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Autore: Amy Tennant    27/02/2013    7 recensioni
John Smith e Rose Tyler sono insieme e un altro Tardis sta crescendo nel mondo parallelo, nei laboratori di Torchwood. John però sente che qualcosa sta cambiando ed è qualcosa di cui neanche il Dottore era pienamente consapevole.
Una fine può essere l'inizio di qualcosa di totalmente inaspettato.
Anche per Rose.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L’odore era terribile. Ricordava quello degli ospedali, di tutti gli ospedali dell’universo e lui lo sapeva, anche se quei ragazzi che aveva al seguito lo ignoravano. L’aria sapeva di malattia, sapeva di conservante e disinfettante insieme. Accendendo le luci rimasero turbati dalla grandezza di quella sala ma lui no.
Lo immaginava. Catherine sapeva di qualcosa che non andava, nel reparto medico. Lo sapeva ma insieme lo ignorava. Aveva compreso che nel suo caso la questione era più complessa e si trattava di una sorta di condizionamento psicologico. La sua incongruenza esistenziale non le era stata percepibile per un periodo piuttosto lungo ma John sapeva che la condizione di Catherine era precaria.
Da tempo, nell’universo, avevano smesso di creare quel tipo di esistenze perché erano instabili, non funzionavano oppure… diventavano altro. Catherine Lane stava diventando qualcosa di imprevisto per tutti. Per la vicinanza a lui, ne era sicuro. Perché reagiva a lui; e perché lui stava reagendo a qualcosa di esterno.
Ragionando sulla cosa John era giunto all’idea che non dipendesse solo dalla rigenerazione del Dottore o dal Tardis, che effettivamente si sviluppava ad una velocità impressionante, ma a qualcos’altro che lui sentiva limpidamente anche in quel corpo umano, che forse soffriva proprio per quello. Era quell’indefinibile scricchiolare dentro che percepiva anche come suono, quel suono sordo sopra ogni cosa e che gli faceva male.
Il suono che nei suoi pensieri si sovrapponeva all’immagine di sé stesso riflesso nello specchio del sogno dove aveva incontrato Donna. Lei gli aveva detto di raggiungere al più presto il Dottore, perché qualcosa nei tempi non tornava o forse…
Tornava in un altro senso.
Quel pensiero gli fece venire i brividi. Come il ricordo del suo viso, delle sue mani e dei suoi occhi, in quello specchio. Tutto quel sangue, quei vetri. Quei vetri dentro…
… Io morirò presto…
Era questo che aveva percepito con chiarezza. Era quello che Donna aveva visto, che non aveva voluto dirgli, in lacrime.
Abbassò lo sguardo lucido sui suoi pensieri.
Era partito pieno di rabbia, era partito intenzionato a distruggere il Torchwood persino a costo della propria vita, se quel che sospettava era vero. Ma qualcosa lo stava fermando, lo stava… placando.
Ed era il pensiero di Rose, il pensiero della propria vita con lei. Ma anche il pensiero di quel che avrebbe devastato senza capire. Doveva capire, doveva quietarsi e capire.
L’aver incontrato quella squadra di ragazzi aveva fermato la tempesta prima che si abbattesse su qualcosa che anche loro stessi erano intenzionati a distruggere nella parte maligna.
Ma quale era quella parte? Tutto era terribilmente strano e confuso tranne quella che sembrava ormai una certezza: non aveva molto tempo. E il cuore gli si strinse dolorosamente, non per paura.
… Io ti lascerò presto … mi perdonerai, Rose?...
Lo pensò senza parole. Era qualcosa nei suoi sensi. Cercare di spiegare ciò che sentiva sarebbe stato come tentare di spiegare il Tempo. Non poteva. Non poteva sapere cosa lo aspettava ma il giovane spirito con gli occhi chiusi
Davanti a quello specchio… piangeva. Per lui.
Non poteva rassegnarsi alla fine, non faceva parte della sua vera natura. Avrebbe combattuto.
Ma il riflesso in quel sogno era di un uomo sconfitto.
John rivolse lo sguardo a quello che lo circondava con quasi più angoscia che rabbia ma la controllò assumendo un’espressione gelida e pensosa. Distante da tutto apparentemente.
