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Autore: Ilarya Kiki    25/03/2013    1 recensioni
La vita di Amy Wong fa schifo.
Lavora sottopagata in un call-center in una cantina, vive sola in un monolocale nel peggior sobborgo della sua città, Leadenville, con un dirimpettaio invadente e le bollette con cui fare i conti.
Ogni notte va ad ubriacarsi e vaga, solitaria, per le strade notturne come un fantasma…
Finché non si imbatte in una strana ragazza dai capelli rossi.
Quell’incontro stravolgerà la miserabile esistenza di Amy, e la farà intrecciare con i fili rossi dei destini di innumerevoli creature in un misterioso disegno più grande, l’ordine del mondo e l’equilibrio tra bene e male,
fino a risalire al suo oscuro e terribile passato.
Genere: Azione, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La bottega di Flo

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La pioggia si scaricava impietosamente come una mitraglia giù dal cielo, quella mattina, rendendo grigio e indistinto il già triste panorama della città ricoperta di cemento. Veri e propri fiumi in piena scorrevano gorgogliando ai lati del marciapiede, e schizzi di acqua sporca innaffiavano i vestiti degli sventurati pedoni ad ogni sgommata dell’automobile di turno. Gli stivali di gomma di Amy, poi, erano troppo piccoli per i suoi piedi, e inoltre le giunture delle suole non tenevano bene ed il potere impermeabile delle calzature era andato simpaticamente a farsi fottere già da un buon quarto d’ora. Maledetti saldi.
Tre ragazze arrancavano nella bufera, quella mattina, ed una di loro senza alcun dubbio si sarebbe buscata un gran raffreddore.
Almeno, pensava la blu, se andava tutto bene questo disturbo sarebbe stato ripagato con nuove entrate, uno stipendio in più: infatti, quella mattina Annette ed Amy stavano accompagnando Tarja a rispondere all’annuncio che aveva trovato la mora sul giornale il giorno prima.
La principessa dei Demoni, incurante del freddo, saltellava nella pioggia, mentre le altre due arrancavano fianco a fianco nel tentativo di ripararsi sotto l’unico ombrello disponibile, pestandosi i piedi a vicenda.
“Coraggio!” stava dicendo Annette, avendo notato l’umore cimiteriale di Amy, “manca ancora pochissimo alla Bottega di Flo!”

“La Bottega di Flo sta cercando un aiutante, è il lavoro per te, rossa!”
Nessuno aveva capito l’entusiasmo nella voce di Annie, la sera prima, tanto che l’intervento risultò imbarazzante e inopportuno.
“Beh?” aveva storto il naso Amy, mentre le due gemelle si erano mantenute in un silenzio confuso.
“Conosco Florence, è una come noi, una che conosce la storia degli Angeli e dei Diavoli! Ha un negozio poco lontano dal centro di Leadenville, e sono sicurissima che sarebbe molto interessata ad assumere una come te! Magari può anche darti qualche dritta sul tuo problema di distruggere quel posto, la città dei crisantemi…”
Tarja aveva spalancato gli occhi, e la decisione era stata presa.

“Che mi dici di Florence, Annie?” cinguettò Tarja, attirando l’attenzione di due passanti fradici, stupiti della totale assenza di percezione del freddo della ragazza, che passeggiava tranquillamente in mezzo al diluvio in canottiera e gonna lunga, con l’unica protezione di un golfino di cotone. Non si era nemmeno parlato di lasciarla andare da sola, anche perché lei non si sarebbe mossa di casa se non ci fosse stata la blu a darle sicurezza. In fondo, non aveva mai vissuto in mezzo alle persone in tutta la sua vita, e, conoscendola, avrebbe potuto generare ogni genere di disastri, da sola. Inoltre, Annette aveva insistito per guidarle fino alla bottega e mettere una buona parola per Tarja, dato che lei, Florence, la conosceva benissimo.
“Non è che ci abbia parlato un granché, in realtà,” rispose la brasiliana (Amy cacciò un sospiro), “ricordi quando vi ho raccontato che sono stata iniziata da un gruppo di persone che avevo incontrato per strada? Ecco, lei era il loro capo spirituale, per così dire. Quindi credo che sia abbastanza esperta di queste cose…”
“Chissà se può aiutarmi…”
“Intanto, ti farà lavorare.”
