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Autore: Yvaine0    23/03/2013    3 recensioni
«Si può sapere che c'è?» sbottò poi, spazientita.
Harry sospirò e distolse lo sguardo. «Un tempo non eri così, Lou».
«Che cosa vuoi dire?»
«Quando ti ho conosciuta eri un'altra persona. Questa non è la mia Boo, questa è... una sua imitazione cinica e frustrata. Dov'è finita quella ragazza che si stendeva con me sul divano e mi raccontava della sua famiglia, quella che mi abbracciava e baciava senza un motivo, quella che … quella di cui mi sono innamorato?» concluse in un sussurro, senza avere il coraggio di guardarla negli occhi.
A Louise si raggelò il sangue nelle vene. No. No, non era vero. Non poteva averlo detto. Doveva aver sentito male.
«È qui» rispose, cercando di ignorare l'imbarazzo che le aveva causato quella... avrebbe dovuto definirla una 'dichiarazione'?
Harry/fem!Louis
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
- Questa storia fa parte della serie 'Via la maschera'
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Disclaimer! Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere delle entità realmente esistenti citate, nè offenderle in alcun modo. Tutti i fatti narrati sono puramente inventati o sola fonte di ispirazione.

Vorrei iniziare in grande stile con una mega dedica,
perché quando mi impegno in qualcosa lo dedico sempre a qualcuno.
Solo che questa volta non so a chi dedicarla, 
per cui la dedico a tutti   e a nessuno, fate voi. :)

Tu, io e la persona che sei diventata
Buio, silenzio e argomenti scomodi
 
Sarebbe stato tutto perfettamente buio e silenzioso, se non fosse stato per la luce della vetrina e per i rumori, attutiti dalla porta chiusa, che provenivano dall'interno del locale. La ragazza avrebbe nettamente preferito che quella luce e quei suoni sparissero, aveva bisogno di stare sola e pensare, ma allo stesso tempo avrebbe voluto tornare dentro, dove flash colorati e musica fin troppo alta le avrebbero mandato in tilt il cervello. Avrebbe voluto smettere di pensare, di riflettere, mandare al diavolo ogni barlume di razionalità.
La razionalità non era esattamente una delle migliori qualità di Louise Tomlinson – anzi, lei stessa era convintissima di esserne sprovvista. Non rifletteva mai molto, faceva ciò che aveva voglia di fare, ciò che credeva fosse giusto senza stare troppo a pensarci su; tendeva ad affidarsi all'istinto e al suo buon senso, che, messi assieme, raramente sbagliavano.
«Hey, Boo!», una voce la riscosse dai suoi sconclusionati pensieri. Louise guardò verso la porta del locale, incontrando lo sguardo allegro di Harry.
«Hey» rispose con un sorriso spontaneo – Harry riusciva sempre a strappargliene uno.
«Come mai qui fuori tutta sola?» le domandò, sedendosi sulla panchina accanto a lei.
La ragazza si strinse nelle spalle e scosse il capo, come a dire che non era nulla di importante. In realtà, nemmeno lei sapeva esattamente perché avesse lasciato il locale e fosse lì fuori, tutta sola, al buio. Considerato che erano le tre di notte e che quella strada era semi deserta, così facendo non aveva nemmeno dato prova di grande intelligenza.
Avevano scelto proprio quel luogo nella speranza che nessuno li riconoscesse, nella speranza di avere un po' di privacy almeno per una sera, senza pensare al fatto che la zona in cui il bar si trovava era tutto fuorché tranquilla e rispettabile. Se li avessero visti lì, probabilmente sarebbero finiti in prima pagina su tutti i giornali di gossip. Non era semplice essere famosi, questo era un dato di fatto. Quello che forse i ragazzi non capivano era che nemmeno essere l'unica ragazza all'interno degli One Direction era facile; dover far fronte alle gelosia delle fan, agli insulti, alle accuse di essere una sgualdrina, una componente inutile in quella che altrimenti sarebbe stata un'ottima boy band di ragazzi talentuosi. “Sei senza talento”, “Puttana!”, “Ma tu che cosa ci fai lì in mezzo?”. Sguardi di fuoco, gesti offensivi, tweet infamanti, commenti poco lusinghieri. Faceva male, tutto ciò che faceva fin troppo male. Ecco perché il management aveva trovato la soluzione “Liam”; lui era abbastanza manipolabile da lasciarsi convincere a far finta di avere una cotta per lei, lei era abbastanza brava a mentire da poter fingere senza problemi di essere perdutamente innamorata, e salvarsi così dall'accusa di essere solo una sorta di groupie del gruppo.