Anche da quel gruppo di ragazzi che in realtà lo preoccupava.
-          State attenti! L’avere capacità psichiche alquanto limitate potrebbe non bastare, qua dentro – disse a voce alta.
-          Le tue considerazioni sono sempre molto gentili… – osservò il ragazzo robusto. John gli rivolse un’occhiata ambigua e uno strano mezzo sorriso.
-          Apprezza le intenzioni – John puntò il cacciavite sonico verso le luci disposte in vari punti e la stanza, per quanto possibile, si illuminò.
Ancora una volta le celle. Celle semitrasparenti, come capsule, una di seguito all’altra. Al centro delle vasche; piene di liquido alcune, vuote altre.
-          È enorme…!  – disse il ragazzo robusto.
-          Dottore… cosa sono quelle? – la voce di Lena tradiva tensione. Lui la guardò un momento.
-          Qualcosa che non avrei voluto rivedere ancora una volta – disse amaramente.
Molti tavoli di metallo e strumenti, lasciati come all’improvviso. Troppo disordine per un laboratorio, gli fu evidente da subito. Ma quelle celle erano davvero orribili. Per un momento John ripensò a quando si era recato con Rose a New Earth e poi scoperto gli orrori dietro quel perfetto ospedale.  
Ripensò a quanto era stato sconvolgente aprire quelle capsule e trovare delle persone infettate da tutte le malattie possibili. Infettate per il bene di molti altri. Ma era inaccettabile.
In quel laboratorio non avevano neanche quella sottile scusante. Il male che veniva fatto ai prigionieri aveva altri scopi. La quantità di individui usati su New Earth per la ricerca era certo maggiore ma i prigionieri in quella stanza erano in condizioni anche peggiori, se possibile. Lo si vedeva dal materiale che avvolgeva anche le capsule. L’isolante della stanza non bastava a fermare i lamenti, il dolore.
-          Probabilmente chi lavora qua dentro ha avuto mal di testa…  – mormorò inorridito. Se infatti ci si trovava al centro di un campo telepatico, si poteva percepire malessere.
Lakil gli stava stritolando le dita. Lena, accanto a loro, si guardava intorno shoccata.
Non c’era molta alternativa. Si trattava di creature che avevano catturato durante il periodo di cui gli avevano parlato i ragazzi o poco dopo. In realtà sulla Terra vivevano da sempre persone che non erano native di quel mondo. Lui per esempio.
Doveva guardare. Non avrebbe voluto ma doveva.
Si sciolse dalla mano di Lakil.
-          Non guardare… - gli sussurrò e gli fece cenno di portare via Lena. Lakil, si allontanò da lui prendendo Lena per le spalle ma il ragazzo robusto restava accanto a John – non farlo neanche tu – disse John rivolto a lui.
-          Dottore, le assicuro che ho visto delle cose orribili.
-          Mi dispiace, mi dispiace veramente – mormorò con un filo di voce – ma… non è necessario che ne aggiungi altre quindi… dammi ascolto – il ragazzo lo fissò un secondo poi annuì e si allontanò. John notò che proprio i due che facevano i coraggiosi si erano messi da parte per primi.
Doveva essere prudente. Non poteva più esporsi a contaminazioni biologiche pensando, al limite, di avere la possibilità di rigenerarsi. E tuttavia il presentimento della sua fine in modo differente lo spinse ad agire come avrebbe fatto in ogni caso e soprattutto nella sua vita precedente. Sfilò il materiale da una cella aspettandosi di essere investito da un lamento. Nulla.
Tristemente pensò che l’ospite doveva essere già morto. Aprì lentamente e con prudenza la cella che fece uno scatto sinistro. Guardò dentro. Ciò che vide lo fece visibilmente impallidire.
Perché aveva visto di tutto e nulla lo impressionava. Nulla tranne quel terribile dolore e la sua inconsapevole mancanza di rispetto verso un altro essere vivente. I suoi occhi diventarono lucidi, aveva voglia di piangere.
Dentro quella capsula i resti di qualcuno. La cui pelle era ricoperta da scaglie metalliche.
