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Autore: EvgeniaPsyche Rox    20/03/2013    7 recensioni
La ragazza e il padre si scambiarono allora uno sguardo stralunato, finché quest'ultimo non interruppe nuovamente il silenzio: «Ma che ha?»
«Non lo so», rispose la giovane, scuotendo appena la testa. «Ogni volta che piove sembra particolarmente vivace.»
«Strano, di solito accade sempre il contrario.»
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jack Frost, Jamie
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Rainy Days.


«Che tempo di merda.»
Aprì lentamente le palpebre, infastidito dal commento poco ortodosso di suo padre e, soprattutto, dallo squillante suono della sveglia che ogni singola mattina lo strappava bruscamente dalle braccia del tanto amato e bramato Morfeo.
«Forza ragazzi, alzatevi, a meno che vogliate perdere di nuovo l'autobus come ieri». La voce imponente di suo padre gli parve incredibilmente lontana e per un attimo temette addirittura di trovarsi sott'acqua, dato che i rumori intorno a lui sembrarono un ronzio indistinto, soffocati dalla solita sordità che lo caratterizzava di prima mattina.
«Jamie, andiamo», lo incitò nuovamente l'uomo, tra il severo e il divertito, quasi si trovasse in difficoltà tra il fare la parte del padre e dell'amico; successivamente scostò velocemente le coperte dal corpo del ragazzo che si mise le mani intorno alle spalle, infreddolito.
«Guardate che se perdete l'autobus non vi accompagnerò di certo in auto. Ieri sono stato buono, ma oggi vi arrangiate.»
«Potremmo sempre rimanere a casa», la voce impastata di Sophie si fece finalmente spazio nel nuovo giorno, mentre la ragazza, seduta sul bordo del materasso, si strofinava l'occhio sinistro, evidentemente assonnata.
«Rimanere a casa? Potete scordarvelo! Se perdete l'autobus vi mando in classe a calci nel sedere!». Sophie per un attimo sembrò perplessa e fece per replicare, quando si accorse del sorriso sghembo dipinto sul volto del padre; allora accennò una soave risata e si alzò lentamente, facendo per avviarsi in bagno, quando il fratello la superò in un secondo, rischiando addirittura di travolgere la madre, intenta a reggere i panni in mezzo al piccolo corridoio della casa.
La ragazza e il padre si scambiarono allora uno sguardo stralunato, finché quest'ultimo non interruppe nuovamente il silenzio: «Ma che ha?»
«Non lo so», rispose la giovane, scuotendo appena la testa. «Ogni volta che piove sembra particolarmente vivace.»
«Strano, di solito accade sempre il contrario.»





Ed era vero.
Durante le giornate piovose non faceva altro che incontrare volti scuri, sguardi rivolti verso il basso, labbra che continuavano ad emettere sospiri e vomitare lamentele; il tutto accompagnato da mani che reggevano faticosamente l'ombrello e schiene leggermente curve a causa della pesantezza della cartella.
Il periodo tra Febbraio e i primi giorni di Maggio era probabilmente quello più amato e, al tempo stesso, odiato dagli studenti della sua scuola. O meglio, dagli studenti in generale.
Amato perché, si sa, dopo le vacanze di Natale nel cervello di tutti gli allievi non esiste altro che il pensiero fisso della spiaggia, del sole luminoso che faceva sudare anche sotto le canotte più leggere, del mare cristallino, pronto ad accogliere stressati fanciulli che si spogliavano per almeno tre mesi delle pesanti vesti della scuola.
Sono quei mesi in cui l'attenzione cala precipitosamente; quelli in cui si guarda più spesso del solito l'orologio appeso in classe; quelli nei quali ti avvicini tre volte di fila al tuo compagno di banco, chiedendogli sommessamente: «Ehi, ma hai capito qualcosa?»
