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Autore: Frankie_ Echelon    26/02/2013    5 recensioni
"Sin da quando la mia mente è stata invasa da ricordi, ho sempre pensato che la mia vita fosse stata un errore, talmente movimentata da non riuscire a comprendere la mia reale posizione nel mondo"
tratto dal cap. 01
Una gioventù negata; ricordi di una vita di dolore e sofferenze.
Questa storia parla di Manuel, un ragazzo con i suoi demoni e scheletri nell'armadio che decide di raccontare.. come per volersi liberare.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Vorrei precisare che questa storia è totalmente frutto della mia immaginazione, che i personaggi e gli avvenimenti qui sotto scritti e descritti non sono associarti a qualcuno realmente esistente.
Se le mie parole possono aver infastidito e aver causato dolore a qualcuno, mi scuso in anticipo.
MIC
 
- 01 -
 
Sin da quando la mia mente è stata invasa da ricordi, ho sempre pensato che la mia vita fosse stata un errore, talmente movimentata da non riuscire a comprendere la mia reale posizione nel mondo.
Il Dio, che oramai non fa più parte delle mie preghiere e a cui non credo più da anni, mi ha fatto venire al mondo senza avvertirmi che quel posto da lui creato, e che doveva essere solo un fax simile del suo regno nell'alto dei cieli, in realtà non era che un posto maledetto, un luogo di perdizione; luogo di torture fisiche ma soprattutto mentali; luogo dove l'unico scampo era la fuga.
Meta di inganni e false speranze, di vizi e piaceri, luogo di facili costumi e di totale impotenza nel captare i percoli più comuni, il mondo, la cosiddetta Terra, è il breve passaggio, una sosta, una camminata nel purgatorio prima di raggiungere l'altro Regno per fare partite a scacchi con gli angeli o giocare a bocce con Dio.. ok, forse sono troppo duro, ma penso che se il mondo è il riflesso del Paradiso, composta da creature plasmate su immagine e somiglianza di Dio, beh, scusatemi il franchismo, ma mi sembra una bella cagata.
Altro che Paradiso! Dall'età di sette anni ho capito che il mondo che noi ci ostinavamo a chiamare casa, Terra, non era altro che l'anticamera dell'inferno.
E voi ora che leggete queste parole vi chiederete, come fa un bambino di soli sette anni perdere la fede nel Dio creatore dei cieli e paragonare la vita a non altro che l'inferno, sede dei peccati mortali e dei dolori più atroci?
In realtà non è che da un giorno all'altro mi sono svegliato e ho iniziato ad odiare il mondo e la mia vita stessa. No, diciamo che il giorno del mio settimo compleanno è stato il culmine.. un fulmine a ciel sereno.
Il risentimento, le paure e l'orrore che avevo accumulato all'interno della mia psiche e che mi ero tenuto dentro, nei meandri più oscuri del mio cuore, avevano raggiunto talmente tanto peso che non ero più capace di contenere, occupavano troppo spazio.. tutti quei ricordi così oscuri per un bambino di quell'età non facevano per niente bene alla sua formazione psicologica.
E mentre tutti gli altri bambini giocavano a chi rincorrersi e chi a guardia e ladri giù nel cortile, io stavo ai piedi di quella scala sconnessa e scricchiolante mentre assistevo all'ennesima scena d'orrore che quel giorno superò di gran lunga le altre.
Mentre l'imbrunire del cielo rifletteva sulla vetrata gli ultimi raggi di sole che si ostinavano a persistere io dissi, a bassa voce, più a me stesso che ad altri: “bella merda la vita”.
Ricordo che fu la prima parolaccia che pronunciai.
In realtà fu la seconda che dissi dato che una volta, all'età di cinque anni, mentre eravamo seduti a cena, chiesi a mio padre cosa volesse dire 'figlio di puttana'. Diciamo che la risposta non fu quello che mi aspettavo.
Un ceffone colpì in pieno il mio viso facendomi cadere dalla sedia e rovesciandomi il piatto di minestra addosso.
Non riuscì ad alzarmi talmente ero terrorizzato. Mi sfregai una mano sulla guancia paffuta, bollente dal colpo appena incassato non sentendo neanche il bruciore del brodo bollente sui miei vestitili. Lo guardai con gli occhi pieni di lacrime spostando lo sguardo smarrito e appannato da lui a mia madre che aveva il cucchiaio bloccato a mezz'aria. MI accorsi che tremava e che guardava la scena con gli occhi spalancati, pieni di lacrime.