Quelle che gli erano state date per il dispositivo. Quelle con le quali aveva ricoperto un inutile oggetto che faceva da specchietto per le allodole nel suo laboratorio.
-          Ho fatto una cosa orribile… - mormorò di fronte a quei resti, inorridito – una cosa… orribile…  - abbassò lo sguardo ed esso cambiò di nuovo. La rabbia superò il dolore e stava per avere il sopravvento ma non doveva permetterlo, non poteva. Permise solo all’ombra di una lacrima di inumidire i suoi occhi ma a costo di un dolore sempre più sordo e incontrollabile.
John passò a quella vicina e la richiuse subito. L’odore era nauseante e dentro vi era della poltiglia vischiosa. Strappò furiosamente l’isolante da altre ma le trovò alcune vuote ed altre solo con dei resti dentro. Resti che conosceva, di razze che aveva incontrato nel passato remoto della sua vita.
E questo lo turbava.
Se da lì non provenivano quelle urla, da dove venivano? Le sentiva vicinissime, le sentiva presenti. Le sentiva accanto. Ma sembrava non fosse rimasto più nessuno in vita.
Iniziò a sussurrare qualcosa, come tra sé.
I ragazzi erano confusi dal suo comportamento che sembrava essere la rincorsa per altro, sembrava davvero dovesse iniziare a spaccare ogni cosa. Lo avrebbero seguito ma nessuno osava iniziare per primo. Lakil si avvicinò a John e gli mise una mano sulla spalla guardandolo con apprensione.
-          Dottore…. Le parole cosa significano…? – lui lo guardò interrogativamente.
-          Quali parole? - di che cosa parlava? Lakil però continuò a fissarlo.
Cercò di ignorare i suoi occhi blu intenso che lo attraversavano. Sentiva il suo pensiero dentro.  Un pensiero strano. Non capiva.
John rivolse gli occhi alla stanza facendo un giro su sé stesso. Le celle erano in parte spente in parte illuminate, forse quelle i cui sistemi vitali erano attivi per il mantenimento dell’individuo prigioniero della capsula contenevano ancora delle memorie, delle memorie che urlavano. Poteva anche essere questo ma non del tutto. Non era completamente vero.
La luce però era strana, si stava affievolendo.
John emise un lungo respiro. Il dolore era strano, molto strano. Quel maledetto farmaco del Torchwood …
… ma non solo.
Spalancò gli occhi sull’ombra che stava calando. Qualcosa lo stava afferrando e portando verso il buio.
…devi chiudere gli occhi…
Perse l’equilibrio e cadde in ginocchio.
Il suono aveva cambiato ritmo ed era tremendo a sentirsi dentro, come il secondo cuore che gli mancava; ma il suo corpo non lo voleva, ne sopportava uno…
E questo qualcosa stava sgretolandolo dentro come fosse diventato di gesso. E infatti John fissava un buio bianco davanti agli occhi, qualcosa che era il nulla. Il suo fiato era fumoso.
Lakil e il ragazzo robusto corsero verso di lui, John si addossò al ragazzo cercando di sollevarsi ma non ce la fece. Lo guardò allora fisso negli occhi e sussurrò qualcosa con difficoltà; lo ripeté con espressione incredula e poi Lakil e il ragazzo lo sorressero perché aveva perso i sensi.
-          Che succede, cosa succede? – gridò uno del gruppo.
-          Non lo so… ha detto qualcosa che non ho capito…!
-          Cosa?
-          Non ho capito! – disse Lakil in preda al panico.
Dentro John, come fosse una stanza vuota, delle parole risuonavano con il loro eco. Delle parole che lui stesso aveva sussurrato inconsapevolmente guardandosi intorno. Per questo Lakil l’aveva fissato stupito, per questo si era spaventato anche più di quanto non lo fosse da ciò che aleggiava in quel luogo.
Quelle parole e i suoi occhi mentre le pronunciava:
… I tuoi occhi, la sua voce…
Il Dottore era troppo debole per accorgersi di quel che stava per accadere. Ma di quanto lo fosse, il giovane alieno se ne era reso conto solo in quel momento perché il signore del Tempo, benché umano, era riuscito a nasconderglielo per non fargli avere ancora più paura.
 
