Disclaimer: I personaggi qui
citati non mi appartengono
Ma sono di proprietà di chi ne detiene i diritti.
La storia è scritta senza alcuno scopo di lucro.
.: For the
World :.
.: To See
:.
Da bambino pensava che essere un supereroe fosse una
ficata.
Bhè, forse non la pensava proprio in questi termini,
perché era parecchio difficile che un bambino di sei anni conoscesse la parola fico e relative varianti.
Era parecchio
difficile anche se eri un bambino di sei anni il cui giro di compagnie familiari
comprendeva elementi poco raccomandabili quali l’Agente Clint Occhio di Falco
Barton o l’Agente Nick Fury, entrambi non molto portati alle allusioni o a particolareggiate
perifrasi quando si trattava di inveire, spiegare o solo ordinare un take away
cinese alla Stark Tower, nemmeno davanti agli occhi casti e puri di un infante.
Quindi, se non proprio una ficata, da bambino Peter pensava che essere un supereroe fosse la
cosa più eccezionale del mondo, perché volavi e avevi un costume blu e bianco e rosso con
una stella appuntata sul petto e un paio di piccole ali sulla maschera e un’armatura
gialla e rossa e sparavi raggi azzurri dalle mani e facevi salti che neanche
Superman. Il cielo era piccolo e grande insieme quando lo guardavi dalle
nuvole, diceva Pops, e tutti ti
volevano bene e le signorine ti davano tanti bacini, continuava Daddy anche se Pops lo guardava sempre male quando diceva delle signorine.
Era bello, era fantastico, era un mondo inesplorato
in cui lui non vedeva l’ora di potersi addentrare.
Non immaginava certo che il morso di un ragno
avrebbe compromesso così tanto quei
sogni di energumeni dalla faccia rubizza e l’aria arcigna che lui sconfiggeva
con un pam! ed un pum! e un destro ben assestato al doppio
mento.
Non c’era niente di fico negli occhi di Pops in
quel momento, nulla di eccezionale
nella mascella contratta di Daddy.
La maschera di Spandex Elastam scivolava, pesava
sulle dita mentre Peter la rigirava tra le mani.
Papà Tony contrasse il volto e assunse
quell’espressione che Peter aveva imparato ad associare ad una fitta bollente
al costato: il mento ebbe un fremito, il pomo d’Adamo si sollevò e ricadde, gli
occhi si socchiusero e le pupille si dilatarono, una rigidità innaturale e
tangibile ad irroragli la palpebra. Suo padre Steve schiuse semplicemente le
labbra e, seduto con la schiena un po’ ingobbita, lasciò cadere la testa in
avanti; la scosse piano, la bocca ebbe un guizzo e le parole furono ingoiate
indietro.
Peter indietreggiò di un passo, la gola trattenuta
da un doloroso nodo scorsoio. La ferita alla guancia bruciava e quella vicino al
polso doveva essersi riaperta -Sentiva
il sangue colare e raggrumarsi sulla pelle, formando tanti piccoli bubboni
liquidi sotto il costume.
Forse sarebbe stato meglio dire qualcosa e non
rimanere a fissarli come l’idiota provetto che era: la cucina sembrava troppo
bianca, la luce che cadeva dalla finestra troppo abbagliante, il pulviscolo che
roteava davanti al frigorifero troppo inopportuno. Sembrava una di quelle
situazioni alla Grey’s Anatomy,
peccato non avere il telecomando a portata di mano per cambiare canale.
Anche se col telecomando poteva andargli persino
peggio: poteva capitare su CSI.
Steve reclinò la testa, a guardarlo di scorcio e
Peter indietreggiò ancora; alzò la testa verso Tony, ma questi non disse nulla:
si umettò le labbra, lanciò un’ultima occhiata ad entrambi e uscì.
***
-Non rattristarti, giovane Peter-
-E’ un cimitero, zio Thor. I cimiteri mettono sempre
tristezza-
Si rimise in piedi e con due manate ripulì le
ginocchia dalla polvere.
