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Autore: Notthyrr    08/03/2013    3 recensioni
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

[Versione in Prosa della Divina Commedia di Dante, scritta perché sia accessibile a tutti. Avvertenze all'interno!]
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avvertimenti!: Questa non è esattamente una FanFiction, ma non saprei in che altro modo definirla. Prima che cominciate a leggere, sempre che qualcuno mai ne abbia avuto l’intenzione, ci tengo a precisare che il racconto che qui segue diviso per canti è una semplice prosa della Commedia di Dante, non accessibile per tutti, in poesia, resa tale per chiunque volesse avvicinarsi a questa meravigliosa opera.
Le descrizioni sono il più fedele possibile, mentre le parti in corsivo riportano i versi così come sono stati scritti dal pugno di Dante (nelle note, il riferimento esatto al verso).
Detto questo, vi auguro una buona lettura.






 

 Canto I

 
Faceva così freddo e buio che nemmeno io stesso potevo comprendere perché stessi tremando, se per l’aria gelida che s’intrufolava meschina sotto le mie vesti o per il timore di non uscire più — mai più — da quell’intrico di rami che si chiudeva sulla mia testa, mi frustava il viso e cercava in tutti i modi di trattenermi, tirandomi per le maniche e lacerandone la pregiata stoffa scura. Stavo fuggendo, sebbene ancor non sapessi da cosa: se il sonno mi aveva preso tra le sue braccia mentre il sole stava calando, lasciandomi come un corpo privo di vita rannicchiato ai piedi di un alto albero che, forse alla mia vista annebbiata dalla stanchezza, era parso più accogliente degli altri, ora l’astro sembrava star giocando con me, mostrandosi, di tanto in tanto, a est, dove faceva capolino nascosto dietro un colle, e venendomi subito occultato dalle fronde della selva che sembrava non volermi lasciar districare dalle sue dita di rami e foglie.
Quando, sfinito, mi accorsi che quella foresta buia e tetra mi aveva sputato fuori, su una piana deserta, vidi che il colle che mi celava il sole era vicino, molto più di quanto avessi calcolato. Le ombre e i tronchi scheletrici della boscaglia avevano distorto i miei sensi che, a lor volta, avevano distorto quanto la mia mente aveva percepito, facendomi trovare, soltanto dopo aver mosso il primo passo fuori dal selvaggio intrico di alberi e arbusti, ai piedi dell’alta collina, il cui dorso dorato dai raggi solari pareva salire oltre la mia vista, portandomi a non poter scorgere la vetta, quasi essa mi fosse preclusa dalla divina luce dell’astro che, ancora, non aveva intenzione alcuna di mostrarmela.
Mi piegai sulle ginocchia, riprendendo fiato dopo la sfiancante corsa tra i fantasmi di quella selva maledetta: lanciai un’occhiata alle mie spalle, dove gli alberi cominciavano a prendere colore, il nero delle chiome in ombra che stemperava nel verde scuro di quelle colpite dalla luce, finché un rumore flebile, quasi impercettibile se non per me che avevo passato una notte intera da solo in un bosco, i sensi sempre all’erta alla ricerca del minimo segnale che avesse tradito la presenza di un eventuale aggressore, si fece udire alle mie spalle, riportandomi con lo sguardo sulla ripa del colle.
Ai suoi piedi, la maculata coda che ondeggiava cingendone aggraziatamente il corpo felino, era comparsa una lonza che muoveva passi sensuali e silenziosi verso di me, ancheggiando come a dirmi che, se la mia intenzione era quella di eluderne la guardia e sgattaiolare oltre il colle, la mia strada si sarebbe interrotta lì.
Terrorizzato, con la paura folle che per un po’ aveva lasciato lo spazio al sollievo che ritornava a stringermi la gola, indietreggiai di un passo, scorgendo da sopra la spalla la selva da cui ero arrivato, il sentiero che mi ero aperto che pareva volermi inghiottire nuovamente. La decisione cui Dio mi aveva messo davanti, quella volta, pareva tra le fauci della lonza e quelle del bosco.