**
 
… Il dispositivo di contenimento dimensionale renderà il luogo sicuro. Certo… parlo per la seconda volta, Rose. Non posso fare niente per proteggere questo mondo dal primo tentativo del Tardis…
E mi dispiace, Rose… mi dispiace davvero molto…
 
Catherine guardava l’ologramma cercando di mantenere la calma. Era ormai chiaro che quel che vedeva lei non era manifesto anche a Rose. La persona che parlava non era una ma decisamente tante. Sentiva le voci confuse, i toni variare, vedeva le ombre sovrapporsi per poi chiarirsi in istanti brevissimi. Sapeva di John. Sapeva delle rigenerazioni del Dottore ed era proprio quello che stava vedendo. Ne era sicura.
Una traccia temporale complessa. Doveva trattarsi di questo.
Il dispositivo olografico aveva registrato tutto quello che lui vi aveva inciso. Non solo le parole ma proprio ciò che aveva avuto dentro. Non era possibile, non sarebbe stato possibile. Qualcosa non quadrava, doveva esserci un’altra spiegazione. Una traccia temporale complessa non era registrabile ma percepibile solo in date condizioni. Catherine si portò una mano alla testa.
Cosa ne poteva sapere lei? Era qualcosa che una volta le aveva detto John al proposito di altro ma allora non aveva pienamente afferrato il senso della sua spiegazione. Di colpo tutto le era evidente, limpidissimo. Intanto sentiva su di sé lo sguardo inquieto di Rose Tyler e insieme il suo bisogno continuo di rassicurarla. Le faceva tenerezza. E rabbia.
Della rabbia comprendeva il motivo. La rabbia quieta che ben conosceva verso la donna del Dottore pur non riconoscendole alcuna colpa per i suoi sentimenti avversi. Ma quel desiderio di sostenerla, proteggerla e aiutarla? Era un impulso non legato solo al bene di John ma decisamente a quello di Rose. Non se ne capacitava. Neanche di riuscire a maneggiare i dispositivi costruiti da lui con tanta disinvoltura.
Rose intanto guardava la Dottoressa quasi spaventata.
Gli somigliava. Somigliava decisamente a lui. E non solo a lui. Qualcosa in lei le faceva addirittura paura. Pensò che se lei percepiva la cosa, come umana, forse l’impressione di John al riguardo era stata straordinariamente più forte. John aveva mantenuto inalterate le facoltà che erano proprie di un signore del Tempo ma il suo corpo più fragile poteva rendere le sensazioni meno sopportabili per lui.
Comprese quanta sofferenza ciò potesse dire. E che non ci pensava molto spesso, dando per scontato che lui fosse… come era sempre stato. Sicuramente l’uomo più coraggioso che avesse mai incontrato. Rose guardò l’immagine di John brillare nella stanza. Avrebbe voluto fosse lì, avrebbe voluto stringerlo. Consolarlo del dolore che vedeva riflesso in quegli occhi lucidissimi e che sentiva nella sua voce.
 
Rose, è importante che a questo punto tu non abbia paura e faccia esattamente quello che ti dico. Se sei riuscita a portare in asse l’accordatura con il dispositivo, è tutto pronto perché il percorso si orienti nella direzione giusta per il Tardis. Se accelerazione e addensamento della materia procedono secondo i miei calcoli, il momento è vicino e la ragazza…
 
Catherine e Rose sorrisero insieme sentendo come aveva chiamato il Tardis
 
…la ragazza dovrebbe trovare me. Sperando non decida di andare in esplorazione per il mondo… sempre ipotizzando che riesca a trovare proprio questo luogo tra tutti e questo momento…
Sai… ammetto di essere un po’… nervoso…
 
-          Immagina come possiamo esserlo noi – mormorò Rose e Catherine la sfiorò con lo sguardo. Incredibilmente parve farlo anche l’immagine di John, che aveva sorriso.
 