“Oh, Amy tesoro, sei così venale.”
“Anche tu potresti trovarti un modo per far soldi, Annie! Ti ricordo che stai continuando a depredare la mia dispensa.”
“Ehi, e dove sono finiti i tuoi ideali di ospitalità…?”
Dopo qualche minuto e molti tentativi di omicidio da annegamento nelle pozze da parte di Amy, le tre ragazze raggiunsero una viuzza laterale che si apriva accanto ad un alto ed imponente palazzo dismesso, difficilissima da notare per chiunque non ne avesse conosciuto già da prima la collocazione. Dal muro di questa stradina, un po’ infondo, sporgeva un’insegna di legno all’antica sulla quale spiccava il disegno sbiadito di una coppia di gigli bianchi e purpurei, e la scritta “Bottega di Flo” in caratteri arzigogolati.
“Credo che siamo arrivati.”

La vetrina era ingombra di numerosissimi libri e varie chincaglierie polverose che si arrampicavano in azzardate piramidi fin sopra i muri, e all’apertura della porta d’ingresso si udì una cascata di tintinni lievi, causati da una composizione di conchiglie appese sopra lo stipite, ed una ventata di calore di stufa, odore di chiuso e incenso investì le tre giovani clienti.
Amy si ritrovò a guardarsi attorno con la bocca spalancata: il locale, minuscolo per metratura, era completamente ricoperto di artefatti provenienti da ogni parte del mondo, le pareti erano densissime di mensole ricolme di libri, scatolette e statuine. Camminare era difficile, dato l’eccessivo numero di tavolini ricoperti di centrini colorati con oggetti esposti: perfino il soffitto era denso di strani lucernari, uccellini di legno e altri aggeggi appesi. La blu, poi, notò che sopra la porta dell’ingresso erano esposti due lunghi coltelli di fattura orientale, incrociati, che più che coltelli le sembravano due lunghi spiedini ricoperti di cuoio all’altezza dell’impugnatura; sorrise, pensando che la prima cosa che le facevano venire in mente erano le tartarughe ninja.
Tarja avanzò fino al banco della cassa –anch’esso ingombro di oggettini e cartoline decorate da piante rinsecchite- e appoggiò le mani sul bancone, guardandosi intorno senza una parola.
Il locale sembrava deserto.
“Ehi…” chiamò, timidamente.
Dietro al bancone vi era un piccolo spazio delimitato dal muro dietro, sul quale si apriva una porta chiusa da un pesante drappo di velluto vermiglio. Tarja si sporse in avanti, verso la porta, facendo scricchiolare il legno del banco col suo peso: se qualcuno c’era, doveva trovarsi per forza sul retro.
“Ehi, di casa…”
“E tu chi cavolo sei?”
Una vocina da bambino di non più di sei anni pigolò pungente poco prima che una testolina arruffata spuntasse da dietro il drappo, seguita da un corpo magrolino che reggeva con due mani uno scatolone probabilmente molto più pesante di lui.
Tarja sobbalzò, Amy soffocò una risata con un pugno.
“Ermh…”
Tarja deglutì. “Distinti saluti, sono qui per l’annuncio di lavoro che c’è sul gior…”
“Ciao pequeno! C’è la mamma in giro?”
Annette spinse via la rossa dal bancone sul quale stava appoggiata e ci si appollaiò lei, mentre il bambino sgranava gli occhi con aria ostile, come se tutta quella confidenza gli desse fastidio, dopo il primo “distinti saluti” che aveva ricevuto.
“E tu chi sei?” chiese, storcendo il naso con aria sprezzante.
“Non ti ricordi di me? Sono Annie! Certo, eri un po’ più piccolo quando…”
“Gregory! Non stai di nuovo parlando con la maschera di Nana Buruku, vero? Guarda che potrebbe arrabbiarsi…”
Il drappo rosso si scostò di nuovo, e apparve una signora sulla quarantina con una incredibile quantità di capelli color sabbia raccolti in cima alla testa in ciuffi disordinati e un viso che ispirava benevolenza. Appena uscita, notò le ospiti entrate nel suo negozio e sorrise, e poi ammiccò in modo un po’ più severo al bambino di nome Gregory.