E lui allora ti guarda come se avessi appena bestemmiato, o meglio, ti guarda come se gli avessi appena rivelato di aver preso una cotta per quell'obesa della professoressa di matematica. «Capito qualcosa? Amico, stai scherzando? Non ricordo nemmeno a che lezione siamo.»
Tu dunque ridi di gusto e torni a fissare ininterrottamente l'orologio, sperando in cuor tuo di essere in grado di spostare le lancette con la forza del pensiero.
Il periodo tra Febbraio e Maggio è odiato perché è ricco di illusioni e futili speranze. Passi i giorni a ripeterti che manca davvero poco alla fine della scuola, ma non appena sfogli il calendario il tuo sguardo si spegne immediatamente, perché ti ricordi dell'esistenza di Marzo e, soprattutto, di Aprile.
Marzo non è poi così male, in fondo. Ci sono le vacanze di Pasqua che, seppur brevi, riescono in qualche modo a darti un attimo di pace. Aprile, al contrario, è un massacro totale, lo sanno tutti.
Aprile, insieme a Maggio, è il mese delle verifiche, dei compiti, delle interrogazioni, dei miracoli, delle botte di culo divine e delle acrobazie ineguagliabili per riuscire a passare l'anno senza alcun debito.
Maggio in particolare, soltanto che il suo peso si sente molto meno perché è l'ultimo mese di scuola. Giugno, bisogna ammetterlo, è una pacchia totale. I dieci giorni di Giugno sono pieni di casini, gomme volanti, quaderni bruciati, risate, battutine, pacche sulle spalle e finti ''mi mancherai''.
Aprile, al contrario, è un disastro assoluto da ogni punto di vista. Ad Aprile non ci sono vacanze, solo verifiche su verifiche e interrogazioni pronte a sommergerti, ad annegarti con i loro tentacoli viscidi e appicicosi.
Ma tu sai che non puoi soffocare, non puoi lasciarti abbandonare nell'abisso. La scuola è una lotta quotidiana per tutti gli studenti e quest'ultimi lo sanno bene, al contrario degli adulti che, chissà perché, sembrano aver completamente rimosso quella fase di vita ricca di meraviglie e agguati dietro l'angolo.
E Jamie, ormai prossimo ai suoi diciassette anni, stava iniziando a passare le sue giornate chiedendosi per davvero se un giorno perfino lui, che aveva litigato per anni e anni con suo padre nella speranza di fargli capire le complicazioni della sua età, si sarebbe dimenticato di quella misteriosa fase della vita chiamata
adolescenza. O forse, chissà, gli adulti non si dimenticano per davvero di essere stati giovani anche loro, un tempo. Magari fingono semplicemente, tutto qui. Probabilmente fingono per entrare meglio nel ruolo dei genitori o degli insegnanti, a seconda del loro incarico.
O magari lo fanno semplicemente per vendetta. Qualcosa tipo abbiamo sofferto tanto perché quei rompicoglioni dei nostri genitori non ci hanno mai compreso, quindi adesso è nostro compito fare altrettanto con le generazioni future.
Sadismo umano? Chissà.
Ma alla fine Jamie doveva ammetterlo: di certo, per quanto riguardava il rapporto con i suoi genitori, nonostante le frequenti discussioni con suo padre, se la passava piuttosto bene. Non aveva mai avuto grandi segreti da nascondere; non aveva mai fumato o bevuto e a scuola prendeva sempre dei voti che gli garantivano di passare l'anno senza problemi.
E inoltre in quel periodo i suoi genitori stavano dando maggiori attenzioni a Sophie; non per una indiscriminazione nei suoi confronti, ma semplicemente perché sapevano che adesso toccava a lei buttarsi a capofitto nel mondo dell'adolescenza. Di conseguenza sarebbero cominciati i divieti e i rimproveri come: '
''Non puoi tornare a casa dopo le sette'', ''E' un poco di buono, ti impedisco di frequentarlo!'', ''Non c'entra niente quello che fa tuo fratello; lui è un maschio, tu sei una ragazza!'', ''Non mi interessa se la verifica è andata male a tutta la classe; questa non è comunque una buona scusa per aver portato un'insufficienza così grave!''