…ma sai bene che questo è bellissimo per me quindi… Allons-y!
 
…G e r o n i m o …
 
Catherine si voltò verso Rose quasi spaventata.
-          Hai detto qualcosa? – le chiese con un filo di voce.
-          Io… ?No...
-          Ma allora… - il riflesso di John era cambiato, un momento. Ma era stato, diversamente dagli altri, qualcosa di vago, sottile, meno presente al resto.
 
… Ora… tendi le corde riconfigurando la mappa e per aprire i suoi occhi tu devi solo…
 
Qualcuno improvvisamente bussò alla porta.
 
**
 
Non si svegliava. Avevano provato a scuoterlo ma non rispondeva a nessuno stimolo. Era vivo ma sembrava essere caduto in uno strano stato. Che non sembrava esattamente un sonno. Lakil aveva compreso una cosa: qualunque cosa fosse, era per il suo bene. Aveva chiaramente sentito come gli fossero stati chiusi gli occhi con più delicatezza possibile ma di prepotenza.
Era come se gli fosse stato imposto di fermarsi, di dormire.
…chiudi gli occhi…
-          Che cos’ha? – chiese rabbiosamente il capo del piccolo gruppo. Lakil, chino su di John lo ignorava tenendogli una mano sul petto. Troppo veloce. Sentiva che quel cuore umano andava troppo veloce ma lui resisteva. Resisteva in modo impossibile.
-          Che ti succede, che ti hanno fatto …? – mormorò rivolto a John. Lena e l’altro ragazzo lo guardarono sconvolti – il Dottore sta male. La temperatura del suo corpo è bassa. Troppo … bassa – mormorò Lakil scoraggiato – e qualcosa lo ha… colpito, qualcosa che ha sentito ora. Ho paura…
-          Che novità…! – disse stizzito un ragazzo del gruppo e la ragazza vicina fece un sorrisetto disgustato.
-          Ho paura davvero, è orrendo…! Al di là di quel che c’è qui, ben al di là di ogni cosa…
-          E cosa può esserci di peggio di una stanza piena di frigoriferi puzzolenti?
-          Poche cose, penso. Sono contento di non aver guardato – disse il ragazzo robusto.
-          Persone… o resti di persone… - disse Lakil – credo di essere stato qui anche io.
-          Mio Dio, Lakil … - mormorò Lena con gli occhi lucidi. Lui le rivolse una breve occhiata molto sofferta. Faceva forza su di sé per non iniziare ad urlare. Aveva moltissima rabbia in corpo, quella che il contatto con il Dottore aveva in qualche modo frenato. E lui aveva frenato la sua, lo aveva sentito.
Intanto sembrava che non vi fossero resti umani, almeno non nelle celle aperte dal Dottore e questo era un problema. Gli umani modificati dovevano essere lì o altrove. Forse con il resto.
Il governo considerava la Unit un’organizzazione terroristica. Era inizialmente nata come gruppo militare scelto, di supporto in caso di emergenza ma la minaccia aliena e l’avvento del Torchwood aveva portato i gruppi ad un attrito. Il Torchwood aveva sostenuto l’aggressione preventiva come unica difesa possibile, in un conteso di crisi. La Unit invece si era opposta all’uso che veniva fatto delle risorse extraterresti da parte della rete mondiale. Di fatto avversavano i programmi di difesa del gruppo controllato da Daniel Tashen. Ed in particolare la Unit si batteva perché Torchwood interrompesse l’esperimento con quella cosa. E perché non facesse partire la macchina-mostro, come chiamavano ormai il Tardis. Di quest’ultimo però non sapevano molto perché non era ancora chiaro come si stesse sviluppando e cosa fosse il Dottore per quella macchina. Sapevano invece della preparazione dello speciale equipaggio. Lo sapevano perché alcuni alieni erano scappati da centri di raccolta del tutto analoghi a quelli dei Cyberuomini e qualcun altro si era imbattuto in loro per quella coincidenza di fatti che qualcuno si ostinava a definire come “Caso”.
