si fa così. – esordì Niall facendogli vedere l’accordo giusto, - E poi perché El legge cose del genere?”
“Perché quando Louis non c’è dovrà pur trovare qualche alternativa.” scherzai, facendo ridere gli altri e ricevendo uno sguardo duro da Louis che mi aveva poi rivolto una smorfia.
“Non è come pensate voi. – mi corresse, - Su Twitter una ragazza gliel’ha fatta notare dicendole che dovrebbe essere gelosa di tutte queste mie “scappatelle”. Quindi lei si è incuriosita e l’ha letta.” spiegò, sorridendo ancora per l’assurdità dell’episodio.
“Ed El che ne pensa di questa… Fan Fiction? Si è ingelosita perché lei non l’hai mai portata in studio di registrazione per fartela?” domandò Harry, distogliendo per un attimo l’attenzione dal telefono tra le sue mani per poter scherzare con l’amico.
“Al contrario: mi ha assicurato che quando ho portato lei nello studio per farmela, sono stato molto più bravo che nella Fan Fiction, caro il mio Hazza.”
“Hey, noi qui ci lavoriamo!” protestò Liam, mentre noi ridevamo.
“Oh, andiamo: non mi dire che non sei mai stato con Danielle in giro per casa.” lo rimbeccò Louis, passando la chitarra a Niall.
“Be’… Sì, voglio dire…”
“Hey, noi lì ci vivevamo!” esclamò Louis, imitando la voce di Liam per prenderlo in giro. Quest’ultimo scosse la testa arreso e sorrise per quel discorso uscito dal nulla. Eravamo in pausa, se davvero poteva chiamarsi così: a pranzo, avendo finito tardi con le prove, avevamo avuto pochissimo tempo quindi io non ero potuto tornare da Kath, e da quando avevamo ricominciato a registrare era la prima pausa che ci concedevamo. Erano quasi le quattro e mezza del pomeriggio e le mie corde vocali chiedevano pietà, mentre io bramavo per tornare a casa: nessuno di noi aveva veramente voglia di continuare a lavorare quel giorno, chi per un motivo chi per un altro.
“Ragazzi, che ne dite se ce ne torniamo a casa? - esordì Niall, quasi leggendomi nel pensiero, - È dalle nove di mattina che siamo qui, direi che per oggi può bastare.”
“Non sono mai stato così d’accordo con qualcosa!” concordò Louis, alzandosi dalla sedia.
“Sì, andiamo a casa.” affermai sospirando e imitando Louis. Prima che potessi fare un passo la suoneria del mio cellulare attirò la mia attenzione, mentre gli altri raccoglievano le loro cose felici di andare a casa.
Appena lessi il nome di Abbie sullo schermo, però, il mio sollievo venne oscurato da qualcos’altro più simile alla paura: “Abbie?” risposi subito, quasi in un sussurro.
La sentii singhiozzare dall’altra parte della cornetta e il mio respiro si face sempre più corto, mentre anche le voci degli altri sembravano scomparire dalla mia attenzione: “Abbie, che diavolo succede?” chiesi sempre più agitato, incuriosendo gli altri, che davvero smisero di parlare per ascoltare la conversazione.
 

Ore 17.31

 
“Hey…” sussurrò una voce al mio fianco. Il mio sguardo era ancora fisso sulle porte, anche mentre qualcuno si muoveva vicino a me probabilmente per sedersi.
“Hai bisogno di qualcosa?” continuò. Riconobbi la voce in quella di Liam, l’unico che avrebbe potuto osare avvicinarsi a me in quel momento: ma no, io non avevo bisogno di niente, o almeno di niente che avrei potuto ottenere soltanto chiedendolo. Quindi rimasi in silenzio, ancora isolato da tutto il resto.
Forse passò qualche minuto, ma non ne ero certo perché avevo smesso di fidarmi del tempo, fatto sta che Liam parlò di nuovo: “Zayn… Qualsiasi cosa succeda…”
A quelle parole staccai la testa dal muro senza nemmeno pensarci, nonostante i miei occhi rimanessero puntati sempre nella stessa direzione: chiusi gli occhi e inspirai profondamente, mentre il mio amico capiva di non dover aggiungere altro. Non l’avrei sopportato, non ero in grado di sopportare parole, supposizioni, speranze o paure. Non riuscivo a provare niente, assolutamente niente.
La mano di Liam si appoggiò sulla mia coscia, come per darmi un po’ di sollievo, e io abbandonai di nuovo la testa all’indietro, facendola appoggiare al muro.
 