E, conoscendo il caratterino di Sophie che stava iniziando a formarsi, Jamie già immaginava la sua reazione; a quel pensiero si lasciò sfuggire un sorriso divertito prima di lanciare una fugace occhiata intorno, accorgendosi dei soliti musoni degli altri studenti seduti in autobus.
In fondo, chi mai avrebbe sorriso di fronte alla solita massacrante giornata che li attendeva a scuola, in pieno Aprile, tempestata, come se tutto ciò non bastasse, da un allegro aquazzone?
Eppure qualcuno di felice c'era.
E quel qualcuno era proprio Jamie.
Si sa che il sole spicca maggiormente se è in mezzo ad una mandria di nuvoloni grigi; così come il bianco splende molto di più quando si trova su un foglio completamente nero.
Ecco, durante le giornate piovose Jamie si sentiva proprio così; un raggio di luce, una macchia bianca, con quei suoi occhi pieni di speranza.
L'autobus rallentò fino a fermarsi del tutto e, nel preciso istante in cui le porte si spalancarono, Jamie sentì il proprio battito cardiaco accelerare precipitosamente; strinse impacciatamente i lacci della cartella che aveva accuratamente appoggiato sul sedile accanto a sé e trattenne il fiato, in attesa.
Per un attimo provò la medesima sensazione che sentiva tutte le mattine nel dormiveglia; le voci lontane, lui che si trovava sott'acqua, un ronzio indistinto, quasi soffocato dal passare continuo delle automobili.
Rimase lì e attese.
Vide salire volti sconosciuti, sguardi incrociati di sfuggita nei corridoi, persone che alzarono la testa verso di lui in cenno di saluto; ed egli, in mezzo a tutto ciò, rimase comunque immobile, lasciando che i pensieri nella sua mente si accavallassero l'un l'altro, soffocandosi a vicenda.
Strinse maggiormente il laccio della sua cartella, quando udì di sfuggita il rumore delle porte chiudersi; si sentì allora come sprofondare, sia per il sollievo, sia a causa delle sue speranze infrante.
Riprese a respirare normalmente e si accorse con enorme rammarico che in lui stava predominando la seconda sensazione, ovvero quella delle speranze infrante; poco importava del sollievo, poco importava delle sue ansie e paure. Lui preferiva affrontarle, preferiva rischiare, piuttosto che non vederlo nemmeno.
Poi accade qualcosa di strano, di inaspettato, e Jamie si chiese davvero se esisteva qualcuno che dal Cielo lo avesse ascoltato, esaurendo così il suo desiderio. Vide un ragazzo correre alla velocità della luce verso l'autobus, raggiungendo in pochi secondi la porta; batté ripetutamente sul vetro, cercando di impietosire l'autista con qualche smorfia che, teoricamente, avrebbe dovuto suscitare la sua pietà.
L'uomo seduto al volante allora scosse la testa, borbottando tra sé e sé qualcosa sui giovani e il loro sfacciato ritardo che non faceva altro che intralciare il suo lavoro; premette comunque il pulsante rosso, facendo aprire le porte di scatto e permettendo così allo studente di entrare.
«Sei in ritardo, lo sai? La prossima volta scordati che io ti faccia entrare», affermò con durezza l'autista, richiudendo le porte con aria estremamente nervosa.
Il ragazzo in tutta risposta acccennò una risata divertita e iniziò ad incamminarsi, cercando con lo sguardo i suoi compagni. «Non è colpa mia se questa mattina non ho sentito la sveglia!»
Jamie, dal canto suo, iniziò a giocherellare con l'ombrello, più nervoso che mai.
Ed ecco il motivo per cui amava immensamente le giornate di pioggia.