Lakil era stato prezioso per il loro piano. Prezioso che sapesse come usare molti dei materiali recuperati, che ricordasse delle scene della sua precedente vita, che avesse disegnato nei minimi particolari ogni luogo nel quale era stato torturato e con una precisione fotografica. Lakil aveva fatto, a pezzi sempre più piccoli, viaggi per più piani, ascoltato cose
Ogni singolo pezzo sensibile fino al momento in cui, estremo scarto di sé stesso, era stato gettato in mezzo agli avanzi di altro e altri.
Ma nessuno lo sapeva. Nessuno sapeva in che termini e Lakil lo aveva in parte dimenticato.
-          Lakil, tu sei stato qui… dovevano essere qui…!
-          Vi ho detto che non ricordavo esattamente… parte del mio esistente passato è stato distrutto dal dolore. Perché non mi traumatizzassi…
-          Fantastica autodifesa aliena, te la invidio – mormorò il ragazzo robusto con un sorriso ma di incoraggiamento – beh… ora però dobbiamo sperare che questo posto sia l’unico, almeno qui, e che gli altri riescano ad entrare nel pozzo di Tashen.
-          Quello mi fa ancora più paura e non so perché o forse… non posso capirlo – Lakil guardò John. La sua sensibilità particolare gli fece comprendere d’istinto che probabilmente John stava soffrendo per qualcosa legato a quel luogo sinistro che chiamavano il pozzo.
-          La Jones è stata chiarissima: entriamo, facciamo quel che dobbiamo e scappiamo. Il Dottore è stato un imprevisto.
-          Stava cercando di fare la stessa cosa.
-          Forse dovremmo dirgli che cosa sta succedendo davvero…
-          E così mandare all’aria il piano? Ormai saranno dentro – il fiato fumoso di John inquietava il ragazzo robusto che gli era accanto. Era gelido. Non c’era freddo. Era sempre più freddo.
-          Lui è… umano in parte ma non lo è… non lo è affatto – mormorò turbato e si rivolse a Lakil – cosa senti?
-          Che lui sente qualcosa di diverso da me ed è incredibile … - disse pensieroso.
-          Quale cosa? – Lena guardò Lakil turbata. Lakil strinse la mano di John, si chinò su di lui e gli sussurrò qualcosa, come avesse potuto sentirlo – Lakil, cosa…?
-          Ha sussurrato “devo chiudere gli occhi” e prima una strana frase. Io non capisco…
-          Lo hai già detto – disse l’altra ragazza con tono seccato.
-          C’è qualcosa di enorme e… rumoroso. Ora la sto ascoltando dentro di lui… - mormorò Lakil – è… molto molto forte. E lui per ora è debole.
-          Debole… - Lakil lasciò John continuando a fissarlo.
-          Cosa vuol dire, maledizione? – il ragazzo a capo del gruppo si avvicinò a loro – siamo in una situazione critica, siamo nei guai! Non possiamo stare qui a discutere su…  su quello che ha… LUI.
-          Ci ha aiutati ad arrivare fin qui! – protestò Lena e lui la guardò velenosamente.
-          Tu e il tuo ragazzo vecchio, ancora non ho capito, e anche tu – si rivolse al ragazzo robusto – cosa avete deciso di fare, comunella con questo umano-alieno che sta costruendo la macchina-mostro?
-          Non è quello che pensavamo – disse Lakil – non è una mostruosità…!
-          Ma razza di ingenui, cosa vi aspettavate che dicesse: avete ragione è una macchina che va in giro, a zonzo per i mondi ed è tutto a posto? – l’altra ragazza guardava John e gli altri con lui con un certo scoperto disprezzo – io francamente non capisco perché sia ancora vivo. Per me sarebbe morto nei corridoi.
-          Ci ha disarmati con un gesto, Sophie… - disse il ragazzo robusto – ma ti sei resa conto che quest’uomo non è un uomo comune? E lo ammetto solo perché non mi sente – aggiunse piano.
-          Proprio per questo va eliminato. Eliminiamolo ora, che non può difendersi – puntò verso di John una pistola carica e pronta a sparare – che cosa dite, ora che è umano muore come tutti noi? Muore e basta?
