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Autore: _Even    11/03/2013    7 recensioni
Sei lune piene.
Sei mesi passati in una tomba per una shinigami che non è mai stata tale.
Sei mesi per trasformare una grande tristezza in un'inesorabile follia.
Sei mesi per dimenticare sé stessa e per fare suo un nome.
Grell Sutcliff.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Grell Sutcliff, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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six fool moons

Six Fool Moons *

 

-Che cosa ho fatto?!

-Mi ha vista squartare l'utero di quella prostituta. Hai fatto bene a farla fuori, o avrebbe raccontato tutto alla polizia.- pausa. -E non fare quella faccia, Grell. Non è di certo la prima donna che fai fuori, no?

-Non capisci, Madame? Lei non è una donna come le altre.

-Come, prego?

-Lei è una shinigami, come me. E non sono del tutto sicura che lasciarla qui sia una buona idea.

–Che cosa vuoi dire con questo?

-Madame, tu non capisci: noi shinigami possiamo essere uccisi solo dai nostri simili. Non possiamo permetterci che venga scoperta. Cercherebbero il suo assassino e arriverebbero a me in un secondo. E non oso pensare a cosa potrebbe accaderci, se ci beccassero!

-E allora cosa ne facciamo?

-L'unica cosa da fare è liberarsene, e al più presto.

 

Sentì bussare alla porta più e più volte. Finalmente aprì, indossando il suo sorriso più inquietante.

Ma tutto ciò che trovò dall'altra parte fu il corpo di una donna senza vita, e l’ombra di un uomo che scappava di corsa.

Il becchino sorrise mentre, afferrando il cadavere per il polso, lo trascinava all’interno del suo emporio.

-Bene, bene, cos’abbiamo qui.- ridacchiò. –Un’ospite davvero particolare.

Osservò l’utero della donna, lacerato senza pietà da colpi inferti da una motosega, e i suoi occhi, vacui e incoscenti.

-Che delitto eccellente.- disse, sull'orlo delle risate. 

 

Aprì gli occhi all’improvviso, ed ebbe paura. Il buio la circondava, la sensazione sulla sua pelle era quella del legno ruvido. Ma fu il dolore lancinante che la sferzava proprio in mezzo alle gambe che la spinse a reagire.

Urlò forte, e urlò ancora.

Ma l’urlo le si rovesciò addosso. Capì dove si trovava e perché.

La shinigami era stata seppellita viva.

 

Raschiò con le unghie il coperchio della bara, tentando di romperlo. Si maledisse: era vero, cercava spesso la compagnia delle donne, ma aveva deciso di aggirarsi in un vicolo particolarmente buio e deserto proprio quella notte. Aveva pagato cara la sua ingenuità: lì aveva trovato il cadavere di una prostituta, e di conseguenza la sua morte. Si chiese perché mai avessero tentato di ucciderla: non ne vedeva il motivo. Lei era sempre stata così timida, cortese, non aveva mai fatto del male a nessuno. Aveva, sì, provato a sostenere l’esame per poter mietere anime. Ma i suoi risultati erano stati ritenuti insoddisfacenti ed era stata costretta a fare lavoro d’ufficio a vita. Come tutte le shinigami donna, d’altronde. Quella era stata l'unica azione vagamente ardita che avesse mai compiuto, sebbene il suo insegnante le avesse consigliato più volte di farsi da parte. Già, il suo insegnante.

Grell Sutcliff. All’epoca, aveva fatto di tutto per imparare da lui, per essere come lui. Mai avrebbe pensato che proprio lui sarebbe diventato il suo carnefice.

Il primo mese di prigionia lo passò barcamenandosi tra questi pensieri. Impiegò il secondo mese, invece, facendosi domande senza risposta.

Si chiese cosa c’entrasse lui con quella donna, che aveva malauguratamente visto, mentre asportava l'utero di quella prostituta. La fortuna le aveva decisamente voltato le spalle, quella notte. Si chiese se lui l’avesse riconosciuta mentre la attaccava. Non si era nemmeno accorto che lei era la sua vecchia allieva? 

Probabilmente no. Era piombato dall'alto su di lei, forse da sopra un tetto, e l'aveva trapassata da parte a parte con la falce. Perché almeno non era andato fino in fondo? Avrebbe dovuto ucciderla e basta, almeno così non sarebbe stata costretta a soffrire così tanto, nel disperato tentativo di evadere dalla sua fossa. I dubbi la torturavano atrocemente.

 

I mesi divennero tre, e pian piano i dubbi si dissolsero per far posto al rancore.

Aveva finalmente rotto il coperchio della bara e ora scavava nella terra buia e umida. Ne sentiva il penetrante odore nelle narici, il sapore tra i denti e l’irritante granulosità dritta negli occhi. Ed era tutta colpa di Grell. Gli dei della morte più di tutti dovrebbero capire l’importanza della vita. È un abominio che uno di loro uccida, pensò, e semplicemente non dovrebbe esistere.
Grell non sarebbe dovuto esistere. Avrebbe dovuto soffrire, così come stava soffrendo lei, che era viva e morta allo stesso tempo.  

 

Nel buio se lo vedeva quasi davanti. Con quei lunghissimi capelli rosso sangue e il sorriso appuntito, sadico. Con quel volto, quelle movenze, quel modo di parlare quasi stucchevole che riservava solo agli uomini. E gli occhi perennemente luminosi, di malizia.

Si sentiva talmente urtata da quei particolari.

O forse erano la fame, la sete, la stanchezza e il terrore a irritarla? Forse. Era infastidita anche solo dal fatto che si ricordasse tante cose di lui. Grell stesso cominciava a infastidirla, forse arrivava perfino a detestarlo. Ma restava comunque il suo chiodo fisso.