“Spero che sia stato educato!” la donna appoggiò a terra gli scatoloni che anch’essa portava in braccio, e poi rispedì il bambino sul retro, generando una serie di sospiri e qualche occhiata gelida nei confronti di Annette e Tarja. “Sai, credo che sia stato una specie di principe spocchioso nella sua vita precedente…perdonalo!”
Nuovo sorriso, e nuova ondata di simpatia che avvolse Amy.
Le sembrò strano trovare una persona così rassicurante in un posto del genere, e la cosa le mise un po’ l’animo in pace, dato che comunque a lei avrebbe dovuto affidare quel disastro ambulante di Tarja.
“Sono qui per l’annuncio di lavoro che avete messo sul giornale.”
Disse allora la rossa, estraendo dalla borsa a tracolla il quotidiano e sventolando la pagina interessata, sulla quale il piccolo riquadro era stato circondato numerose volte con un evidenziatore rosa fluo rubato dall’astuccio di Davey. “Ah, ma certo cara. Sono contenta che qualcuno sia arrivato così presto…ho un disperato bisogno d’aiuto in negozio, in questo periodo. In giro c’è il delirio.”
Florence aveva un viso rotondo, chiaro come una luna piena, e indossava uno scialle traforato sopra ad un lungo vestito verde, ma Amy notò qualcosa di strano, non appena si soffermò sugli occhi: erano chiusi, come aveva fatto a non farci caso prima?
“Aspetta, però, prima di dirmi come ti chiami: non sei sola, vero?”
Ci fu un secondo di silenzio. Eh, già, come non aveva fatto a non accorgersene subito?
Annette alzò la voce: “Ehi no! Ci sono anche io!”
“Oh, ciao cara. È da un po’ che non ti incontro.”
“Eh, ehm, salve…”
“Ah, e c’è anche la zitella depressa!”
“Annie!”
“…siete in tre, quindi.”
Florence sorrise ancora benignamente, tenendo gli occhi chiusi, e calò di nuovo il silenzio.
“Lo immaginavo. Ma un attimo, non ditemi ancora i vostri nomi, c’è un’altra cosa. Tu, che dici di volere il posto di lavoro, in realtà sei qui per un altro motivo, vero? Qualcosa legato alla Setta. Non sei una persona qualunque, sento vibrazioni nell’aria.”
Il silenzio rimase tale, ed Amy e Tarja si scambiarono uno sguardo sgomento, impressionate dalle percezioni fuori dal comune della mercante dagli occhi chiusi. Non fecero in tempo a ricomporsi e rispondere, che Florence parlò di nuovo, con voce compiaciuta.
“Non ho dubbi. Tu devi essere in qualche rapporto con gli Angeli, vero, cara? Magari riesci a vederli, a parlarci, a toccarne la luce? E magari ti hanno dato della pazza per questo? Ah, lo so.”
E la cieca sorrise di nuovo benevola, con il sopracciglio alzato di chi sa di aver fatto perfettamente centro.
“Ehm, veramente…” cominciò Annette, ma una mano di marmo bianca le tappò subito la bocca con una certa violenza, e “Emh…” disse la voce di Tarja “…in effetti, sì, già. Ahah…che acume, signora!”
“Ma-che-cavolo-fai!?” sillabò Amy tra lo scompiglio, spalancando la bocca più che poteva e non riuscendo a capacitarsi della situazione.
“Sì, in effetti parlo con gli angeli, signora Florence, e speravo anche di avere il suo aiuto, Annie mi ha detto che è il capo spirituale di una setta di iniziati, sa, e quindi ho pensato che…”
La rossa si girò verso Amy, che si era infilata le mani nei capelli, e distorse la faccia in una smorfia che probabilmente stava a significare “poi ti spiego”, dopodiché liberò Annette, che aveva continuato a trattenere con la sua stretta ferrea.
“…ecco, potesse darmi una mano.”
“Ma certo cara! Qual è il tuo nome?”
“Ehm…”
Tarja cominciò a guardarsi attorno febbrilmente, in cerca d’ispirazione.
