Erano
appena
le prime luci dell’alba, quando l’elfa dai capelli corvini si svegliò.
Prima di
alzarsi definitivamente dal suo comodo giaciglio si immobilizzò per
ascoltare i
rumori della natura: gli uccellini mattinieri si issavano sui loro
nidi,
dispiegando le ali arruffate e intorpidite dal sonno; uno scoiattolo
correva
sul davanzale della finestra, grattuggiando il legno con i suoi piccoli
artigli. Ad un tratto si fermò e puntò il suo nasino arricciato verso
il cielo,
annusando il dolce profumo di miele dell’alveare lì accanto.
La
quiete
dell’alba era impareggiabile lì a Ellesmera, senza concentrarsi troppo
era
possibile udire il fruscio di ogni singola foglia degli alberi
circostanti,
platani, tigli, querce, olmi sussurravano i loro canti, così
armoniosamente
miscelati tra loro da formare una splendida orchestra.
Un
mugolio
nei recessi della sua mente la richiamò alla realtà. Anche Firnen si
stava
svegliando, scuotendo terra e aria accanto a sé.
Buongiorno, mio Firnen.
Ben svegliata, mia dolce Arya. Hai dormito
bene? Chiese
il drago verde con la
sua voce profonda.
Tutto tranquillo. Ho fatto sogni sereni e
senza turbamenti.
Arya
fece
fluire nella mente del suo compagno le immagini colorate che avevano
affollato
le sue notti. Il drago notò alcune storture in quell’idillio ma non
commentò, e
la regina gli fu grata per questo.
Ottima giornata per volare, abbiamo il vento
a favore. Aggiunse poi Firnen, ricordandole ciò che dovevano
fare quel
giorno.
Ormai
completamente sveglia, Arya si alzò, lisciandosi la fresca camicia da
notte
sulle gambe. Indossò una vestaglia e chiamò un’ancella per farsi
preparare i
vestiti da viaggio, i più comodi seppur regali.
“Mia
Signora, un messaggero desidera fare udienza con Lei, prima che Lei
parta”
annunciò l’ancella, inchinandosi brevemente di fronte alla regina.
Arya
sbuffò,
contrariata per l’imprevisto.
“Riferisci
che sono di fretta, Alanna. Lo ascolterò, ma non potrò trattenermi per
più di
una decina di minuti”.
“Si
mia
Signora” fece la
giovane elfa. In pochi
secondi sparì dietro la porta, facendo svolazzare la sua treccia bionda.
Che scocciatori, persino nell’unico giorno
in cui ci allontaniamo dalla capitale ti trattengono. Commentò
Firnen.
Doveri di una regina.
Indossò
una
tunica bianca, lunga fino al ginocchio, e la strinse in vita con una
cintura in
cuoio. Fasciò le gambe con calzoni stretti, calzò stivali anch’essi in
cuoio e
completò con bracciali e orecchini dorati. Sua madre le aveva insegnato
che una
regina doveva mostrarsi sempre elegante, ma lei aveva apportato al
termine
eleganza una nota più sportiva.
Abbandonò
le
sue stanze e si diresse verso la sala conferenze, dove un elfo dai
lineamenti
duri e la chioma albina la stava aspettando.
“Mia regina” salutò, con un profondo inchino.
“Buongiorno.
Cosa necessita così tanta urgenza da far ritardare la mia partenza?”
domandò
con più durezza di quanto avrebbe voluto.
“Chiedo
scusa, Regina Arya, ma mi è stato ordinato di parlarle il prima
possibile. E’
una questione piuttosto urgente…”
“Parla
dunque”
“Vengo
da
Nadindel, il governatore vuole informarla che un gruppo di giovani
avventati ha
tentato una sommossa, ma è stata sedata piuttosto in fretta… pare
fossero
insoddisfatti delle ultimi sviluppi del commercio con Silthrim”
Arya
inarcò
un sopracciglio, tradendo la sua impazienza. “Tutto qui?”
“Veramente
no, mia Signora. Dall’avamposto le nostre guardie hanno visto qualcosa…
qualcuno, sorvolare il lago Rona. Non possiamo esserne sicuri, ma a
tutti è
parso un drago rosso fuoco, piuttosto possente”
La
mente di
Arya cominciò a lavorare freneticamente. Possibile che fossero tornati?
Un
drago rosso fuoco, di grossa taglia, non poteva essere nessuno dei
nuovi nati.