Ecco il motivo per cui quando si svegliava con il rumore delle goccioline alla finestra, balzava giù dal letto, felice come una Pasqua
Ecco il motivo per cui il suo sorriso spiccava, sembrava quasi sbagliato, in mezzo ai volti grigi dei suoi coetanei.
Eccolo, ecco la persona che tanto attendeva, la persona che riusciva a vedere di sfuggita soltanto all'intervallo, in quei dieci minuti che finivano sempre troppo presto.
Ecco Jack, Jack Frost. Con quel suo sorriso divertito perennemente stampato sul volto, i capelli tinti di un bianco surreale, del medesimo colore della pelle, così chiara da far quasi paura; ecco Jack Frost, con i suoi occhi azzurri, i suoi lineamenti del volto così particolari, impossibile da non distinguere. Ecco Jack Frost, colui che non ha mai freddo, il ragazzo di seconda che non sente il gelo dell'inverno, dicevano i suoi compagni di scuola. Ecco Jack Frost, che poco importava se nevicava, se pioveva, o se fuori erano tre gradi sotto lo zero; lui avrebbe indossato sempre e comunque la sua amatissima felpa blu, quella felpa a cui era tanto affezionato, chissà perché.
«Ehi, Jack! Niente moto 'sta mattina, eh?», lo schernì uno strano ragazzo dai capelli neri, accennando un sorriso sghembo.
«Come ogni volta che piove, no?», rispose automaticamente Jack, mettendo in mostra i suoi soliti sorrisi che tanto lo caratterizzavano e che, si diceva in giro, piaceva molto alle ragazze; nonostante le numerose pretendenti, Jack si era fidanzato soltanto una volta con una fanciulla più grande di lui di qualche anno.
Non fu una storia seria, dato che durò un mesetto al massimo. E quando qualcuno gli chiedeva se gli era piaciuta davvero, lui rispondeva sempre con una scrollata di spalle. «Non mi interessa fidanzarmi, quel giorno ho accettato perché non avevo altro da fare. Dopo un po' mi sono stufato; pretendeva sempre fiori, cioccolatini e altre cose strane che non riesco a capire!»
Jack si aggrappò improvvisamente ad un palo, proprio accanto al sedile su cui era appoggiata la cartella verde di Jamie; quest'ultimo allora sentì automaticamente lo stomaco sottosopra a causa della forte emozione.
«Dai, vieni a sederti qua, così ci facciamo i compiti di matematica una volta per tutte.»
Jack in tutta risposta al compagno ridacchiò, scuotendo leggermente la chioma bianca. «Mi spiace dirtelo, ma questa volta ho fatto i compiti. E poi ti sopporto già abbastanza in classe, non mi va di averti vicino anche in autobus». L'altro dunque sghignazzò, commentando ad alta voce con un elegante ''che stronzo!'', prima di voltarsi a chiacchierare con qualcun altro.
E nel preciso istante in cui un tuono rieccheggiò in lontananza, qualcosa sembrò improvvisamente scattare dentro Jamie; quest'ultimo infatti afferrò in un lampo la cartella e la sistemò accuratamente sotto le proprie scarpe, ottenendo l'attenzione di Jack che sorrise per l'ennesima volta, prendendo immediatamente posto accanto al giovane dai capelli castani. «Ah, grazie mille! Proprio non mi andava di passare il tragitto in piedi.»
Da quanto aveva iniziato a spendere il suo tempo fissando Jack? Probabilmente un anno circa.
E in quei trecentosessantacinque giorni gli aveva mai rivolto la parola? No, certo che no.
Perché allora di punto in bianco aveva avuto il coraggio di farlo sedere accanto a sé? Proprio non ne aveva la più pallida idea. L'amore, si sa, funziona in maniera davvero strana, insieme agli ormoni in palla dell'adolescenza.
Jamie si sforzò di accennare un sorriso normale, sperando in questo modo di non lasciare trapelare tutto il suo imbarazzo, già piuttosto evidente a causa delle mani sudaticce.