«Mi dava fastidio la confusione» rispose in tono vago, lasciando scorrere lo sguardo verso la strada buia.
Louise era sempre stata molto brava a mentire, fin troppo. Era praticamente impossibile accorgersi della differenza tra una frase detta con convinzione e un pronunciata solamente perché le era stato imposto di farlo. Erano impossibili da distinguere i sorrisi innamorati che rivolgeva a Liam da copione e quelli che si aprivano spontaneamente sul suo volto quando qualcosa la colpiva nel profondo. Era un'ottima attrice, lo era sempre stata. Era così brava a fingere, che non sapeva più nemmeno lei quando recitasse e quando no, ormai.
Era questo a turbarla: non capiva più nemmeno i suoi stessi sentimenti. Guardare Liam e sorridere, parlargli e fare di tutto per stargli accanto erano ormai diventati gesti automatici per lei. Voleva bene a Liam, gliene voleva tanto, ma era quasi sicura di non provare niente per lui.
Poi c'era Harry. Harry che non la mollava un attimo, che non le toglieva gli occhi di dosso; era sempre il primo a capire quando qualcosa non andava, a fare del suo meglio per farla stare bene. Louise avrebbe voluto essere in grado di comportarsi con lui come faceva ai tempi di Xfactor, in modo spontaneo e affettuoso, senza preoccuparsi delle decisioni dei manager, delle voci sul suo conto, su quello di Harry.
«Ah-ha!» bofonchiò lui, senza crederci minimamente. Non insistette, però, si limitò a scompigliarle i capelli e a porgerle il cono gelato che teneva in mano: «Vuoi?»
La ragazza gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia, nello stesso punto in cui un istante dopo comparve una delle adorabili fossette del ricciolino. Si sporse sul cono e leccò via una piccola parte di crema al cioccolato, poi scosse il capo: «No, grazie, basta così».
Harry rise e alzò gli occhi al cielo. «Eh, già: la linea!» la prese in giro.
«Appunto!» confermò, posandosi le mani sul ventre. «Ultimamente sto mettendo su qualche chiletto di troppo!»
«Sì, certo. Non sarai mica incinta, Boo?»
La ragazza lo guardò sconvolta e gli diede una gomitata, causando le risate dell'amico. «Incinta? Sei forse impazzito?»
«Be', non so, tu e Liam state diventando una coppia ufficiale, no?» mormorò Harry in risposta, una punta di amarezza nella voce. Louise la colse immediatamente e non poté fare a meno di rabbuiarsi. Eccolo, il suo problema: Harry, i suoi sguardi delusi, imploranti, la sua muta richiesta di smettere quell'inutile messinscena. Avrebbe voluto farlo, accontentarlo, ma non era sicura che, poi, sarebbe stata in grado di sopportare le conseguenze di quel gesto. Scegliere la via della verità non era certo più semplice, non quanto ci si trovava a dover fronteggiare il giudizio di migliaia di persone, le loro lingue biforcute, i sospetti, le accuse, le supposizioni, le false verità, le loro convinzioni.
«Harry, sai benissimo come stanno le cose» replicò lei freddamente.
Lui sbuffò e leccò via dal cono un po' di gelato. «Lo so, ma lo trovo... stupido».
«Lo è, ma non voglio che mi diano della puttana. Se è possibile voglio evitarlo».
Sbuffò di nuovo e la ragazza pensò che la cosa stava già cominciando a stancarla – nemmeno la pazienza spiccava nella breve lista delle sue qualità.
«Chi ti dice che lo farebbero, Louise?»
«Chi ti dice che non lo farebbero, Harry? Hai visto cos'è successo subito dopo Xfactor, vero? Dicevano che stavo lì solo per bellezza, per pubblicità. Non canto, non ballo, non scrivo testi e non suono. In realtà suono, ma a loro non frega niente. Devo essere interessante, non importa a nessuno di come stanno le cose in realtà. Siamo una macchina da soldi, Harry, dobbiamo solo piegarci al volere del sistema. A chi importa di noi?».