-Non intendevo questo e lo sai bene-
A dispetto della situazione, Peter concesse a Thor
un piccolo sorriso. L’Asgardiano lo aspettava sul sentiero di ghiaino, le
braccia incrociate al petto ed un’inquietante camicia a quadri blu e viola su
un paio di pantaloni grigi a costa. Lo zio Thor e Jane stavano insieme fin da
quando Peter aveva memoria, il come non
fosse ancora riuscito ad abituarsi alla bizzarra
moda midgardiana era un mistero per chiunque.
In New Mexico c’erano Jane e Darcy ad impedirgli
l’improbabile abbinamento mocassini di pitone bianco e cardigan verde
bottiglia, ma a New York il Dio sembrava ogni volta dimenticare ogni
insegnamento e raccomandazione sul buon gusto. Daddy trovava la situazione piuttosto divertente, tanto che gli aveva
regalato lui stesso dei vestiti.
Peter era pronto a giocarsi il costume che quei
pantaloni venivano proprio da uno dei negozi preferiti da suo padre.
-Mi sento un imbecille completo- confessò.
Uno sbuffo di luce filtrò tra i bordi sfilacciati di
una nuvola, gocce dorate scintillarono lungo il profilo dei cipressi e infine
caddero sulle tombe ai suoi piedi.
Due lastre bianche cinte da una corona ancora in
boccio, May Reilly Parker Jameson e Benjamin Parker, beloved aunt, beloved uncle, troppo lontani dal mondo, ancora
vicini nella memoria.
Peter si chiedeva quanto sarebbe potuta essere
diversa la propria vita se a crescerlo fossero stati la zia May e lo zio Ben. Era
quasi sicuro che se i suoi genitori fossero stati ancora in vita, niente di
tutto quello sarebbe successo.
Il giorno in cui il ragno era destinato a morderlo,
suo padre Richard l’avrebbe portato a ConeyIsland, litigando con lo zio Ben che
sosteneva come il Museo di Storia Naturale fosse un’idea migliore; non avevano
fatto i conti con zia May, però, e nemmeno col soffitto della cucina da
ritinteggiare.
Il giusto premio per quella fatica sarebbe stata una
torta preparata da Mary, alta quattro dita, ricoperta di glassa al cioccolato e
canditi, una di quelle che si sciolgono in bocca e lasciano sulla lingua
un’impronta impalpabile di cacao. L’avrebbero mangiata tutti e lui, Peter,
avrebbe ammesso di non aver mai passato una giornata migliore e avrebbe
proposto di invitare anche Gwen, una sera, così, tanto per fare conversazione,
perché certo Richard l’avrebbe trovata brillante, Mary assolutamente adorabile,
la zia May una persona deliziosa, mentre lo zio Ben lo guardava di sottecchi,
complice.
-Hai seguito il tuo cuore, giovane Peter. Il cuore
di un giovane è imprevedibile, lo era anche il mio, ma è dentro di esso che
germogliano i semi dell’uomo che sarà in futuro-
-Che uomo potrà mai uscire fuori da uno che ha mentito
per mesi ai propri genitori?- chiese -Temo che dentro al mio cuore ci siano
solo erbacce, zio-
La mano di Thor gli si posò sulla spalla e strinse
forte.
Peter ingoiò aria e saliva, serrò le palpebre e si
morse il labbro fino a macchiarsi la lingua di metallo.
Non aveva rivelato a nessuno di quanto era successo
durante la visita alla Oscorp Towers, non a Pops,
l’unico a poterlo aiutare con la comparsa improvvisa di superpoteri dentro un
corpo che fino a quel momento aveva rigettato finanche il jogging mattutino, né
a Daddy, che in quanto ad intrugli e materia
scientifica se la giocava ad armi pari con Reed Richards. Aveva tenuto loro
nascosto particolari insignificanti come l’arrampicarsi sui muri, il senso di
Ragno o il riuscire a sollevare pesi che arrivavano ben oltre la tonnellata
Li aveva lasciati da soli a fronteggiare gli sbalzi
d’umore, gli scatti di rabbia, l’improvvisa frenesia, il dubbio e lo sconforto:
mentre si dibattevano per cercare una risposta a quel mutamento
incomprensibile, lui volteggiava sulla Fifth Avenue, prendeva a pugni qualche
ladruncolo e poi tornava di straforo alla Tower, bypassando noncurante il
sistema di sicurezza di Jarvis.