Poi, improvvisamente, silenzio.
Cioè, si fa per dire, ovvio. C'era il solito chiacchiericcio contornato dalle risate e le urla degli studenti; le bestemmie dell'autista seguite dalla sua mano sinistra che suonavano ininterrottamente il clacson, ma quelli non erano nulla in confronto ai pensieri che si stavano annidando nella mente del ragazzo.
Lanciò una fugace occhiata alla sua sinistra e si accorse che Jack si era già voltato all'indietro, seduto in ginocchio, intento a chiacchierare allegramente del più e del meno con altri ragazzi.
Jamie allora sospirò pesantemente, tornando a guardare il paesaggio all'esterno del finestrino, maledicendosi ripetutamente per il suo scarso autocontrollo. In realtà, doveva ammetterlo, non sapeva esattamente a che cosa fosse dovuto quel suo improvviso interesse nei confronti di Jack.
Solitamente aveva sempre preferito le ragazze, anche se non era mai stato un cuor di leone in campo amoroso. Eppure, da quando aveva visto Jack la prima volta in autobus, l'anno scorso, durante l'ennesima giornata di pioggia, era mutato tutto di punto in bianco.
Aveva iniziato a spiarlo in ogni momento possibile; ricordava bene che c'era stato addirittura un periodo nel quale passava le serate a scrivere su un foglio dei metodi per riuscire a parlargli senza fare la figura del deficiente. Qualcosa come scontrarsi con lui per sbaglio, o offrirgli qualche merendina alle macchinette, dato che aveva notato che gli piacevano tanto.
Ovviamente non era mai riuscito a mettere in atto quei suoi folli piani.
Un altro sospiro, questa volta più pesante del precedente.
Ma insomma, perché Jack non gli parlava? Almeno avrebbe potuto presentarsi o sforzarsi di dire qualcosa in più invece di un semplice ringraziamento. Lui, che era così espansivo e aperto, non gli aveva rivolto nemmeno uno sguardo. Forse lo considerava uno sfigato, pensò con una certa angoscia Jamie. O forse, vedendolo immerso nei suoi pensieri, aveva preferito non disturbarlo.
Sì, l'ipotesi più plausibile sembrava la seconda.
E l'unico modo per poter avere una conversazione decente con lui era iniziare una volta per tutte a parlare.
Jamie chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, sperando di essere aiutato dal suo coraggio interiore che, a quanto pare, per le situazioni amorose preferiva nascondersi tra i labirinti intricati del suo cuore.
Un altro respiro, profondo e intenso, più del primo. Un respiro così profondo da tuffarsi nel suo io interiore, sperando forse di riuscire ad acchiappare in un attimo il suo famigerato coraggio: trovarlo, prenderlo e tirarlo fuori una volta per tutte, magari.
Jamie allora si voltò e parlò, lasciando che l'istinto e le parole si potessero fondere una volta per tutte: «Ho notato che quando piove vai a scuola sempre con l'autobus. Immagino che con il motorino rischieresti di scivolare e, sinceramente, non mi piacerebbe molto vederti all'ospedale con qualche arto slogato», poi, improvvisamente, il giovane si interruppe, serrando immediatamente le labbra.
Sì, lasciare la parola all'istinto era stata di certo la mossa più idiota che avesse mai potuto fare.
Quel ''ho notato che'' all'inizio della frase lasciava trasparire ciò che desiderava più nascondere, ovvero che non faceva altro che seguirlo con lo sguardo.
Per non parlare del ''Immagino che con il motorino rischieresti di scivolare'': ma insomma, era lapalissiano che in moto avrebbe rischiato di finire al pronto soccorso o qualcosa del genere!
''Non mi piacerebbe molto vederti all'ospedale con qualche arto slogato.'' Ma chi si credeva di essere? Il suo migliore amico? Non lo conosceva neanche da cinque minuti! Anzi, non lo conosceva proprio, ecco qual era l'amara verità.