All’idea di dover di nuovo metter piede là dentro, quasi il mio spirito fece per gettarsi in avanti, verso la fiera, e tentare un’impossibile fuga al di là del colle. A bloccare quell’istinto suicida fu, però, un’ombra scura che, avvolta da troppa luce, mi venne incontro scotendo la criniera d’oro: un leone che incrociò il mio sguardo con occhi vividi, quasi umani, che mi fecero ritornare sui miei passi.
Quasi il monito non mi fosse sufficiente, dall’ombra della selva giunse una terza fiera, una lupa magra e dal pelo grigio come il fumo, che s’andò ad affiancare alla lonza, fissandomi come le due belve compagne stavano facendo.
Con i denti che battevano il ritmo frenetico del mio cuore martellante, guardai le bestie, alzando poi lo sguardo sulla vetta di quella collina, illuminata tanto, troppo, perché io potessi scorgerla distintamente. Mossi un altro passo indietro; le fiere non accennavano a muoversi. Se fossero scattate, l’avrebbero fatto soltanto vedendomi varcare la soglia del luogo cui erano state messe di guardia, dal quale cercavano di allontanarmi, quasi un santuario per entrare nel quale non fossi puro abbastanza.
Volsi loro le spalle, fiducioso di quanto appena avevo constatato, e mi apprestai a tornar nell’umido buio della selva dove il sole non riusciva a far penetrare i suoi raggi, quando vidi, tra i rami, una figura umana venir verso di me, leggera e sinuosa, come anima dal corpo libera.
«Abbi pietà di me, aiutami!» gli gridai, sperando che la sua attenzione potesse essere catturata dal mio tono disperato. «Chiunque tu sia, se uomo, o spirito, o semplice parto della mia mente, guarda costui che si è perso e mostragli la retta via per far ritorno al luogo ove lo aspettano!»
L’immagine che mi appariva sfocata sotto la forte luce che batteva la linea di confine con la selva sembrò non notarmi nemmeno. Non mi rispose, ma procedette verso di me, tanto che, se per un attimo mi volsi a vedere ciò che le fiere stessero facendo, quando tornai a dar la faccia sulla foresta, me lo trovai di fronte, la mano posata su una mia spalla. Il suo tocco era leggero: avvertivo le sue dita, ma al contempo esse non avevano peso. Erano tangibili, per me, eppure spettrali; inumane.
«La tua mente non è così persa da crearmi come un miraggio. Eppure non sono nemmeno un uomo, se è quanto ti premeva sapere.» mi disse con agghiacciante calma quel mio salvatore; quell’ancora cui mi sarei presto aggrappato. «Anni addietro lo sono stato, poiché sono nato quando Cesare ancora calcava questo suolo e sono vissuto sotto Augusto Imperatore nella Roma dei falsi dèi pagani.»
Le labbra mi si socchiusero, quasi volessi dir qualcosa e al contempo non ne fossi capace o non ne trovassi le parole: la creatura che non credevo vera mi diceva di esserlo, ma si presentava come un uomo vissuto più di mille anni alle mie spalle. Il suo abbigliamento pareva volerlo aiutare a reggere quella farsa: portava la tunica lunga e bianca dei nobili della Roma antica; sopra di essa, una stola vermiglia gli ricopriva la spalla sinistra e scendeva, avvolgendosi in vita e cadendo lungo i fianchi. Non era così vecchio come mi era apparso: i capelli che s’andavano sbiancando alla radice erano biondi e si arricciavano sulla sua fronte sino a cader in soffici volute sotto le sue orecchie. La morbida capigliatura era contornata da una coroncina di foglie intrecciate.
«Chi sei tu?» chiesi tremante. «E come ti sei trovato qui, a incrociare il mio passo?»
Lui scosse il capo, sorridente, quasi volesse tranquillizzarmi, ma la sua mano palpabile e spettrale che ancora mi stringeva la spalla mi diceva tutt’altro: «Dovresti conoscermi. Anch’io sono stato un poeta… Scrissi di Enea, ne devi aver letto. Ma perché tu calchi ancora questi prati? Sali, dunque!» accennò col capo al colle. «Non è forse tuo desiderio?»
