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Autore: Nori Namow    07/03/2013    14 recensioni
«Stai tranquilla. Non ti farò del male, non potrei mai.» le sussurrò accarezzandole dolcemente la testa.
La donna l'aveva riconosciuta, era lei.
«Non è ancora il momento di incontrarci…» esitò, non sapeva il suo nome.
«A..A…Alexis.» balbettò a fatica lei, riportando lo sguardo sulla donna.
«Bene, Alexis. Quando arriverà il momento giusto, ci incontreremo nuovamente. Ma fino ad allora, devi perdonarmi per quello che sto per fare.»
***
«Siamo molto più simili di quanto pensi, Alexis. È un bene che tua madre se ne sia andata proprio adesso, l’ha fatto per il tuo bene. Poi con il tempo capirai perché.»
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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 capitolo  I                                                 

-Alexis 8 Gennaio 2013


Mi strinsi nel pesantissimo cappotto nero, mentre il mio fiato si condensava, formando nuvolette bianche. Camminavo a passo svelto, ritornando a casa dopo un’ estenuante, primo giorno di scuola dopo le vacanze natalizie. Era sempre un trauma ritornare in classe, sommersa dai libri e dai compiti, specialmente dopo il Natale.
Ringraziai mentalmente tutte le divinità per aver compiuto diciotto anni il 25 Dicembre appena passato, era davvero una cosa bella, osservarsi e dirsi ‘sono maggiorenne’.
Mi dava un ulteriore senso di libertà, anche se per mia madre non era la stessa cosa. ‘Finché vivremo insieme, tu farai quello che dico io!’ aveva trillato in stile Dolores Umbridge quando tornai a casa un’ora dopo il coprifuoco.
Scossi la testa rassegnata, a quel ricordo, e mi spostai verso destra quando vidi due bambini correre come forsennati nella mia direzione, rincorrendosi fra loro.
Attraversai il parco, a quell’ ora del giorno popolato dai poppanti, e riuscii a scorgere casa mia, in lontananza.
«Sono a casa. Voglio cibo, madre!» strillai richiudendomi la porta alle spalle. La testa di mia madre fece capolino dalla cucina, e mi salutò con un sorriso raggiante.
«Alexis, vieni! Vorrei presentarti una mia amica.» trillò estasiata, e mi fece cenno con la mano di raggiungerla.
Seduta al nostro tavolo, con una tazza fumante di the in mano, la donna mi sorrise. Poteva avere circa quarant anni, e aveva dei capelli lisci e biondo scuro. Gli occhi erano color miele, quasi trasparenti, e il sorriso che mi rivolse mi fece venire uno strano mal di testa. La prima cosa che pensai di lei, fu che l’ avevo già vista in passato. Aveva un aria fin troppo familiare, ma ero anche sicura di non averla mai vista prima di allora.
«Lei è Polly Ward. Polly, ecco quella peste di mia figlia, Alexis!» ci presentò lei, sprizzando gioia da tutti i pori.
«Sai, lei viene da Holmes Chapel, però abitava a Londra. Ora è ritornata qui ed è venuta a trovarmi.» continuò lei, mettendo del cibo per gatti nella ciotola di Mickey. A proposito…
«Dov'è il mio ragazzo?» urlai come una bambina, mentre il gatto dal pelo marrone e dagli occhi verdi si dirigeva velocemente nella mia direzione.
Mi sedetti e lui mi saltò in braccio, cominciando a fare felicemente le fusa. A volte mi chiedevo se fosse un cane travestito da gatto, visto che Lisa mi diceva sempre che il suo gatto le voleva bene, ma era più… freddo nei suoi confronti, al contrario del suo cane, che le saltava addosso appena la vedeva. Risi fra me e me, per poi dare a Mickey un bacio sul naso asciutto.
«Gatto! Cibo.» annunciò mia madre, cercando di nascondere una risata. Per un attimo, lo sguardo di Mickey si fermò su Polly, che lei ricambiò con un sorriso, e poi il mio felino andò verso la ciotola.
Non appena sentì l’ odore del gourmet, però, se ne andò indignato.
«Mamma, lo sai che a Mickey non piace il cibo per gatti.» le ricordai con le sopracciglia alzate. Sbuffò.
«Questo gatto è strano, dico sul serio. Sicura di averlo trovato in un cassonetto e non in un laboratorio dove facevano esperimenti sugli animali, vero?»