“Simo…Simonetta.”
“Simonetta…?”
“ehm…Simons.”
Amy si spiattellò il palmo della mano in faccia, senza nemmeno curarsi di evitare il rumore sospetto.
“Simonetta Simons.”
“Ok, Simonetta, ti aiuterò in qualunque cosa tu abbia bisogno.”
“Ehi, no! Lei deve soprattutto farla lavorare!
La signora Florence scoppiò a ridere, bonaria, strizzando le palpebre ancora di più.
“Ma certo, ma certo. D’accordo, Simonetta, se per te non è un problema, cominciamo subito. Così vediamo un po’ quello che sai fare.”

La pioggia ed il vento freddo accolsero il suo corpo- ormai abituato al caldo eccessivo della stufa aromatizzata del negozio- con un gelido benvenuto, non appena Amy si ritrovò ad arrancare per le vie verso casa insieme ad Annette.
“Ma Cristo, Simonetta Simons, si può essere più idioti di così!?”
Annette si scansò evitando per un pelo la manata teatrale che Amy aveva inferto all’aria, piuttosto pericolosa considerato il fatto che sotto a quel minuscolo ombrellino erano costrette a stare una attaccata all’altra come i pinguini al polo sud.
“E poi ad una cieca…l’abbiamo lasciata ad una cieca! Perché diavolo non mi avevi detto che era una cieca!? Quando verremo a prenderla stasera al posto di quel negozio sarà rimasto solo un cratere fumante!”
“Eeeh ti preoccupi troppo tu, rilassati…”
Amy sospirò e si schiaffò la mano sulla faccia per l’ennesima volta, trascinandosi poi verso il basso tutti i connotati e deformandosi la faccia.
“Non capirò mai cos’ha in mente quella pazza…spero solo di poter contenere i danni…”
“Massì, che vuoi che sia…Flo è in gamba.”
“Speriamo…”
Una volta arrivate sottocasa, dopo un quarto d’ora di camminata al freddo, le due videro una strana ragazzina bionda sgattaiolare fuori dal portone del condominio, e nel salire le scale notarono che aveva sporcato con i suoi stivali sporchi di fango tutti i gradini, con terribile disappunto di Amy, che progredì il suo umore da “nervosismo-pre-catastrofe” a “incazzata-come-una-iena”.
In casa c’era Davey che si faceva interrogare da Cherì su Schopenhauer, il quale scoppiò a ridere e servì prontamente alla padrona di casa una bacinella di camomilla.
Ottimo rimedio contro la pioggia e le fanciulle in procinto di esplodere e distruggere il mondo come una carica atomica.

Tarja si trovò molto bene insieme a Florence.
La pimpante signora le fece in primo luogo riordinare tutti gli scaffali del negozio –che in effetti erano ancora più disordinati delle ante dell’armadio di Amy, ed è tutto dire-, dopodiché le fece rinnovare completamente la vetrina, dandole istruzioni precisissime su dove posizionare gli oggetti, e poi fu il turno dell’inventario in magazzino, che se possibile era ancora più stracarico e incasinato di quanto Tarja avesse mai potuto presagire.
Andò tutto bene, più o meno, anche perché in quell’occasione Tarja non avrebbe mai trovato il coraggio di fare di testa sua e di “interpretare” gli ordini dati dalla padrona: voleva a tutti i costi fare una buona impressione, e soprattutto aveva l’inquietante presentimento che se avesse sgarrato anche un minimo, la cieca se ne sarebbe accorta subito.
Si morse le labbra tutto il tempo, mentre lavorava. Non disse quasi nulla.
Florence le aveva promesso che avrebbero parlato della Setta non appena avesse finito il suo lavoro, ma ogni volta che finiva uno di quegli interminabili compiti, fremente d’impazienza, la donna gliene ordinava subito un altro ancora più lungo, e tutto questo finché non arrivarono le sette di sera, quando finalmente finì di compilare l’ultima lista di forniture di incensi.
Sbuffò, esausta, e appoggiò il registro sul bancone dietro il quale la cieca stava seduta lavorando all’uncinetto –come facesse senza vista, non si sa-.
