Idi di marzo
{
storia di pazzi galli e aquile cadute }
Quando Astérix glielo disse, sul momento Obélix pensò a un brutto scherzo; o magari la notte prima l’amico
aveva esagerato con la cervogia e ora non sapeva quel che diceva. Insomma, era
vero che da parecchi anni – sei o sette? Non era mai stato molto bravo a fare i
conti, lui – gli accampamenti romani avevano levato le tende, e la vita era
diventata vuota e noiosa, insipida, al di là dei banchetti ormai senza scopo in
cui persino il cinghiale non aveva più il sapore di una volta. Era vero che da ben sei – o sette? – anni le mani di Obélix prudevano dalla voglia di picchiare un Romano, uno
qualsiasi, solo che di Romani non se ne vedevano più per miglia perché, si
diceva in giro, la Gallia era caduta ma il villaggio degli irriducibili aveva
resistito ancora e sempre all’invasore. Era vero che Panoramix
– con suo grande sconforto – non preparava più neppure un paiolo di pozione
magica... Ed era anche vero che lui,
l’uomo raffigurato sui pezzi di metallo che qualcuno chiamava assi e qualcun
altro sesterzi, l’uomo che veniva da loro a cavallo con le foglie d’alloro tra
i capelli e la faccia seria seria – Giulio Cesare – non s’era più visto da
quelle parti. Solo che... be’, non era
possibile.
«Non sei divertente,
Astérix. E non vedo il motivo per cui tu debba fare del così brutto spirito su
un personaggio distinto e rispettabile come lui.»
Appoggiato alla porta
della sua casa aperta per metà, Astérix si accigliò appena, come faceva sempre
quando voleva spiegargli qualcosa di assurdamente complicato e convincerlo che
in realtà fosse la cosa più semplice del mondo. «Non sapevo che Cesare ti piacesse, Obélix.»
«Non essere ridicolo»
sbuffò Obélix con sussiego, accarezzando pigramente
la testolina di Idéfix. «Sai bene che è a Cesare che
dobbiamo tutti i begli anni di pestaggi ai Romani, senza i quali non avremmo
mai saputo cos’è la vera felicità.» Aspettò che l’amico ridesse, ma lui non
rise. Scrollò le spalle. «Sta radunando le forze, ti dico. È per questo che lui
e i suoi non si vedono da un pezzo. Torneranno e saranno più agguerriti che
mai, e noi li faremo scappare di nuovo e poi si farà tutto daccapo. Fidati,
Astérix, i Romani sono perduti senza di noi.» Abbassò la voce in un tono
confidenziale, ammiccando. «In realtà anche noi siamo perduti senza di loro, ma
questo non glielo dire mai, si monterebbero la testa e guasterebbero tutto il
divertimento.»
Astérix scosse
tristemente il capo; le ali sul suo elmo dondolarono e parvero afflosciarsi,
mogie come le orecchie di Idéfix, stranamente quieto.
«I Romani non
torneranno. Cesare è morto, Obélix.»
«Stupidate.»
«Ti dico che è morto.
I Romani non torneranno, perché in questo stesso istante Roma non è più la
stessa. Farai bene ad accettarlo: è tempo di crescere, ormai.»
Astérix rientrò in
casa, lasciando aperta la parte superiore della porta, ma Obélix
non aveva voglia di continuare a parlare con lui. Era davvero uno scherzo di
pessimo gusto. Borbottò qualcosa a proposito dei cinghiali e si allontanò con Idéfix, che riacquistò un po’ d’entusiasmo alla prospettiva
di una passeggiata nella foresta.
Ovunque volgesse lo
sguardo, non vedeva altro che facce abbattute. Ordinalphabetix
se ne stava dietro il suo banco dei pesci senza urlare, senza sforzarsi in
alcun modo di attirare l’attenzione delle clienti sulla merce fresca. Ecco
laggiù Matusalemix, più immusonito che mai, curvo sul
suo bastone e tutto intento a borbottare tra sé sui «vecchi tempi che non
tornano più». Assurancetourix lasciava penzolare le
gambe nel vuoto lassù dalla sua capanna sull’albero, componendo un’ode molto
simile a un lungo lamento, mentre dalla soglia della sua officina Automatix lo guardava con occhi vuoti, senza neanche una
minaccia, come se neppure lo riconoscesse. E non c’era traccia di Abraracourcix né dei suoi portatori.
«Sono pazzi questi
Galli. Si sbagliano, Idéfix» Obélix
ammonì il compagno, mentre insieme attraversavano le porte del villaggio; «si
sbagliano, ecco tutto. Hanno creduto a una vera
stupidata. Astérix è un buontempone, solo che non capisce mai quando è il
momento di smettere di scherzare...»
La foresta si apriva
attorno a loro, promettendo una caccia proficua: ora che non c’erano più
escursioni dei soldati romani i cinghiali avevano meno paura di uscire allo
scoperto – era solo per questo che i banchetti continuavano. Obélix marciò spedito tra gli alberi, ma si fermò quando
raggiunse una rada altura: si guardò intorno e, ancora una volta, là dove si
ergevano gli accampamenti di Aquarium, Babaorum, Laudanum e Petibonum vide solo vecchi
spiazzi svuotati e senza vita. Accucciato vicino al suo piede destro, Idéfix ululò.
«Torneranno, vedrai»
lo consolò Obélix, chinandosi ad accarezzarlo.
Si lasciò cadere a
terra anche lui, pensando che tanto i cinghiali non andavano da nessuna parte,
ora era più importante convincere il suo piccolo amico che andava tutto bene e
che presto avrebbe ricominciato a rincorrere soldati in lacrime azzannando loro
le brache, proprio come ai bei vecchi tempi.
«Non è morto» disse di
nuovo, ad alta voce, rivolto più a se stesso che al cagnolino. «Non può essere
morto. Voglio dire, Cesare non è un uomo che possa semplicemente morire.» Tacque un istante, giusto il
tempo di udire l’unico, lieve, speranzoso colpo di coda di Idéfix.
«Spero che tornino presto» aggiunse.
Per qualche strano
motivo, oggi il cielo dell’alba era rosso sangue.
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Spazio dell’autrice
Con un’encomiabile scelta di tempi mi sono
ritrovata a leggere Idi di marzo di
Valerio Massimo Manfredi giusto in questo periodo. Sono rimasta molto colpita
dal personaggio di Cesare, soprattutto perché, da studentessa, non mi ero mai
soffermata sulle sue ideologie o sulle sue motivazioni, ma solo sulle imprese
da lui realizzate... Ora mi pento di esser stata all’epoca così ottusa, e mi
rendo conto dello spessore anche tutto individuale di questa figura storica. Considerata
la data odierna, era doveroso dedicargli un pensiero, così non ho potuto fare a
meno di ricollegarmi ad Astérix e di chiedermi
come il villaggio degli irriducibili possa aver reagito alla scomparsa di
questo grandioso nemico.
Spero vi sia piaciuto leggerla almeno la
metà di quanto a me è piaciuto scriverla. ♥
(Nota: le campagne in Gallia terminarono nel 50 o 51 a.C.; Giulio Cesare morì nel 44, ergo i sei o sette anni di precedente assenza dei Romani dall’Armorica.)
Aya ~