Un’ora prima: 16.37
 

“Zayn, lei…”
“Abbie, per favore.” la pregai, sentendo che i singhiozzi le impedivano di parlare.
“Lei… tossiva forte e io… Ha smesso di respirare per un po’ e… E sta arrivando l’ambulanza… Zayn…”
Le sue parole rimbombavano nella mia testa in modo confusionale, impedendomi di capire fino in fondo quello che volessero dire. Il mio inconscio sapeva alla perfezione quello che stava succedendo, ma forse tentava di proteggermi rendendomi tutto più incomprensibile.
“Zayn, che c’è?” chiese Niall, avvicinandosi a me con una faccia sconvolta. Ma la sua voce era come lontana e non riusciva ad attirare la mia attenzione; divenne veramente lontana quando presi a correre fuori dallo studio senza badare ai richiami dei miei amici. Correvo e ascoltavo i singhiozzi di Abbie.
“Vengo all’ospedale.” dissi soltanto, senza nemmeno rendermene conto.
Non riuscivo a capire cosa stessi provando esattamente, cosa stesse succedendo dentro di me che mi portasse a muovermi senza che io realmente ordinassi ai miei muscoli di farlo. Sapevo solo che ero salito sul primo taxi che ero riuscito a fermare buttandomici davanti: mi ero intrufolato dentro mentre l’autista mi guardava con gli occhi spalancati, probabilmente pensando che fossi pazzo, e gli avevo detto di portarmi all’ospedale.
Dopo dieci minuti non avevo ancora elaborato le parole di Abbie: la mia gamba continuava a muoversi nervosamente mentre guardavo fuori dal finestrino lasciando che il respiro continuasse ad accelerare di nuovo, e il traffico in cui eravamo imbottigliati sembrava volermi prendere per il culo proprio quel giorno.
“Porca puttana!” imprecai, tirando fuori dal portafoglio una banconota da 20 sterline e porgendola al taxista. Senza badare alle sue domande scesi dal taxi e iniziai a correre di nuovo: non potevo aspettare che mi portasse all’ospedale, perché l’attesa era straziante, il ritardo lo era ancora di più e perché qualcosa nel mio corpo mi impediva di stare fermo. Quindi corsi sui marciapiedi affollati di gente, ringraziando il cielo che per le registrazioni di quella settimana lo studio fosse quasi al centro di Londra.
Non mancava molto all’ospedale e forse se anche fossero mancati interi chilometri non avrebbe fatto nessuna differenza: il telefono tra le mie mani continuava a ricevere chiamate dai ragazzi, le parole di Abbie continuavano a torturarmi, il mio cuore continuava a pulsare talmente forte da farmi sentire i battiti nelle orecchie, la mia paura cresceva sempre di più fino a farmi perdere la testa.
Quando arrivai  mi guardai intorno senza far caso al respiro che mi mancava: non c’erano ambulanze in giro, quindi mi precipitai dentro dove chiesi se fosse già arrivata Kathleen Mason, ma mi dissero di no. Mi passai le mani tra i capelli e respirai profondamente, cercando inutilmente di calmarmi: “Ragazzo, tutto bene?” chiese un’infermiera al mio fianco.
Io la guardai, la vidi, la capii, ma non so perché non riuscii a dire niente: iniziavo a capire cosa significava il detto “la paura ti paralizza”. Uscii in fretta dall’ospedale e presi a camminare avanti e indietro aspettando che quella dannata ambulanza arrivasse, ma non riuscivo a rilassarmi quindi composi il numero di Abbie per sapere dove fossero. Dopo i primi due squilli il suono delle sirene mi portò a staccare la chiamata e a spostare lo sguardo sulla strada: immobilizzato davanti all’entrata del pronto soccorso, guardai il veicolo arrivare velocemente e fermarsi altrettanto velocemente quasi di fronte a me. Feci un passo, poi un altro e un altro ancora, mentre uno degli autisti si affrettava ad aprire lo sportellone per aiutare i colleghi. Subito scese Abbie, con i capelli disordinati e la faccia sconvolta dal pianto: “Abbie.” sussurrai, avvicinandomi ancora.
“Abbie!” la chiamai, attirando la sua attenzione. Lei si voltò e appena mi vide singhiozzò, per poi correre verso di me e abbracciarmi con tutta la forza che aveva. Il mio sguardo era fisso sull’ambulanza, dalla quale non era uscito nessun altro: la ragazza tra le mie braccia continuava a piangere, a dire cose sconnesse, ma io non riuscivo ad ascoltarla; per quanto volessi consolarla, ero io ad aver bisogno di sapere, di capire, quindi mi limitavo a stringerla. Quando finalmente qualcuno fece capolino dall’ambulanza, lasciai andare  Abbie, e aspettai di vedere Kathleen in qualsiasi stato fosse: probabilmente in quel momento pregai anche un Dio che non era il mio affinché potessi vederla ancora viva.