Guardai mio padre notando lo sguardo infuriato, il solito sguardo che presagiva la solita scena.
Spostò lo sguardo su mia madre << Sei stata tu a insegnarli quella parola? >> chiese a denti stretti e con lo sguardo che prendeva fuoco.
Si alzò dalla sedia e piano girò il tavolo fermandosi accanto a mia madre.
Io rimasi a terra tremando come una foglia investita dal vento, con una mano ancora ferma sulla guancia.
Lacrime silenziose avevano iniziato a bagnarmi il volto.
Continuavo a guardare mia madre apparentemente immobile. Si apparentemente, dato che io potevo captare il suo tremore continuo.
<< L'HA IMPARATA DA TE? >> urlò mio padre accanto al viso di mia madre che strizzò gli occhi dal terrore. Anch'io strizzai gli occhi dalla paura e per il tuono potente della voce di mio padre.
<< L'ha sentita mentre parlavi male di me, vero stupida sgualdrina? >> chiese a denti stretti e con lo sguardo fisso su mia madre mentre stringeva una mano intorno al collo di lei.
Mia madre disse un flebile 'no' talmente piano che quasi sembrava che non l'avesse detto, come se le parole -e la voce- si fossero perse nell'aria malsana che si respirava in quel momento.
<< Vai in camera Manuel >> disse mia madre con voce tremolante << Ti prego >> aggiunse guardandomi dritto negli occhi. Sapevo quello che sarebbe successo. Lo sapevo e la colpa era tutta mia.. mia e di nessun altro.
<< Sei solo una lurida puttana >> disse infine facendo alzare mia madre con la sola forza imprigionata nella mano che le teneva al collo e sbattendola contro la parete dietro d lei.
Chiusi gli occhi dalla paura e corsi in camera.
Chiusi a chiave la porta alle mie spalle e mi buttai nel letto a piangere come una fontana.
<< Sono uno stupido bambino >> mi dissi da solo. E lo ero, sapevo di esserlo. Sarei dovuto essere più coraggioso e avrei dovuto dire a mio padre che la mamma non c'entrava nulla che in realtà avevo sentito quella brutta parola quella mattina all'ora di ricreazione a scuola. L'avevo sentita da Riccardo, un bambino tutto grasso -che sicuramente lo aveva anche nel cervello- che si stava lamentando con me per il professore di matematica che gli aveva messo un impreparato visto che non era riuscito a contare sino a venti. Si era perso dopo il tredici e i compagni di classe lo avevano preso in giro, soprattutto perché lui era più grande di noi di due anni. Si, aveva sette anni e non aveva ancora imparato a contare sino a venti. Si diceva che avesse bisogno di un insegnante solo per lui che lo aiutasse a studiare ma i genitori, orgogliosi come erano, non volevano che gli venisse assegnato un insegnante di sostegno.
Comunque, mi ritrovai a piangere nella mia cameretta stringendo i pugni sul mio piumoncino che raffigurava dischi volanti e alieni simpatici che sorridevano dietro il vetro delle loro navicelle.
Mi ritrovai a piangere perché mi sentivo fortunato, fortunato che mio padre mi avesse dato solo uno ceffone.
Ma più sentivo le sue urla provenire dalla sua stanza, più il mio cuore batteva forte e le lacrime bagnavano sempre più il mio volto e il piumone su cui avevo nascosto la mia faccia per non farmi sentire piangere.
Mi dispiaceva per mia madre, mi dispiaceva per i colpi sordi che arrivavano sino alle mie orecchie anche se mi trovavo lontano dalla cucina; mi dispiaceva perché mi sentivo più rilassato e fortunato.. mi dispiaceva per aver causato tanto dolore a mia madre.
Lei non c'entrava niente, io non ho mai sentito brutte parole uscire dalla bocca di mia madre, specialmente rivolte verso di lui. Lei non aveva detto nulla, è stato Riccardo a dirlo.. ma infondo, lo sapeva pure lui che la mamma non aveva detto nulla. Sapeva benissimo che dalle sue labbra rosee le uniche parole che uscivano erano di rispetto e amore verso di lui, anzi, verso tutti.
I colpi finirono pochi minuti dopo con una porta che sbatteva, sicuramente quella dell'ingresso.
Mi rannicchiai su me stesso mentre sentivo i singhiozzi camuffati di mia madre nell'altra stanza.
Potevo percepire le sue lacrime salate che bagnavano il viso tumefatto e che ogni ferita, ogni taglio, che attraversavano era come versale sale su di essa.