Si trattava quindi…
La
regina si
chiese che intenzioni avessero, se fossero riusciti a smaltire la
rabbia che li
divorava, se provassero ancora rancore verso il mondo intero.
“Mia
Signora?”
“Non
credo
che Murtagh e Castigo siano una minaccia per noi, allo stato attuale
delle
cose. In ogni caso informa le tue sentinelle di tenere gli occhi aperti
e di
inviarmi un messaggio per qualsiasi novità”
“Sarà
fatto…
ma, ho un dubbio, Regina Arya… come hanno fatto a superare i controlli
alla
frontiera della foresta?”
“Saranno
stati scambiati per qualche giovane Cavaliere. Col via vai di
apprendisti che
c’è di questi tempi, si fa meno caso a chi entra e chi esce”.
Era
vero.
Molti giovani draghi erano nati negli ultimi anni, e coi loro Cavalieri
erano
partiti alla volta della Valle Rayrim, dove tra monti e foreste il
Maestro
Eragon li avrebbe addestrati.
Il
pensiero
di Eragon le provocò una dolorosa fitta al cuore, il quale aveva
assunto un
ritmo irregolare già da quando il nome di Murtagh era aleggiato
nell’aria
intorno a loro.
“Bene.
Se
non c’è atro motivo per cui io debba trattenermi qui, comincerò il mio
viaggio.
In mia assenza, per qualsiasi cosa rivolgetevi a Ithilbor”.
Detto
questo, Arya marciò fuori dal palazzo, accompagnata dai profondi
inchini dei
presenti e dai loro auguri di buon viaggio. Si legò i capelli in una
stretta
coda, perché in volo non le dessero fastidio. Infine, una volta
all’aperto,
salì in sella al suo Firnen e insieme salirono verso il cielo luminoso.
Volare
era
sempre un piacere per lei, il vento che accarezzava la pelle le donava
nuovo
vigore e la metteva di buonumore.
Stai bene, Arya? Chiese Firnen
preoccupato.
L’elfa
non
rispose subito, lasciando che le immagini nella sua testa chiarissero
il suo
stato d’animo.
E’ solo un momento. Passerà.
Il
drago
mugolò con partecipazione. Anche a lui Saphira mancava. Nonostante
avessero
avuto poco tempo per conoscersi, Firnen aveva trovato in lei una
compagna di
giochi e d’amore unica. Ma erano entrambi ancora giovani, nella loro
lunga vita
avrebbero potuto assaporare nuovi amori. Per Arya era diverso. La vita
l’aveva
privata di ogni persona che aveva desiderato al suo fianco. Prima
Faolin,
ucciso brutalmente dagli Urgali sotto ai suoi occhi, poi Eragon, andato
incontro al suo destino con onore e rassegnazione.
I
suoi
pensieri si concentrarono sull’ultimo, il valoroso Cavaliere che aveva
liberato
Alagaesia dal dominio di Galbatorix. Chissà cosa stava facendo… pensava
a lei
ogni tanto? Era felice?
Smettila di tormentarti, Arya, non serve a
nulla. Ora riposati e goditi il paesaggio, saremo a Ilirea prima che tu
possa
dire Eitha.
Grazie, Firnen.
Il
sole si
alzò e si abbassò due volte, prima che giungessero alle porte della
capitale
degli Umani. Si erano fermati a riposare qualche ora lungo il fiume
Ramr, col
manto di stelle come unico tetto, ma per il resto
avevano volato spediti, veloci come comete
nel firmamento.
Quando
infine videro svettare le mura di Ilirea di fronte a loro era quasi
sera. Dall’interno
della città provenivano rumori concitati e un sottofondo di musica
allegra,
quasi come se ci fosse una festa.
Sono proprio curiosa di sapere quali novità
ha la cara Nasuada. La sua ultima lettera era così misteriosa…
Lo vedremo presto, tesoro mio, Lady pelle
d’ebano ci sta aspettando.
***
Nasuada
indossò la sua veste rossa, da cerimonia, e si fece pettinare e
acconciare i
lunghi capelli neri dalla fidata Farica. Era stanca, ma sapeva che a
momenti la
regina elfica, nonché sua grande amica, Arya sarebbe arrivata a
palazzo,
accompagnata dal suo inseparabile drago.