La strada del supereroe non era quella che i suoi
genitori volevano per lui, Peter questo lo capiva, ma ogni volta che indossava
i panni di Spiderman gli era altrettanto chiaro come il destino dell’eroe
mascherato fosse scritto nel suo sangue da molto prima che il ragno lo
contaminasse.
-L’hai fatto per una giusta causa, Peter. Di ciò
nessuno potrà mai dubitare, tantomeno i tuoi genitori.
***
Uno scatarrato colpo di tosse, il dito rugoso che
premeva con forza nel fornelletto della pipa.
-Eh, figliolo, era da un po’ di anni che non vedevo
tuo padre sradicarmi un sacco di sabbia direttamente dal soffitto. E con un
pugno solo questa volta..!-
Peter si raggomitolò colpevole nella seggiolina di
cuoio e incassò la testa nelle spalle; tamburellò con le dita sulla tazza di
caffè fumante, alzando di quando in quando gli occhi su Stan. Il vecchio gli
rivolse un sorrisetto saputo da sotto i baffi spioventi, poi tornò a tirare tranquillamente
dal bocchino.
Stan era una conoscenza di Pops e dovevano avere più o meno la stessa età, anche se Pops i suoi novant’anni e più –Avevano smesso
di contarli, con grande disappunto di papà Tony- li portava ovviamente meglio.
Quando papà Steve era stato appena
tirato fuori dal ghiaccio, era Stan a dirigere la palestra sotto il bugigattolo
che suo padre aveva scelto di prendere come alloggio e i due, tra un racconto
di guerra e un hot dog con abbondante senape, erano diventati amici. Inoltre,
Stan era uno dei pochi civili cui fosse concesso conoscere l’identità segreta
dei Vendicatori.
Peter lo trovava simpatico, così grinzoso e
sorridente, con gli occhiali da sole perennemente calati sul naso grifagno e
una ragnatela di rughe che dall’angolo della palpebra si stendeva a raggiera
fino alla bocca bianchiccia. Raccontava un sacco di storie, alcune meno
inventate di altre, ed era grazie a lui, così diceva, se Steve e Tony si erano
messi insieme: era bastata una serata di gala, la promessa-mezza-minaccia di
insegnare a Pops a ballare in maniera
perlomeno passabile, una chiamata strategica a casa Stark e una canzone di
Billie Holliday.
-Me lo ricordo ancora quel giorno, ragazzo-
dichiarò, annuendo –C’era tuo padre, Steve, che si sarebbe buttato sotto il
primo treno se solo ne avesse avuto la possibilità, ma poi ha preso la mano che
il tuo vecchio, Tony, gli porgeva e si sono messi a togliere un po’ di polvere
da terra. Con le suole, beninteso, cosa vai a pensare?- ridacchiò della battuta
e Peter inarcò le sopracciglia, tentando un sorriso conciliante –Dovevi vedere
come si avvicinavano l’uno all’altro, mica se ne sono accorti, sai? Se ne sono
resi conto quando Stark stava baciando tuo padre, quei due intelligentoni! E
poi da lì, beh, diciamo che è storia, no?-
Peter annuì, posando la tazza sulla scrivania di Stan.
Si alzò dalla seggiola e andrò alla finestra che dava sulla parte inferiore
della palestra, quella dove avevano piazzato i sacchi di sabbia, il ring e altre
anticaglie risalenti al primo dopoguerra..se si voleva essere lusinghieri.
Pops stava prendendo a pugni uno dei
sacchi, rimasugli di sabbia e cuoio attorno ai piedi: poteva vederne il volto
sudato, contratto, un accenno di lacrime all’angolo dell’occhio. Teneva la
bocca aperta e il respiro affannato si sgretolava contro i denti digrignati;
ogni colpo era più forte e violento del precedente, la catena sospesa cigolava,
gemeva, sembrava implorare pietà. Persino i neon giallastri oscillavano.
-Tuo padre mi ha detto tutto, figliolo- lo avvertì
Stan, ma Peter non si girò e aspettò che l’altro continuasse da sé.
Sentì il vecchio masticare il bocchino tra le
gengive insalivate, rigirando l’estremità della pipa in olivo dentro le guance
cadenti.