Alzai il viso sentendo una musica provenire da una qualche parte della casa.
Mi alzai piano e, girando con paura la chiave e il pomello della porta segui quella scia inesistente di note che mi portò nella camera da letto dei miei genitori.
La porta era socchiusa e la musica arrivava alle mie orecchie più forte. Con mano tremante presi il pomello della porta e l'aprì leggermente.
Mia madre stava seduta al bordo del letto a fissare il vuoto davanti a sé con un sorriso sghembo sulle sue labbra. Non so se si accorse subito della mia presenza dato che sembrava essere entrata in un mondo tutto suo -sicuramente migliore di questo- ma quando feci qualche passo verso di lei e dissi 'mamma' con la sola voce che potrebbe avere un bambino di soli cinque anni, lei si girò verso di me e mi sorrise dolcemente mentre vedevo i suoi grandi occhi verdi opachi e senza la sua solita luce.
<< Vieni Manuel >> mi disse con la sua solita voce calda e piena d'amore.
Corsi e poggiai il viso sul suo grembo, << mi dispiace mammina.. è tutta colpa mia >> dissi mentre le lacrime tornarono a bagnarci i nostri visi.
Ora che ci penso la mamma non aveva il viso particolarmente tumefatto.. mio padre si era dedicato a non lasciare segni visibili sul viso..
Ricordo ancora oggi quella scena, quell'episodio ma ricordo ancora meglio le parole di mia madre “ << Tranquillo piccolo mio, non è colpa tua.. è colpa di questo stralunato Dio che si è dimenticato di noi. E quando si ricorderà di noi allora ci chiederà scusa e potremo vivere felici nelle sue grazie >>” le sue parole mi toccarono nel profondo. Come faceva il Dio ad essersi dimenticato di una donna tanto buona? Di me potevo anche capirlo visto che ero un bambino cattivo -o così credevo di essere- ma la mamma.. la mamma era tanto buona e dolce. Profumava di sempre di pulito e di cannella. Come poteva Dio dimenticarsi di qualcuno che profumava di cannella?
Erano i pensieri e le domande di un piccolo bambino di cinque anni. Ad essere sincero me lo domandai anche negli anni successivi sino al giorno in cui dissi “Semplice, Dio non esiste”.
Rimasi lì, rannicchiato su me stesso e col viso poggiato sul grembo di mia madre mentre la musica di Chopin riempiva la stanza e il mio cuore.
Ricordo ancora oggi il profumo di mia madre, le sue carezze continue sul mio viso. Se ci penso riesco a sentire le lacrime tornare a bagnare quel viso da bambino con le guance paffute.
Ma infondo, quello.. quello era solo una routine nella nostra casa. Quasi ogni giorno mio padre rientrava ubriaco e per uno stato di rabbia o nervoso improvviso picchiava mia madre, e alcune volte pure me. Capitava sempre più spesso che trovasse scuse improponibbili per riempire di botte mia madre.
Un giorno capito, ad esempio, che la sua squadra di calcio preferita perdesse la partita. Lui aveva puntato sulla sua vittoria una somma esagerata, una somma che in realtà ci costò pane invecchiato e brodo di cipolle per più di due settimane, e quando capì di aver perso tanti soldi se la prese con mia madre. Sfogò la sua rabbia su di lei usando come carpio espiatorio una scusa che ancora oggi mi stupisco che fosse davvero causa di un braccio rotto. Si, mio padre, per sfogarsi dalla perdita della scommessa su mia madre trovò come scusa una macchia inesistente sulla camicia che avrebbe indossato il giorno dopo.
Ma infondo, quegli episodi non furono 'niente' in confronto a ciò che accadde il giorno del mio settimo compleanno.
Ok, vi stareste domandando: cosa può esserci di tanto brutto oltre a vedere la propria madre vittima di continue percorse dal marito tanto amato?
Beh, non so se vorrei veramente raccontarvelo ma ormai ho iniziato questo discorso e mi sembra giusto raccontarvelo.
Prima però, permettetemi una piccola presentazione di me. Cosa ci può essere da dire di me?
Beh, penso che come descrizione i miei ricordi e quello che ho scritto sopra abbiano detto tutto.
Comunque, mi chiamo Manuel Molinaro. Sono italiano e oggi mi posso ritenere un uomo trentacinquenne finalmente.. felice.
Come direbbe mia madre 'Dio si è ricordato di me, finalmente'. Ma infondo, posso essere davvero sicuro che qualcuno si sia ricordato di me?