Tra loro calò il silenzio, subito dopo che Louise ebbe vomitato fuori parte dell'amaro rancore che nutriva da sempre. Era questo che succedeva, quando qualcuno la obbligava ad essere qualcuno che non era la vera Louise Tomlinson. La vera Louise era quella che al campus coccolava il suo Harry come se fosse stato un bambino, che gli scriveva frasi sdolcinate a ambigue su Twitter, quello che con quel ragazzino riccio dormiva, mangiava, condivideva tutte le sue giornate. Aveva sempre sentito il bisogno di stargli accanto, di proteggerlo, lo aveva sempre visto come un ragazzo fin troppo genuino, sincero e sensibile, bisognoso di uno scudo contro le cattiveria del mondo reale, se voleva sopravvivere. Aveva deciso fin da subito che il suo scudo sarebbe stata lei.
E quando la vera Louise Tomlinson veniva ingabbiata per lasciar recitare a dovere la sua versione addomesticata, sempre allegra e pungente, la sua anima rinchiusa ribolliva come l'acqua dentro una pentola a pressione. Sarebbe esplosa, prima o poi.
«A me importa, Boo» sussurrò Harry.
Una risata profondamente scettica. «È questo il tuo problema, Harry: ti importa degli altri. Agli altri non importa nulla di te, di noi, di nessuno. Il mondo è egoista».
La risposta del ragazzo fu un prolungato silenzio. Durò tanto che Louise, irritata dalla mancata replica, si vide costretta a voltarsi per scorgere la sua reazione. Lo trovò a fissarla intensamente, lo sguardo impenetrabile, la bocca torta in una smorfia dura e concentrata. Sembrava stesse cercando di entrarle in testa, ma entrambi sapevano che non ci sarebbe riuscito, a meno che lei stessa non avesse scelto di aprirsi.
«Si può sapere che c'è?» sbottò poi, spazientita.
Harry sospirò e distolse lo sguardo. «Un tempo non eri così, Lou».
«Che cosa vuoi dire?»
«Quando ti ho conosciuta eri un'altra persona. Questa non è la mia Boo, questa è... una sua imitazione cinica e frustrata. Dov'è finita quella ragazza che si stendeva con me sul divano e mi raccontava della sua famiglia, quella che mi abbracciava e baciava senza un motivo, quella che … quella di cui mi sono innamorato?» concluse in un sussurro, senza avere il coraggio di guardarla negli occhi.
A Louise si raggelò il sangue nelle vene. No. No, non era vero. Non poteva averlo detto. Doveva aver sentito male.
«È qui» rispose, cercando di ignorare l'imbarazzo che le aveva causato quella... avrebbe dovuto definirla una 'dichiarazione'?
«No. - Harry scosse il capo, senza badare al gelato che, ormai sciolto, colava lungo la cialda dorata e gli sporcava le dita. - Questa è la Louise delle telecamere, non la mia».
«La gente cresce, cambia».
«Non tu. Tu non volevi crescere».
Louise strinse i pugni e serrò la mascella, sforzandosi di non piangere. Harry aveva terribilmente ragione. Ogni sua parola era una goccia di acqua ossigenata sulla sua ferita aperta e infetta. Probabilmente l'effetto finale sarebbe stato positivo, ma nel frattempo non faceva che bruciarle dentro, bruciava da morire. «Non si può rimanere bambini per sempre».
«Tu avresti potuto farlo».
«Harry, smettila! - abbaiò a quel punto la ragazza, scattando in piedi. Lo guardò dall'alto in basso, sull'orlo delle lacrime. - Devi smetterla, okay? Credi che per me sia facile, che... che tutto questo mi piaccia? Credi che non preferirei stare con voi senza preoccuparmi di niente, fare ciò che voglio senza sforzarmi di sorridere in modo smielato a Liam? Credi che non mi manchino i tempi di quelle stramaledette scale, che non mi manchi fare l'idiota con voi? Mi manca da morire, Harry! Tutto questo mi sta uccidendo, ma non c'è altra soluzione!» sibilò tutto d'un fiato. A intervalli di pochi attimi alzava lo sguardo verso il cielo, cercando di impedire a quelle stupide gocce salate di colare lungo le sue guance come stava facendo il gelato sulle mani di Harry. «Guarda che schifo, buttalo via!» aggiunse poi, stizzita, accennando al cono.