Jamie a quel punto si morse furiosamente il labbro inferiore, seriamente intenzionato di alzarsi e andare a sedersi da qualche altra parte, o di tirare il cellulare dalla tasca dei suoi jeans, fingendo magari di parlare con qualcuno, quando notò che Jack si era voltato a guardarlo soltanto un paio di secondi dopo, togliendosi gli auricolari dalle orecchie. «Hai detto qualcosa? Scusa, non ho sentito. Sai, ho il brutto vizio di tenere la musica a tutto volume.»
E, in mezzo al sollievo di non aver fatto quella che sarebbe stata la figuraccia più colossale di tutta la sua vita, Jamie si accorse che il tanto bramato coraggio era caduto di nuovo in fondo, in mezzo ai suoi intricati labirinti. «No, io in realtà, cioè, sì, sì, ho detto qualcosa...», balbettò impacciatamente, chiamando mentalmente a gran voce il coraggio, il quale però, purtroppo, non diede alcun segno di vita.
Jack inclinò automaticamente la testa su un lato, aspettando che l'altro continuasse il suo discorso formato da parole che inciampavano tra di loro. «Beh?»
Jamie sussultò appena e decise di lasciar perdere il coraggio, dato che quest'ultimo sembrava ignorare bellamente i suoi richiami; pensò così di puntare nuovamente sull'istinto, sperando di non rischiare un'altra figuraccia di dimensioni astronomiche. «Piacere, io sono Jamie Bennett. Tu devi essere Jack Frost, giusto?»
Quest'ultimo alzò istintivamente un soppraciglio, tra il divertito e l'accigliato. «Io sono Jack e basta. Non vorrai mica chiamarmi tutte le volte Jack Frost, no? Jack, io sono Jack. Anche se i miei amici mi chiamano...», poi si interruppe e assunse una smorfia indecifrabile, facendo un cenno con la mano. «Oh, lascia perdere come mi chiamano i miei amici.»
Jamie prese un altro respiro profondo, imponendosi di continuare, dato che ora anche il coraggio sembrava essere miracolosamente riemerso dall'abisso. «Sei di seconda F, non è vero?»
L'altro annuì, leggermenete perplesso. «E tu come fai a saperlo?»
A quella domanda inaspettata Jamie tornò a mordersi furiosamente le labbra, evidentemente a disagio. Accidenti alle sue stupide domande. «Ehm, diciamo che sei facile da notare.»
Jack, dal canto suo, rimase in silenzio per qualche secondo; dopodiché si illuminò e si toccò appena i capelli bianchi, ridendo. «Ah, è per via della tinta, immagino!»
«Sì, anche per quello.»
«Certo che sei strano... Jamie, giusto? Ti chiami Jamie, hai detto?»
«Sì, esatto.»
Il ragazzo sorrise. «Mi stai simpatico, Jamie. Mi piacciono le persone strane», borbottò di sfuggita; successivamente si alzò di scatto, accorgendosi che l'autobus si era appena fermato di fronte al cortile della scuola. «Adesso scappo eh, che i miei compagni mi aspettano. Ci vediamo, Jamie.»
Quest'ultimo si infilò la cartella sulle spalle e si affrettò a rispondere al saluto. «Sì, magari... Magari ci vediamo all'intervallo!», disse poi, a voce un po' troppo alta, dato che metà degli studenti si voltarono a guardarlo.
L'albino gli fece cenno di aver capito e scese dall'autobus, svanendo tra la pioggia e la folla di studenti pronti ad iniziare l'ennesima giornata scolastica.
E, sapete, quel giorno, non appena suonò la campanella dell'intervallo, andò davvero a cercarlo nella sua classe. E fece altrettanto il gioro dopo, e quello dopo ancora.
Uscirono perfino insieme, qualche volta, e Jamie iniziò ad avere meno paura delle interrogazioni e delle verifiche.