Alzai gli occhi al cielo, e poi misi a riscaldare nel microonde una fetta di pizza della sera prima. Sapevamo entrambe che sarebbe stato quello il pranzo di Mickey, il gatto che mangia come gli umani.
A dire la verità, il ricordo di quando lo trovai mi giocava brutti scherzi. A volte era nitidissimo, come se l’ avessi appena vissuto, altre volte era vago, come se fosse stato tutto un sogno.
In quel momento era nitido più che mai, e ricordai che stavo andando da Lisa, il giorno del mio quattordicesimo compleanno, e avevo sentito un miagolio sommesso, quasi supplichevole.
Mi ero avvicinata al cassonetto e avevo intravisto due occhioni verdi come smeraldi che mi guardavano impauriti. Immediatamente intenerita da quel musino dolce, l’ avevo preso in braccio e riportato a casa mia.
Era il primo animale domestico che avevo con me, tralasciando i pesciolini rossi di mia madre, che morirono tre giorni dopo perché lei lavò la loro ampolla con il detersivo.
Eppure, di Mickey non mi ero mai preoccupata più di tanto, era sempre stato un gatto responsabile e maturo, se i gatti possono esserlo.
Era vero, più di una volta era sparito per giorni, ma poi era sempre ritornato più tranquillo di prima. Forse andava a prostitute. Le gatte si prostituivano?
Salutai quella donna con un cenno e corsi in camera mia. Controllai i compiti per il giorno dopo, e pensai che non erano molti.
Ciò stava a significare che quel pomeriggio era completamente libero, all’ insegna della pigrizia.
Il mio sguardo cadde su un libricino azzurro pastello, e immediatamente distolsi lo sguardo, come fulminata.
Il diario che i miei genitori mi avevano regalato per il mio quattordicesimo compleanno era ancora lì, vuoto e solo.
Nonostante, quando lo ricevetti, ero felice, dopo pochi giorni avevo imparato ad odiare quell’ ultimo dono. A disprezzarlo.
Ogni volta che i miei occhi azzurri incontravano quel diario, non potevo non pensare a mio padre, che mi aveva abbandonata pochi giorni dopo il giorno del mio compleanno.
Nessuna scusa, nessuna motivazione minimamente valida. Se ne era andato lasciando semplicemente un bigliettino a mia madre, che non volle farmi vedere. Scoppiò in lacrime, ma cominciò a combattere da subito, chiedendo la separazione e rimboccandosi le maniche per tirare avanti. Ma quel bigliettino io lo trovai, ci misi ore per scovare il suo nascondiglio.
E quel biglietto diceva solo ‘Scusami, ma non ce la faccio.’ Ricordai la rabbia, la frustrazione. I miei erano sempre stati innamorati, cosa c’era che non andava nel loro rapporto?
Perciò arrivai ad una sola conclusione, ovvero che il problema in quella casa, ero io.
Anche se mi era ancora sconosciuto il motivo.
Fatto sta che da quel giorno non avevo più avuto notizie di Dean Carter, l’ uomo che io avevo chiamato ‘papà’.
Sbuffai sonoramente e tentai di scacciare i ricordi, gettandomi sul letto a pancia in su.
La porta della mia camera si aprì da sola, e mi alzai di scatto, per poi notare Mickey che correva con passo silenzioso verso di me. Aveva imparato ad aprire le porte da solo, e ancora mi chiedevo come facesse.
«Mickey, quando entri sei pregato di chiudere la porta.» dissi con una smorfia da snob, per poi scoppiare a ridere da sola. Mickey inclinò la testa su un lato, guardandomi come se fossi pazza.
Mi alzai, dirigendomi verso la porta e pronta a richiuderla, quando notai la donna a un metro da me. Sobbalzai. Cosa ci faceva lì?
«Sono venuta a salutarti, Alexis.» sorrise bonaria, e mi porse la mano. La strinsi, e notai che aveva un tatuaggio.
«Credendo vides.» lessi. Era scritto in una calligrafica fine ed elegante. Polly sorrise e una scintilla le attraversò gli occhi.
«Sai cosa vuol dire, Alexis?» chiese con tono misterioso. Annuii convinta. Studiavo latino da quasi cinque anni, e modestamente avevo dei voti alti.
« ‘Credendo riuscirai a vedere’» tradussi fiera di me, con un sorriso. «Si tratta di un motto latino molto famoso, che è sempre stato associato al mondo dell'alchimia, della magia, e dell'esoterismo. Stava infatti a rappresentare l'apertura della mente e del cuore che il soggetto doveva raggiungere per comprendere i segreti dell'umanità e dell'universo. Si sosteneva che la ‘vera vista’ era data dallo spirito, non dal corpo, quindi solo chi riusciva a ‘credere’, era capace di vedere le cose come sono realmente. » continuai poi con aria saccente, mostrando alla donna e a me stessa che ero un’ottima scolara.
