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Autore: Nimel17    08/03/2013    4 recensioni
L'incontro da cui tutto ebbe inizio per una povera figlia del mugnaio. Spoiler per le 2x15 e 2x16
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Cora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il fango le macchiava le scarpe, il carro con la farina pesava da spingere, ma ormai la fatica fisica non era quella che la opprimeva di più. Non ne poteva più di vedere sempre le stesse facce, povere e malnutrite, sorridenti nonostante la mancanza di denti sani, che chiamavano a gran voce la gente a comprare le loro merci. La stoffa ruvida della camicia le graffiava la pelle e non per la prima volta la giovane donna si trovò a sognare i bei vestiti di seta lucida e dalle gonne ampie che portavano i nobili.

Nobili.

La bocca le si riempì di bile dalla rabbia. Lei non era fatta per la povertà, non avrebbe venduto la farina giorno dopo giorno fino a che la pelle non le si fosse riempita di rughe e i capelli non fossero diventati radi e grigi. Aveva sempre saputo di essere destinata a qualcosa di più grande, non importava quello che le urlava suo padre quando la batteva con la cinghia, dicendole di non valere niente. 

Era e sarebbe rimasta sempre, solo la figlia del mugnaio, o al massimo la moglie di un altro mugnaio o di un contadino.

Storse la bocca al pensiero, i lineamenti precocemente induriti si facevano ancora più rigidi. Se le avessero chiesto di vendere il suo corpo per uno di quei bei vestiti lo avrebbe fatto, ma sapeva che non le sarebbe bastato. Una delle sue doti principali era quella di vedere le cose in grande e di saper sfruttare il massimo da poche quantità: quando avesse deciso di vendersi, sarebbe stato per qualcosa, o qualcuno di importante, che le avrebbe cambiato la vita.

Entrata nel cortile reale, appoggiò il carretto di malagrazia in un angolo e si caricò sulle spalle i sacchi di farina, senza badare a chi le stava intorno. Non era pronta a vedere ciò cui anelava ma che era al di fuori della sua portata. Le sue braccia, benché sottili, erano molto muscolose, perché suo padre l’aveva abituata ai grossi pesi sin da quando aveva compiuto dieci anni e aveva passato la sua infanzia a strofinare pavimenti, indurendo così le mani. Stava facendo il possibile per farle tornare morbide, usando creme che le dava l’erborista in cambio d’aiuto a raccogliere le erbe durante il freddo inverno o il vento che fischiava. Si diceva che il vento di quella terra, quando soffiava davvero forte, potesse far diventare pazzi.

Ebbene, non le importava esserlo se avesse ottenuto ciò che voleva. 

Mentre si dirigeva a vendere il raccolto, un piccolo e grazioso piedino calzato d’una scarpetta color panna si tese fino a incontrare le sue gambe e in un batter d’occhio lei si ritrovò a terra, i sacchi rotti e la farina sparsa sui ciottoli di pietra. 

“Stupida, sciocca ragazza!”

“Che è successo qui?”

“Una contadina è caduta.”

Lei cercò di rialzarsi, seccata di aver perso la farina e di essersi sporcata.

“State bene?”

La domanda la seccò ancora di più per la sua stupidità.

“Sì, sì, sto bene!”

“Non te.

La rabbia la soffocò quasi, ma si trattenne, perché davanti a lei c’era re Xavier in persona, vestito di velluto rosso da capo a piedi, i lineamenti massicci, gli occhi acquosi e furbi, ma senza la corona solitamente ben fissata in evidenza sulla fronte imponente. Il sovrano si rivolse alla fanciulla che l’aveva fatta cadere – apposta-, un cosino delicato, con un vestito di un delicato color albicocca, un viso delicato, occhi di un blu delicato, ma lo sguardo con cui la guardava sotto le lunghe ciglia non aveva niente di delicato, né tantomeno il suo sorrisetto di trionfo.

La giovane donna non odiava tanto i nobili, quanto le loro mogli, o le loro figlie: gli uomini si accontentavano d’ignorarla o di guardarla con libidine, ma le altre… oh, le altre si divertivano ad umiliare. Come quella che l’aveva fatta inciampare, solo perché non aveva i capelli ordinatamente raccolti ma erano invece ammassati in ciocche selvagge attorno al viso, perché il suo viso non era imbellettato e perché non aveva un abito di lusso e gioielli preziosi.