Da
che la
Grande Battaglia contro l’Impero era finita, lei e Arya avevano legato
ancora
di più. Entrambe regine del loro popolo, sentivano che un destino
comune le
avvicinava, e i loro spiriti affini si erano cercati per darsi
conforto.
Prima
erano
solo compagne in battaglia, combattevano fianco a fianco e si
consigliavano
vicendevolmente sulle questioni di Stato. Poi, dopo la disfatta di Urû’
baen e la partenza di Eragon e Murtagh, avevano cominciato una fitta
corrispondenza, utile sia ad aggiornarsi su questioni politiche e
logistiche,
sia a rattoppare i loro animi infranti.
“Grazie,
Farica” mormorò, quando la donna ebbe finito di arrotolare anche
l’ultima
treccia sulla sua nuca.
“La
aspetterò fuori, Lady Nasuada. Devo portare anche Ellione?”
“No,
ora sta
dormendo. Condurrò io Arya nelle mie stanze per mostrargliela”.
Con
un breve
inchino Farica si ritirò, e Nasuada ebbe il tempo di guardarsi un
ultima volta
allo specchio, prima che le trombe dalle alte torri del palazzo
risuonassero
gioiose, segno che Arya era comparsa all’orizzonte. La regina sorrise,
e nella
superficie dello specchio, vide comparire accanto ai suoi occhi una
piccola
increspatura della pelle, segno che il tempo stava facendo il suo corso.
Si
precipitò
fuori, affacciandosi alla grande terrazza del castello. Il drago verde
Firnen
si stava avvicinando, sbattendo le sue ali possenti e creando turbini
d’aria
intorno a sé. In pochi minuti era già sopra il bastione e, compiendo
un’ampia
spirale in cielo, atterrò nell’ampio patio a lui riservato.
“Lady
Arya,
che piacere vederti!” esclamò Nasuada, correndole incontro, per quanto
la
fatica glielo permettesse.
“Piacere
mio, Nasuada, ho aspettato questo giorno con ansia”. L’elfa era sempre
composta
e solenne, ma i suoi occhi tradivano la gioia che provava nel rivederla
dopo
tanto tempo.
“Sei
bella
ed elegante come sempre, mia cara” commentò Nasuada, squadrandola da
capo a
piedi.
“Anche tu, credimi, e data la tua natura umana è un pregio assai
migliore del
mio”.
Si
avviarono
a braccetto all’interno dell’abitazione, seguite dall’acclamazione del
popolo,
che si era accalcato intorno al castello per salutare festante l’arrivo
della
regina elfica. Le due donne entrarono nell’ampia sala del trono e
Firnen infilò
quietamente la testa nel portone, scatenando il panico tra i servi
della regina
Nasuada.
“Spero
che
abbiate avuto un volo piacevole e senza imprevisti” proferì gentilmente
Nasuada.
“Assolutamente,
il vento ci ha favoriti in entrambi i giorni… ”.
E il sole non è stato oscurato neanche per
un attimo. Siamo stati fortunati. Finì la frase Firnen.
Nasuada
chiamò una delle guardie che sorvegliavano la stanza, la quale si
avvicinò con
passo svelto e fece un breve inchino.
“Va
a
chiamare mio marito e digli di attendere un poco qui. Saremo al più
presto da
lui” borbottò, poi congedò l’uomo con un gesto spiccio.
“Mia
cara
Arya, molto presto ci accomoderemo per raccontarci le nostre novità e
fare
riposare te e Firnen dal lungo viaggio, ma ti prego di pazientare
ancora un
attimo, prima vorrei farti conoscere una persona” annunciò la padrona
di casa
con voce sommessa, poi si rivolse al drago smeraldino “purtroppo temo
che non
ci sia abbastanza spazio per farti entrare nelle mie stanze, Firnen. Ti
chiedo
scusa. Pensi di poter pazientare qui qualche istante?”
Il
drago
mugolò, quasi divertito, poi il suo flusso di pensieri raggiunse la
mente della
donna.
Non c’è problema, Lady Nasuada, le mie ali e
le mie zampe hanno bisogno di riposo. E poi, ciò che Arya vedrà potrò
vedere
anch’io, sarà come se fossi con voi.