-          Decisamente sì… - mormorò John che aveva aperto gli occhi e li aveva rivolti verso la ragazza che appena li incrociò ebbe un tremito di indecisione e quindi abbassò l’arma con un’imprecazione, allontanandosi. John fece un sospiro e si sollevò a sedere – cosa… è successo? – chiese scompigliandosi i capelli come soprapensiero.
-          Te ne sei andato altrove per qualche minuto – disse con un sorrisetto il ragazzo robusto – ho dovuto raccoglierti o ti saresti fatto in cento pezzi.
-          Fortunatamente abbiamo te che sei una testa di ponte! – John gli rivolse un sorrisetto malefico che il ragazzo robusto ricambiò.
-          Non rispondo perché ho rispetto degli anziani – gli disse velenosamente e si guardarono un momento.   
-          Dottore… il rumore, mi dica del rumore che sente – chiese Lakil. John emise un sospiro e per un istante fissò il proprio fiato freddo. Era come prima di rigenerarsi.
Prima che si rigenerasse lui.
Era stato così sfortunato da doverlo rifare praticamente subito?...
No, non poteva essere. Non poteva sentire tutte le rigenerazioni. O sì.
-          Dottore… - insistette Lakil.
-          Non so cosa sia, che cosa senta ma so che ha qualità temporale. Per questo io lo sento e tu no. Io sono un signore del Tempo – si rimise in piedi aiutato dal ragazzo robusto. Lakil lo fissò con gli occhi spalancati.
-          Tu… tu sei un figlio di Gallifrey…? – disse in un sussurro. John lo guardò turbato.
-          Tu… conosci… Gallifrey…? – Lakil annuì visibilmente emozionato.
John si portò una mano al petto abbassando il capo. Non poteva essere. Non era possibile. Gallifrey era perduto, bloccato nella guerra del Tempo. Molti non ricordavano neanche chi fossero, i signori del Tempo. Poteva volere dire una cosa, qualcosa di inquietante e che avrebbe spiegato anche quello che vedeva in giro in quel momento e Catherine stessa, per com’era.
Il dolore però aumentava e non riuscì a trattenere un debole gemito. Ormai era lì. Doveva affrontarlo. Il dolore che lo circondava e quel qualcosa di sordo che stava fessurandogli l’anima e la coscienza.
Devi chiudere gli occhi…
John lo fece un momento. Un lungo momento ma restando in equilibrio.
Stava succedendo anche qualcos’altro.
In quel momento si accorse che il fatto di essere in un corpo umano non lo rendeva diverso da come era sempre esistito. Sentiva cosa stava accadendo. Sentiva ogni cosa.
-          Dottore… - il ragazzo robusto lo scosse un po’ ma con delicatezza – tutto… bene? – lui lo guardò e annuì.
-          Un figlio di Gallifrey tra noi – mormorava ancora Lakil guardandolo come stordito. Talmente tanto che sembrava aver allontanato le altre sensazioni e persino la paura di quel luogo, che prima lo attanagliavano.
-          Sei… molto stupito dalla cosa – disse John.
-          Siete delle leggende… - e loro lo erano per i signori del Tempo ma nell’universo che John conosceva.
-          Non dovremmo essere delle belle storie… - osservò John perplesso.
-          Siete un popolo misterioso …
-          E crudele – aggiunse come soprapensiero John. Lakil abbassò un po’ lo sguardo.
-          Qualunque cosa tu sia, sei anche umano. Come è possibile che …?
-          Io sono una metacrisi.
-          Cioè…?
-          Semplicemente me… in un corpo umano ottenuto tramite una coincidenza volontaria dello spazio e del tempo perché ciò si realizzasse in una… reazione eccezionale tra due stati biologici incompatibili, qui fusi in un paradosso – Lena sgranò gli occhi e guardò Lakil interrogativamente.
-          Saresti… ? – John alzò gli occhi spazientito.
-          Sarei una somma di cose che non devono stare insieme! Un’esistenza unica in uno stato apparentemente umano e…attualmente interessato da una difficile compensazione fisica causata dalla mia undicesima rigenerazione in un mondo parallelo e forse da qualche altra anomalia temporale di tipo artificiale  – lo disse velocemente, con gli occhi semichiusi.