Eva. State bene, Eva?”

La fanciulla alzò l’orlo della gonna e mostrò ancora la scarpetta colpevole, fermata al centro da un fermaglio di perle. Con una sola di quelle, lei avrebbe potuto mangiare per mesi.

“Ha rovinato la mia scarpina!”

“Non penso che intendesse farvi del male.”

Chi aveva parlato era il giovane principe, che lei aveva visto spesso accompagnare suo padre durante i suoi viaggi di controllo dei raccolti. Era alto, bello e moro, ma lei lo aveva sempre giudicato stupido, così, a fior di pelle.

Riuscita finalmente ad alzarsi, guardò i reali in faccia senza arrossire. L’orgoglio era l’unica cosa che le rimaneva in quel frangente: non era stata colpa sua. Tuttavia, il re non era di quel parere.

“Non riceverai alcun compenso per la farina, e ti scuserai con Eva.”

Quelle parole riuscirono dove non era riuscito il disprezzo di prima: la giovane si riscosse dal suo silenzio orgoglioso, gli occhi pieni d’incredula indignazione.

Scusarsi implicava abbassarsi. Già non lo faceva se aveva torto, ma era lei ad avere ragione.

Scusarmi? È stata lei a  farmi cadere!”

“Frena la lingua!”

Lei obbedì all’ordine del re, ma non abbassò ancora lo sguardo.

“Questa è la Principessa Eva, venuta dal Regno del Nord, nostra ospite onorata e persona molto importante.”

A differenza di te, sembravano includere le sue parole. Lei sbottò:

“È solo una ragazzina!”

Lo sguardo del re si raffreddò, ma non sembrò ancora arrabbiarsi apertamente.

“So chi sei, figlia del mugnaio. Qual è il tuo nome?”

Lei sollevò la testa.

“Cora.”

“Inginocchiati, dunque, Cora.”

Fu come se l’avesse trafitta un pugnale. Anzi, come se il bastone di suo padre le avesse colpito nuovamente i reni: il fiato le si mozzò in gola. Lei doveva inchinarsi, umiliarsi per colpa di una principessina viziata? Gli occhi del giovane principe sembravano darle un avvertimento e Cora ricordò che il suo momento non era ancora giunto: era sempre la figlia del mugnaio davanti al re, le carte in tavola non erano ancora mutate e lei era inferiore. Il suo freddo ragionamento le permise di tenere sotto controllo le sue emozioni, così s’inchinò con la schiena ben dritta e la testa alta. 

“E ora, chiedi perdono.”

Gli occhi scuri le si indurirono, ma non lasciò trasparire tutto il suo rancore.

Non poteva farlo.

“Chiedi perdono, o questa sarà l’ultima volta che compreremo la farina da te. Ci sono altri mulini, là fuori.”

Guardò fisso davanti a sé, lo sguardo perso nel vuoto. Lasciò che la sua mente fosse distante mille miglia per non sentire la sua voce piatta scusarsi.

“Vi prego di perdonarmi, principessa Eva.”

Le parole le vennero fuori quasi sputate, come veleno, ma la ragazzina sorrise lo stesso, soddisfatta di aver avuto anche oggi il suo trionfo dovutole da chi le era inferiore.

“Sta’ giù fino a quando non saremo passati, dove tu appartieni.”

Le mani strinsero spasmodicamente i lembi del mantello. Se avesse avuto il suo pugnale con sé, l’avrebbe usato. Mentre guardava quegli uomini allontanarsi, Cora giurò che avrebbe avuto la sua vendetta su quella principessa che l’aveva umiliata, portandole via tutto quello che aveva, compresa la vita.

Molti anni più tardi, una Cora già madre, potente maga, avrebbe ascoltato ironicamente la Regina Eva insegnare alla figlioletta Biancaneve l’importanza di considerare uguali reali e gente del popolo, prima di rompere il bicchiere di vino con la mano.        

  
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