Nasuada
sorrise brevemente, poi fece strada all’amica verso una porta laterale,
seminascosta da un tendaggio rosso. Un corridoio lungo e stretto dava
accesso a
numerose stanze, con porte tutte uguali e ugualmente imponenti. La
donna ne
scelse una e vi entrò piano, facendo cenno all’altra di non fare
rumore. Nella
loro fitta corrispondenza non c’era stato modo di parlare della grande
novità
che aveva scosso la sua vita, poiché Nasuada riteneva assai più saggio
dare
quel genere di notizie a voce. Era stata perciò molto vaga con l’amica
a
riguardo.
La
stanza in
cui entrarono era bianca e fiocamente illuminata da due finestre velate
da
tende leggere. Un salottino candido occupava parte della sala. La
parete più
lontana dalla porta ospitava invece un comò con un grande specchio,
mentre al
centro della stanza
troneggiava una
culla bianca e rosa, coperta da due veli di tulle. Arya si avvicinò con
leggiadria alla culla, i suoi passi erano così silenziosi che pareva
levitasse.
Sollevò
un
velo e fissò rapita la piccola creatura che riposava nel lettino. Era
una neonata
di pochi giorni, un mese al massimo, a giudicare dalla grandezza. Aveva le guance paffute e
la pelle scura, ma
non quanto quella di Nasuada. La sua manina era chiusa sulle coperte
che la
avvolgevano, e dormiva con la fronte aggrottata, come se fosse
pensierosa.
“Tua
figlia”
sussurrò commossa Arya, senza staccare gli occhi dalla bambina. Nasuada
si
sistemò dall’altro lato della culla.
“Sì,
la mia
Ellione. E’ nata meno di un mese fa, non appena ho recuperato un po’ di
forze
ti ho scritto. Volevo che la vedessi di persona” rispose Nasuada.
“Io…
non
sapevo nemmeno fossi incinta, che sorpresa mia cara!” levò un dito e
spianò la
fronte della piccola, che continuò a dormire ma assunse un’espressione
beata.
L’elfa si rivolse infine a Nasuada e le sorrise, con gli occhi che
brillavano
di gioia. “Congratulazioni Nasuada! Sei diventata madre, quasi non ci
credo.
Sarà sicuramente una bambina splendida”.
La
neo mamma
sorrise modestamente, ringraziando. Abbracciò l’amica, poi la invitò a
sedersi
sul divanetto dall’altro lato della stanza e le si sedette accanto.
“Non
pensavo
che esistesse una gioia così grande, Arya. Ellione mi ha davvero
cambiato la
vita” fece una pausa, perdendosi un attimo tra i pensieri “mio marito
la adora,
e se si deve allontanare più di quattro stanze da lei fa in modo di
avere sue
notizie continuamente”.
Le
due donne
ridacchiarono. Arya guardò curiosa l’amica. Sapeva che era sposata, e
la
nascita di quella splendida bambina ne era la conferma, ma non aveva
ancora
avuto modo di conoscere il marito. Si chiese che tipo di persona fosse.
Sapeva
che era un nobile di Teirm ed era particolarmente esperto nelle
questioni di
commercio, nelle quali dava un considerevole aiuto alla regina. In
generale era
considerato un uomo di buon carattere e il giusto ingegno.
Quasi
le
avesse letto nel pensiero Nasuada spiegò “Tra poco finalmente
conoscerai anche
lui. Era emozionato all’idea di conoscerti. E’ un buon uomo e gli sono
grata
per tutto ciò che fa per me”.
Dopo
aver
parlato per qualche tempo nel salottino privato, le donne tornarono
nella sala
del trono. Lord Terish, marito di Nasuada, era un uomo alto, con
capelli scuri
e uno strato di barba tagliata corta a coprirgli le gote. I suoi occhi
si
posarono su Arya, non appena le due entrarono, e andò loro incontro con
un
sorriso gentile stampato sul volto.
“E’
un
piacere fare la sua conoscenza, Regina Arya” esordì, inchinandosi con
rispetto.
“Il
piacere
è mio. E congratulazioni per vostra figlia, è una bellissima bambina”.
Firnen,
dal fondo della sala, ruggì la sua approvazione. L’uomo si voltò di
scatto, un
po’ preoccupato, e Arya dovette trattenere un sorriso divertito.
“Firnen
è
felice per voi” spiegò l’elfa a Terish, che probabilmente non aveva mai
avuto a
che fare con un drago così cresciuto.
Una cucciola d’uomo! Commentò il drago,
includendo nella conversazione anche Nasuada e Terish, vi
auguro ogni felicità e bene.
