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Autore: Mikayla    10/09/2007    3 recensioni
E quando nacque la distruzione, diedero una grande festa…
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il maestoso castello di pietra nera si stagliava nel cielo color blu notte, il medesimo blu del velluto che scendeva drappeggiando dolcemente in mille soffici pieghe dalle finestre degli edifici in paese. Costellavano la pietra chiara delle case, quelle bandiere festose, in cui spiccava quasi minaccioso il simbolo della famiglia regnante: una grande falce stilizzata, di un viola intenso.
Era troppo presto perché i tiepidi e timidi raggi di Sole che, tentennanti, riuscivano ad arrivare fin lì, illuminassero quel pianeta distante, tingendo il cielo di un indaco sbiadito. Un colore così tenue che si vedeva appena qualche ora, per poi essere nuovamente sostituito dal blu della notte.
Il giorno durava davvero poco, lì.
Ma prima ancora che il cielo mutasse colore, il paese ai piedi del castello brulicava di vita.
Le fiaccole appese al muro illuminavano di un tenero arancio i festoni lievemente mossi dalla brezza mattutina, risaltando così il simbolo della famiglia reale.
Mancava poco alla metà della giornata, ma già degli ospiti riccamente vestiti scendevano per le strade recandosi a palazzo in un lungo e chiassoso corteo. Molte carrozze sfarzose facevano mostra di sé, nascondendo alla vista del popolo i suoi occupanti, tutte accompagnate da una coppia di valletti e almeno quattro soldati in alta divisa.
La povera gente del volgo li guardava sbalorditi ai lati del corteo, con occhi spalancati, e con l’invidia chiaramente dipinta sui loro visi.
I bambini scappavano dalle grinfie materne, prendendo a correre a perdifiato per inseguire qualche carrozza dai fregi dorati con il cuore in gola e la mente occupata solo dai bei disegni.
Era uno spettacolo, quello, che non si aveva la possibilità di vedere tutti i giorni.
Un gruppetto di ragazzotti sui dieci anni additava con stupore una candida carrozza trainata da un tiro di unicorni, attirando l’attenzione degli altri compagni di scorribanda.
Una bimba di cinque anni, incuriosita invece dallo strano destriero che cavalcava un distinto signore dal lungo mantello verde smeraldo, sgusciò sotto le gambe di due robusti uomini. Immediatamente corse verso la creatura alata dal color castagna, trovandosi tra le sue possenti zampe.
Il grifone si spaventò in un attimo, alzando di scatto le zampe anteriori per colpire la bimba con tutta la potenza dei suoi muscoli scattanti.
Un muto grido si dipinse sul suo volto incurvandole le labbra fini, mentre gli occhioni blu elettrico erano spalancati da puro terrore. Un secondo dopo gli artigli della possente belva dilaniavano il terreno sotto di lei.
« Devi stare attenta. » le disse sorridente una giovane ragazza, mentre il fiatone le faceva alzare ed abbassare velocemente il petto acerbo fasciato da un corsetto di pelle.
La bimba annuì lentamente, ancora incapace di parlare per lo spavento. Quella ragazza l’aveva salvata portandola lontana dall’animale imbizzarrito, era venuta come la brezza. Ed ora gli occhi della bimba non lasciavano il viso dai lineamenti seri e delicati della giovane, spostandosi solo per guardare un ciuffo biondo scappare dalla prigionia del cappuccio del mantello che indossava e posarlesi davanti agli occhi azzurro chiaro.
La piccola manina si protese a sfiorarlo, e proprio in quel momento una giovane Principessa si avvicinò avvolta in uno sfarzoso abito di seta rosa, pieno di balze e di splendidi merletti ricamati.
Doveva certamente essere scesa dalla bella carrozza color del mare, ferma poco più avanti. La portiera spalancata era trattenuta da un valletto dai capelli verdi, mentre le guardie stavano bene attenti allo svolgersi della scena, pronte ad intervenire al minimo cenno della Giovane.
Ma ella non se ne dava preoccupazioni. Procedeva leggiadramente verso la salvatrice della bimba, quasi a passo di danza, facendo ondeggiare e frusciare dolcemente la stoffa della lunga gonna. Quel suono armonioso, unito al tentennare degli orecchini di corallo rosso che portava ai lobi, ricordava il dolce incedere delle onde.
Il corsetto dell’abito era evidentemente troppo stretto, ma lei non ci badava, mentre invece si accaniva sulle manichette a sbuffo che sembravano non voler stare alla medesima altezza, irritandola.
I boccoli color dell’acqua di mare scendevano dolcemente sulle sue spalle, mettendo in risalto una piccola coroncina d’oro posata sul suo capo.
Un’esile mano guantata si richiuse piano sulla manica della semplice camicia color terra di Siena della ragazza, ed i loro sguardi si incrociarono. Si guardarono per un istante lungo e profondo, poi la Principessa parlò « Ci attendono. » disse seria per poi posare lo sguardo sulla bimba.
Rapita dalle eleganti movenze della quindicenne la bambina si era imbambolata, ma appena sentì il suo sguardo su di sé si riprese e fece un buffo ed impacciato inchino. I capelli corvini le ricaddero davanti agli occhi e quando rialzò lo sguardo non vide traccia alcuna delle due ragazze.
Erano sparite più veloci di una tormenta.
« Makira! » la risvegliò l’eco lontano della voce della madre « Allontanati immediatamente da lì, ti puoi fare male! » la sgridò strattonandola per il braccino stringendosela al seno.
La bambina si fece coccolare sbirciando, da sotto le braccia ciccotte della madre, la sfilata dei reali. Rimase incantata ad osservare un affascinante alicanto, dalle splendide ali dorate, appollaiato sulla spalla di un giovane Principe dal mantello nero corvino, come i suoi capelli, attorniato da quattro Generali della medesima età.
« Torniamo a casa. » disse seria la donna costringendo Makira a distogliere lo sguardo dai giovani e a camminare verso i quartieri più periferici del paese mentre continuava a guardarsi indietro, da sopra le proprie spalle.