Gli sarebbe piaciuto approfondire maggiormente il rapporto, ma Jack si trasferì altrove un paio di mesi dopo e non riuscì ad avere più notizie di lui.
E anche se adesso Jamie Bennett ha dimenticato di essere stato giovane anche lui un tempo, o almeno, finge di esserselo dimenticato, gli capita spesso di pensare che, molto probabilmente, Jack gli piaceva perché era l'unico a sorridere per davvero durante le giornate di pioggia.
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*Note di Ev'*
...
Sì, sono ancora viva. Non sono né morta, né resuscitata -Più o meno-.
Oddio, mi sembra passato un secolo dall'ultima volta che ho pubblicato qualcosa, pffh. Sì, beh, in effetti, è più di un mese.
La scuola, people, la scuola. Gli impegni. Le cose che si ammassano, tutte insieme, nella mia testa. E se non sono ancora morta, probabilmente i compiti mi uccideranno presto, in qualche modo.
Ho il cervello sotto terra. Cioè, non so esattamente che cosa significhi, ma è l'unica espressione che mi viene in mente per descrivere codesto periodo.
Un periodo un po'... Un po' così. Un po' pieno di quella roba, e anche di quell'altra cosetta, sì.
Non avete capito un cazzo, lo so.
Lo Scientifico mi uccide, sappiatelo. Non è difficile, ma è pesante a causa della quantità industriale di compiti che mi ritrovo. Oh, e di verifiche, tante verifiche. Ad esempio, ieri sono andata in gita sulla neve -Divertimento assoluto, yuppi!- e, dopo essere tornata alle 17.30, sapete che cosa mi toccava?
Studiare scienze per la verifica di oggi. Giuro che se sono riuscita a prendere la sufficienza -Cosa altamente improbabile- mi metto a baciare il pavimento, eh. Assicurato.
E il week-end, beh, il week-end... Lo spreco un po', lo ammetto. Sono molto stanca, dato che vado a dormire tardi, e durante il fine settimana esco molto, visto che durante i giorni scolastici mi è praticamente impossibile respirare un po' d'aria fresca che sia differente da quella del cortile della scuola.
Ecco, sì, esco e cazzeggio un sacco al computer. Gli aforismi, le frasi, le poesie, i piccoli poemi (?), li scrivo tutti i giorni, e vabbeh. Ma per le storia, si sa, ci vuole tempo.
Sapete quante storie mi sono messa a scrivere Domenica? Boh, tipo cinque o sei. Le ho iniziate, cinque o sei righe, poi mi sembrava merda e ho interrotto. Detesto questa sensazione di... Di... Di qualcosa che deve uscire, ma non esce. Di rigetti, di schizzi, macchie a caso, senza senso.
E ho lasciato perdere. Poi sono incasinata perché vorrei partecipare a dei concorsi, ma non riesco a scrivere qualcosa di decente che rientri nel tema imposto. La verità è che non sono capace di scrivere qualcosa, se gli altri decidono il tema.
E poi, vabbeh, ci sono pure i giornali da continuare, quindi è un po' un bordello. E mi sto cimentando a scrivere una storia originale di fantascienza, personaggi miei, ma non la pubblicherò perché... Perché boh, le storie originali preferirei pubblicarle per davvero un giorno, altrove, sotto forma di libri, non qui, uhm.
Abbandoniamo le cazzate della mia vita quotidiana e passiamo all'analisi di codesta storia.


Genere indefinito, sinceramente. Non sapevo che diavolo mettere tra i generi perché boh. E' uno squarcio di vita quotidiana, si galleggia nell'esistenza di Jamie, la sua vita di studente qualunque, contornata da discussioni con i genitori, gente che va e viene, il solito, insomma.