-Quindi, ascoltami bene perché te lo ripeterò solo
una volta e chi s’è visto, s’è visto. Io non so se quello che hai fatto è
giusto e sbagliato, ma avrà delle conseguenze. Oh, se ne avrà! Non sei più in
bambino, hai smesso di esserlo quando hai deciso di indossare quella maschera
ridicola-
-Non è ridicola-
-E’ a forma di ragno,
figliolo. Quale supereroe potrebbe mai risultare simpatico alla gente, se
indossa una maschera a forma di ragno? Ma comunque..Ora ti dirò una cosa e
tienila a mente, perché questa non te lo dice nessun grande filosofo dal nome
pomposo e patetico, ma è sapienza di strada, la migliore di tutti: da grandi poteri derivano grandi
responsabilità-
Peter sollevò la testa di scatto e si voltò, gli
occhi sgranati: Stan gli sorrise di nuovo, con quell’espressione di irriverente
saccenza che avrebbe spinto qualunque supercattivo nel raggio di mezzo miglio a
farlo secco in due secondi. Strinse la pipa tra i moncherini della dentiera e
si mise comodo sulla sedia, i piedi appoggiati con indolenza sulla scrivania.
-Ah, non mi guardare così! Mica è mia, sai? Me l’ha
detta un vecchio amico.-
-E come si chiamava?-
-Ben Parker.
***
Vuole che avverta
il signor Stark e il signor Rogers del suo arrivo, signorino Peter?
-No, grazie Jarvis- Peter sistemò la giacca e
deglutì, ripetendosi mentalmente il discorso che si era preparato sulla
Diciottesima e scordandoselo appena ebbe messo un piedi fuori dall’ascensore.
Si bloccò nell’atrio del novantatreesimo piano della
Tower, tormentandosi le mani.
Uscito dalla palestra non se l’era sentita di
tornare subito a casa e aveva cominciato a girovagare senza meta per le strade
di Manhattan; aveva chiamato lo zio Clint che dal “nido” lo aveva avvertito
come Daddy fosse rimasto rinchiuso
nel laboratorio l’intero pomeriggio e ancora non si fosse deciso ad uscire.
Si era aspettato pure qualche ramanzina, ma Occhio di
Falco aveva espresso unicamente perplessità per, ancora una volta, l’idea del
costume.
Cosa avesse poi il costume che non andava, Peter non
riusciva a capirlo. Non era luccicante, perché suo padre Tony aveva una
controversia ancora aperta con le tutine
luccicanti anche se lui non aveva capito cosa accidenti volesse dire, e poi
era rossa, a richiamare l’armatura di Iron Man, e blu, come la divisa di
Capitan America. Insomma, c’era del lavoro dietro, non aveva tirato fuori i
primi colori che gli erano capitati sotto mano e deciso che andavano bene.
Cioè, i primi colori che gli erano capitati sotto
mano erano stati effettivamente il rosso ed il blu, ma li aveva scelti per
delle motivazioni concrete. Affettive.
Erano una sorta di portafortuna e una muta richiesta
di perdono.
-Sei in ritardo per la cena- Pops alzò gli occhi dal libro che teneva sulle ginocchia e non
disse una parola di più. Restò a fissarlo con sguardo vitreo, le mani strette
alla costa de Il Grande Gatsby: aveva
le nocche arrossate nonostante in palestra avesse usato le strisce protettive,
il che contribuì a cancellare dalla testa di Peter le ultime parole del
discorso, se ancora ne era rimasta qualcuna.
Come non fosse abbastanza, Daddy scelse proprio quel momento per uscire dal laboratorio.
Pallido in volto, macchie livide allungato fino al mento e gli occhi arrossati
per la stanchezza, per la rabbia, per qualcosa che Peter non riusciva o non
voleva definire, si fermò sulla porta dell’atrio e cominciò a far saltellare un
gingillo luccicante da un palmo all’altro.
L’atmosfera si cristallizzò e tra loro scese il
silenzio.