Così passò il quarto mese, in cui il rimorso divenne rabbia cieca.

 

Come mi chiamo? Di che colore sono i miei capelli? Che forma ha il mio viso?

Non riusciva più a rispondere a nessuna di queste domande. Cominciava a dimenticarsi di sé stessa.

C’era un colore, impresso a fuoco nella sua mente. Rosso.

Forse era un colore che le piaceva? Forse era il colore dei suoi capelli? Oppure apparteneva a qualcun altro? Impossibile a dirsi.

E c’era un sorriso, dai denti affilati. Forse di Grell. Ma come faceva a essere completamente sicura che fosse proprio di Grell, che non fosse il suo, invece?

Amava gli uomini? Probabile. Tra i suoi ricordi, rivedeva il civettare senza pietà con uomini stoici e freddi come il ghiaccio. Sì, gli uomini. Lei... lei li amava. Lei ardeva di passione per loro? Non poteva essere altrimenti. O almeno così sperava.

Si ricordava piccole cose, futili memorie, e niente di più che sporadici episodi passati. Inezie che dovevano per forza appartenerle.

Ma quella era davvero lei? Poteva essere, come poteva non essere.

E infondo, era un po’ la stessa cosa, no? Sorrise nel buio del sottosuolo, mordendosi il labbro fino a penetrare la carne viva.

Il quinto mese era passato, che la rabbia cieca era scesa inesorabilmente nella pazzia.

 

Il sesto mese era stremata. Urlava, rideva e piangeva. Si strappava i capelli dal dolore, si faceva del male. Scavava nella terra, sempre più umida, sempre più soffocante, tra grida e scoppi di risa. Scalciava come una belva. Stanca e disperata, spinse nuovamente le mani verso l’alto.

E le sue dita sfondarono l’aria, gelida e immobile, non più la terra.

Aria vuota, semplice e leggera. Sgranò gli occhi, incredula.

Scavò ancora, e ancora, sempre più forte, angosciata e speranzosa, finché l’ultimo strato di terra non cedette e lei si sollevò all’improvviso, esposta al gelo delle notti di Londra.

I suoi occhiali ormai erano completamente ricoperti di sangue rappreso e polvere, ma perfino non vedere nulla le andava bene. Scoppiò a ridere e si aggrappò al terreno.

-Oh, ma la mia voce! La mia voce è... diversa!- sogghignò. –Non me la ricordavo così squillante! O forse... Forse sì! Forse lo è sempre stata.

Sorrise e si morse di nuovo le labbra con i denti. Appuntiti, come quelli degli squali.

E, se fosse riuscita a vedersi riflessa da qualche parte, avrebbe visto anche i suoi capelli, corti e ribelli, dal colore del vino rosso.


Gli shinigami, si sa, possono cambiare aspetto. E lei lo aveva fatto, ma inconsapevolmente, e non solo.

Il suo chiodo fisso l’aveva cambiata del tutto, da dentro a fuori.

In lei non c’era più una singola traccia di ciò che era stata. Era intrappolata tra due mondi che non le appartenevano più.

Sé stessa e Grell Sutcliff.

-Ma... un secondo... Io?- si interruppe, tossendo e sputando ghiaia e sangue. –Io come mi chiamo?!

-G... Forse Gr... Gre...?- farfugliò, frustrata dalla sua amnesia. –G... Gra... Gr...? Grace!

Grace? Quello sarebbe potuto davvero essere il suo nome?

Esplose in una risata irrefrenabile. La sua voce rintoccò insieme alla mezzanotte, rimbalzò tra le tombe e su per le pareti. Era l’unica anima viva del cimitero in cui dimorava, e questo la faceva sentire immensamente onnipotente. 

-Mi andrebbe bene qualsiasi nome. L’importante è che io possa riavere ciò che mi spetta!- si infuriò di botto. –Io sono una dea della morte. Io devo mietere anime. Sono nata per questo, e fosse l’ultima cosa che faccio, riprenderò il mio posto! Perché io sono...- sorrise. –Io sono Grace DEATH!

Abbassò lo sguardo, verso quello che un tempo era il suo utero. Lo squarcio non si era rimarginato del tutto, probabilmente non si sarebbe mai rimarginato:- Ma prima, devo pur vendicami del mio aguzzino. Sono davvero, davvero arrabbiata con lui. Dovrei dargli una lezione come si deve...- Alzò la testa e sghignazzò scompostamente, al colmo dell'eccitazione.

-Ma guarda! E io che pensavo che sarei impazzita a stare sei mesi sottoterra, e invece ne sono uscita esattamente come ci sono entrata!

 

 

 

Note d’autrice:

Finalmente, dopo una lunga attesa, sono riuscita a scrivere qualcosa che mi soddisfacesse. Avevo intenzione di pubblicarla una volta conclusi tutti i capitoli. Ma il mio computer sembra stia per rompersi definitivamente da un momento all'altro. Così preferisco che almeno questa parte sia pubblicata.

So che ci sono alcuni punti leggermente “deliranti” e poco chiari nella storia, ma è esattamente così che la volevo. Confusa e delirante, come la mente di Grace.

Grace è il mio personaggio originale, un personaggio di cui vado particolarmente fiera. Magari non è esattamente il personaggiò più "nuovo" del mondo, ma va bene così, è esattamente come la volevo, e non la cambierei mai.

Al prossimo capitolo.

 

*Six fool moons: è un gioco di parole tra il termine full moon, luna piena, e fool, che vuol dire “pazzo, stolto”.

 

  
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