Eppure c'è una presenza, un ragazzo, che sembra in qualche modo mettergli lo stomaco sottosopra. E questo ragazzo è proprio Jack Frost, nelle vesti di un ragazzo normale. -Più o meno.- (Ah, a proposito, non rompetemi le ovaie per la storia del ''Eh, ma i capelli potevi farglieli in versione ''umana''! Perché no, non mi va, Jack Frost ha i capelli bianchi, punto.)
E nulla... Jack Frost è in qualche modo colui che riesce a rendere speciale Jamie, perché è proprio grazie a lui che quest'ultimo sorride in mezzo alle giornate di pioggia, dato che è l'unico momento, a parte l'intervallo, in cui riesce a vederlo per davvero.
Niente, Jamie alla fine trova il famigerato coraggio/istinto e riesce a parlargli, incredibilmente, anche se si limitano a uno scambio piuttosto breve di battute. Dopodiché l'arrivo a scuola, che simboleggia quasi il ritorno alla 'realtà', alla vita quotidiana, a volte un po' noiosa, interrompe i due e Jack scende dall'autobus.
Alla fine del racconto viene presentato un sommario di ciò che accade successivamente; Jamie e Jack diventano più uniti, ma, a causa del trasferimento di quest'ultimo, il protagonista non riuscirà più ad avere notizie di lui.
E questo, oltre a sottolineare il fatto che, sì, le cose terminano prima o poi, vuole forse un po' insegnare di... Di darsi una svegliata, insomma. Chissà, se Jamie avesse tentato di parlare prima con Jack, avrebbe potuto passare più tempo con lui.
Oppure la si può vedere da un altro punto di vista; magari è meglio così, perché se Jamie si fosse affezionato eccessiamente a Jack, la separazione sarebbe stata dolorosa, molto dolorosa.
E nulla, intorno alla storia estremamente importante è anche la figura degli adulti, simboleggiata dal padre di Jamie all'inizio, la figura dell'autista e, alla fine, Jamie stesso.
Gli adulti, nella maggior parte dei casi, impongono regole, divieti, e lo si nota dalle frasi del padre e dell'autista; entrambi rimproverano un po' i ragazzi per la loro lentezza, il loro ritardo, insomma.
E, dalle ultime frasi del racconto, con una lieve tristezza, si nota che anche Jamie, alla fine, per entrare meglio nel suo 'ruolo', è costretto a rimuovere la sua adolescenza, la sua gioventù. Ma, anche in questo caso, c'è una particolarità, qualcosa che lo caratterizza, e quel 'qualcosa' è sempre collegato a Jack; c'è un ricordo che spicca più degli altri, ovvero il fatto che per un periodo gli piaceva quel ragazzino dai capelli bianchi e, in un'ultima riflessione che chiude il racconto, il protagonista pensa che, probabilmente, ciò che lo aveva più colpito era proprio la sua diversità, il suo sorriso quasi ''sbagliato'' in mezzo ai musoni degli altri studenti.


Bene, ho terminato anche questa analisi. Adesso vorrei scusarmi enormemente per non essere riuscita a rispondere alle ultime recensioni. E mi scuso anche per aver interrotto le mie long, in particolare 'Insidie Interiori', dato che mi sono arrivate un paio di e-mail da lettrici -Siete adorabili, sul serio ç-ç - che mi chiedevano se l'avrei più continuata.
Ma certo che sì, gente! Giuro, la continuerò, spero di scrivere qualcosa questo Venerdì.
Anyway, un'ultimissima cosa: mi vorrei scusare soprattutto con Raven per non essere più riuscita a rispondere alle sue preziosissime e-mail. Rav', ti assicuro che mi dispiace un casino, ti risponderò prestissimo, parola mia!

Detto ciò, vi incito, come sempre, a
commentare codesta storia se l'avete letta. Si sa, i pareri sono estremamente importanti in questo sito e un autore ha il DIRITTO di conoscere le opinioni dei suoi lettori.Vado a fare i compiti.
Quei maledetti bastardi.
Alla prossima!
E.P.R.

   
 
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