Le sue ultime parole si mescolarono in un vortice di pensieri che confondevano nella mia mente quell’effimera immagine con le prime frasi che aveva accennato. Ritrovai le parole e il coraggio e, finalmente, mi ritenni capace di ostentare sicurezza: «Se quanto dici corrisponde al vero, e tu hai davvero scritto di Enea di Troia, devi essere Virgilio, quel Virgilio i cui scritti m’ispirarono a intraprendere la via della poesia che tanto mi è cara!» Quell’esaltazione si spense presto, però, perché, benché la mia lucidità fosse appannata dalla stanchezza, dalla paura e dalla fatica, potevo ancora comprendere che quanto si presentava ai miei occhi non poteva essere possibile. A meno che, come la sua mano traslucida voleva farmi credere, davanti a me non s’ergesse davvero uno spirito. Gli volsi le spalle, ricordandomi della domanda che lui mi aveva posto e alla quale non avevo ancora dato risposta, soffocandola nello stupore. Gl’indicai le belve, che lui nemmeno pareva aver visto: «Era mio desiderio, come tu dici, salire e fuggire da quella selva buia nella quale mi ero perso, ma le fiere mi bloccano il passo. Come posso procedere senza venir dilaniato dalle loro fauci? E come posso, invece, far ritorno in quel luogo di ombre e spettri? Altra cosa che non posso fare, certo, è restare qui per sempre, combattuto tra quale fine scegliere per me.»
Virgilio restò un po’ in silenzio, pensieroso, come se si stesse chiedendo come agire; come se stesse valutando quale azione sarebbe stata la migliore.
«Forse sarebbe meglio per noi scegliere un’altra via, poiché non esiste uomo in grado di scampare alle bestie che hanno arrestato il tuo cammino. Vedi la lonza? Riconosciti in lei: ognuna delle fiere rappresenta un frammento di te. Lussuria… Avarizia…» additò la lupa. «… e superbia.» Il suo indice affusolato si spostò sul leone, tanto immobile che si sarebbe detto impagliato. «La via per la vetta, per la salita e l’ascesa ti è ancora preclusa. Un altro progetto è stato disegnato per te: un percorso di salvezza che cancellerà quelle macchie dal tuo animo e, quando faremo ritorno, avrà dissolto anche queste selvagge creature.»
«Dove vuoi portarmi? Non è mio desiderio, ora, salir su quel colle. Tu, saggio che tutto sai, non potresti mostrarmi la via del ritorno?»
«Quanto chiedi non è in mio potere, o Dante. Se ciò che vuoi è, però, non trovarti più intrappolato in questa selvaggia foresta umida e cupa, allora potrai seguirmi in un luogo di dolore, dove nelle tue orecchie riecheggeranno grida e strepiti e le urla di gente che prega di morire una seconda volta. Sarò io la tua guida e tu non avrai di che temere finché mi sarà concesso proseguire al tuo fianco e, quando non sarò più con te, avrai a guidarti qualcuno migliore di me.»
Le facoltà di parola che credevo di aver ritrovato mi abbandonarono ancora, lasciandomi la gola secca e riarsa e il cervello a domandarsi ancora se quanto stessi vivendo fosse reale e se avessi inteso bene cosa Virgilio mi stesse proponendo.
«È l’unica via?» chiesi titubante, atteggiandomi a uomo che aveva del tutto compreso il viaggio che gli si prospettava di fronte.
Il volto del poeta si distese in un altro sorriso rassicurante, un sottile reticolato di rughe d’espressione che gli si andava a formare agli angoli delle labbra e sugli occhi celesti: «Se non questa, la via per la selva ti è sempre aperta.»
Si mosse, accennando con un aggraziato gesto della mano all’intrico di rami che si chiudeva ad arco sopra il sentiero che mi ero aperto correndo nella foresta. Poi la sua mano si tese verso di me, quasi avesse già fatto lui al posto mio la scelta e: «Vieni.» mi disse. «Abbiamo un lungo e faticoso sentiero da discendere.»
 








Note dell'autore: Ok, intanto un ringraziamento a chiunque abbia avuto il coraggio di leggere. Non è cosa da tutti appassionarsi a questo genere di letture, quindi ammiro sinceramente chi sia riuscito a leggere questa pseudo-ff fino in fondo. 
Dal canto mio, amo semplicemente tutto il viaggio di Dante attraverso l'Inferno, e mi dispiace un sacco che l'opera sia tenuta così in scarsa considerazione oggi giorno per via delle difficoltà di lettura, pertanto, ho deciso di metterla in prosa, nel caso chi non ha la possibilità, il tempo, la voglia di leggersi l'originale, possa trovare un'alternativa, per quanto patetica e mal fatta.
Spero di non aver rovinato un classico, un capolavoro.
Immagino di aggiornare ogni settimana per i prossimi cinque canti, poi dipende dal tempo che mi viene concesso, dal momento che, attualmente, sono in procinto di scrivere il Canto VII.
I più sentiti ringraziamenti ai cari lettori,
~Notthyrr

  
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