***



Una carrozza candida, trainata da dei splendidi unicorni bianchi si fermò proprio davanti al maestoso ingresso dell’imponente castello reale.
I valletti addetti aprirono la portiera prostrandosi in un inchino, mentre porgevano la mano alle dame per poter scendere agevolmente dal mezzo.
Una mano bianca come la neve e gli stessi crini delle magiche creature si posò con elegante gentilezza a quella offertole, e ne seguì l’imponente figura di una donna di una rara bellezza. I lunghissimi capelli color dell’aurora le ricadevano ai lati del viso e una mezzaluna d’orata spiccava sulla sua fronte.
Subito si voltò per incrociare gli occhi azzurro cielo della figlia. che si apprestò a scendere subito dopo di lei. Le sorrise dolcemente mentre osservava i suoi capelli color del grano apparire stranamente arancio per via della luce delle torce, come pure la sua mezzaluna dorata.
Madre e figlia proseguirono la strada salendo la grande scalinata, l’una ad un paio di passi dall’altra. Attorno a loro v’erano quattro ragazze sui dieci anni, delle piccole guardie del corpo.
Sulla loro sinistra se ne stava leggermente distante dalle regnanti una ragazza dai corti capelli turchini, avvolta in un corto abito azzurro dal taglio semplice. Tra le sue mani se ne stava, acceso, un dispositivo di controllo munito di tastiera e schermo. Passavano costantemente dati su dati, che lei leggeva ed immagazzinava in un secondo.
Una ragazza mora ed alta era vestita con un lungo abito nero decorato con un dragone verde smeraldo che la fasciava morbidamente, mettendo in risalto il suo corpo già formato. Ella non distoglieva mai lo sguardo dalla giovane Principessa, restando alla sua destra. Sulla sinistra, invece, stava una giovane dai lunghi capelli corvini. Nella semplice calzamaglia rossa, resa più elegante da una gonna nera perlinata, che le scendeva dolcemente sui fianchi, procedeva con passo spedito e ad occhi chiusi, come in meditazione.
Seguiva subito dietro la principessa una ragazza dai lunghi capelli biondi, elegantemente vestita in un ampio abito arancio che metteva in risalto i suoi occhi cristallini. Ella poteva tranquillamente sembrare la sorella della Principessa, invece che una guerriera.
Entrarono ancora di più in quell’enorme castello, seguendo il vociare degli invitati che li precedevano e confluivano in una stanza altrettanto grande e dall’aspetto cupo. Tutto, in quel palazzo ed in quel pianeta, sembrava tetro e tenebroso.
I regnati mostravano volentieri lo sfarzo della loro casata nelle scure tonalità dei suoi colori. Il blu notte ed il viola intenso si armonizzavano con la semiperenne naturale oscurità di quel mondo. Al contrario degli altri pianeti non era stata impiantata alcuna fonte di luce artificiale, lì si viveva come la natura stessa aveva deciso.
Ma non per questo la sala del ricevimento non era ben illuminata e sfarzosamente decorata con drappi rappresentanti tutti i simboli dei pianeti del sistema solare, come era naturale fare per buona educazione in quella società.