Ho passato gli ultimi anni in una tale solitudine che a ancora oggi mi sembra impossibile che sia riuscito a sopravvivere a ricordi e pensieri senza impazzire.
Sono figlio unico e ne sono sempre stato felice. Perché far nascere un altro bambino in questo schifo di vita?
Mio padre è un ex poliziotto entrato in pensione sei anni fa. Ancora oggi mi rifiuto di chiamarlo “padre” e se morisse non credo che ci sia nessuno che lo piangerebbe.. compreso me.
Mia madre invece era la solita casalinga con mille qualità. Sapeva suonare il piano e aveva una voce angelica. È capitato spesso di essermi essermi addormentato tra le sue braccia mentre mi cantava una ninna nanna creata appositamente per me.
Ricordo le intere sere seduti davanti al piano dove mia madre mi insegnava a riconoscere e suonare qualche nota. Quelle lezioni durarono sino a quando mio padre, stanco di quei strimpelli fastidiosi, vendette il pianoforte per un misero prezzo usando i soldi ricavati per bere e andare a puttane con i suoi amici collegi.
È grazie a lei che ora so suonare il pianoforte anche se sono anni che non lo suono.
Mia madre morì di cancro durante il mio tredicesimo anno di vita.
Rimase mesi a letto mentre quella bestia la mangiava da dentro.
Passavo giorno e notte accanto a lei aspettando che morisse tra le mie braccia. Mi prometteva che ci saremo rincontrarti nel Regno di Dio e che finalmente saremo stati felici.
Da tredicenne che ero nascosi le mie lacrime agli occhi di mia madre. La notte, nei rari momenti in cui dormiva poggiavo il cuscino sul mio viso e piangevo. Piangevo e urlavo silenziosamente facendo in modo che mia madre3 non mi sentisse. Piangevo per la disperazione, piangevo per l'invidia di un Dio così crudele che si pendeva mia madre con sé lasciandomi solo. Piangevo per la rabbia e il furore verso mo padre che continuava la sua sporca vita come se non sapesse che nella camera del figlio alloggiava una donna priva di vita da mesi, pronta a morire. E piangevo perché neanche la morte era stata buona con lei. Non bastava che avesse sofferto per una vita intera, pure durante i suoi ultimi istanti su questa terra la sofferenza prendeva il possesso del suo corpo e del suo cuore.
Gli ultimi giorni nemmeno parlò più, mi guardava soltanto e raramente mi accarezzava il viso per tranquillizzarmi. Vedeva il terrore nei miei occhi, vedeva le lacrime che mi ostinavo a cacciare indietro.
Poi un giorno, dopo giorni che non pronunciava una sola parola se non mugolii di dolore, disse “ << Non essere arrabbiato con tuo padre.. ti voglio bene >> ” e poi.. smise di respirare.
I suoi occhi ormai privi di vita continuavano a guardarmi senza vedermi e io piansi, piansi e gridai davanti al corpo inerme dell'unica donna che abbia realmente amato.
Avrei voluto morire io, avrei voluto donare la mia vita solo per la speranza che lei tornasse in vita e che se ne andasse dall'orco che amava.
Ma forse ora era nel suo luogo tanto atteso, nel mondo che sognava sempre di visitare e che un giorno sarebbe stata la sua casa: la Francia, che descriveva come la libertà.
Scusate.. mi capita spesso di perdere il filo del discorso in percorsi secondari.
Cosa stavo dicendo? Ah, si, stavo parlando di me.
In fondo, non c'è molto da dire, la mia vita è fatta di ricordi del passato. Sono l'insieme dei momenti passati uniti come un gomitolo di lana che fanno di me quel che sono che, come direbbe mio padre, non sono niente o meglio “una stupida checca insignificante”.
Assurdo come le parole di un padre possano ferire tanto anche se io evito di dargli troppo peso.


Il ricordo del fuoco che ormai aveva sciolto la cera delle candeline, consumate da quella fiamma lentamente.
I palloncini rossi e gialli volavano trascinati da bambini che si inseguivano. Risate, schiamazzi di bambini felici e.. il riflesso del mio viso sconvolto sul pomello dorato della porta..”


Salve a tutti,
io sono MIC e questa è la prima storia che scrivo in questo campo.
Spero che vi sia piaciuta e che non abbia causato in nessuno un qualche incomprensione.
Come ho detto prima di iniziare la sroria questa storia è frutto della mia immaginazione..
Spero che mi rendiate partecipi dei vostri pensieri.
Baci
MIC
   
 
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