Lord
Terish,
tranquillizzato, baciò la mano della moglie e le si affiancò. Il
gruppetto si
accomodò a un lungo tavolo, imbandito per la cena. Ad Arya furono
servite
pietanze rigorosamente vegetariane, mentre Firnen fu viziato con le
migliori
carni della dispensa del castello.
Fu
una
serata piacevole. Nasuada fu deliziata nel sentire di persona racconti
sulla du
Weldenvarden, specialmente da una persona come Arya che nel corso della
sua
vita era stata a stretto contatto con ogni tipo di razza e ne aveva
conosciuto
usi e costumi: l’elfa parlava con affetto e partecipazione della sua
foresta e
della sua gente, ma allo stesso tempo sapeva trovarne pregi e difetti
con
razionalità.
La
regina di
Ilirea fu ancora più estasiata dall’invito che Arya rivolse a lei e
alla sua
famiglia di visitare Ellesmera. A pochi esseri umani era stato concesso
un tale
onore, poiché solitamente solo i Cavalieri ottenevano il permesso di
visitare
le terre della foresta elfica.
Il
dessert
era appena stato servito, quando un paggio entrò umilmente nella
stanza, a capo
chino.
“Mia
signora”
disse, “c’è una persona che vuole parlare urgentemente con voi, chiede
di avere
udienza subito”.
“Non
può
proprio aspettare?” chiese Nasuada, spazientita.
“Credo
di
no, mia regina” replicò il servo.
“Bene.
I
doveri di una regina non si trascurano neanche durante una cena”
sospirò “Arya,
vuoi farmi il piacere di accompagnarmi? Se questa importuna persona
vedrà che
sono in compagnia della Regina degli Elfi probabilmente mi lascerà in
pace”
scherzò Nasuada.
“Arriverò
tra un secondo, tempo di lasciare al malcapitato la possibilità di
spiegarsi”
rispose con un sorrisetto Arya. La
prima
si alzò ridendo e si avviò sola verso la sala del trono, ma una volta
entrata
la trovò deserta.
“Quindi?
Dov’è
quest’uomo impaziente?” chiese Nasuada alla stanza vuota “Se è uno
scherzo, non
è di buon gusto”.
“Nasuada?
Ti
disturbo?” fece una voce all’improvviso. Proveniva da quella stanza, ma
il suo
corpo non era lì. La regina capì immediatamente di chi si trattasse, e
si
diresse verso un grande specchio fissato alla parete vicino al trono.
“Eragon!”
esclamò “Che piacere vederti, non avevo tue notizie da un po’ di tempo”.
“Mi
sono
messo in contatto con te non appena ho letto la tua lettera.
Congratulazioni!
Una figlioletta!”
Eragon
era
rimasto il solito ragazzo di tanti anni prima. I capelli biondi, il
viso quasi
completamente glabro e gli occhi azzurri gli conferivano un’aria da
giovanotto
appena entrato negli ingranaggi del mondo. Tuttavia il suo sguardo era
solcato
da una scintilla di saggezza e maturità che prima non possedeva, e che
gli
conferiva una buona dose di autorità.
“Grazie,
caro amico, grazie” rispose Nasuada, girandosi automaticamente a
guardare la
porta. Sapeva di trovarsi in una situazione delicata. Eragon e Arya non
si
erano praticamente più visti né parlati, se non raramente per lettera,
e un
incontro tra i due poteva essere traumatizzante per entrambe le parti.
“Come
procede la maternità? Lord Terish come sta? Come ha reagito?”
“Bene
sai,
non smette mai di guardarla. E’ innamorato di sua figlia. Quasi
dimenticavo,
Roran Fortemartello ti manda i suoi saluti. Come procedono le lezioni
ai
Cavalieri novelli?”
Eragon
fece
una smorfia di nostalgia sentendo il nome del cugino, ma si ricompose
subito e
rispose:
“Procedono
bene, per fortuna finora ho avuto il piacere di insegnare a molti
allievi
volenterosi e solo a poche teste calde, ma…” si interruppe quando sentì
la porta
della sala aprirsi nuovamente.
Entrò
Arya,
che ignara di tutto si guardò intorno per sincerarsi con chi stesse
parlando la
regina. Infine il suo sguardo si posò sullo specchio e si immobilizzò.
Nasuada
vide l’amica irrigidirsi e cambiare espressione, e all’improvviso si
sentì
fuori posto, in quella stanza satura di parole non dette.