Nessuno sembrava a disagio in quella stanza, tutti conversavano amabilmente, scambiandosi convenevoli e saluti, chiacchiere e novelle sulla noiosa vita di corte. Fin troppo abituate a ciò le bambine scambiavano cenni del capo con tutti i nobili che conoscevano, fermandosi a parlare con altre sventurate Principesse e Principi presenti allo speciale evento.
« Mi concede questo ballo? » chiese d’improvviso un giovane dai lunghi capelli argentati alla Principessa con la mezzaluna sulla fronte.
Lei lo guardò spiazzata « Ma non c’è musica! » esclamò tendendo l’orecchio nella vana speranza di udire una leggera melodia in sottofondo, magari smorzata dalle rumorose chiacchiere. Ma c’era il silenzio, sotto le voci echeggianti.
Il ragazzo le sorrise, notando che lei aveva accettato la sua mano, e la fece avvicinare a sé, circondandole la vita con la mano. Un attimo dopo si ritrovarono a volteggiare al ritmo di una musica che non potevano sentire, sotto gli sguardi scandalizzati degli altri ospiti. Mai, da quando quel tipo di cerimonia era stata inventata, dei Principi o delle Principesse avevano infranto la tradizione.
Ma non era importante in quel volteggiare tranquillo e sereno che aveva preso i due giovani ballerini. Ridevano, loro, delle buffe facce che facevano i Re pancioni e le Regine dal pesante trucco.
Solo un paio di occhi bordeaux riuscì a far tingere color pesca le candide guance della Principessa. Una ragazza di forse sedici anni, alta e dalla carnagione scura, la osservava da distante. Stava parlando con un giovane Principe della medesima età, altrettanto alto, dai corti capelli corvini e due occhi color dell’oceano.
Quella ragazza, vestita di un semplice abito nero ed attillato che ne metteva in risalto le forme perfette, la guardava accennando ad un sorriso mentre la sua mano passava tra i capelli neri dal riflesso verde smeraldo impedendo alla coroncina di corallo di cadere. Parlava sottovoce con quel Principe, ma non accennava a smettere di osservare i ballerini.
La piccola Principessa allora si fermò all’improvviso, abbassando il capo, leggermente imbarazzata. « Grazie mille. » mormorò facendo un delicato inchino al giovane che la guardava stupito, « Mi sono divertita. » aggiunse poi accennando un lieve sorriso prima di dirigersi verso le compagne.
Il giovane non poté far altro che osservarla andare via, per poi tornare al suo posto « Kunzite, attiri sempre l’attenzione. » lo rimproverò benevolmente un ragazzo dai morbidi capelli castani.
Lui rise, prendendo posizione nella sala accanto ai tre compagni « Credimi, ad attirare gli sguardi non ero io. » rispose mettendosi sull’attenti.
Il ragazzo alla sua destra, dai lunghi capelli biondi raccolti in una coda, represse in uno sbuffo la risposta che avrebbe voluto darli. Poi i suoi occhi verdi andarono a cercare il loro protetto. Si fermò così ad osservare il giovane Principe dai capelli corvini che parlava con la bella Principessa dagli occhi color del tramonto.



