LITTLE BOY NAMED TRAIN
1.
Lapse in nowhere.
Finalmente riusci ad aprire gli occhi.
Ma cosa vedeva esattamente? La sua mente era offuscata, ma da cosa? Da nessun pensiero. Non sapeva cosa pensare. Perché non sapeva cosa pensare? Non sapeva niente. Dove si trovava? Non riusciva ad identificare niente tra quella coltre bianca, la nebbia. Era confuso. Perché esattamente? Da che cosa era offuscata la sua mente? Perché non sapeva cosa pensare? Dove si trovava? Di nuovo queste domande si infilarono nella sua testa all’infinito. Ma non riusciva mai a darsi risposte, se ne esistevano.
Provò a richiudere gli occhi, ma vedeva solo il nero più totale, o forse qualcos’altro.
Immagini.
Immagini strane, frammentate.
Che tipo di immagini? No, non era il momento di aggiungere altri punti interrogativi.
Ora riusciva ad identificare un volto tra quelle immagini sfuggenti.
Un volto maledetto che conosceva.
Sorrise istintivamente.
Era una donna, o almeno gli sembrava una donna.
Riconobbe subito quel rossetto sbavato, quei capelli tinti di rosa e quel vestito scollato.
Cominciò a ricordare qualcosa, qualcosa di misterioso, divertente, che riusciva ad assaporare piano piano mentre la sua mente si divincolava tra quelle immagini.
La testa gli stava scoppiando.
Sentiva delle scariche elettriche dentro di se che ogni volta rivelavano altri particolari.
Sentiva tanto rumore, tanto fracasso, tante luci stroboscopiche intorno.
Riusci a vedere che teneva qualcosa in mano. Un vaso?
Un telefono?
No, una bottiglia di birra vuota.
E poi questa ragazza che lo prese per la camicia.
Le immagini cominciarono a diventare sempre chiare e concise.
Stava ricordando sempre più cose.
Ora vedeva un altro volto. Un volto gentile.
Decise di inoltrarsi in quegli sprazzi di immagini nella sua mente, per capire dove si trovava, cosa ci faceva li.
Ma soprattutto chi era.