***
Arya
guardò
nello specchio e il suo cuore perse un battito. L’ultima persona che
avrebbe
pensato di rivedere in vita sua la stava osservando dalla superficie
dello
specchio, con lo stesso sguardo sorpreso e la stessa velata emozione.
“Eragon”
le
uscì con un bisbiglio. Cercò di ricomporsi, ma per una volta non fu
così brava
a tenere a freno le sue emozioni.
“Arya…”
Eragon sembrava confuso, ma poi si sciolse in un grande sorriso e disse
“sono
felice di vederti! Come stai? Come state a Ellesmera?”
Arya
capì
che dietro quell’aria allegra, Eragon celava una grande sofferenza, la
stessa
che sentiva lei dentro il suo petto nel vedere quel ragazzo, ormai
uomo, che
sembrava provenire direttamente dal passato.
“A
Ellesmera
regna la pace, come spero anche nella tua Accademia di Cavalieri. Stai
facendo
un ottimo lavoro, Eragon”.
Il
Cavaliere
chinò il capo in segno di ringraziamento.
“Stavo
illustrando a Nasuada i progressi degli ultimi cadetti che mi avete
mandato.
Sono entrambi elementi molto validi, e non mi danno grattacapi”.
“Mi
fa
piacere” rispose Arya, senza riuscire a staccare gli occhi dal volto
giovane
del Cavaliere. Era come se dovesse saziarsi in quei pochi minuti dopo
un
digiuno durato anni.
La
conversazione morì in un silenzio imbarazzato e carico di nostalgia. Fu
Nasuada
a riprendere la discussione, intavolando una questione diplomatica
noiosa ma
necessaria.
Il
discorso
dei giovani Cavalieri, però, fece ricordare alla regina elfica ciò che
era
successo solamente qualche mattina prima, e decise che quello era il
momento
migliore per informare entrambi gli amici di ciò che le era stato
riferito.
Avrebbe dovuto comunque farlo, prima o poi.
“Eragon,
Nasuada, vorrei cogliere l’occasione di poter parlare con entrambi
contemporaneamente
per comunicarvi una notizia importante” esordì. I due si zittirono e si
voltarono verso di lei.
“Mi
è stato
riferito da un messaggero che alcune mie sentinelle hanno avvistato un
drago
sorvolare il lago Rona. Era un drago rosso” si impose di guardare
Eragon, perché
non era sicura di poter sostenere lo sguardo di Nasuada “e non sembrava
uno dei
nuovi nati. Penso sia stato fatto entrare per errore nella du
Weldenvarden. Eragon,
a meno che tra i tuoi allievi non ci sia un Cavaliere con un drago
rosso fuoco
di grande taglia, dobbiamo supporre che Murtagh e Castigo abbiano
deciso di
tornare”.
Eragon
era
turbato, ma non appena Arya si voltò a guardare Nasuada, scoprì nel suo
volto
uno sguardo sofferente e amareggiato.
“Mi
dispiace
avervi dato questa notizia in modo così brusco, ne sono rimasta molto
sorpresa
anch’io” si scusò.
“E’
una sua
scelta se tornare a Alagaesia o continuare il suo viaggio in terre
lontane, ma
se deciderà di ripresentarsi, verrà trattato con il dovuto rispetto e
cortesia”
era stata Nasuada a parlare, e Arya invidiò la sua forza d’animo e la
sua
fierezza. Il suo sguardo era risoluto e fermo.
Dopo
qualche
altra chiacchiera e qualche altro convenevole, Eragon si accomiatò,
lasciando
le due donne da sole. Non appena lo specchio tornò ad essere una
normale superficie
riflettente, Nasuada si sedette stancamente su un divano, e Arya le fu
subito
accanto.
Bastò
uno
sguardo tra le due per capirsi e stringersi in un abbraccio
consolatore. In
quel lungo momento le due si sentirono più affini che mai. Due regine,
con il
fardello di un popolo da portare, ma principalmente due donne,
costrette ad
allontanarsi dagli uomini, dai Cavalieri, che tanto avevano amato.
Tanto
avevano dovuto sopportare nella loro vita, e tanto ancora avrebbero
dovuto
affrontare, ma in quell’abbraccio, caldo, affettuoso, familiare,
riuscirono a
comunicarsi che si sarebbero supportate e fatte forza l’un l’altra, per
qualunque problema, per sempre.