Se solo avessero detto qualcosa, inveito contro di
lui, sarebbe stato più semplice: Peter avrebbe potuto controbattere, arroccarsi
su un’illusoria condizione di sicurezza, fingersi dalla parte della ragione perché
sì, lui l’aveva fatto anche per loro e loro no, non capivano, non lo avrebbero
mai fatto, lui poteva farcela, aveva tutte le capacità per essere un supereroe
di cui sarebbero stati fieri, non il bambinetto sfigato e con gli occhiali che
a scuola non veniva menato troppo
solo per il fatto di essere il figliolo prediletto e adottato di Anthony Edward
Iron Man Stark.
Nessuno, neanche Flash Tompson, era tanto stupido da
voler finire con le chiappe arrostite.
Invece…Invece doveva ammettere con se stesso e con
loro di essere stato un idiota, che se non ci fosse stata la zia Nat a
spingerlo via sarebbe rimasto seppellito sotto i calcinacci.
Ma lui voleva solo aiutarli perché aveva visto il
raggio diretto a Pops, occupato contro
gli sgherri dell’Hydra, e nessuno era abbastanza vicino per aiutarlo e allora
aveva fatto l’unica cosa che in quel momento gli fosse sembrata intelligente.
Si era gettato in avanti e si era quasi slogato l’articolazione delle spalle
per spostare suo padre e quando il colpo diretto a Capitan America era arrivato
a destinazione un palmo sopra la propria testa, Peter non aveva avuto il tempo
necessario per evitare il collasso della struttura.
Doveva confessare quanto paura aveva avuto in corpo,
il terrore divenuto adrenalina nelle vene: aveva sentito nelle ossa la rabbia che
lo zio Bruce aveva tentato mille volte di definire, l’aveva avvertita come una
seconda pelle, un nuovo respiro e aveva dimenticato tutto e tutti, la testa
vuota tranne che per un pensiero: devo salvarlo.
Devo salvare mio padre come lui ha salvato tanta gente
prima di me, come ha salvato me
quando ero ancora troppo piccolo per ricordare, come mi ha salvato ogni giorno
della vita, tra un sorriso ed una paternale, un piatto di broccoli e la ninna
nanna che cantava per farmi addormentare,
Who’s strong and brave, here to save the American Way? Who vows to fight like a man for what’s right night
and day?
Devo salvarlo per papà Tony, come lui lo ha salvato
dal ricordo e dal passato, come lo ha salvato dal siero che lo stava divorando
dall’interno, come si sono salvati a vicenda e come continuano a salvarsi
giorno dopo giorno, come continueranno a salvarsi fino a quando avranno fiato
da donarsi l’un l’altro. Devo salvarlo per papà Tony, come lui ha salvato tanta
gente prima di me, come ha salvato me
quando ero ancora troppo piccolo per ricordare, come mi ha salvato ogni giorno
della vita, in laboratorio e in mezzo alle armature, tra formule chimiche e
dati di fisica, a dimostrarmi che essere Flash Tompson era un bel vantaggio, ma
essere Peter Parker Rogers-Stark era impagabile, anche se dava qualche problema
col codice fiscale.
Devo salvarlo perché senza di lui, senza papà Tony
non vivo, perché loro sono la mia famiglia, il mio mondo, tutto quello che mi
rimane e tutto ciò di cui ho bisogno.
Devo salvarlo. Devo salvare entrambi. Devo salvarci
tutti.
Quei pensieri gli erano turbinati nella testa nel
volgere di un istante: il tempo di decidere e già si era lanciato. Perché per
loro avrebbe dato la vita e non avrebbe tentennato un minuto –Non aveva tentennato un minuto.
Ma Peter Parker non poteva essere d’aiuto a nessuno:
Peter Parker guardava gli scontri dietro una vetrata, rimaneva col fiato
sospeso e pregava ogni divinità esistente che non fosse quello il giorno in cui
sarebbe stato costretto a seppellire di
nuovo i propri genitori.
Peter Parker non poteva. Spider-Man sì.
Anche se significava nascondere tutto e finire col
farsi scoprire, tenerli lontani col desiderio di essere rassicurato.
Deluderli come figlio, nella speranza di poterli
rendere fieri della maschera.