***



Le chiacchiere scemarono quando fecero finalmente il loro ingresso i sovrani del pianeta. Erano un uomo ed una donna molto giovani d’aspetto.
Il viso del Re era serio e dai lineamenti duri. I capelli corvini tipici della sua stirpe scendevano lisci sulle sue spalle confondendosi con il mantello scuro che portava. Una spada decorata di mille fregi era stretta al suo fianco, la mano destra posata sull’elsa. Non era troppo alto e di fisico robusto. Dava un’idea di saggezza e forza e, da come offriva il braccio sinistro alla moglie, non si sarebbe mai detto che si reggesse a lei per farsi guidare. Difatti il Re era cieco, come mostravano le iridi bianche dei suoi occhi.
La Regina, invece, apparteneva alla nobile stirpe delle mezze silfidi. Ammantata nelle sue vesti argentate dai mille veli, posava con delicata fermezza la mano su quella del consorte. I suoi occhi color delle ametiste esaltavano la sua austera bellezza; il viso aveva lineamenti dolci e delicati, quasi evanescenti. I suoi splendidi capelli color del grano erano raccolti in una treccia che le faceva da corona per poi scendere dolcemente fino al terreno.
Camminavano lentamente, con passi misurati. La sovrana riconosceva con dei cenni di saluto gli invitati, soffermandosi più a lungo sulla Regina sua sorella ed il vecchio padre.
Sotto lo sguardo attento di tutti presero posto sull’alto scarno di legno intarsiato, voltandosi verso di loro mantenendo un’aria greve.
« Vi ringraziamo d’aver partecipato così numerosi. » disse la ruvida e bassa voce del Re. Si era alzato per porre i propri omaggi ai nobili lì radunati, come consuetudine. Era saldo sulle sue gambe e, per tutto il discorso che tenne, rimase fermo ed altero. Un vero sovrano.
Poi fu il turno della Regina di ringraziare i partecipanti a quell’importante evento. La voce dolce e musicale,tipica della sua stirpe, si sollevò raggiungendo anche gli angoli più lontani del salone. Sembrava un canto, il suo.
Ma un vagito infantile ruppe quella magia. Solo in quel momento gli invitati notarono la culla dai morbidi drappi viola posta poco distante dal trono dei sovrani. Era da lì, che proveniva quel pianto infantile.
Una manina color pesca si protese verso l’alto, facendosi scorgere da tutti.
La Regina si chinò allora sulla culla, prendendo tra le braccia la legittima erede al trono, la futura Regina di quel pianeta.
« Questa stella » parlò con note cristalline d’affetto nella voce « È la legittima e futura erede al trono. Vi presento la Principessa di Saturno, Hotaru. » concluse alzando la bambina verso il pubblico che scoppiò in un ovazione.
La piccola creatura aveva i capelli del padre e gli occhi della madre. Eterea come tutte le mezze silfidi, ma dalla pelle color della pesca. Una bambina splendida.
Ed a quella bambina furono portati doni ed auguri.
Ogni Re e Regina, come ogni Principe e Principessa, porsero omaggio alla neonata. Così una lunga processione prese luogo verso lo scanno dove giaceva la bimba.



***



L’ultima a presentarsi al cospetto dei sovrani fu la Principessa con la mezzaluna sulla fronte, colei che aveva ballato infrangendo le tradizioni. Avanzò con passo timido ed incerto, preceduta dalla madre che salutò la Regina come fosse stata una vecchia amica, e seguita dalle sue compagne.
« Rendo omaggio a voi, sovrani di Saturno. » disse la giovinetta con voce tenue, quasi inudibile. Il suo inchino si protrasse molto a lungo, poiché né il Re, né la Regina sembravano volerle darle la possibilità di rialzarsi.
Così lei sbirciò il volto cieco del Re, rimanendo affascinata dall’espressione del suo viso. Pareva proprio che le stesse sorridendo, che la vedesse e la stesse giudicando. Imbarazzata spostò lo sguardo sullo splendido alicanto che vegliava dall’alto la culla della Principessina. Era il dono del Principe della terra, quello.
« Alzatevi pure, Principessa Serenity. » le concesse la Regina incrociando i suoi occhi appena fu possibile.
Immediatamente la giovane porse alla donna un giglio di un bianco così candido da rendere opaca, in confronto, la propria pelle e quella della madre. La neve sarebbe sembrata nera.
La Regina guardò con un misto di inquietudine e attesa quello strano dono. Si scostò appena di un passo, e fece cenno con la mano alla Principessa di avvicinarsi alla culla.
Ella non se lo fece ripetere due volte, procedendo verso la bimba assonnata. La guardò sorridendo teneramente per poi porle il piccolo fiore.
La bimba lo prese con ambo le mani, curiosa di quella novità. Lo portò immediatamente al viso, dimentica del sonno che prima incombeva su di lei. Lo esplorò con la manina nel silenzio più assoluto.
Tutti erano in attesa. Un’attesa trepidante di ciò che sarebbe dovuto succedere.
Poi fu uno scroscio di applausi e grida festose, che, in confronto alle ovazioni di prima, sembravano mille volte di più.
Serenity si issò sulla culla posando un bacio sulla fronte della bimba, proprio dove, pochi secondi prima, era comparso il simbolo della guerriera di Saturno.



***



Fu così che venne accolta per la prima volta la distruzione: con una festa. Ma quando, anni dopo, sarebbe stata chiamata dalle guerriere del sistema solare esterno sarebbero stati tre visi disperati, a salutarla. Poi, solo la sua falce… e la distruzione di quel mondo.
   
 
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