Polly annuì, palesemente soddisfatta. «Esatto, Alexis. E tu credi in qualcosa?» mi scrutò con i suoi occhi color miele, e mi sentii intimorita per un attimo.
Io credevo in qualcosa?
Mio padre mi aveva abbandonata per qualche stupido motivo, o forse motivi non ce n’erano. Se un Dio esisteva, era altamente indifferente a ciò che mi succedeva.
«No… non credo.» risposi titubante, facendo una smorfia. Polly rise appena, annuendo con il capo.
«E nella magia? Ci credi?» la guardai, sperando che scoppiasse a ridere da un momento all’altro, ma nel suo sguardo non c’era traccia di presa in giro. Era seria.
Boccheggiai, non sapendo cosa rispondere. O meglio, dovevo proprio rispondere?
Polly alzò le sopracciglia, confusa dal mio silenzio. Dovevo rispondere, sì.
«No. Certo che no.» risi, come se quella risposta fosse ovvia e non aveva bisogno di essere contraddetta.
Sul serio, magia? Mi prendeva in giro?
La donna strinse le labbra, per poi distenderle in un sorrisetto. «Arrivederci, Alexis.» sussurrò poi, scendendo le scale con passo tranquillo.
Mi richiusi la porta della camera dietro alle spalle, e tornai sul letto dopo aver agguantato il portatile. Cercai fra le reti wi fi, e notai con piacere che la rete dei vicini era ancora senza alcuna protezione.
Feci il mio accesso sul mio profilo twitter, e non riuscii a non pensare alle parole di Polly.
“Mia madre deve smetterla di frequentare psicopatiche.” Scrissi con mano agile, battendo velocemente sui tasti. Poi osservai il panorama fuori dalla mia finestra, e vidi che il cielo si stava addensando di nuvole nere e cariche di pioggia.
A breve sarebbe arrivato un acquazzone e sorrisi istintivamente. Adoravo il rumore della pioggia, era rilassante.
Mickey camminò sulla tastiera con aria soddisfatta, e io lo guardai con sguardo sottile.
«Mickey, lo sai che ti amo e che un giorno ci sposeremo e avremo tanti bei bambini. Anche se devo ancora capire come fare con l’inseminazione artificiale. Voglio dire, io sono etero, ma non zoofila.» precisai con l’indice alzato. Il felino mi guardava con aria divertita; lo capivo dai suoi occhi.
«Ma se non togli il tuo sederino da gatto, giuro che ti costringerò a mangiare crocchette per il resto dei tuoi giorni.» lo minacciai poi. Mickey scese dalla tastiera e si allungò fino a raggiungere il mio viso.
Gli sorrisi, era sempre così dolce.
«Peccato che Tom non sia dolce come te.» sospirai, riferendomi al ragazzo che mi piaceva da qualche mese. Una cotta passeggera, niente di che.
Era il classico stronzo della scuola, e anche se mi salutava cordialmente, ciò non cambiava la mia opinione di lui.
Lo sgabuzzino della scuola era famoso proprio grazie a lui e alle sue donne, se donne si potevano chiamare quelle sgualdrine. Feci una smorfia disgustata, e Mickey strofinò la fronte contro la mia guancia.
Ma nonostante avessi altro a cui pensare, le parole ‘credendo vides’ e la sensazione di aver già conosciuto quella Polly, non mi abbandonarono.

Buonciao, ragassuole.
Ed eccoci con il primo capitolo. Hehehehe Mickey c'è ancora, maledette è.é
zulzerio, alcune di voi davvero hanno pensato che il gatto non contasse nulla?
LOL VI SBAGLIATE, IL GATTO SARA' MOLTO IMPORTANTE.
Poi scoprirete perché, una cosa alla volta.
Bien, cosa ne dite? So che essendo il primo capitolo non dice una cippa, però datemi tempo,
devo introdurvi una serie di situazioni che verranno a crearsi e bla bla bla.
Ma che vi frega di ciò che dico? LOL
E nulla, vi invito a guardare il trailer della storia, se vi va frgthyju http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=RUJWX1yvPOM
fate copia-incolla e amen.
Vi amo tutte. ♥
Vi lascio con una gif della nostra Alexis e della cara Polly awww efrgthyju

   
 
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