Due infermieri spinsero sulla strada una barella di ferro su cui era sdraiata Kath: era assicurata dai nastri usati dal pronto soccorso, ma potevo distinguere il suo petto alzarsi e abbassarsi convulsamente, più velocemente di quanto pensavo fosse possibile. Subito mi mossi verso di lei, avvicinandomi ai bordi della barella e fissando il mio sguardo sulla sua figura scossa, quasi irriconoscibile con tutte le precauzioni che gli infermieri avevano preso.
Il mondo sembrò rallentare solo per farmi vedere il volto di Kathleen. Pallido come mai lo era stato, era rivolto verso di me e quegli stessi occhi che la mattina mi avevano guardato con tutto l’amore possibile, mi guardavano spalancati e sommersi dalla paura, dallo stupore, dalla sofferenza. Raggiunsi la sua mano con la mia, stringendola come se potessi infonderle un po’ della mia forza.
“Kath…” sussurrai, immobile con gli occhi nei suoi, con l’anima nella sua.
Quel semplice contatto visivo mi stava logorando: conteneva talmente tante cose da essere quasi opprimenti. Entrambi sapevamo che quella era probabilmente l'ultima volta che ci vedevamo e stavamo riversando l'uno negli occhi dell'altra tutto quello che riuscivamo. In quel semplice contatto visivo c'erano tutti i momenti passati insieme, tutti i litigi e le notti a letto, ogni parola e ogni carezza, persino il futuro insieme che tanto desideravamo ma che non potevamo avere. Non c'erano parole che potessero uguagliare quel linguaggio silenzioso. Una convulsione più forte, però, le fece distogliere lo sguardo e solo in quel momento il tempo ricominciò a scorrere normalmente.
Non era doloroso guardarla in quello stato, era straziante. Sentivo i suoi polmoni rantolare e sforzarsi di tenerla in vita: le parole del dottore erano in secondo piano, le risposte di Abbie erano in secondo piano, persino i miei pensieri lo erano. Ogni singola cellula del mio corpo era concentrata sulla sua fonte di vita che si stava lentamente spegnendo davanti ai miei occhi.
Continuavo a cercare il suo sguardo, probabilmente sperando di incontrare i suoi occhi ancora una volta, perché sapevo che sarebbe stata l’ultima: sapevo da molti giorni che quell’ultima volta sarebbe arrivata presto. Ce l’aveva ripetutamente detto il dottore, me lo faceva capire Kathleen quando di notte i suoi rantoli mi svegliavano sempre più spesso, me lo diceva il mio cervello che la vedeva peggiorare ogni ora che passava, me lo dicevano persino le visite sempre più frequenti dei suoi zii che sembravano volerle dire addio ogni giorno per paura di non rivederla il giorno dopo.Eppure, anche con tutto quel preavviso, mi accorsi di non essere ancora pronto a lasciarla andare via, come se d’altronde avessi potuto mai esserlo.
Troppo presto arrivammo alle porte del pronto soccorso, presto perché non ero riuscito a incontrare lo sguardo di Kathleen, presto perché nel profondo c’era qualcosa che mi diceva che non l’avrei più rivista.
Fui spostato bruscamente mentre qualcuno mi diceva che non potevo entrare con loro e che avrei dovuto aspettare fuori; in men che non si dica, rimasi solo davanti a quelle porte.
Come nella sbronza peggiore ogni cosa che mi circondava era confusa, imprecisa e rallentata: io stesso lo ero.
“Zayn.” mi sentii chiamare dalla voce di Abbie. Mi riscossi quasi e mi voltai leggermente verso di lei.
“Zayn, puoi… Per favore, io… Ho bisogno di… “ singhiozzò davanti a me prima di avvolgermi con le sue braccia tremanti, e io non so quando decisi esattamente di farlo, ma la accontentai. Forse perché ne avevo bisogno anche io, forse perché sentivo che eravamo esattamente nella stessa situazione, forse perché il mio inconscio sapeva che Abbie aveva visto la sua migliore amica smettere di respirare, forse perché non riuscivo a sopportare quella paura atroce che mi attanagliava, non da solo. Quindi l’abbracciai, lasciai che si sfogasse sul mio petto, mentre io chiudevo gli occhi e serravo la mascella, chiedendomi cosa avrei dovuto fare, cosa sarebbe successo, come stesse Kathleen.
Kathleen, la mia Kathleen.
“Ragazzi!” sentii urlare a pochi metri da noi. Spostai lo sguardo sui quattro ragazzi che erano appena entrati e li guardai avvicinarsi con i volti sconvolti dalla preoccupazione.
“Zayn! – disse Harry, - Abbie ci ha detto che stavate venendo all’ospedale e…”
“Come sta?” lo interruppe Louis, mentre Abbie mi lasciava andare per rifugiarsi tra le braccia di Niall.
Non risposi, né con una parola né con un gesto, e lo sguardo di Liam sembrò volermi capire solo scrutandomi. E forse proprio scrutandomi si accorse del mio stato; non esitò infatti a farsi avanti e ad abbracciarmi: “Andrà tutto bene.” sussurrò. Avevo sempre pensato che quella fosse la frase più banale da dire in occasioni del genere, ma in quel momento era l’unica che fosse in grado di darmi un minuscolo sollievo: era svanito due secondi dopo, ma c’era stato.
 