Tutti lo guardavano gelati.
-          Questo… spiega molte cose – mormorò Lakil.
-          No, non spiega niente… tu cosa? – biascicò penosamente il capo del gruppo.
-          Lascia perdere – disse il ragazzo robusto guardando John – ci ha detto ancora una volta che è un caso a parte per tutto.
-          Lo sono – sorrise ironico ma solo per un breve momento.
-          Lo è – disse Lakil con un filo di voce.
-          Sapevamo che… eri diventato umano…
-          Vi siete chiesi come? – disse John tono quasi distratto.
-          Al Torchwood fanno cose strane e di te si dicono delle cose … assurde…
-          Possono rendere gli alieni umani o rendere gli umani e gli alieni dei mostri?  - John puntò lo sguardo alle celle intorno. Poi rivolse gli occhi su ciascuno di loro con un lungo sospiro e l’espressione severa – per chi siete venuti qui?
-          È una missione di soccorso – disse il capo del gruppo – una missione che…
-          Sì, sì, va bene – lo interruppe seccato John – voi… sapevate cosa andavate a cercare? Sapevate… di questo? – indicò tutto quello che li circondava – sapete cosa sono quelle cose lì in fondo – i ragazzi guardarono le vasche metalliche. Avevano delle luci puntate sopra, luci di tipo operatorio. I ragazzi sembravano a disagio, molto quello a capo del gruppo – sapete cosa sono? – chiese nuovamente.
-          No…
-          Sono vasche per la clonazione. E per il bio assemblaggio di parti. Sono… - aggrottò la fronte – vecchia, vecchissima tecnologia, a dire il vero… perché… usano queste …?
-          Dottore, sono pratiche che da noi vengono considerate avanguardistiche e pericolose – mormorò Lakil – per voi signori del Tempo sono già vecchie? - John lo fissò un lunghissimo momento. I suoi occhi cambiarono, diventarono più lucidi e poi li spalancò nuovamente attorno con aria che sembrava smarrita ma che era altro e Lakil non afferrava pienamente in che senso. E non vi riusciva perché, e lo capì incrociando il suo sguardo, lui riusciva a nascondergli i suoi pensieri.
-          Dottore…
-          Lakil, sto capendo la situazione solo ora… soltanto adesso. E mi sto scoprendo ottuso come non pensavo  – concluse John con un tono di voce sinistro – questo… è materiale del passato, tutto questo è passato…! - ed anche quel che avevano fatto a Catherine lo era.
Perché non aveva capito prima? Anche quel che Lakil aveva detto dei signori del Tempo…
Sopra ogni cosa quella sensazione e la consapevolezza di essere in certe condizioni anche per l’esposizione ad un’anomalia temporale artificiale. Questo lo aveva compreso e detto.
Ma ancora non sapeva come fosse possibile ottenerla.
Anche se vista l’epoca … poteva trattarsi…
… no. Non quello. Sperò che non fosse quello ed insieme era certo che lo fosse.
John emise un profondo respiro, nervosissimo. Anche per il freddo che sentiva e per il dolore che stava tornando ad ondate. I ragazzi della squadra lo fissavano incerti.
Lakil guardava tutto spaventato ma l’attenzione era ancora rivolta a John. Si stringeva la mano al petto senza neanche farci caso. Soffriva molto, più di quanto non potesse sentire. Glielo nascondeva e riusciva a farlo anche in quel corpo.
Lakil pensò due cose che facevano parte del suo essere di un certa razza: che chi aveva davanti era un signore del Tempo e cosa più importante aveva oltre novecento anni. Andava protetto ad ogni costo. I vecchi erano la speranza per il futuro.
Pensava questo prima che ogni cosa iniziasse a tremare.
Ed allora il rumore sordo percepito da John fu sentito da tutti chiaramente. 
  
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