“Bene Simonetta.” Disse, senza che le sue dita smettessero il loro lavoro veloce e preciso,
“Sei stata molto brava, ti ho fatto fare tutto il lavoro di due settimane. Direi che hai superato la prova, sei decisamente assunta!”
“Oh, grazie…”
La voce di Tarja era un rantolo, non era abituata a fare lavori così monotoni ed estenuanti per la pazienza, ed il timore che l’aveva assalita non appena Amy aveva varcato la soglia dell’uscita non se n’era ancora andato. Già, aveva paura.
Non era nemmeno molto sicura che fosse stata una buona idea quella di non dire subito la sua vera identità, ma di farsi passare per umana: non lo aveva deciso prima, era una cosa che le era venuta istintiva, non voleva che Florence sapesse fin da subito con chi aveva a che fare.
Magari aveva paura che l’avrebbe cacciata via a calci, che si sarebbe spaventata, che non l’avrebbe più aiutata, magari... Aveva paura e basta, meglio essere prudenti.
“Ora, se vuoi, parliamo.”
“…sì.”
In quel momento uscì Gregory, il bambino che le aveva accolte appena arrivate, portando un vassoio con due tazzine ed una teiera che emanava un profumo esotico e rilassante, che fu appoggiato su uno dei tanti tavolini. Tarja gli sorrise e lo ringraziò, ma lui sparì veloce come una lippa, lasciando dietro di sé l’ombra di un sorrisetto imbarazzato.
“Com’è timido tuo figlio!” esclamò, versando il tè verde dentro le tazzine, tanto per dire qualcosa.
“Oh, Gregory non è mio figlio, e non è nemmeno timido, proprio per niente.”
Florence afferrò una delle tazzine che Tarja le porgeva, e la invitò con un cenno a prendere posto su uno sgabello davanti a lei, dietro al bancone del negozio.
“Ma sai…a volte la vita ti riserva certi mostri che ti fanno dubitare di tutto ciò che ti circonda, ed è molto difficile superare questa paura, soprattutto quando si è un bambino.”
Florence ammiccò mestamente e Tarja deglutì, dispiaciuta.
“Poverino…un po’ capisco.”
“Già…ho deciso di adottarlo perché vagabondava dalle parti dei raduni della Setta da un po’ di tempo, e poi perché mi sento sola, probabilmente.” Florence sospirò “…ma ora parliamo di te, cara!”
Appoggiò da un lato il suo lavoro ad uncinetto, ed incrociò le mani sul grembo.
“E’ da molto che parli con gli Angeli?”
“Emh, sì, da sempre, direi.”
“E cosa ti dicono?”
“Emh…”
Il demone dai capelli rosso ciliegio sospirò, rendendosi conto che si era andata ad impelagare in un discorso inutile. Raccolse tutto il suo coraggio e continuò.
“Non è questo il punto, signora Florence. Io ho piuttosto un problema di Demoni.”
“Oh!” Florence aprì la bocca per la sorpresa, corrucciando poi le sopracciglia.
“Sono stata iniziata da bambina, conosco alla perfezione tutta la storia. Sto cercando qualcuno che mi aiuti a trovare delle informazioni sul mondo dei Demoni, sul loro sistema di difesa, su come contrastarli…qualcuno esperto nell’ambito, insomma. Puoi aiutarmi?”
Tarja si morse il labbro, consapevole che se avesse dovuto scendere ancora un po’ di più nel dettaglio, avrebbe sicuramente dovuto svelare la sua piccola farsa. Florence era sbalordita, man mano che la rossa parlava si era fatta sempre più cupa in volto.
“Se questo è il tuo problema, ti sei invischiata in qualcosa di molto pericoloso, cara, con in Demoni non si scherza, soprattutto quando si parla della salute della tua anima. Non so se voglio chiederti per quale motivo tu hai a che fare con tali creature, ma suppongo che sia colpa di una qualche maledizione, sbaglio?”
“Sì, ecco…qualcosa del genere.”
Tarja ormai aveva capito che non era molto difficile continuare a mentire, anche perché Florence continuava a fare supposizioni aspettandosi che fossero esatte, e quindi non doveva far altro che assecondarla.