Ore 17.40                                             

 
Quando un dottore uscì dalle porte del pronto soccorso chiamando il nome di Kathleen quasi non potevo credere che quel momento fosse arrivato. Contro ogni aspettativa, mi alzai velocemente e gli corsi incontro: non era quello che aveva accompagnato Kath in ambulanza, ma aveva la stessa aria comprensiva e falsamente cordiale.
In un attimo anche tutti gli altri si avvicinarono a noi mentre io scrutavo gli occhi azzurri di quell’uomo alla ricerca di una risposta.
Trattenni il respiro quando iniziò a parlare, guardandoci negli occhi uno alla volta.
“La signorina Mason ha avuto una crisi respiratoria: le sue condizioni e lo stadio avanzato del tumore al polmone, sommati ai problemi relativi alle metastasi, non le hanno permesso di superarla. Abbiamo provato di tutto, ma… mi dispiace: non ce l’ha fatta.” esordì, scuotendo il capo come se fosse dispiaciuto.
In quel momento il mondo intorno a me anziché rallentare scomparve: scomparvero le lacrime di Abbie, il dispiacere dei ragazzi, le mie mani che tremavano, quella di Liam che si era stretta sulla mia spalla; scomparvero i One Direction, Londra, quell’ospedale, gli studi di registrazione, la musica, le persone, la mia famiglia; e dietro tutto quello scomparvi io.
Kathleen se ne era andata e si era portata via tutto il resto.
Prima ancora del dolore fu la rabbia a prendere il possesso di me: “Pezzo di merda! –urlai, scagliandomi contro il dottore e afferrandolo per il camice, - Perché cazzo non l’hai salvata?!” gridai ancora, mentre alcuni del personale si avvicinavano a noi. Qualcuno dei ragazzi mi afferrò cercando di trattenermi, mentre il dottore si allontanava impaurito e guardandomi quasi con dispiacere: “Zayn, calmati, Zayn!” sentivo dirmi.
Ma io riuscivo solo a pensare che Kathleen mi aveva lasciato.
“Dovevate salvarla! – gridai, dimenandomi tra le braccia dei miei amici, - L’avete lasciare andare!” urlai, come se fosse davvero colpa loro. E in fondo sapevo che in realtà non lo era, ma in qualche modo dovevo sfogare tutto quello che sentivo prima che mi portasse alla deriva, perché ero certo che il mio corpo non sarebbe riuscito a sopportare a lungo quel dolore.
“Zayn, ti prego, calmati. – ripeté Liam, - Lei… ha smesso di soffrire. Calmati, Zayn.”
“Non me ne frega un cazzo! – ribattei, senza riuscire a calmare i miei muscoli, - Se ne è andata! Le avevo promesso che ci saremmo visti dopo le prove! Le avevo promesso che le avrei ripetuto ogni giorno che l’amavo! Devo dirglielo, lasciami! Lasciami cazzo! Devo dirle… Devo dirle che l’amo!”
Come era possibile che Kathleen fosse morta? Come era possibile che fosse morta senza che io potessi dirle addio? Come era possibile che esistesse un dolore così intenso da farmi credere di poter raggiungerla da un momento all’altro?
“Devo dirglielo!” urlai di nuovo.
Ma Liam non mi lasciava e io avevo così tanto da dire a Kathleen: dovevo ripeterle che l’amavo perché dopo tutti quei mesi mi diceva di non essersi ancora abituata, dovevo dirle che era la miglior cosa mi fosse mai successa, che non sarei potuto sopravvivere senza di lei, che mi aveva lasciato senza che io potessi essere abbastanza forte per vivere da solo, che avevo bisogno di lei più di quanto le avessi mai fatto credere.
Dovevo dirle che avrei voluto fare ancora tanto con lei: avrei voluto portarla al mare e vederla abbronzarsi sulla spiaggia, farla correre ancora e farle sentire il vento tra i capelli, perché sapevo che le mancava; dovevo dirle che volevo fare l’amore con lei ancora mille volte anche se non sarebbero bastate, che avrei rinunciato a tutto pur di non vederla andare via da me, che ero incazzato perché mi era stata portata via senza che io potessi fare niente.
Dovevo chiederle scusa perché le avevo promesso che le sarei stato vicino in ogni momento ma proprio quel giorno non l’avevo fatto.
Dovevo dirle che morendo aveva ucciso anche me.
Dovevo dirle tutte quelle cose, ma Liam non mi lasciava e io non riuscivo a fare altro se non piangere e urlare il suo nome, come se potesse sentirmi, come se urlandolo più forte avessi potuto raggiungerla.
Il dolore era così lancinante da non lasciarmi respirare.
Sentivo piccole parti di me morire una dopo l’altra, inesorabilmente.
Sentivo di non avere le forze per affrontare la sua assenza, il pensiero che lei non esistesse più.
Ma la cosa peggiore era sapere che non importava quanto io mi disperassi, quanto forte urlassi il suo nome tra le persone che mi guardavano con pietà: non l’avrei più rivista, non avrei più potuto stringerla a me.
Lei… non c’era più.