E il ragazzo obbedì. Si sporse verso il bidone lì accanto e ci gettò dentro il cono, pulendosi poi le mani sui pantaloni, incurante del fatto che così li avrebbe irrimediabilmente macchiati. «Non è questo a fare schifo» buttò lì.
Fu quel commento a far crollare definitivamente Louise. Si morse forse il labbro inferiore, nel vano tentativo di impedirsi di piangere. Ma fu inutile: stringendo la propria carne tra i denti, la ragazza gli voltò le spalle e si lasciò cadere in ginocchio per terra, totalmente succube del dolore e della rabbia repressa per così tanto tempo. Credevano tutti che lei fosse di ghiaccio? Non lo era, era un essere umano come tutti gli altri. Irrazionale, impaziente, immaturo e stupido a livelli inimmaginabili, ma era un essere umano.
Era lei a fare schifo, la persona che era diventata. Da quanto tempo mentiva? Ormai non avrebbe nemmeno più saputo dirlo.
«No, Boo, no. Non piangere... - Le braccia forti di Harry le cinsero forte le spalle, la strinsero contro il suo petto, cercando di infonderle un po' di calore, un po' di conforto. - Non è quello che volevo dire, non sei tu. Tu sei perfetta, Lou, giuro che lo sei. Lo sei per me» le sussurrò piano, accarezzandole una guancia con la propria.
«Perfetta? Harry non so nemmeno più chi cazzo sono!» singhiozzò, lasciandosi cadere seduta sul marciapiede.
Lui si abbassò assecondando i suoi movimenti, finendo chino sulla ragazza. Continuava a carezzarle le spalle. «Boo...» le sussurrò alle orecchie, in tono basso e rassicurante. Non voleva vederla piangere, non riusciva a sopportare quella vista. Sentiva tra le mani le sue spalle esili scosse dai singhiozzi, il suo respiro frammentato, la vedeva lasciare ciondolare la testa in avanti, i capelli a coprirle gli occhi. Senza smettere di sfiorarla con la punta delle dita, si alzò, le girò attorno e le si accovacciò davanti, per poterla stringere meglio tra le braccia. «Sei la mia Boo Bear, ecco chi sei. Sei la meravigliosa ragazza che sa sempre cosa dire, sei l'unica che riuscirebbe a farmi sorridere in qualunque situazione. Sei... sei... sei fantastica».
«Smettila di dire stronzate, Harry» sbottò lei sotto voce, senza nemmeno alzare lo sguardo su di lui. Detestava sentirsi così fragile, così sbagliata, priva di qualunque difesa. Solo lui, al di fuori della sua famiglia, era autorizzato a vedere questo lato di Louise; lei non aveva mai versato una lacrima di fronte a nessuno che non fosse sua madre o Harry.
Lui ridacchiò appena e Lou poté sentire il suo petto vibrare di quel lieve moto ilare. «Ma io non dico stronzate, Boo. Quello è il tuo ruolo, no?» scherzò, posando la fronte sulla sua.
La ragazza si lasciò sfuggire un risolino poco convinto, «È l'unica cosa che so fare, dopotutto» confermò, stampandosi sul volto una smorfia rassegnata che avrebbe voluto spacciarsi per un sorriso divertito.
Harry le asciugò le lacrime con un dito e strusciò il naso contro il suo. «Non buttarti giù, vedrai che...»
...che domani andrà meglio, che ne usciremo insieme, che tutto si sistemerà.
Erano tanti i possibili completamenti per quella frase, ma Harry fu distratto dalla piega imbronciata che avevano preso le labbra di Louise. Labbra fin troppo invitanti, fin troppo vicine. Come poteva resistere al loro richiamo? Lasciò il suo discorso in sospeso, dimenticando ogni rassicurazione. Tutto ciò che contava, improvvisamente, era la sua bocca posata su quella di Louise.
Prima la baciò con delicatezza, limitandosi ad uno sfioramento di labbra, poi si decise a giocarsi il tutto per tutto: le mise una mano dietro la testa e cercò di approfondire il bacio.
Ma Louise, quando Harry era ormai certo che si sarebbe lasciata andare, si scostò dalla sua presa, dal suo abbraccio, e si alzò in piedi. Indietreggiò di qualche passo, tenendosi una mano sulle labbra come se si fosse scottata.