“Beh, sono tempi duri nella Guerra tra Angeli e Demoni. Il re Ogre Lucifer è morto da poco più di un mese, e quella che dovrebbe essere la sua discendente, una specie di mostro ibrido nato con il contributo di una donna umana, è scomparsa nel nulla.”
Tarja deglutì sentendosi chiamare “mostro ibrido”, e si decise intimamente ad ammettere che dare un nome falso era stata un’idea magnifica.
“Tutto ciò sta creando un sacco di scompiglio in entrambe le schiere, sia perché gli Angeli stanno cercando di approfittare della disorganizzazione dei Demoni per annientarne il più possibile, sia perché tra i Demoni vige il disordine più totale. Ma non è un buon momento per intromettersi a danno dei Demoni, perché sono sì senza un capo, ma proprio per questo ancora più agguerriti e carichi di odio.”
Florence fece una pausa, e Tarja dovette ammettere che era molto più informata di lei. Si appuntò mentalmente di farle domande più precise sulla Guerra, in seguito.
“Quindi…puoi aiutarmi?”
“No.”
Tarja si morse le labbra, e inveì mentalmente con tutte le peggiori maledizioni che conosceva. Ecco, ora era d’accapo. Maledizione.
“Non voglio intromettermi nella Guerra, né mettermi a litigare contro un Demone: la Setta a cui faccio capo intrattiene unicamente rapporti con gli Angeli, e non di quelli guerrieri.”
La rossa sospirò, afflitta.
“…però, cara, non ho certo intenzione di lasciarti al tuo destino!”
Flo sorrise, quell’ampio sorriso rassicurante che le illuminava spesso il volto lunare.
“Io non posso aiutarti, ma forse conosco la persona che fa al caso tuo! Si chiama Edvard, e non si è mai fatto tutti gli scrupoli che mi faccio io.”
Tarja alzò il volto di scatto, sorpresa, e sorrise anche lei, raggiante.
“Davvero!? E dove lo trovo questo Edvard?”
“Oh, bella domanda, sono anni che non ho più notizie di lui.”
Nuova caduta nel baratro della disperazione.
“Ma se ci sono Demoni in questione, non ti sarà difficile incontrarlo! Quel genere di cose lo attirano come le mosche al miele. Ti aiuterò a cercarlo se vuoi.”
Risalita veloce all’euforia.
“Sì, grazie mille! Ma in che senso “queste cose lo attirano”, che tipo è?”
“Oh, è un vecchio pazzo con la fissa delle piume delle ali degli Angeli. Guarda, Simonetta, sulla mensola dietro di te ci sono un po’ di foto incorniciate, prendi quella dell’uomo col colbacco.”
Tarja protese la mano verso la foto, e vide un uomo già stagionato da tutti i suoi inverni in piedi al centro di una piccola piazza cittadina, avvolto da un pesante cappotto e con un cappello di pelliccia calcato in testa. Guardava in un punto lontano, l’orizzonte forse, con cipiglio fiero e un po’ malinconico. Al suo braccio stava appollaiato un volatile bianco (una colomba, forse), poco riconoscibile anche perché la foto era in bianco e nero.
“Edvard Arcibaldovic Kalashnikov, l’uomo che si era convinto di potersi appropriare del potere degli Angeli. Sai cara, era convinto che la sua giovane moglie, dopo la sua morte per malattia, fosse stata uccisa a causa di un patto col demonio. Non chiedermi se è vero –probabilmente no-, ma di fatto cominciò a fare di tutto per vendicarsi, compresa la smania di volersi appropriare di piume delle ali di un Angelo, convinto che con quelle sarebbe riuscito ad appropriarsi si una goccia del loro potere divino. Ora, io non so se sia mai riuscito a combinare qualcosa, ma di fatto conosce molto bene il mondo dei Demoni, e sono sicura che potrebbe aiutarti molto meglio di me.”
“Grazie Florence!” esclamò Tarja al settimo cielo, alzandosi in piedi di scatto.
“Oh, figurati cara. È un piacere per me…basta che non mi porti dei Demoni dentro la mia bottega!”
Appena finite di dire queste parole, la porta del negozio si aprì ed entrò Annie, per portarla a casa.
“Ci vediamo domani alle 8.00, cara!”
  
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