“Serve qualche formula per far nascere l’amicizia?”

Alzando il naso dal suo libro di fisica, il giovane Matthew scrutò con interesse i tanti giovani di Teignmouth riunitisi lì per passare il pomeriggio.

La schiena appoggiata al tronco di un albero gli doleva e sentiva la presa sul volume venirgli meno.

Non riusciva a comprendere.

Più guardava tutti quei ragazzi ridere e scherzare, più nella sua mente si creava la convinzione che stesse dimenticando qualcosa, qualcosa di molto importante.

Cosa mancava?

Con una punta di scetticismo, tornò al suo volume, aperto sulle leggi fondamentali della fisica.

“Ad ogni azione..”

- .. corrisponde una reazione uguale e contraria – sussurrò.

Non capiva, eppure il concetto era così semplice.

Prese la penna e, sul quaderno aperto sopra il libro, scrisse quelle piccole annotazioni, vicino all’equazione mancante di un particolare per arrivare alla soluzione.

Non si reputava un genio, si reputava cerebralmente migliore di tutta quella massa urlante che aveva intorno, e il non trovare la soluzione a un così semplice quesito lo stava letteralmente uccidendo.

Lui era uno scienziato. Non credeva che vi fosse un dio, c’era una spiegazione per tutto, bastava porsi le domande giuste.

Forse sbagliava nel porsi la domanda.

La formula esisteva, ne aveva le prove davanti a sé perché, geni o ingenui, quei ragazzi sapevano la formula e l’applicavano.

Con la penna cancellò la domanda e ne scrisse una nuova.

“Come si apprende la formula dell’amicizia?”

Era su questo che doveva concentrarsi.

Iniziò con l’elencare i requisiti necessari alla sua conoscenza ma si bloccò subito al punto uno. Se lui stesso non la conosceva, come poteva sapere cosa serviva per apprenderla?

Gli stava venendo un gran mal di testa.

Inutile continuare a pensarci, in quelle condizioni non vi avrebbe cavato un ragno dal buco.

Mise il libro e il quaderno nella borsa, pronto ad andarsene, quando un’ombra gli si parò davanti.

- Ciao – lo salutò.

Matthew guardò quel ragazzo, i suoi capelli biondi e quel sorriso che gli stava rivolgendo, non capendo cosa volesse da lui.

- Ciao – ricambiò senza accorgersene.

- Bellamy giusto? – chiese il biondo.

Il moro annuì.

- Io sono Dominic –

A ripensarci con attenzione, Matthew non ricordò come fosse finito con Dominic seduto sulla spiaggia a conversare. Avevano parlato di tutto e di più, scoprendosi entrambi musicisti e con un sogno nel cassetto, quello di essere famosi per la loro musica.

Non voleva ammetterlo ma stava bene in compagnia di Dominic e, mentre si salutarono al calar del sole, Matthew assaporò quel nome, scoprendolo sempre dolce e mai stancante.

- Ci vediamo domani amico – gli urlò il biondo dal marciapiedi, per poi sparire alla sua visuale.

Con passo svelto, Matthew tornò a casa e, senza badare a suo fratello che gli chiedeva dove fosse stato, si chiuse nella sua stanza.

Prese il quaderno con gli appunti delle sue formule e lo gettò nel cestino.

Incominciava a comprendere.

L’amicizia non era scienza, non esisteva una formula uguale per tutti e non tutti necessariamente la conoscevano; questa era capace di rimanere nascosta anche per tutta la vita.

Con un colpo secco, Matthew cancellò la lavagna che aveva appeso sopra la porta e vi scrisse sopra una formula, la sua formula, perché ormai la conosceva.

 

x+y=A à M+D=A