Lo guardava sconvolta, gli occhi lucidi, arrossati e sgranati per lo stupore. Si asciugò rapidamente le lacrime, scuotendo ostinatamente il capo. «Cosa stai facendo?!» sibilò, come ferita da quel gesto.
Harry sentì la forza delle gambe mancargli, cadde seduto sul marciapiede, attonito, completamente svuotato da ogni emozione. Era stato respinto e ancora non se ne rendeva conto. Respinto da Louise, dalla ragazza di cui era maledettamente innamorato da... da sempre. Da anni, forse fin dal primo momento, quando si erano incontrati per caso, dopo che lui aveva confuso il bagno delle donne con quello degli uomini, ai provini di XFactor.
«Io... io...», non aveva idea di come rispondere; era necessario farlo?
In ritardo di qualche secondo, fu investito dal dolore di quel rifiuto. Era come se il suo petto stesse implodendo. Nascose il volto tra le mani e scosse forte il capo.
Si sentiva così ridicolo, piccolo, inutile.
«Non... non fare così, Harry» balbettò la ragazza. Si scompigliò e risistemò i capelli, sovrappensiero, in preda ad un tic nervoso che credeva di essersi lasciata alle spalle – lo faceva sempre al liceo, dove tutto era troppo difficile per lei, dove era certa che qualunque sua azione sarebbe stata quella sbagliata.
Le faceva male vedere Harry ridotto così a causa sua.
Era una stronza.
Come era potuta succedere una cosa simile?
Loro erano amici, grandi amici, ma non c'era niente di più tra loro. Tutti i baci, le promesse, le carezze... erano solo scherzi, giochi tra amici. Come aveva potuto Harry innamorarsi di lei, come aveva potuto baciarla? Non era così che funzionavano le cose, non riusciva a capacitarsi che fosse successo. Non lei, non il suo Harry, non loro. No.
Perché la sua vita doveva essere così maledettamente complicata?
«Scusa, è che... Sono un idiota» mormorò lui, in tono così basso che Louise quasi non lo udì.
La ragazza sentì la terra mancarle sotto i piedi: la voce calda e rassicurante di Harry suonava tremante e rotta, come mai la aveva sentita prima.
Senza pensarci, si fiondò su di lui, lo abbracciò forte, cercando di trasmettergli un conforto che non era sicuro di potergli dare. «Shht, non dire niente, non dire sciocchezze» gli sussurrò all'orecchio, mentre Harry si appigliava alle sue spalle come ad un salvagente, come se davvero lei fosse la sua unica salvezza.
«Io... io ti amo, Lou».
«Harry, io... Tu...».
«Ti prego...»
«Sei come un fratello per me».
E Harry si strinse a lei ancora più forte, colpito e affondato, con più disperazione che mai, mentre Louise sentiva il cuore pesante e il senso di colpa logorarle lo stomaco. Il fatto che lei fosse la fonte di tutte le sofferenze di Harry e allo stesso tempo l'unica medicazione in grado di lenire il suo dolore – o distruggere per sempre la sua malattia – era la conferma di quanto il destino fosse crudele.
Louise sembrava aver ragione anche quella volta: il mondo era troppo duro per persone come Harry, il mondo era un posto per gli attori, per coloro che sapevano mentire e comportarsi da stronzi.
Lo strinse forte a sua volta, cercando anche lei un po' di conforto in quell'abbraccio colmo di sofferenza e rassegnazione.


Here is it.
Non so come sia nel complesso, ma a me è piaciuto scrivere questa OS. Nella mia testa era tutto molto bello, ma non oso rileggerla per intero, perché dubito che altrimenti questo racconto ne uscirebbe intero.
Il correttore automatico di OpenOffice non segna errori, io un pezzo alla volta l'ho riletta tutta, ma se doveste trovare degli errori, non esitate a farmeli notare, verranno corretti immediatamente - o quasi, ecco.
So che scrivere di un Louis femmina è strano e potrebbe essere anche perverso, ma la cosa mi piace parecchio, per cui vi prego di perdonare la mia mente "forse strana e forse perversa". Mi sono affezionata a Louise, per cui almeno un'altra One Shot non me la leva nessuno. ^^,
Niente, spero che a qualcuno sia piaciuta. Mi piacerebbe molto conoscere i vostri pareri a riguardo - critiche comprese! 
  
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