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*si asciuga le lacrime* .............................
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Ok. Questo è quanto.
Sono le 23.36 e io ho appena finito di "aggiustare" questo capitolo,
quindi sono ancora in uno stato emotivo a dir poco instabile.
Sarà che le canzoni malinconiche di sottofondo non aiutano, 
sarà che sono una ragazza troppo sensibile, 
sarà che la mia Kathleen è morta... Lo so che sono dei personaggi
di una storia, ma insomma... la mia Kathleen!
Avevo deciso di pubblicare questo capitolo sabato o giù di lì,
ma ho preferito farlo ora per un semplice motivo: l'ho già modificato milioni
di volte e so già che avrei continuato a modificarlo se non l'avessi pubblicato...
Quindi eccolo qui: non mi convince, forse perchè parlare di qualcosa
del genere non è facile o forse perchè i sentimenti di Zayn sono talmente
tanti e talmente intensi da rendere tutto più difficile... Ma non mi convince.
E mi scuso se è deludente rispetto a quello che vi aspettavate!
Per me è stato difficile scriverlo, sia perchè non volevo deludere le vostre
aspettative, sia perchè avrei voluto scriverlo molto meglio ma purtroppo
dovevo stare entro un limite di lunghezza del capitolo e di certo non potevo 
dividerlo in due... Quindi scusate se vi aspettavate qualcosa di meglio, 
e se vi è piaciuto ne sono felice!
Alcune di voi sapevano già che Kath sarebbe morta in questo capitolo
ma vorrei che sia loro sia le altre mi facessero sapere cosa ne pensano!
Non è l'ultimo capitolo, perchè c'è ancora l'epilogo, ma è evidentemente
il capitolo più importante della storia e ci terrei davvero moltissimo se mi diceste
cosa ne pensate! Ho bisogno di sapere se vi ho deluse o no e se sono riuscita
a trasmettervi qualcosa, quindi per favore dite qualcosa!
Per il resto non so cosa dire... sono letteralmente terrorizzata di aver
sbagliato in qualcosa lol quindi mi limito a ringraziarvi per tutto, come sempre!
Avete di nuovo segnalato questa storia per le scelte, quindi vi ringrazio anche per questo!
E spero di sentirvi presto!

Ps. Ho creato una pagina facebook, quindi se volete aggiugermi questo è il mio profilo :) https://www.facebook.com/acinorev.efp

Un bacione belle sdalsas

 
  
  
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