-Mi dispiace- mormorò, alla fine, incapace di
sostenere quel silenzio un secondo di più –Mi dispiace di avervi mentito. Di
avervi nascosto tutto. Mi dispiace…- scosse il capo –Mi dispiace di avervi deluso. Mi dis…-
Ma non riuscì a finire la frase che suo padre Tony gli
aveva già tirato quegli strani gingilli e fu solo grazie ai riflessi di ragno
che Peter riuscì ad afferrarli. Li tenne in mano, soppesandoli sul palmo: erano
due cilindretti di metallo, lunghi più o meno quanto il mignolo, freddi contro
la pelle. Lucidi.
Alzò la testa, corrugò la fronte.
-Daddy,
cosa…?-
-Secondo tuo padre potranno esserti molto utili-
spiegò Pops e il sorriso che gli
colorò le labbra fu quanto di più caldo Peter avesse mai visto -E’ da oggi che
ci lavora, Jarvis mi ha detto di avergli dovuto portare sei caffè-
-Sette- lo corresse immediatamente Tony con voce
arrochita, poi accennò ai cilindretti –Vanno tenuti all’altezza del polso, se
eserciti la giusta pressione rilasciano una sostanza artificiale parecchio
appiccicosa. Tranquillo, dopo un’ora si dissolve- incrociò le braccia al petto
e si avvicinò -Vatti a fare una doccia, dobbiamo lavorarci ancora-
Prima che Peter potesse anche solo pensare rispondere, Pops si alzò e gli cinse le spalle con un braccio. Daddy sorrise, stanco, e gli diede un
buffetto veloce alla testa.
Erano scossi. Erano commossi. Erano fieri e, Dio, non fosse stato così
frastornato Peter sarebbe saltato loro addosso come faceva quando aveva sette
anni.
-Sarebbe un disonore per la tua fama di supereroe,
Peter. Dove si è mai visto un ragno che non lancia ragnatele?
.: Confess to me every secret moment
Every stolen promise you believe
Confess to me, all that lies between us
All that lies between you and me :.
{ Pictures of You }
Note di Fine Capitolo
Boia, era da secoli che non scrivevo
una shot tanto lunga ed era da altrettanti secoli che avevo questa idea che mi
gironzolava in testa.
Comunque. Nota principale, non ho mai
visto The Amazing Spiderman, solo che per motivi legati alla trama ho preferito
usare quel Peter Parker e non quello di Raimi. Ho cercato di lasciare al minimo
le citazioni a riguardo e quelle che ho messo derivano tutte da Santa Wikipedia
che è nel Web. Tranne per LA FRASE che non so se sia presente anche in questo film, ma bhè, LA FRASE di zio Ben è LA FRASE e non potevo non metterla.
Poi. Altra nota fondamentale: Pops e Daddy. Pops è un soprannome che, insieme a Daddy, ho trovato nelle
Fan Art e nelle Fan Fiction inglesi a tema Superfamily. Non sono qualcosa di
assolutamente adorabile? Ho deciso di usarli anche per differenziare “grammaticalmente”
Steve e Tony e non dover scrivere continuamente Papà Steve, Papà Tony. Spero mi
perdonerete per questo.
Mh. Che altro? Il nome completo di
zia May e i nomi dei genitori di Peter vengono, al solito, da Wikipedia.
Avete riconosciuto la ninna nanna che
Steve canta a Peter? ;D
Stan è un personaggio che
richiama ovviamente Stan Lee, ma, prima di tutto è un personaggio citato nelle
role tra me (Steve Rogers) e Reiko (Tony Stark): proprietario della palestra
cui Steve era solito andare ad allenarsi i primi tempi nel nuovo millennio, è un
fanboy accanito della Stony. Amatelo tutti, perché Siamo nel 2012, figliolo. La situazione del ballo descritta è,
appunto, presa dalla role in cui Tony cerca di insegnare a Steve a ballare in
vista di una serata di gala, il tutto sulle note di Fine and Mellow di Billie Holliday.
L’idea di un personaggio di nome Stan
riferito al caro Lee è stata usata in prima battuta da Diane nella sua Fan
Fiction: Ritorno
al Passato.
Quindi..Leggetela ùù
Questa Fan Fiction va ad Harinezumi,
cui avevo promesso una storia con Peter già grandicello :)
Grazie per essere arrivati fino a
qui, un bacio!
Alla prossima,
Nemeryal